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Banche agosto 28, 2018 posted by Fabio Lugano
LA GERMANIA ROMPE CON GLI USA ED CERCA APPOGGI SULLA TURCHIA? DEDOLLARIZZAZIONE O GUERRA IN VISTA ?


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Oggi il Wall Street Journal riportava la notizia che la Germania starebbe studiando un piano di intervento sulla Turchia per stabilizzare l’economia del paese. L’Idea (poveri turchi!) sarebbe quella di un sistema di bailout simile a quello impiegato per i salvataggi europei di Grecia e Spagna.

I colloqui sono ancora preliminari ma a livello preliminare, ma coinvolgono gli sherpa del ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz e quelli della sua controparte turca Berat Albayrak. Il piano prevedrebbe una serie di strumenti quali:

  • prestiti mirati al sistema bancario;
  • prestiti da enti di sviluppo europei;
  • aiuti bilaterali mirati
I funzionari tedeschi, comunque non completamente concordi, vorrebbero coinvolgere anche il Fondo Monetario Internazionale in una sorta di “Nuova Troika” in stile greco. Parteciperebbero la Germania e la Francia, ma ricordiamo che la Spagna ha un’enorme esposizione bancaria verso la Turchia e Unicredit non è da meno, se consideriamo ancora Unicredit italiana…

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Si potrebbe notare che la Germania fa la dura con noi, ma è disposta a buttare soldi in Turchia. Però una scelta del genere non tiene conto di tre fattori:

  • il FMI non è gradito come partecipazione ad Ankara, ed è strettamente legato agli USA;
  • il problema della Turchia non è un problema di debito come la Grecia, o meglio non è solo un problema di debito, ma essenzialmente è un problema di crescita eccessiva che richiederebbe una politica monetaria prima, e fiscale in seguito, repressiva. Sono che Erdogan NON è Tsipras, cioè un pupazzo europeo, e difficilmente seguirebbe queste politiche;
  • la crisi, anche se partita da molto lontano con motivazioni macroeconomiche, è comunque scoppiata ora per il deterioramento diplomatico dei rapporti con gli USA ed un intervento del genere metterebbe la Germania, se è possibile, ancora di più in rotta di collisione con l’alleato, o ex alleato, americano.
Questa iniziativa si combina, tra l’altro, con altri motivi di attrito germano-americano, quali:

  • auto e dazi;
  • Iran;
  • Russia e nord stream.
I due ultimi motivi sono strettamente legati. Recentemente Putin ha fatto una visita a sorpresa a Vienna per il matrimonio del ministro degli esteri locale. Una bella sorpresa, ma la cosa interessante è avvenuta dopo, con un colloquio a quattr’occhi con la Merkel a Berlino. Putin parla un buon tedesco, e la Merkel un discreto russo, per cui il colloquio non ha richiesto neppure i soliti interpreti. Non casualmente, qualche giorno dopo, è uscita la curiosa idea di un sistema di pagamento che bypassasse lo Swift , di cui fanno parte gli USA, e che è l’arma principale di ricatto degli USa a livello internazionale, permettendo quindi pagamenti diretti escludendo gli USA. Un nuovo sistema di pagamento europeo sarebbe qualcosa di superfluo semplicemente perchè tra 10 anni la Cina e le criptovalute saranno i dominus del sistema mondiale.

Tutto questo ha fatto alzare qualche orecchio a Washington, ed in europa sanno bene che se solo si accennasse ad una mossa del genere l’euro sarebbe schiacciato prima dell’ora di pranzo, quindi l’obiettivo si è leggermente spostato. L’ente che gestisce il sistema Swift ha sede in Belgio, territorio dell’Unione Europea per cui è solo per la debolezza della UE che gli USA ,ed il Regno Unito, fanno quello che vogliono. Nello stesso tempo la Germania ha lanciato questo Ballond D’essai del sistema europeo, o del recupero dello Swift, perchè terrorizzata d quello che potrebbe accadere nello Stretto di Hormuz.

hormuz.png


Questo stretto conduce il 30% del petrolio mondiale, ed anche grosse quantità di gas naturale liquido. La crisi USA -Iran lo ha riportato ali onori della cronaca e gli Iraniani hanno minacciato di bloccarlo, e, dato che lo stretto è largo solo 34 km, possono farlo, o pr lo meno rendere molto costosa, anche in termini assicurativi, il transito. Ecco perchè l Germania è contraria alla sanzioni all’Iran: teme una crisi energetica, e quindi di essere legata mani e piedi Putin.

Ci sarebbero altre vie alternative di procurarsi petrolio, ad esempio in Libia o nel ed attraverso , il Mediterraneo orientale, ma in questo la Merkel ha compiuto clamorosi errori, affidandosi alla folle politica di destabilizzazione di Sarkozy prime e di Macron dopo che hanno fatto prima crollare la produzione libica e che poi, con l’appoggio francese ad Haftar, ne hanno reso complessa la ripresa. Certo, la Merkel dal 2011, al 2017 potevaappoggiare completamente, anche economicamente, l’Italia, Cipro e la Grecia, ma che ci volete fare, sono tedeschi, e non capiscono che senza l’Italia ed i paesi del Mediterraneo orientale a fare da paceri o da poliziotti la Libia è perduta. Non a caso proprio oggi abbiamo scritto che Haftar, il protetto di Macron, è casualmente tagliato fuori dalla mezzaluna del petrolio della Libia.

Comunque queste politiche porteranno ad uno scontro diretto Berlino con Washington. Ci sono tutte le premesse, non resta che aspettare quello che accadrà.
 

mototopo

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attualita' agosto 29, 2018 posted by Fabio Lugano
Il problema è il debito, o una politica monetaria sbagliata? Lo capirete molto presto (ma continuate seguire sempre i guru in TV.. stile Cottarelli)
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Quando sentite parlare in TV gli Economisti “Mainstream”, che passano il proprio tempo a truccarsi per dire banalità e che spesso non hanno neanche la laurea in economia, o la laurea in generale, sentirete una litania de “Il debito è alto”, “Come faremo a piazzare i nostri titoli ” etc etc. Perchè in tutto il mondo c’è solo un problema: il debito italiano, tutto il resto, debito privato in primis, è irrilevante.

Pare che non sia così.. o meglio che sia sono una fetta della verità. Torniamo al problema dei paesi in via di sviluppo. La Turchia è nella cronache ma tutti stanno pagando la stretta monetaria partita dalla FED e proseguita con la BCE, e la pagano molto male perchè una caratteristica di questi paesi è di avere dei debiti spesso limitati (tra 50 ed 80 per cento del PIL), ma in valuta estera , quindi, quando i paesi in cui è espressa la loro valuta iniziano a fare un po’ di restrizione monetaria, vedono saltare bilanci e valute perchè non possono trovare la valuta necessaria sui mercati internazionali, a prezzi decenti. Argentina Docet. Ed infatti….

Colombia peso

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Real Brasiliano

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Peso messicano

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Rand Sudafricano

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Paesi diversi, sistemi economici diversi, situazioni politiche diverse, eppure tutti nell’ultimo mese a picco. Il mondo non è ancora abbastanza “Dedollarizzato” per non far sentire la scarsità.

Torniamo all’Europa. Ricordate che il problema è il Debito pubblico… ma solo perchè i paesi europei NON HANNO UNA BANCA CENTRALE come c’è in USA, UK Giappone, Corea del Sud, Tailandia, Singapore etc etc. Però il problema è quello del debito privato, o meglio del CREDITO PRIVATO: se questi paesi in via di sviluppo non trovano dollari o euro, come faranno a pagare i propri creditori? Io accetterei dei Pesos Colombiani, se accompagnati da una buona Aqua Ardiente, ma dubito che questo vada bene per tutti i creditori.

Quali banche in Europa sono esposte verso i paesi in via di sviluppo?

esposizione-EM.jpg


La Spagna è esposta verso: Argentina, Turchia , Brasile, Colombia , Messico, Cile, Sud Africa ed Indonesia per il 160% del Patrimonio netto bancario….. Solo questi paesi potrebbero far saltare il sistema bancario spagnolo, e questo è curioso ed ironico, perchè la stretta monetaria è voluta non solo dalla FED , ma anche dalla BCE, per cui la BCE può far saltare, anche se in modo indiretto, un paese che è parte del board. Non trovate ironico questa sorta di enorme karma bancario? Certo, non avere una banca centrale è un problema un po’ per tutti.

Altro mito è che l’Italia, in questo momento, stia crescendo meno di tutti in Europa. Quasi giusto , ma non giusto, c’è chi cresce meno.

PIB.....jpg


La Francia europeista, efficiente, buona, “Competente” per natura, antipopulista, cresce ancora meno della cattiva Italia populista, anche se i populisti sono appena arrivati e non hanno ancora fatto nulla di veramente populista. La Francia ha un debito al 97% del PIL alto, ma più basso del nostro. Non ha avuto problemi di spread, eppure cresce meno di noi, ma il problema è lo spread, il problema è il debito pubblico… oppure il problema è non fare una politica fiscale in assenza di una politica monetaria…

Chissà …
 

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Maurizio Blondet 29 agosto 2018 136 commenti


Ancora alcuni copia incolla per recuperare una notizia di importanza essenziale.

La segnalano persone di cui abbiamo imparato a fidarci:

@GuidoCrosetto

Considero la mormorata fusione di #SocGen ed #UniCredit un atto ostile nei confronti dell’Italia, al pari della guerra alla Libia. Voglio dirlo prima anche questa volta. È il risultato di una strategia nata con la scelta del CEO Mustier, francese, “dimesso” da Soc Gen per insider

09:12 – 27 ago 2018 · Ostuni, Apulia

Andrea Mazzalai@icebergfinanza


Noi consigliamo all’attuale Governo di bloccare in qualunque modo possibile l’ipotesi di fusione con la banca francese, non è interesse nazionale una simile operazione e Unicredit è banca di interesse nazionale, secondo il nostro modesto parere…





Federico Dezzani
Se andasse in porto la fusione tra Socgen e Uncredit, l’Italia sarebbe stata ridotta ufficialmente a satellite della Francia in 16 anni di euro. Ma si sa, i cattivi sono i tedeschi…

21:55 – 25 ago 2018


Poteri aggiungere: Bagnai, Giacché, persino Renato Brunetta (che non si capisce perché faccia opposizione al governo):
Ecco come la Francia vuole far pappare Unicredit da Société Générale. Il paper di Brunetta
https://www.startmag.it/economia/francia-unicredit-brunetta/

  • In cosa consista il pericolo per l’Italia, lo spiega bene Paolo Annoni sul Sussidiario, a cui rimando:

http://www.ilsussidiario.net/mobile/Economia-e-Finanza/2018/8/26/UNICREDIT-SOCGEN-L-affondo-francese-prima-del-blocco-di-Lega-e-M5s/836058/AMP/

Riporto lo scheletrico essenziale, politico:

Comprando o mettendo le mani su una banca di queste dimensioni, ovviamente comanderebbe la Francia, si acquisirebbe una leva di controllo/indirizzo sul Governo italiano notevole. Pensiamo solo al ruolo delle banche italiane nella stabilizzazione dello spread. Si potrebbe pensare che in questo modo, in un certo senso raddoppiando l’esposizione, si arrivi a una situazione tale di sovranità sostanziale sull’Italia da poterne determinare le politiche sia in un vero e proprio senso coloniale, sia come assicurazione sui suoi fremiti “populisti”. […]
“L’Italia ha ancora una ricchezza che ha pochissimi eguali, ma davvero pochi, tra i Paesi del primo mondo e cioè il risparmio. Gli italiani hanno, per esempio, uno dei tassi di proprietà della prima casa più alti in Europa occidentale. Solo uno dei moltissimi indicatori che testimoniano la ricchezza finanziaria, i risparmi, delle famiglie italiane”.
Mazzalai: “I risparmi degli italiani: quello il primo obiettivo di ogni banca estera che si rispetti, risparmi e investimenti”. Già adesso, i francesi possiedono tante banche italiane, che “i nostri depositi sono il collateral posti a garanzia dei “loro” crediti”. Infatti l’amministratore delegato di Unicredit è già un francese, Jean Pierre Mustier, ex parà della Legione (quindi anche probabilmente “servizi”), che è stato vent’anni alla Société Génerale – dove era responsabile di un “trader”, Jerome Kerviel, che con le sue speculazioni sui derivati ha causato alla sua banca danni per quasi 5 miliardi di euro. Mustier è stato piazzato qui per vendere Unicredit (la sola nostra banca sistemica) a SocGen, e non ne è un mistero. Adesso sta trattando, guarda guarda, con un altro francese, Daniel Bouton, già “haut fonctionnaire” alle finanze, poi presidente di SocGen ai tempi dello scandalo Kerviel, dichiarato fallito, ma ora riapparso come “consigliere” (advisor) dei Rotschild per questo affare.
In generale:
La Francia ha potuto fare shopping in Italia per oltre 52 miliardi. L‘Italia in Francia, non più di 7.

http://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/01/26/lo-shopping-francese-italia-vale-52-miliardi-10-anni/

La Francia ostacola palesemente e occultamente gli acquisti italiani dei suoi tesori, come ha dimostrato un anno fa il veto all’acquisto, da parte di Fincantieri, dei cantieri STX con la motivazione della “sicurezza anzionale”- I nostri governanti non hanno mai opposto, invece, la minima resistenza. Annoni:
“La Francia negli ultimi due decenni ha comprato talmente tante società da diventare il Paese europeo che avrebbe più da perdere in caso di crollo economico-finanziario italiano. La dimensione delle acquisizioni e dell’intervento francese in Italia è stato così grande in termini dimensionali e così sbilanciato da determinare una situazione che avrebbe eguali sono nei casi di ex-colonie. L’Italia ha scelto di farsi comprare convinta che legandosi alla Francia avrebbe maggiore riparo in sede europea; oggi la Francia non può augurarsi un fallimento dell’Italia: telecomunicazioni, media, banche, assicurazioni, energia, industria, lusso, alimentare… non c’è un settore in cui non faccia capolino una società francese con ruoli di rilievo. Comprare o fondersi con la principale banca italiana non può essere un caso, soprattutto in una fase così delicata per l’economia italiana. Bisogna quindi chiedersi perché incrementare l’esposizione in Italia e perché oggi”.

Ora si capiscono meglio tutte quelle Legion d’Onore sparse a piene mani sui petti dei nostri piddini e governanti ed esponenti del nostro Deep State, ovviamente “democratico”. Qui sotto per l’elenco:

QUINTE COLONNE?



Ora, il nuovo governo può e deve proibire questa fusione sulla base dell’interesse strategico nazionale.
Per giunta, Macron è politicamente alle corde. Un suo ministro, Nicolas Hulot dell’ecologia, s’è dimesso sbattendo la porta ha annunciato la sua dimissione in tv, senza consultare l’Eliseo);


i risultati economici del “macronismo” sono disastrosi.

https://www.agoravox.fr/actualites/economie/article/les-resultats-economiques-du-207165

“La Francia registra il calo della disoccupazione più basso d’Europa. Il miracolo produttivo non s’è verificato.
La produzione industriale del paese è aumentata dello 0% da settembre 2017, in confronto all’1,7 della Germania e al 5% della Svezia. La perdita di competitività continua, il debito è ormai il 100 % in rapporto al Pil, quest’anno il paese sforerà il limite di deficit del 3% (inutile ma necessario per farsi stimare da Berlino), la Francia è deficitaria per 50 miliardi delle partite correnti verso gli altri paesi dell’UE, anche verso l’Italia. Fra aumenti delle imposte e rincari (2,6 di aumento dle costo della vita, solo Romania e Bulgaria fano peggio) Macron è riuscito a ridrre il potere d’acquisto dei lavoratori in pensione del 10% in due anni, un record”.
Inoltre, “le riforme di Macron non sono strutturali, non modernizzano il paese”.
Un po’ di titoli a caso, di media economici o di blogger:
Budget 2019: pitoyable défaite
(Budget 2019, pietosa disfatta, BFM)

“Improvvisazione politicante che mira a inventare una ppolitica del potere d’acquisto e mancano di rigore intellettuale (Le Journal du Dimanche)

Nouvelle attaque de Macron contre les retraités
(nuovo attacco di Macron contro i pensionati)

Crise de l’immobilier, crise de sens, crise de la raison et de l’intelligence
(crisi dell’immobiliare, crisi di senso, crisi della ragione e dell’intelligenza)

“La classe politique n’a pas conscience du désastre dans lequel notre patrimoine est plongé»
“La classe politica non ha coscienza del disastro in cui il nostro patrimonio è affondato” (Figaro)

Secondo Michel Geoffroy, autore di La Super-classe mondiale contre les peuples ♦ (quindi sovranista), il clima prevalente oggi è una sorta di rassegnazione tragica . “La Destra è in coma profondo. A sinistra, i sindacati non riescono a mobilitare: gli si risponde, “a che serve?”. A che serve, perché Macron dispone di tutti i poteri. Gode del sostegno dei media, delle lobbies, della Davos-crazia. I suoi deputati senza esperienza votano a catena tutti i progetti di legge che presenta il governo, stakanovisti del voto. Persino gli alti funzionari [una istituzione-pilastro de la République] assistono senza reagire alla decostruzione sistematica dello Stato repubblicano e presto alla loro propra scomparsa, perché il governo promette di sostituirli con precari a contratto reclutati sul mercato”.



Ma allora tutto è passività e rassegnazione? No. “Questo silenzio apparente della Francia nasconde una collera fredda e una rottura abissale tra il paese reale e il paese legale, come fra occupanti ed occupati“. Geoffroy compara l’ggi al “1940, dopo il collasso di giugno dell’armata, quando la Francia sbalordita dalla vergogna e dalla disfatta, non sapeva più che fare, dava fiducia al mareciallo Pétain”….Come allora, però, Macron opera come un agente della Germania. “il suo Potere dà la caccia alla dissidenza, i suoi sbirri associativi la denunciano alla polizia, la trascinano nei tribunali, la censurano sui social – secondo le procedure repressive usate al di là del Reno, perché ancora come allora, Macron è a rimorchio della Germania”.

A questo punto?

“Come nel 1940, il Potere non si rende conto che la dissidenza progredisce nei cuori. Il caos migratorio sta risvegliando a poco a poco l’Europa. un grande movimento storico prende forma. Come nel ’40, il Potere si illude di mantenerne estranea la Francia”. Questa rassegnazione sembra a Geoffory un annuncio della rivolta.

Esagera? Ma lo stesso Macron sembra aver avvertito qualcosa, se ha diffuso questo stupefacente messaggino:

“coloro che credevano all’avvento di un popolo mondializzato si sono profondamente ingannati. Dovunque nel mondo l’identità dei popoli è tornata. Ed è in fondo una buona cosa”.







Cos’è? Un tentativo di riposizionamento? Suggerito dal suo mentore Attali, in piena rielaborazione della nuove strategia perché “non si deve lasciare la nazione ai nazionalisti”, come abbiamo raccontato il 25 luglio scorso?

LA CADUTA DI MACRON. DECISA DAI SUOI CREATORI?
 

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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
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BONINO CONFESSA: DURANTE IL GOVERNO RENZI ABBIAMO CONCORDATO CHE GLI SBARCHI SAREBBERO AVVENUTI TUTTI IN ITALIA

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Progetto Kalergi, Emma Bonino confessa
Gli sbarchi di navi negriere sono stati concordati e chiesti da loro. Emma Bonino, in un intervento trasmesso da Radio Radicale, confessa gli accordi sugli sbarchi di migranti in Italia. Sono stati loro a chiedere gli sbarchi...…
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Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· Ieri alle 09:19 ·
PERCHÉ SIAMO UN POPOLO DI IDIOTI?
Perché il 99% degli italiani non ha ancora capito perché esista un DEBITO PUBBLICO, nonostante ne senta parlare tutti i giorni. Ve lo spiego facile facile. Perché senza il potere di emettere moneta ( cd. "Sovranità monetaria") lo Stato italiano deve emettere Buoni del tesoro (Btp) e Bot gravati di interessi, ossia deve indebitarsi con chi comprera' questi titoli in cambio di moneta. Nelle mani di chi e' il debito pubblico? Solo il 4,3% e' ne...lle mani di famiglie italiane, il resto appartiene a banche private italiane e straniere, fondi pensione, e alla privata Bankitalia SpA. Nelle previsioni del dipartimento del Debito pubblico del ministero del Tesoro, per questo 2018 sarà necessario raccogliere 390 MILIARDI (no milioni, miliardi!) di euro: ciirca 184 miliardi di euro serviranno a rimborsare titoli di Stato Btp, 106 miliardi di euro Bot in circolazione, con scadenze sotto l’anno. I restanti 100 miliardi serve a coprire il fabbisogno di cassa dello Stato (circa 40 miliardi) e a rimborsare gli interessi sul debito (circa 60 miliardi).

ORA immaginate con 390 MILIARDI di euro che si poteva fare: nazionalizzare l'intera rete autostradale, porti, aeroporti, compagnie aeree e ferroviarie, ricostruire ponti crollati, generare milioni di posti di lavoro già solo per la messa in sicurezza di strade ed edifici, etc.! E invece? Prendiamo 390 Miliardi di euro di denaro pubblico e lo regaliamo alle banche. Dovreste indignarvi per questo motivo, però non lo fate perché non vi chiedete di chi sia il "debito pubblico", pensando di poter vivere comunque felici ed ignoranti. Amen
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:)

Tramite Salvatore Tamburro

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da luciano bara Caracciolo nr 1




























domenica 23 settembre 2018
LIBERISTA SFRENATO, A VOLTE PERSINO SELVAGGIO [/paste:font]



POST DI BAZAAR



«Liberista sfrenato, a volte persino selvaggio»

(La democrazia costituzionale ed i suoi nemici)

In un interessante articolo, Luciano Capone, giornalista de “Il Foglio”, ci porta nei meandri del pensiero elitista di matrice liberale, regalandoci minuti di autentica estasi intellettuale.

Chiaramente non perché si condivida alcunché dell’elaborazione del giornalista, ma, se si desidera usare una metafora, si può affermare che ci si addentra nell’analizzare l’articolo con lo stesso entusiastico interesse con cui un oncologo esamina una biopsia particolarmente rivelatrice di una forma di cancro; o con l’appassionata curiosità di uno psichiatra che valuta gli effetti particolarmente vistosi di un paziente affetto da grave psicosi.

L’articolo si apre indicativamente così, non con una fenomenologia di fatti, ma con una serie di (pre)giudizi sulle orme della tradizione “elitistico-liberale”:

« Stiamo vivendo in un’epoca storica particolare. Le persone si trovano di fronte a problemi epocali – come la stagnazione economica o l’immigrazione – sono molto arrabbiate perché non vedono una via d’uscita all’orizzonte e in questa situazione vengono preferite le spiegazioni semplicistiche e le soluzioni facili a quelle più articolate. »

1 – Teorema della memoria corta (detto anche l’Alzheimer del liberista, oppure morbo di Al)

Secondo Luciano Capone – senza alcun riferimento al capitalista liberale statunitense, «sfrenato, e a volte persino selvaggio» – quest’epoca storica sarebbe «particolare»; ovvero i fatti sociali che la caratterizzano non sarebbero già conosciuti e studiati da un’abbondante letteratura (Bagnai 2011).

Siamo alla terza (alla terza!) globalizzazione, e gli effetti del «capitalismo sfrenato» – come diceva l’amico di Al, Karl Popper – del liberoscambismo «selvaggio», della deregulation finanziaria, sono dibattuti e discussi almeno dai tempi di Adam Smith.

Che l’unione monetaria avrebbe comportato una «stagnazione economica», ovvero che l’euro avrebbe impresso «un bias deflazionista all’economia mondiale» (R.N. Cooper, 1978), non lo sapevano solo gli economisti in ambito accademico, ma anche coloro che politicamente premevano per l’integrazione europea (Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, 1978).

Se abbiamo la documentata certezza che l’unione monetaria fu una consapevole scelta politica che avrebbe danneggiato il capitalismo industriale (quello soprattutto rappresentato delle PMI non in grado di delocalizzare) e la classe lavoratrice (tramite la compressione dei salari, l’instabilità occupazionale e l’alto tasso di disoccupazione e sottoccupazione), è anche documentato che la scelta del «liberismo sfrenato» accompagnata all’adesione alla «economia sociale di mercato» dei trattati europei, avrebbe usato l’immigrazione per riformare la sociostruttura in senso classista:

«Con l’annunciata costituzione dell’Unione europea, che già oggi vede al suo vertice i grandi paesi d’immigrazione del continente, noi possiamo facilmente prevedere la tentazione della classe dirigente a seguire il modello americano nella costruzione di una società a piramide, a strati etnico-sociali sovrapposti, incomunicabili fra loro, che avrebbero alla loro base gli immigrati dei paesi più lontani, e poi quelli dei paesi “associati” e poi ancora quelli “comunitari”, e in seguito i lavoratori locali e su di loro, man mano, gli altri strati superiori. La classe operaia resterebbe così divisa in tanti tronconi che si distinguerebbero per le loro origini etniche e non per i loro comuni interessi di classe, proprio così come oggi in America.» Paolo Cinanni, “Che cosa è l’immigrazione" (raccolta di scritti pubblicati tra il 1969 ed il 1973).

Un’analisi già compiuta più volte in questi spazi.

Cosa significa? Che gli studiosi delle scienze sociali hanno poteri divinatori?

No: significa che a scelte politiche corrispondono oggettive conseguenze sulla sociostruttura e sui rapporti di forza che questa permette tra capitale, lavoro ed i ceti creati dai relativi rapporti di produzione.

Deduciamo quindi che, secondo l'articolo in commento, «le spiegazioni semplicistiche e le soluzioni facili» sono da decenni quelle che – date determinate decisioni politiche – i massimi esperti di scienze sociali avevano usato per predire le dinamiche sociologiche in atto. Ovvero le dinamiche che, nei fatti, si sono effettivamente realizzate convalidando le determinanti ideologiche e di interesse materiale che erano ab origine ipotizzate nelle analisi e nella costruzione degli scenari previsionali.

Ma il liberista ha notoriamente la memoria corta: deve sedare il disagio cognitivo e il senso di inadeguatezza intellettuale causati dal veder costantemente i capisaldi della propria fede nel mercato invalidati dalla realtà: la realtà, ovvero ciò contro cui si va a sbattere.

Il liberista brama la fine della Storia perché il diritto all’oblio logora chi non ce l’ha.

Soprattutto quando la coscienza è quella che è. (Sicuramente non è il caso del nostro simpatico giornalista)


2 – Assioma dell’elitista: qualsiasi fenomeno avverso per le classi subalterne è un complotto di Madre natura. (Potere è potere di non prendersi responsabilità).

Lo smemoratino autore propone quindi un cavallo di battaglia della guerra fredda, un lavoro che un importante autore non proprio di simpatie socialiste come Voegelin definì: «una vergognosa e dilettantesca schifezza»: ovvero “La società aperta e i suoi nemici” di Karl Popper.

Opera in cui Popper ha l’audacia di affermare che i complotti non esistono salvo quelli tramati dai «nemici» della società aperta, ossia dai “nemici” dei liberali: ovvero, se esiste un complotto, è quello cospirato dai socialisti ai danni della grande borghesia liberal e dei rentier. (Che qualcuno chiamò giudaico-bolscevico, ma transeat).

Questa cospirazione ordita contro la “Società aperta” è avallata dal nostro, il quale, infatti, per senso dello Stato… ehm, no, è liberale… per senso civico... meglio… sentenza che «dove si diffonde una mentalità del genere poi i gruppi sociali tendono a organizzare contro-complotti».

Avete letto bene: se i subalterni non allineati al pensiero unico sono “complottisti”, scopriamo che gli elitisti sono «contro-complottisti» e hanno pure elaborato una “teoria contro-cospirazionista della società”.

Apperò.

Ciò che in realtà negava Popper, era di fatto l’esistenza del conflitto di classe – (Bazaar 2016) – supportando in modo un po’ «dilettantesco» – citando Voegelin – il paradigma epistemologico naturalista sostenendo che la prospettiva del conflitto generi la credenza patogena nei ceti subalterni che questi siano effettivamente subalterni e che, quindi, si possa organizzare la società con una maggior giustizia distributiva, una maggior giustizia sociale (che invece – secondo i liberali – non esiste, la distribuzione del reddito è naturale, e l’unica giustizia deve consistere in quella commutativa, con relativi procedimenti arbitrali). Questa nuova consapevolezza (falsa, stando con il nostro), chiamata coscienza nazionale e di classe, porterebbe «i gruppi sociali» – aka la classe lavoratrice oppressa – ad ordire «contro-complotti», ossia a sindacalizzarsi e ad organizzarsi politicamente per rivendicare politiche socioeconomiche favorevoli ai propri interessi materiali.

Al giovane autore ricordiamo che il padre dell’epistemologia delle scienze sociali moderne rimane effettivamente Karl, ma non Karl Popper – anche se vanta Soros tra i suoi discepoli – ma Karl Marx, che di discepoli non ne ha più da decenni.

Qualcuno, però, la sociologia conflittualista prodotta da ciò che in economia si chiama conflitto distributivo, non se l’è dimenticata.

Lo sguardo di un democratico vero, ossia sociale, ha lo sguardo carico di prospettiva del conflitto. Prospettiva sociologica abbracciata dalla stragrande maggioranza dei nostri padri costituenti.

È difficile quindi leggere le ardite tesi del nostro senza provare gli stessi sentimenti che investivano Voegelin a sentir il vecchio liberale vaneggiare di «teoria cospirativa della società»:

«“Questa concezione dei fini delle scienze sociali deriva dall’erronea teoria che, qualunque cosa avvenga nella società – specialmente avvenimenti come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie, che la gente di solito detesta – è il risultato di diretti interventi di alcuni individui e gruppi potenti”, scriveva il filosofo liberale. Egli però non intendeva dire che nella storia non ci siano mai complotti.
Anzi, Popper sosteneva che spesso avvengono “tutte le volte che pervengono al potere persone che credono nella teoria della cospirazione” che “sono facili quant’altre mai ad adottare la teoria della cospirazione e a impegnarsi in una contro-cospirazione contro inesistenti cospiratori”. In un altro passaggio di “Congetture e confutazioni”, spesso citato da
Umberto Eco, Popper era ancora più esplicito: “Quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere, essa assume il carattere di una teoria descrivente eventi reali. Per esempio, quando Hitler conquistò il potere, credendo nel mito della cospirazione dei Savi Anziani di Sion, egli cercò di non essere da meno con la propria contro-cospirazione”. La Soluzione finale

Ohibò.

Secondo i liberali che vanno dal moderato Popper, a quelli sfrenati, a volte persino selvaggi, la «disoccupazione e la povertà» sarebbero fatti naturali e non derivanti dal conflitto distributivo e da chi si organizza per “vincerlo” e trarre maggior profitto.



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Adam Smith sosteneva che:

«Quali siano comunemente i salari dei lavoratori, dipende ovunque dal contratto che abitualmente viene perfezionato tra le due parti, i cui interessi non sono affatto i medesimi. I lavoratori desiderano guadagnare il più possibile, i padroni pagare il meno possibile. I primi sono disposti ad unirsi al fine di aumentare, questi ultimi al fine di diminuire i salari dei lavoratori. […] Non è, tuttavia, difficile prevedere quale delle due parti ottiene, generalmente in tutte le occasioni, il sopravvento nella controversia, e costringe l'altra in conformità dei suoi desiderata. I padroni, essendo meno numerosi, possono unirsi molto più facilmente; e la legge, inoltre, autorizza, o almeno non vieta loro, di associarsi, mentre lo vieta ai lavoratori».

Era il 1776.

Dobbiamo ritenere Adam Smith il padre del complottismo moderno? Un potenziale pensatore in grado di generare tragedie al pari della «Soluzione finale»?

Sicuramente l’abuso del pensiero smithiano ha generato tragedie: quelle causate dal liberismo acritico – a volte, selvaggio! – dei suoi nipotini.


3 – Il complotto di chi crede nella democrazia e nella Costituzione del ‘48: fenomenologia dell’anticospirazionismo liberale

Al nostro «pare essere sfuggito di mente» un periodo di almeno due secoli di letteratura scientifica, ma in compenso si ricorda selettivamente che «l’unico reale piano complottista», che consiste in «un piano para-golpista per condurre l’Italia fuori dall’Eurozona» – «tramite l’istituzione di un “Comitato” extracostituzionale», è quello organizzato dai “sovranisti” che prestano la propria professionalità ai partiti di governo di questa legislatura.

Se l’unico “complotto” è quello dei “complottisti” che lavorano per la democrazia e la giustizia sociale su cui questa si fonda, è evidente che, affermare pubblicamente di voler assicurarsi che la Repubblica sia condotta nell’alveo della legalità costituzionale, si trasforma in una cospirazione «para-golpista» per sovvertire la Costituzione in se stessa. Magia.

Il rischio di questo pericoloso sovvertimento potrebbe essere una «Soluzione finale». Il nostro dixit.

«I cospirazionisti, insegna Popper, non sono soltanto pericolosi perché credono ai complotti finti. Ma soprattutto perché, quando arrivano al potere, attuano quelli veri.» Chiosa, raggiungendo il culmine della tipica raffinatezza liberal dell’analisi sociologica.

Possiamo sviluppare così l’assioma: «Un cospirazionista che accede al potere si trasforma in un cospiratore».

(“Cospiratore” contro se stesso, dato che siamo in un regime democratico… almeno che non si ritenga sovversivo far rispettare la Costituzione formale al posto di quella materiale… magari anche a discapito di interessi esteri...)

Possiamo assumere che il nostro, in realtà, da bravo elitista liberale, ci stia parlando per proiezione, ovvero ci stia dicendo che – usando le parole del più rappresentativo tra coloro che si occuparono di sottrarre Banca d’Italia al controllo democratico, Andreatta – il processo di integrazione europea sia stato una «congiura aperta» o – stando con Guido Carli – un «atto sedizioso» configurabile come «un piano para-golpista per condurre l’Italia [dentro l’] Eurozona».

L’esegesi dell’articolo ci dà altri spunti di riflessione: «l’unico reale piano complottista» è quindi quello realizzato «tramite l’istituzione di un “Comitato” extracostituzionale», tipo Commissione Europea che, secondo voci maligne, sarebbe un noto comitato d’affari: il paradiso dei lobbisti «al riparo del processo elettorale», ricordando Monti.

Insomma, il nostro ci dà da intendere che i trattati europei operino extra e contra constitutionem.

Capiamo quindi che le scienze sociali supportano il progresso democratico quando riconoscono la volontà politica delle élite di imporre «disoccupazione e povertà», «la stagnazione economica o l’immigrazione». Tutt’altro che «analisi semplicistiche» che portano a «soluzioni facili».

Anzi, a seguire questa chiave ermeneutica, ipotizzare di lasciare il potere ai liberali, che non possono soffrire il controllo democratico della sovranità popolare, viene da pensare che l’unica soluzione riservata all’Europa dagli “anti-cospirazionisti” sia proprio la soluzione paventata dal nostro: quella «finale».

Pubblicato da Quarantotto a 10:09
 

mototopo

Forumer storico
luciano b. caracciolo






























martedì 7 agosto 2018
I CAVALLI MORTI DEL MONETARISMO E IL FIL ROUGE DI DE GRAUWE [/paste:font]


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Post di Arturo

Come forse saprete, è uscito da qualche tempo l’ultimo libro di una nostra vecchia conoscenza: il buon De Grauwe. In questo, e un successivo, post tenterò di fornirvene una sorta di recensione a misura di blog.

(Solo un’avvertenza: ho letto l’edizione inglese, per cui le traduzioni sono mie. Non ho voluto alterare la percezione dell’originale aggiungendo grassetti o sottolineature; mio ovviamente l’impiego dell’evidenziatore)
Partiamo subito dalla questione euro, a cui poi agganceremo gli altri temi del libro.

1. Il giudizio è chiaro (pag. 127):
Ci sono solo due opzioni per risolvere il problema di debolezza strutturale dei governi nazionali all’interno dell’eurozona: la prima è la creazione un governo europeo, legittimato da un parlamento europeo, a cui i governi trasferiscano significativi poteri in materia fiscale. Questa forma di unione politica, fornita del potere di spendere e riscuotere tasse, potrebbe emettere il proprio debito e costringere la banca centrale a fornirle supporto finanziario. La soluzione è rendere l’Europa uno stato federale.
La volontà di realizzare un’unione politica di questo tipo in Europa è estremamente debole. Molti paesi soffrono di una seria forma di “affaticamento da integrazione”.
Se non riusciamo a creare un’unione politica, c’è solo un’alternativa: un ritorno alle valute nazionali. Questa soluzione emergerà automaticamente perché molti paesi rifiuteranno un sistema in cui decisioni vitali sono prese da mercati anonimi e inaffidabili e funzionari irresponsabili.

Come vedete sono posizioni più drastiche, e più realistiche, dei semplici richiami “al buon senso” di qualche mese fa.
Se un rinnovato equilibrio fra Stato democratico e mercato, - che De Grauwe considera l’unica soluzione praticabile per affrontare organicamente i problemi strutturali del capitalismo rivelati dalla crisi del 2008 (lo vedremo meglio la prossima volta)-, nel caso dei paesi dell’eurozona dovrebbe tradursi in una federalizzazione, la quale, a sua volta, è riconosciuta come un’opzione priva di realismo (se mai se n’è vista una che non lo fosse), che senso ha tollerare di fatto, sotto il manto del richiamo a un fantomatico buon senso, la permanenza dello squilibrio, se non quello di rendersi complici degli interessi che vi lucrano?
Se considerate che l’edizione originale olandese del libro è del 2014 (!), trovo difficile negare che l’intervento dell’anno passato sollevi anche serie questioni di deontologia professionale. Se come minimo ci fosse qualcuno disposto a sollevarle, naturalmente.
Vediamo i termini dell’analisi, per noi peraltro abbastanza ovvi, ma che richiamerò nel (vano) auspicio che possano almeno costituire punti fermi del dibattito.

1.1 La crisi degli spread non dipende dal rapporto debito/PIL ma dall’assenza della garanzia di una banca centrale.
Il paragone Spagna – UK lascia margine a pochi dubbi:
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Quando confrontiamo Spagna e Gran Bretagna osserviamo quanto segue: entrambi i paesi hanno affrontato uno shock negativo che ha prodotto un brusco aumento del debito pubblico.
La differenza è che i mercati finanziari possono spingere lo Stato spagnolo in una crisi di liquidità e di insolvenza, mentre gli stessi mercati non posso fare altrettanto con quello inglese, che è fornito di un’arma potente, ossia la sua banca centrale che può creare denaro a volontà. I mercati finanziari possono spingere la Spagna o qualsiasi altro membro dell’eurozona alla bancarotta, ma non possono farlo con paesi come la Gran Bretagna che emettono debito nella loro valuta.
Il diverso trattamento di Spagna e Gran Bretagna praticato dai mercati finanziari durante una crisi del debito è illustrato anche dalla figura 11.2. Vediamo che durante la crisi la Spagna ha dovuto pagare interessi molto alti sui suoi titoli perché gli investitori erano stati colti dal panico e li vendevano in massa. Questo non accadeva alla GB, benché la situazione del bilancio pubblico non fosse migliore di quella spagnola. Gli investitori sapevano che i loro titoli inglesi erano sicuri, quindi non li vendevano e il tasso di interesse sui titoli del debito pubblico iniziò addirittura a scendere.
” (pagg. 120-1)

1.2 Ovviamente la crisi degli spread non è stata risolta dall’austerità dei vari Monti europei, ma dal whatever it takes:
Non c’è alcun dubbio su questo punto: nel 2012 la BCE ha salvato l’eurozona dal collasso svolgendo il ruolo di una moderna banca centrale e sostenendo i governi nazionali mentre i mercati finanziari erano in preda a paura e panico.” (pag. 125).

Insomma, come diceva Kaldor, la BoE onora sempre “gli assegni emessi dal governo di Sua Maestà”, laddove gli Stati dell’eurozona hanno preso la “drastica decisione” di creare una banca centrale sollevata da quest’obbligo, ma che interviene motu proprio strapazzando la lettera dei Trattati, finché, su richiesta tedesca, non scende in campo la Corte di Giustizia a mettere i suoi austeri paletti.

Ovviamente una volta confermato che il tasso di interesse, ossia l’onere del debito, lo decide la banca centrale e non “imercati”, si porrebbero drammatiche questioni teoriche e costituzionali circa l’indipendenza di istituzioni che intervengono in modo così pesante nel conflitto distributivo (qui, soprattutto n. 5), nel caso leuropeo nell’ambito di un gioco di potere ancora più complicato, oligarchico e opaco che nel resto del mondo sviluppato (e non). Su questo però De Grauwe risulta non pervenuto. Fingiamo di sorprenderci.

Residuano due questioni.

2. Dirà l’amico liberista: d’accordo, lo spread dipende anche dall’assenza della mamma-banca centrale, ma, se avessimo fatto i bravi bambini, imercati, severi ma giusti, non ci avrebbero punito.

Sentiamo De Grauwe (pagg. 124-5):
Abbiamo visto che la debolezza strutturale degli Stati nazionali all’interno dell’eurozona dipende, fra l’altro, dall’assenza del sostegno di una banca centrale in tempo di crisi. Ciò significa che questi governi devono accettare i diktat dei mercati finanziari, cosa che non sarebbe così negativa se questi avessero sempre ragione. L’esperienza tuttavia mostra che essi sono spesso guidati da processi collettivi che alternano ottimismo ed euforia a panico e pessimismo. Non è questa una buona guida per le politiche macroeconomiche.
E’ quindi essenziale che la BCE assuma i compiti svolti dalle banche centrali in USA e Gran Bretagna. La BCE dovrebbe essere pronta a comprare titoli di stato nei momenti di crisi, quando il mercato è in preda al panico, come nel 2010-11.


Dell’intrinseca instabilità dei mercati finanziari De Grauwe parla anche aliunde nel libro: pure su questa scoperta dell’acqua tiepida tornerò.
La bella conseguenza del vincolo esercitato dagli infallibili mercati finanziari è stata la rimozione degli stabilizzatori automatici e la necessità di rispondere alla crisi con altra crisi, cioè con l’austerità, che proprio per questo va difesa finché possibile e sennò possiamo poi sempre dire che in realtà non c’è mai stata, come han fatto Perotti ed altri.
Anche su questo De Grauwe è molto chiaro (e vorrei vedere):
Qualcuno dirà che gli spietati programmi di austerità erano necessari per “risanare” le finanze pubbliche di quei paesi.
Così non è andata, come possiamo vedere nella figura 11.4. Più sono state profonde le misura di austerità, più è aumentato il rapporto debito/PIL. A un aumento dei tagli s’è accompagnato un aumento del rapporto. Questo è l’effetto indiretto che abbiamo notato prima: tagli di spesa producono una profonda caduta del PIL (il denominatore del rapporto debito/PIL).
Quindi il risultato delle misure di austerità (imposte dai mercati finanziari) sono stati non solo una profonda recessione e un drammatico aumento della disoccupazione ma anche un significativo aumento nel rapporto debito/PIL.
La miseria che questi paesi hanno imposto a se stessi non è servita a niente: la posizione debitoria dei loro governi è peggiore che mai. Basterebbe assai meno per screditare il sistema di mercato.

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(Come avrete intuito il timore di un’impopolarità politica del capitalismo è il fil rouge che percorre tutto il libro).

3. Ultimo cavallo (morto) degli amici liberisti: l’acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale potrà sì forse calmare i mercati finanziari, ma la pagheranno i cittadini con l’inflazione!

Che l’inflazione non sia esattamente “la più iniqua delle tasse” ce lo ha spiegato Alberto anni fa; in questo caso però la questione è a monte: pur con tutti gli interventi della BCE, l’inflazione dove starebbe?
Riprendendo dati e conclusioni di un lavoro precedente, De Grauwe attira l’attenzione sulla divaricazione fra base monetaria e offerta di moneta:
Potete trovare qui la definizione di base monetaria, o M0, e qui quella dell’aggregato M3.
In estrema semplicità il punto fondamentale sta nella differenza fra M1 ed M0, costituita dalle riserve bancarie. Ossia la banca centrale può creare liquidità, ma “il problema è che se si è reduci da una crisi finanziaria, imprese e famiglie saranno restie a indebitarsi per spendere (anzi, si dibattono su come rientrare dai debiti): puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere, come recita una vecchia metafora. Servirebbe la politica fiscale, ma questo è un anatema nel quadro monetarista.” (S. Cesaratto, Sei lezioni di economia, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, pag. 101). E la liquidità così creata resta nelle riserve bancarie.

Insomma: “Non c’è mai stato un rischio inflazione, semplicemente perché l’offerta di moneta in mano al pubblico (famiglie e imprese) non è aumentata”. (De Grauwe, pag. 129).

In conclusione: quale sia la morale della storia, lo sappiamo da anni.
Ovviamente non possiamo aspettarci che De Grauwe tiri le stesse conclusioni, ma, almeno, che nessun elemento della sua analisi contraddica la diagnosticata incompatibilità fra moneta unica e democrazia costituzionale lo possiamo dire tranquillamente.

Rispetto ad altre considerazioni, di cui vi darò conto, si sarebbe anche potuto, (molto) in teoria, chiedere di più; tocca accontentarsi.

Pubblicato da Quarantotto a 08:24
 

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