Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo (3 lettori)

mototopo

Forumer storico
scenari economici
attualita' agosto 7, 2018 posted by Fabio Lugano
Target 2 e Default, una gran confusione creata ad arte




target2_700.jpg




Cari amici,

abbiamo trattato il tema del T2 innumerevoli volte su Scenarieconomici. Purtroppo appare una materia che, di per se banale, viene strumentalizzata ad arte per fini direi piuttosto chiari: mostrare che i paesi “Mediterranei” sarebbero finanziati da misteriosi fondi messi a disposizione da parte delle banche centrali dei paesi più forti (leggasi Germania), che questo debito non debba crescere, che non sarà mai ripagato etc etc.

Ora nonostante Costancio (VP della BCE, non un tizio a caso) sia intervenuto sulla materia spiegando che non è un prestito non serve, anche perchè Draghi non è mai apparso sufficientemente forte, o deciso, anche questo per motivi non chiari, da intervenire e spiegare effettivamente la sua natura. A questo punto , perfino su Zerohedge, il T2 viene indicato come una delle cause della futura esplosione dell’Eurozona, anche dietro spinta del solito indefaticabile Sinn, e questo è dare alla BCE ed ai suoi meccanismo delle colpe che non ha. Il T2 è colpevole di una crisi dell’Eurozona come il contachilometri lo è degli incidenti per eccesso di velocità.

Come funziona il T2? Spieghiamolo per l’ennesima volta. il T2 è un sistema di pagamento il cui attuale funzionamento è legato alla struttura della BCE. Mentre normalmente una banca centrale , come la Bank Of England, non ha bisogno di strutture collaterali perchè la sua attività avviene in cooperazione, o in corrispondenza, con un ente politico unico (Nel caso della BoE il Cancelliere dello Scacchiere), la contrario la BCE si trova in una situazione particolare: non ha un organo politico di riferimento, che dia indicazioni di politica economica/monetaria per questo motivo, anzichè organizzare tutto in modo centralizzato, con una camera di compensazione comune per tutti gli istituti di credito , ha organizzato T2 che vede come ente dai saldi intermedi le Banche Centrali Nazionali, che sono ancora, comunque i contraltari dei poteri nazionali-

Vediamo un esempio: Pedro paga a Fritz 100 euro dalla sua banca spagnola a quella tedesca di Fritz. I passaggi saranno :

Conto di Fritz >> conto della B spagnola sul Banco de Espana >> Saldo negativo T2 Spagna , Saldo positivo BundesBank >> saldo della Banca Tedesca presso la BuBa, >> Contor di Fritz.

Qualsiasi sia la natura dell’operazione (prestito a Fritz, Pagamento di un bene etc) NON c’è Nessun debito al termine dell’operazione fra Pedro e Fritz.

Ed il T2?

Per capire la vera natura del T2 dobbiamo considerare il bilancio base di una banca centrale in assenza di Target 2. L’esempio tratto da un paper di Karl Whelan dell’Università di Dublino:

BC-semplice..png


Quando si parla di “Creazione di massa monetaria” non è che la BC distribuisce i soldi “A Caso”, lo fa in due modi:

  • prestando soldi alle banche commerciali;
  • comprando titoli sul mercato.
Questo costituisce l’attivo. AL passivo vi è la massa monetaria ed i mezzi proprio della BC. In una situazione meno semplice all’attivo vi sarebbero le riserve in valuta straniera (o i titoli in valuta straniera) , ma stiamo sul semplice.

Se introduciamo il T2 il bilancio di un Banca Centrale viene a cambiare. Vediamo quello di una Banca Centrale con T2 Negativo, come la Banca d’Italia, o di Spagna:

BC-neg.png


Questo è invece il bilancio con un saldo invece positivo:

BC-pos.png


Nel naso di saldo NEGATIVO il saldo T2 va a ridurre la Base Monetaria della Banca Centrale, a fronte di un uguale acquisto di titoli dalle Banche Commerciali e di prestiti. Al contrario il saldo POSITIVO segnala un aumento della Base Monetaria creata dalle banche centrali relative.

Quindi mentre un saldo T2 negativo RIDUCE la Base Monetaria, un tasso T2 attivo LA INCREMENTA. Non è un debito, ma una diversa distribuzione della base monetaria fra i diversi paesi, che avvantaggia quelli con saldo attivo rispetto a quelli con saldo negativo. Se il saldo T2 ci indica qualcosa è il fatto che certi paesi stanno subendo una forzosa riduzione della base monetaria, cosa che, personalmente , faccio notare dal 2012. Chiaro che una diversa distribuzione della bse monetaria conduce poi ad una diversa performace del sistema economico, ma il saldo T2 è il “Contachilometri” che ci indica la causa del problema, non il problema stesso.

Il saldo T2 è un debito dell’Italia ? No, e per due motivi:

  • è un saldo della Banca Centrale, non dello Stato, non del Governo, non dei privati. Anzi è l’indicatore dele fatto che i debiti sono pagati, o anche di crediti vantati dal sistema nazionale;
  • l’Italia ha una bilancia delle partite correnti (saldi commerciali + investimenti + utili) ATTIVA nel 2017, ed anche non di poco (52 miliardi). Come posiamo avere un problema di debito sistemico in questa situazione?
    partite-correnti.png
  • la Grecia dimostra che il default del debito non è legato a quello dei saldi T2, della Banca Centrale, ma che se mai pensare di salvare l’economia infischiandosene delle variabili monetaria è come votare il mare con un secchiello bucato.
Spero di aver chiarito, almeno ai nostri lettori, quanto questa discussione sul T2 sia perfettamente pretestuosa, creata ad arte pr influenzare la pubblica opinione. Se uno maneggia l’economia un minimo evita di parlare di Default del T2. Se domani si azzerasse il T2 tedesco si assisterebbe una una bella stretta monetaria per la Germania che o verrebbe sostituita da una politica monetaria espansiva della BuBa, o porterebbe ad un’esplosione dei tassi di interesse tedeschi, con grande gioia del loro sistema produttivo e dei detentori di mutui a tasso variabile. La discussione sul T2 dovremmo invece aprirla noi, a favore di una politica monetaria più flessibile e che tenga conto della nostra situazione economica e di ciclo.
 
  • Mi piace
Reactions: Feo

mototopo

Forumer storico
by orizzonte 48



























martedì 7 agosto 2018
I CAVALLI MORTI DEL MONETARISMO E IL FIL ROUGE DI DE GRAUWE [/paste:font]


3a9800693d74371512ff85e9b6b5d2d7-2-400x224.jpg


Post di Arturo

Come forse saprete, è uscito da qualche tempo l’ultimo libro di una nostra vecchia conoscenza: il buon De Grauwe. In questo, e un successivo, post tenterò di fornirvene una sorta di recensione a misura di blog.

(Solo un’avvertenza: ho letto l’edizione inglese, per cui le traduzioni sono mie. Non ho voluto alterare la percezione dell’originale aggiungendo grassetti o sottolineature; mio ovviamente l’impiego dell’evidenziatore)
Partiamo subito dalla questione euro, a cui poi agganceremo gli altri temi del libro.

1. Il giudizio è chiaro (pag. 127):
Ci sono solo due opzioni per risolvere il problema di debolezza strutturale dei governi nazionali all’interno dell’eurozona: la prima è la creazione un governo europeo, legittimato da un parlamento europeo, a cui i governi trasferiscano significativi poteri in materia fiscale. Questa forma di unione politica, fornita del potere di spendere e riscuotere tasse, potrebbe emettere il proprio debito e costringere la banca centrale a fornirle supporto finanziario. La soluzione è rendere l’Europa uno stato federale.
La volontà di realizzare un’unione politica di questo tipo in Europa è estremamente debole. Molti paesi soffrono di una seria forma di “affaticamento da integrazione”.
Se non riusciamo a creare un’unione politica, c’è solo un’alternativa: un ritorno alle valute nazionali. Questa soluzione emergerà automaticamente perché molti paesi rifiuteranno un sistema in cui decisioni vitali sono prese da mercati anonimi e inaffidabili e funzionari irresponsabili.

Come vedete sono posizioni più drastiche, e più realistiche, dei semplici richiami “al buon senso” di qualche mese fa.
Se un rinnovato equilibrio fra Stato democratico e mercato, - che De Grauwe considera l’unica soluzione praticabile per affrontare organicamente i problemi strutturali del capitalismo rivelati dalla crisi del 2008 (lo vedremo meglio la prossima volta)-, nel caso dei paesi dell’eurozona dovrebbe tradursi in una federalizzazione, la quale, a sua volta, è riconosciuta come un’opzione priva di realismo (se mai se n’è vista una che non lo fosse), che senso ha tollerare di fatto, sotto il manto del richiamo a un fantomatico buon senso, la permanenza dello squilibrio, se non quello di rendersi complici degli interessi che vi lucrano?
Se considerate che l’edizione originale olandese del libro è del 2014 (!), trovo difficile negare che l’intervento dell’anno passato sollevi anche serie questioni di deontologia professionale. Se come minimo ci fosse qualcuno disposto a sollevarle, naturalmente.
Vediamo i termini dell’analisi, per noi peraltro abbastanza ovvi, ma che richiamerò nel (vano) auspicio che possano almeno costituire punti fermi del dibattito.

1.1 La crisi degli spread non dipende dal rapporto debito/PIL ma dall’assenza della garanzia di una banca centrale.
Il paragone Spagna – UK lascia margine a pochi dubbi:
upload_2018-8-14_12-42-43.png

upload_2018-8-14_12-42-44.png

Quando confrontiamo Spagna e Gran Bretagna osserviamo quanto segue: entrambi i paesi hanno affrontato uno shock negativo che ha prodotto un brusco aumento del debito pubblico.
La differenza è che i mercati finanziari possono spingere lo Stato spagnolo in una crisi di liquidità e di insolvenza, mentre gli stessi mercati non posso fare altrettanto con quello inglese, che è fornito di un’arma potente, ossia la sua banca centrale che può creare denaro a volontà. I mercati finanziari possono spingere la Spagna o qualsiasi altro membro dell’eurozona alla bancarotta, ma non possono farlo con paesi come la Gran Bretagna che emettono debito nella loro valuta.
Il diverso trattamento di Spagna e Gran Bretagna praticato dai mercati finanziari durante una crisi del debito è illustrato anche dalla figura 11.2. Vediamo che durante la crisi la Spagna ha dovuto pagare interessi molto alti sui suoi titoli perché gli investitori erano stati colti dal panico e li vendevano in massa. Questo non accadeva alla GB, benché la situazione del bilancio pubblico non fosse migliore di quella spagnola. Gli investitori sapevano che i loro titoli inglesi erano sicuri, quindi non li vendevano e il tasso di interesse sui titoli del debito pubblico iniziò addirittura a scendere.
” (pagg. 120-1)

1.2 Ovviamente la crisi degli spread non è stata risolta dall’austerità dei vari Monti europei, ma dal whatever it takes:
Non c’è alcun dubbio su questo punto: nel 2012 la BCE ha salvato l’eurozona dal collasso svolgendo il ruolo di una moderna banca centrale e sostenendo i governi nazionali mentre i mercati finanziari erano in preda a paura e panico.” (pag. 125).

Insomma, come diceva Kaldor, la BoE onora sempre “gli assegni emessi dal governo di Sua Maestà”, laddove gli Stati dell’eurozona hanno preso la “drastica decisione” di creare una banca centrale sollevata da quest’obbligo, ma che interviene motu proprio strapazzando la lettera dei Trattati, finché, su richiesta tedesca, non scende in campo la Corte di Giustizia a mettere i suoi austeri paletti.

Ovviamente una volta confermato che il tasso di interesse, ossia l’onere del debito, lo decide la banca centrale e non “imercati”, si porrebbero drammatiche questioni teoriche e costituzionali circa l’indipendenza di istituzioni che intervengono in modo così pesante nel conflitto distributivo (qui, soprattutto n. 5), nel caso leuropeo nell’ambito di un gioco di potere ancora più complicato, oligarchico e opaco che nel resto del mondo sviluppato (e non). Su questo però De Grauwe risulta non pervenuto. Fingiamo di sorprenderci.

Residuano due questioni.

2. Dirà l’amico liberista: d’accordo, lo spread dipende anche dall’assenza della mamma-banca centrale, ma, se avessimo fatto i bravi bambini, imercati, severi ma giusti, non ci avrebbero punito.

Sentiamo De Grauwe (pagg. 124-5):
Abbiamo visto che la debolezza strutturale degli Stati nazionali all’interno dell’eurozona dipende, fra l’altro, dall’assenza del sostegno di una banca centrale in tempo di crisi. Ciò significa che questi governi devono accettare i diktat dei mercati finanziari, cosa che non sarebbe così negativa se questi avessero sempre ragione. L’esperienza tuttavia mostra che essi sono spesso guidati da processi collettivi che alternano ottimismo ed euforia a panico e pessimismo. Non è questa una buona guida per le politiche macroeconomiche.
E’ quindi essenziale che la BCE assuma i compiti svolti dalle banche centrali in USA e Gran Bretagna. La BCE dovrebbe essere pronta a comprare titoli di stato nei momenti di crisi, quando il mercato è in preda al panico, come nel 2010-11.


Dell’intrinseca instabilità dei mercati finanziari De Grauwe parla anche aliunde nel libro: pure su questa scoperta dell’acqua tiepida tornerò.
La bella conseguenza del vincolo esercitato dagli infallibili mercati finanziari è stata la rimozione degli stabilizzatori automatici e la necessità di rispondere alla crisi con altra crisi, cioè con l’austerità, che proprio per questo va difesa finché possibile e sennò possiamo poi sempre dire che in realtà non c’è mai stata, come han fatto Perotti ed altri.
Anche su questo De Grauwe è molto chiaro (e vorrei vedere):
Qualcuno dirà che gli spietati programmi di austerità erano necessari per “risanare” le finanze pubbliche di quei paesi.
Così non è andata, come possiamo vedere nella figura 11.4. Più sono state profonde le misura di austerità, più è aumentato il rapporto debito/PIL. A un aumento dei tagli s’è accompagnato un aumento del rapporto. Questo è l’effetto indiretto che abbiamo notato prima: tagli di spesa producono una profonda caduta del PIL (il denominatore del rapporto debito/PIL).
Quindi il risultato delle misure di austerità (imposte dai mercati finanziari) sono stati non solo una profonda recessione e un drammatico aumento della disoccupazione ma anche un significativo aumento nel rapporto debito/PIL.
La miseria che questi paesi hanno imposto a se stessi non è servita a niente: la posizione debitoria dei loro governi è peggiore che mai. Basterebbe assai meno per screditare il sistema di mercato.

upload_2018-8-14_12-42-44.png

(Come avrete intuito il timore di un’impopolarità politica del capitalismo è il fil rouge che percorre tutto il libro).

3. Ultimo cavallo (morto) degli amici liberisti: l’acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale potrà sì forse calmare i mercati finanziari, ma la pagheranno i cittadini con l’inflazione!

Che l’inflazione non sia esattamente “la più iniqua delle tasse” ce lo ha spiegato Alberto anni fa; in questo caso però la questione è a monte: pur con tutti gli interventi della BCE, l’inflazione dove starebbe?
Riprendendo dati e conclusioni di un lavoro precedente, De Grauwe attira l’attenzione sulla divaricazione fra base monetaria e offerta di moneta:
Potete trovare qui la definizione di base monetaria, o M0, e qui quella dell’aggregato M3.
In estrema semplicità il punto fondamentale sta nella differenza fra M1 ed M0, costituita dalle riserve bancarie. Ossia la banca centrale può creare liquidità, ma “il problema è che se si è reduci da una crisi finanziaria, imprese e famiglie saranno restie a indebitarsi per spendere (anzi, si dibattono su come rientrare dai debiti): puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere, come recita una vecchia metafora. Servirebbe la politica fiscale, ma questo è un anatema nel quadro monetarista.” (S. Cesaratto, Sei lezioni di economia, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, pag. 101). E la liquidità così creata resta nelle riserve bancarie.

Insomma: “Non c’è mai stato un rischio inflazione, semplicemente perché l’offerta di moneta in mano al pubblico (famiglie e imprese) non è aumentata”. (De Grauwe, pag. 129).

In conclusione: quale sia la morale della storia, lo sappiamo da anni.
Ovviamente non possiamo aspettarci che De Grauwe tiri le stesse conclusioni, ma, almeno, che nessun elemento della sua analisi contraddica la diagnosticata incompatibilità fra moneta unica e democrazia costituzionale lo possiamo dire tranquillamente.

Rispetto ad altre considerazioni, di cui vi darò conto, si sarebbe anche potuto, (molto) in teoria, chiedere di più; tocca accontentarsi.

Pubblicato da Quarantotto a 08:24 16 commenti
 

mototopo

Forumer storico
scenari economici.it
il mondo visto da un'altra angolazione

attualita' agosto 14, 2018 posted by Fabio Lugano
Target 2: esempio di come i saldi modificano la base monetaria dei diversi paesi,


target2_700.jpg




Nell’ultimo articolo in cui abbiamo affrontato il tema dei saldi derivanti dal target 2 ed abbiamo introdotto anche un’interessante integrazione di Whelan, derivante dal seguente Paper, che mostrava quale influenza potessero avere questi valori sulla base monetaria creata da una specifica banca centrale di aerea euro.

Dato che il saldo T2 (per brevità) è un saldo che si inserisce al’interno di un bilancio dell’istituto centrale giustamente Whelan veniva a porre in luce come il saldo negativo e quello positivo avessero una diversa influenza sulla base monetaria stessa, riducendo o aumentando la base monetaria stessa. La struttura semplificata del Bilancio proposto da Whelan in presenza di Target 2 è la seguente:

Saldi Negativi di T2

target-2-whelam.png


E con saldi positivi:

target-2-whelam-b.png


Ricordiamo che la base monetaria, nella forma di banconote o di altri strumenti monetari, avviene tramite l’acquisto di titoli obbligazionari emessi dagli istituti di credito o la concessione di crediti al sistema bancario, e questi appaiono nell’attivo del bilancio della BC, insieme all’eventuale saldo attivo da Target 2 ed agli altri attivi. Al contrario al passivo vi è la base monetaria, il capitale della Banca centrale e l’eventuale saldo Target 2. Vediamo lo stesso schema, tradotto in italiano. Vediamo prima di tutto il caso di saldo positivo:

bc1-1.png


Vediamo quindi il caso con saldo negativo:

bc1.png


Quindi un saldo Target 2 positivo aumenta la base monetaria ed un saldo negativo riduce la base monetaria.

Ora facciamo un esempio e consideriamo l’Area Euro al 31/12/2017. Secondo i dati acquisti dalla BCE la Base Monetaria M3 (comprensiva delle banconote e delle attività prontamente liquidabili) nell’area euro era pari a 11.870 miliardi di euro. Il PIL di tutta l’area euro alla stessa data era pari a 11.167 miliardi di euro. Quanto è la base monetaria media nell’area euro per ogni miliardo di PIL prodotto? 1,061 miliardi di base monetaria per miliardo di PIL prodotto.

Ora come viene a modificare il saldo di Target 2 la base monetaria di due paesi, uno con un saldo negativo ed uno con un saldo positivo. Prendiamo appunto Italia e Germania:

Italia: saldo Target 2 negativo al 31/12/2017 per 432 miliardi (dati centro eurocrisis)

Germania: saldo target 2 positivo al 31/12/2017 per 870 miliardi.

Calcolando la base monetaria dei singoli paesi in proporzione al rispettivo PIL avremmo i seguenti risultati:

  • Base monetaria tedesca 29,02% del totale della base monetaria europea, pari a 3467 miliardi;
  • Base monetaria italiana pari al 15,3% del totoale della base monetaria, pari a 1823 milairdi.
Chiaramente abbiamo fatto degli arrotondamenti. Ora correggiamo queste basi monetaria sulla base dei disavanzi target 2. Avremo i seguenti risultati:

  • base monetaria tedesca: 4337 miliardi;
  • base monetaria italiana: 1392 miliardi.
Parametrando il tutto al PIL avremmo:

  • base monetaria per miliardo di PIL tedesco = 1,33
  • base monetaria per miliardo di PIL Italiano = 0,81
Quindi la Germania si avvale, grazie al target 2 positivo, di uno stimolo monetario molto forte, che si evidenzia calcolando la base monetaria per miliardo di PIL. Al contrario l’Italia vede la propria base monetaria depauperata. Un bell’affare essere con Target 2 negativo, non è vero? Bisognerebbe imporne l’azzeramento alla BCE.
 

mototopo

Forumer storico
economici.itil mondo visto da un'altra angolazione

crisi agosto 14, 2018 posted by Giuseppe Palma
Come funziona l’EURO. Un vademecum semplicissimo sulla moneta unica europea (di Giuseppe PALMA)




Riproponiamo articolo del 6 giugno scorso per l’attualità dell’ulteriore svalutazione della lira turca.

L’euro è un accordo di cambi fissi. Perciò, al fine di poter riconquistare posizioni in termini di competitività, ciascuno Stato che vi ha aderito – non potendo più far leva sul cambio (svalutazione della moneta) – è costretto ad incidere sul lavoro riducendo i salari e contraendo le garanzie contrattuali e di legge in favore del lavoratore (svalutazione del lavoro). In pratica, con la moneta unica, il peso della competitività viene scaricato sul lavoro: legge Fornero e Jobs Act vanno esattamente in questa direzione!

Ma non solo. La cessione di sovranità monetaria produce effetti devastanti anche in ordine ad altri motivi. Ciascuno Stato dell’Eurozona si trova costretto ad andarsi a cercare la moneta, e può farlo solo in tre modi:

1) chiedendola in prestito ai mercati dei capitali privati, quindi a banche private, assicurazioni etc, che applicano tassi di interesse commisurati all’affidabilità della finanza pubblica di ciascuno Stato a poter “garantire” il “debito”. In pratica lo Stato colloca mensilmente i propri Titoli di Stato sul mercato primario, cioè quelli battuti ogni mese dal Tesoro (così incamera la moneta), ed è quindi il mercato a decidere i tassi di interesse: più i conti dello Stato sono in ordine (cioè tagli selvaggi alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, alla giustizia etc…) e più i tassi di interesse saranno bassi; più lo Stato aiuta cittadini e imprese (quindi spende a deficit) e più i tassi di interesse saranno alti. In realtà, a dirla tutta, lo Stato non “ripaga” mai il suo debito: un Titolo di Stato, alla scadenza, viene rinnovato oppure venduto ad altro investitore. Quindi il capitale non viene sostanzialmente mai ripagato. Ciò che invece lo Stato paga sono gli interessi (ecco perché lo spread – cioè la differenza tra quanto pagano i tedeschi e quanto paghiamo noi di interessi sui Titoli di Stato – è diventato una sorta di sovrano occulto);

2) andandola ad estorcere a cittadini e imprese attraverso l’aumento delle tasse, l’inasprimento dei sistemi di accertamento fiscale e i tagli selvaggi alle voci di spesa pubblica più sensibili come sanità e pensioni;

3) favorendo l’ingresso di capitali esteri attraverso gli investimenti stranieri e le esportazioni. Mi consentirete una ripetizione. Riguardo le esportazioni, in termini di competitività – non potendo più intervenire sul cambio (cioè non potendo più svalutare la moneta) -, siamo costretti ad intervenire sul lavoro attraverso la contrazione dei salari e dei diritti fondamentali (svalutazione del lavoro), e medesimo discorso dicasi per attirare gli investimenti esteri: chi intende investire nel nostro Paese non vuole trovarsi “irritanti commerciali” che gli impediscano la realizzazione del massimo profitto, cioè deve poter gestire il capitale investito senza dover fare i conti tutti i giorni con i diritti fondamentali che, nella sostanza, costituiscono un intralcio alla realizzazione del massimo profitto. Diversamente, troverà convenienza ad investire in altri Paesi con legislazioni maggiormente flessibili in materia di lavoro.

E il debito pubblico, che negli Stati a moneta sovrana con una banca centrale che funge da prestatrice illimitata di ultima istanza non rappresenta alcun problema (vedesi ad esempio il Giappone), nell’eurozona è diventato un macigno che mette a repentaglio finanche il patto sociale! Il tutto aggravato dal fatto che la BCE – addirittura per suo statuto – non può garantire i debiti pubblici di nessuno degli Stati della zona euro (quindi non funge da prestatrice illimitata di ultima istanza). Il Quantitative Easing (QE) da un lato ha svalutato l’euro sul dollaro rendendo maggiormente competitiva l’intera eurozona in una comparazione globale ma non infra-Stati (quindi non l’Italia nei confronti della Germania che sono i due maggiori Paesi esportatori dell’eurozona), mentre dall’altro sta provvedendo ad “acquistare” i Titoli di Stato sul mercato secondario (cioè quelli già in circolazione) e non sul mercato primario (battuti mensilmente dal Tesoro e che incidono direttamente sulla finanza pubblica), quindi tutte le criticità connesse al debito pubblico restano e continuano a soffocare l’economia nazionale! Con l’ulteriore criticità che tra qualche mese avrà termine anche il programma di QE.

Ciò detto, la moneta unica europea presenta gravi ed evidenti punti di contrasto con i principi inderogabili della nostra Costituzione, uno su tutti il diritto al lavoro, non a caso rubricato nei Principi Fondamentali della Carta agli artt. 1 e 4, successivamente specificato nella Parte Prima (dall’art. 35 all’art. 40).

Ma v’è di più. Il primo comma dell’art. 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”) è ormai lettera morta! Così come è lettera morta anche il secondo comma (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“), visto che già da qualche anno la sovranità popolare ha dovuto cedere il passo alla dittatura dello spread, quindi all’andamento dei mercati. La moneta unica europea ha dunque calpestato i principi inderogabili della Costituzione primigenia!

P.S. (aggiornamento delle ultime ore): parecchi membri del Partito democratico, di piùEuropa, di LeU e di altre forze dell’opposizione, e non solo, in questi giorni stanno sfruttando strumentalmente la svalutazione della Lira Turca sul dollaro di circa il 30% da inizio anno. A parte il fatto che non si può fare alcun paragone tra l’economia turca e quella italiana, l’argomentazione dei tifosi dell’euro è del tutto sterile. Con il QE di Draghi anche l’euro si è svalutato sul dollaro di oltre il 30%, eppure non è accaduto nulla, né la tifoseria eurista ha gridato al collasso, anzi, applausi scroscianti nelle Tv e sui giornali. Ma non è solo questo. Chi oggi fa della questione-turca un motivo di monito per i critici dell’euro dimentica di spiegare due aspetti: gli effetti devastanti del cambio fisso sui diritti fondamentali e gli effetti positivi sulle esportazioni dovuti alla svalutazione monetaria.

È dovere delle persone di buona volontà divulgare e informare per resistere alle menzogne!

Avv. Giuseppe PALMA
 

mototopo

Forumer storico
Lugano fabio
Un’autostrada pubblica (da Ilpedante.org)




asfinag.jpg


IL PEDANTE è uno dei blogger più lucidi in circolazione. Le sue battute sono fulminanti e sempre a luogo, mai sopra le righe, mentre i suoi dati sono difficilmente confutabili. Riportiamo dal suo blog questo caso in cui vengono comparati ASFINAG austriaca, la società che gestisce le autostrade d’oltralpe, completamente pubblica, ed Autostrade per l’Italia, che gestisce la rete italiana per un utile privatistico. Avrete così una simulazione piuttosto corretta di come funzionerebbe un sistema autostradale completamente pubblico in Italia, oltre come il sistema austriaco permetta di tariffare i trasporti sulla base di fattori quali peso ed inquinamento che non sono elementi secondari in un’ottica di gestione complessiva dei trasporti e che non vengono assolutamente considerati nel sistema italiano. Come sempre “Dulcis in fundo”; ma posso preannunciarvi che i dati che vi troverete vi lasceranno, letteralmente senza parole.

Ammetto di avere un grande rimpianto: non aver pensato io a fare questo studio.

Link originale :

http://ilpedante.org/post/un-autostrada-pubblica-il-caso-asfinag



Buona Lettura



La tragedia del crollo del ponte Morandi ha riaperto il dibattito sull’opportunità tecnica, politica ed economica di avere affidato, a partire dagli anni Novanta, la gestione di buona parte della nostra rete autostradale a concessionari privati. Secondo alcuni, le ben note criticità di quel processo di «privatizzazione» (trattandosi di una cessione ai privati della sola gestione, non delle infrastrutture) assumono rilievo anche per la sicurezza degli utenti, sempre più minacciata da manufatti bisognosi di manutenzioni straordinarie e rimpiazzi. Si parla dunque in questi giorni di rinazionalizzare la gestione della rete per sottrarre un servizio così delicato e centrale alla sola logica del profitto.

In punto politico, chi scrive si associa pienamente a questo auspicio, anche presumendo il massimo scrupolo e la massima integrità dei concessionari. Come ho argomentato illustrando il caso della distribuzione del gas naturale, il regime di concorrenza va applicato ai mercati di beni e servizi contendibili che non necessitano di regolazione e il cui malfunzionamento non metterebbe in pericolo l’intera collettività, non a quelli assoggettabili al solo monopolio, detti appunto monopoli naturali. Forzare il mercato in questi ultimi settori equivale in tutto a forzare lo Stato nei settori naturalmente vocati alla concorrenza: è una stalinizzazione al contrario dove, nei fatti, uno o pochi operatori economici privati godono delle prerogative dominanti di uno Stato senza sobbarcarsene la missione sociale e il vincolo di rappresentanza politica, distorcendo in maniera grottesca i principi di un mercato «libero» nel solco di ciò che ho descritto altrove come «socialismo dei ricchi».

I modi per rinazionalizzare un monopolio naturale non sono semplici né scontati, e non possono comunque scindersi da più ampie politiche di spesa pubblica e, ancora più a monte, da una definizione condivisa del confine di competenze e ruoli tra Stato e «mercati». Per portare un contributo concreto alla riflessione sugli aspetti operativi di questa ipotesi, illustrerò nel seguito un caso a noi vicino di rete autostradale interamente gestita dal settore pubblico.

trmb_1534509010.jpg


Il caso austriaco
L’ASFiNAG (Autobahnen- und Schnellstraßen-Finanzierungs-Aktiengesellschaft) è una società per azioni fondata nel 1982 e interamente detenuta dalla Repubblica Austriaca, il cui scopo è quello di finanziare, realizzare e gestire le strade a scorrimento veloce (Schnellstraßen) nel territorio austriaco. L’ASFiNAG si finanzia interamente con i pedaggi degli utenti e non gode di finanziamenti pubblici, né versa canoni di concessione allo Stato. Con 2.826 dipendenti, gestisce una rete di 2.223 km e diciotto autostrade, tra cui le storiche A1 lungo la direttrice est-ovest (Vienna-Walserberg, 292 km, la cui prima pietra fu posata nel 1938 da Adolf Hitler) e A2 lungo la direttrice nord-sud (Vienna-Villach, 377 km, interamente completata solo nei primi anni Duemila).

Il sistema dei pedaggi si articola in tre modalità:

  • una tariffa flat (Vignette) per automobili e motocicli che consente la circolazione illimitata sull’intera rete apponendo un bollo anonimo sul veicolo. La Vignette costa 9,00 euro per 10 giorni (5,20 per le moto); 26,20 euro per due mesi (13,10 per le moto); 87,30 euro per un anno (34,70 per le moto);
  • una tariffa chilometrica (Go-Maut) per i mezzi pesanti (più di 3,5 tonnellate) addebitata all’utente mediante un sistema di portali alle uscite che si collegano a una scatola elettronica nel veicolo (Go-Box). La tariffa applicata varia in funzione degli assi del veicolo, dell’orario di transito (di notte costa di più) e della classe di emissioni:
trmb_1534425990.png




  • un pedaggio speciale (Streckenmaut) applicato ad auto e moto che transitano su manufatti stradali alpini i cui costi straordinari di realizzazione o ampliamento non sono stati ancora ammortizzati. Le tratte a pedaggio speciale sono oggi cinque e il loro costo, per un singolo transito, varia dai 7,50 euro del tunnel dei Karawanken (A 11) agli 11,50 euro dell’autostrada alpina dei monti Tauri (A 10), che supera i 1300 metri di altitudine e attraversa 12 chilometri di montagna con due tunnel. Gli utenti abituali possono acquistare carte annuali forfettarie fortemente scontate (41,00 euro/anno per i pendolari).
Confronto con l’Italia
Confrontare la gestione austriaca con quella italiana, fatto salvo il giudizio politico già espresso, non è semplice. Uno dei motivi è che in Italia il panorama delle gestioni e concessioni autostradali è frammentato ai limiti del caos. Alle venticinque gestioni private che coprono 5.887 km di autostrade e superstrade con contratti di concessione a volte diversissimi nei contenuti e nelle normative di riferimento, vanno aggiunte le gestioni dirette ANAS S.p.A. (954 km) e quelle, più recenti, di società compartecipate da ANAS e Regioni (483 km), che a loro volta agiscono da soggetti concedenti. Anche i pedaggi sono i più disparati: vanno dai 23 centesimi al chilometro (Classe A) della A5 Torino-Aosta-Montebianco o ai 21 centesimi al chilometro della Pedemontana (un fallimento annunciato), alla gratuità delle tratte in gestione ANAS nell’Italia Meridionale. Ci sono poi strade che, pur non classificate come autostrade, lo sono a tutti gli effetti, come ad esempio la Strada Statale 36 del Lago di Como e dello Spluga fino a Colico (94,7 km), sulla quale non si paga pedaggio.

In questa «selva oscura» dove il caso particolare è la norma, tenterò un raffronto con la soluzione austriaca considerando la sola gestione di Autostrade per l’Italia S.p.A., sia in quanto principale operatore italiano (gestisce quasi la metà dei chilometri complessivi in concessione privata), sia perché è il soggetto su cui si sono più concentrate le polemiche di questi giorni. Autostrade per l’Italia è interamente detenuta da Atlantia S.p.A., società quotata in borsa che gestisce autostrade a pedaggio anche in Brasile, Cile, India e Polonia. Il suo socio di maggioranza è la famiglia Benetton. In Italia è concessionaria di trenta tratte tra cui l’A1 Milano-Napoli (759,3 km) e l’A14 Bologna-Taranto (744,1 km), per un totale di 2.857,5 km gestiti e 46.127 milioni di veicoli per chilometro/anno.

Segue un’elaborazione grafica di alcuni indicatori registrati negli ultimi anni disponibili (IT 2016; AT 2017):

trmb_1534584266.png


Dal confronto in grafica si osserva che la rete italiana qui considerata è mediamente più frequentata – e quindi anche soggetta a usura – di quella del gestore austriaco, che deve «sopportare» un traffico inferiore del 30%.

I ricavi di Autostrade per l’Italia, cioè i costi per gli utenti incluso il canone che il gestore deve versare annualmente ad ANAS (431 milioni di euro), superano del 46% quelli di ASFiNAG su base chilometrica (+25% in rapporto al traffico). La rete italiana risulta quindi più cara. Va anche osservato che la politica di pedaggio adottata dal gestore austriaco distribuisce l’onere in modo da premiare in maniera molto decisa l’utenza «leggera» (auto e moto), trasmettendo così agli automobilisti italiani l’impressione, parzialmente distorta, di una forte convenienza complessiva. Per dare un’idea degli effetti che questa politica avrebbe nel nostro Paese, è come se, con il costo odierno di un solo viaggio di andata e ritorno da Milano a Roma (corrispondente a poco meno del prezzo di una Vignette annuale), si potesse viaggiare illimitatamente per un anno sull’intera rete nazionale… Non stupisce perciò che ASFiNAG compensi ricavando quasi il 70% delle sue entrate dal transito dei mezzi pesanti (1,37 su 2 miliardi di euro), pur incidendo questi ultimi sul traffico complessivo per poco più del 10%.

Se l’impegno economico relativo per nuovi investimenti è sostanzialmente identico, colpisce invece la forte differenza nella spesa per manutenzioni, che nel caso austriaco incide sul fatturato in misura tripla rispetto alla gestione italiana (più del doppio su base chilometrica). Se confermato, è probabilmente questo il dato su cui è più urgente riflettere.

Un’ultima considerazione che richiederebbe approfondimenti più qualificati è suggerita dalla densità di ponti e viadotti che insistono sulle due reti osservate. Nelle autostrade di ASFiNAG risultano in servizio 2,34 manufatti per chilometro: più del decuplo di quelli italiani. Viceversa, nella rete italiana ricorrono con maggior frequenza le gallerie (0,11 vs 0,07 per chilometro). Con l’eccezione delle pianure a est di Vienna (Burgenland), l’Austria è in effetti un Paese a forte prevalenza montuosa. Se tre quinti del suo territorio sono occupati dalle Alpi, anche la fascia subalpina è caratterizzata da colline e rilievi più o meno scoscesi. Per contro, solo il 23% della rete di Autostrade per l’Italia è classificata come «montagna» nelle tabelle ministeriali (il tratto più lungo è quello della A26 Genova Voltri-Gravellona Toce: 102,8 km). Da queste osservazioni si può indurre in prima ipotesi che la rete austriaca sia mediamente più costosa da realizzare e manutenere – come suggerirebbe anche il dato sulla spesa per manutenzioni – senza perciò gravare maggiormente, in comparazione, sull’utenza.

Per corroborare e misurare questa ipotesi sarebbe tuttavia necessario esaminare le perizie a valori standard delle due reti e i relativi piani di manutenzione, ammesso che siano reperibili nel pubblico dominio.

Conclusioni
Dalla comparazione su accennata la gestione austriaca, affidata a una società interamente pubblica (ASFiNAG), appare caratterizzata da costi inferiori per l’utenza e da una diversa politica di distribuzione dell’onere che penalizza il trasporto merci su gomma. A sostanziale parità di investimenti, il dato più interessante riguarda le manutenzioni, per le quali il gestore austriaco spende il triplo del collega italiano in rapporto al fatturato, nonostante la rete del secondo sia usurata da un traffico più intenso. Ciò potrebbe anche spiegarsi con la maggior presenza di manufatti «critici» e costosi (ponti e viadotti) sulle tratte austriache e, più in generale, con l’orografia del Paese alpino, ma occorre in ogni caso registrare che l’onere aggiuntivo non si ribalta sull’utenza (come viceversa accade nelle tratte alpine di altri gestori italiani, ad esempio l’A5 in Piemonte e Valle d’Aosta, o l’A32 in Valle Susa).

Per quel che possono valere stime così semplificate, a parità di variabili una gestione di tipo austriaco sulla rete italiana italiana qui considerata comporterebbe un risparmio da 755 (su base traffico) a 1.108 (su base chilometrica) milioni di euro all’anno per gli utenti e, insieme, un aumento della spesa per manutenzioni da 306 a 383 milioni di euro all’anno (su base ricavi).

Considerando che il risultato operativo ante imposte (EBIT) di Autostrade per l’Italia S.p.A. al lordo del versamento del canone ANAS è stato di 1.641 milioni di euro nel 2016, è facile capire chi sono gli elefanti nella stanza.

A necessaria integrazione dell’analisi occorrerebbe infine raffrontare il valore delle reti e degli appalti e, laddove possibile, la loro qualità secondo indicatori standard che riguardino ad esempio asfaltature, illuminazione, verifiche, incidentalità, tempi di intervento, comunicazione all’utenza, tempi di adeguamento alle norme, responsabilità ambientale e altro.

***

Il modello pubblico austriaco non è l’unico possibile. Ha certo i pregi della semplicità nell’estendere le stesse politiche gestionali, ottimizzandole, all’intera rete, e della trasparenza nel far sì che un soggetto di scopo si finanzi tassando i propri utenti senza interferire, in entrata o in uscita, con i bilanci dello Stato e dei suoi enti. Ciò non toglie che un’autostrada pubblica possa sostenersi in tutto o in parte con la fiscalità generale come accade in Germania, Olanda e Belgio (sui cui dettagli mi appello a chi è più esperto di me), o anche in numerosi esempi italiani di «superstrade» e autostrade a gestione ANAS.

I «ritorni» di un’infrastruttura essenziale si misurano nel medio e lungo termine materiale dello sviluppo e immateriale del benessere, essendone i suoi eventuali ricavi uno strumento. L’esempio qui illustrato suggerisce che una gestione senza lucro comporterebbe vantaggi economici e di servizio per la collettività anche nell’immediato.

E la corruzione? E il magna magna?
Sono un’invariante.


Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.
 

mototopo

Forumer storico



Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 5 h ·
" SMONTERO' IL PAESE PEZZO PER PEZZO "

#RomanoProdi

PRODI:"sono il re delle privatizzazioni"

...Continua a leggere


"}' data-testid


Gestire

Gestire

1 h






Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 5 h ·
Con la sovranità monetaria (prima dell’euro) lo Stato, quando lo decide, diventa il pagatore illimitato di ultima istanza.
Quindi anche in caso di rifacimento di infrastrutture.

Avete capito lo « scherzetto » di Prodi, Amato e dei sostenitori dell’euro?
Oltre all’accettazione di un cambio assolutamente sfavorevole per gli Italiani (risparmi dimezzati e costo della vita raddoppiato).


Amato; sapevamo che l'Euro sarebbe fallito...
CI SARA' UN'EUROPA UNITA GOVERNATA DA…
youtube.com


Gestire

5 h · Modificato






Abbattiamo la Frode Bancaria e il Signoraggio
· 20 h ·
QUANDO PENSAVI DI AVER ADOTTATO UN BAMBINO AFRICANO E SCOPRI DI AVER ADOTTATO IL COGNATO DI RENZI

https://www.google.it/…/firenze-i-milioni-per-…/4549002/amp/


Firenze, "i milioni per l'Africa sui conti del cognato di Renzi e dei fratelli". Ma per la riforma Orlando indagine rischia lo stop - Il Fatto Quotidiano
Ricevevano generose donazioni da Unicef, Fondazione Pulitzer e altre onlus americane ed australiane per finanziare attività benefiche nei confronti dei bambini africani. Ma invece di spedire quei soldi in Eritrea, Burundi o Sierra Leone attraverso la Play Therapy Africa, sostiene la procura di Fire...
ilfattoquotidiano.it
giustizia".

"Deriva pericolosa" avvertono severi.
 

Users who are viewing this thread

Alto