Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo (2 lettori)

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Fabio Lugano
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LA CINA DEL PARTITO COMUNISTA CI SPIEGA PERCHE’ LE VOGLIE ITALO-EUROPEE DI PATRIMONIALE SULLA CASA SIANO STUPIDE


Cari amici periodicamente qualche furbone, con qualche idea fantasiosa, cerca di tassare il patrimonio immobiliare degli italiani. L’ultimo tentativo è stato dei francesi che, ignorando completamente la costituzione nostrana …

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attualita' 22 ottobre 2017 pubblicato da admin
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Un giorno dopo essere stato attaccato da G.W. Bush, Trump desecreta gli atti dell’omicidio di JFK: . Bush padre fu arrestato a Dallas nel giorno dell’omicidio?
Fonte: Breitbart.com, Zerohedge.com, vedasi LINK Viene prima l’uovo o la gallina? Riletto, Trump desecreta gli atti (integrali? vedremo) sulla morte di JFK – che la CIA voleva tenere riservati ancora…

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attualita' 21 ottobre 2017 pubblicato da Fabio Lugano
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BORGHI, MARATTIN E L’IMPRENDITORE BRAZZALE: L’ENNESIMA FIGURACCIA DEL CONSIGLIERE ECONOMICO PIDDINO
Cari amici le poche volte in cui in TV invitato Borghi c’è sempre da divertirsi, soprattutto quanco incrocia le armi con Marattin, il consigliere economico del PD. Questa volta…

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LA DOPPIA MONETA DI EINAUDI E L'€TA' DELL'ORO: LA "RIVOLUZIONE LIBERALE"? [/paste:font]


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1. L'argomento di cui cercheremo di trattare oggi è in realtà un classico di questo blog; la sua rinnovata attualità, però, discende da un ritrovamento di Arturo, relativo a uno scritto einaudiano del 1936, complementare, o meglio "rivelatore", del senso di un successivo discorso dello stesso Einaudi, svolto il 14 marzo 1947 in Assemblea Costituente. Il tema, come vedrete, è quello del gold standard e della sua relazione con la doppia moneta (doppia circolazione, contemporanea, di due diversi strumenti di pagamento) di cui pure, oggi, da più parti si parla (sia pure, al momento, con diverse finalità).

2. Per chiarire (ancora) il tema generale del gold standard, che è sempre utile rammentare, riportiamo in premessa due "definizioni", rispettivamente di Guido Carli e di Eichengreen. Ci servono per mostrare la distanza, di Einaudi, dalla realtà (socio-politica) della sua esposizione "scientifica", nonché, pure, la sua abilità...affabulatoria.
Dunque Eichengreen, descrive così la storica transizione tra l'ottocento e il novecento proprio con riguardo al senso politico, prima che economico, del gold standard (da ultimo, qui, p.7):
"Ciò che era critico per il mantenimento di cambi fissi,.., era la protezione dei governi dalla pressione di dover sacrificare la stabilità dei cambi ad altri obiettivi. Vigendo il gold standard ottocentesco, la scaturigine di questa protezione era l'isolamento delle politiche di cambio dalle politiche interne.
La pressione portata sui governi del XX° secolo a subordinare la stabilità della valuta ad altri obiettivi non costituì una caratteristica del mondo ottocentesco.
A causa della limitazione del suffragio, i lavoratori comuni che maggiormente soffrivano la durezza dei tempi, avevano scarse possibilità di obiettare agli aumenti dei tassi di interesse decisi dalle banche centrali per difendere i cambi fissi. Né i sindacati nè i partiti che potessero rappresentare i lavoratori nei parlamenti, si erano sviluppati al punto che i lavoratori potessero insistere nel rivendicare che la difesa del cambio potesse essere temperata dal perseguimento di un adeguato livello di occupazione.

[ndr; ...questa difesa democratica della classe lavoratrice dagli effetti del vincolo monetario, è esattamente ciò che "il manifesto di Ventotene" indica come i "sezionalismi" guerrafondai (?) da combattere, attribuendo al conflitto sociale il ruolo di uno scontro periferico rispetto ad un indefinito e, a questo punto misterioso, interesse generale, perseguibile solo da parte del solido stato internazionale!]
La priorità attribuita dalle banche centrali alla difesa dei tassi fissi (ndr; siano essi conseguenza del gold standard ovvero, come oggi in €uropa, di una moneta unica), rimaneva fondamentalmente incontestabile. I governi erano perciò liberi di difendere il mantenimento dei cambi fissi intraprendendo qualunque passo fosse ritenuto necessario".
Globalizing Capital (Princeton University Press, New Jersey, 2008, pag. 2).

3. Risulta allora comprensibile perché Carli, sullo stesso argomento, in pieno novecento e a commento delle prime proposte di moneta unificata europea, incentrate appunto direttamente sulla reintroduzione del gold standard, si esprimesse nei termini sotto riportati (ibidem, p.8, che segue alla teorizzazione di Einaudi stesso, Erhard e Hayek sulla opportunità di una moneta unica europea che, comunque, ricalcasse il gold standard):
"Carli (sempre in "Cinquant’anni di vita italiana", 1996 [1993], pag. 187) ci dà un'illuminante descrizione dell'effetto squisitamente "sociale" del gold standard, incontrovertibilmente, abbiamo visto, alla base del concepimento €uropeo della moneta unica (ed infatti Carli fa riferimento proprio alle "uscite" di Werner, del 1965, riportate da Ann Pettifor, sopra citata, ed altri, in particolare Rueff, consigliere economico di De Gaulle, favorevoli alla moneta unica come sistema opportunamente aggiornato di gold standard):
"Nelle Considerazioni finali pronunciate nel maggio del 1965 avevo dato ampio spazio alle implicazioni sociali della scelta di un sistema monetario piuttosto che di un altro.
E mi riferivo a Rueff quando scrivevo:
L’argine contro il dilagare del potere d’acquisto che movendo dagli Stati Uniti minaccia di sommergere l’Europa, si continua a sostenere, potrebbe essere innalzato esclusivamente mediante il ripristino del gold standard. In realtà, concezioni del genere incontravano, un tempo, un coerente completamento nelle enunciazioni che attribuivano al meccanismo concorrenziale il compito di realizzare, mediante congrui adattamenti dei livelli salariali, il riequilibrio dei conti con l’estero.
Insomma, il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salari reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia."


4. Dunque, il problema sempre avuto presente dai vari euro-fondatori è quello del "dilagare del potere d’acquisto".
Ed è su questo versante che si colloca l'abile affabulazione di Einaudi svolta in sede di Assemblea Costituente:
noi abbiamo attraversato, prima del 1914 un’epoca felice che io temo non si riprodurrà mai più. Il secolo trascorso dal 1814 al 1914 è stata una parentesi nella storia del mondo, parentesi la quale probabilmente noi della generazione attuale e forse di parecchie generazioni avvenire non vedremo più…Uno degli aspetti caratteristici di quel secolo felice è stato il mito dell’oro, vorrei piuttosto chiamarlo la magia dell’oro.

Se parlasse, invece di un economista, una nonna ai suoi nipotini e volesse raccontare quello che accadeva prima del 1914, quando anche i bambini potevano soddisfare le loro esigenze di zucchero e di pane bianco, essa certamente direbbe: c’era una volta un mago, uno di quei nani o gnomi che voi bambini avete contemplato quando siete andati alla rappresentazione di Biancaneve e i sette nani; uno di quei nani di cui nessuno poteva prevedere a priori le decisioni, ma che intanto guidavano gli uomini e che impedivano che gli uomini facessero del male … Se dovessi dire in quale paese del mondo vi sia una moneta perfetta, imparziale, neutra, come ora dicono gli economisti, direi che questo paese si trova in un’isola sperduta del Pacifico, nel quale la leggenda ha immaginato che in tempi remotissimi cadessero nell’isola una quarantina di grossi massi...
...
Tutti i contratti di quell’isola – che…certo dal punto di vista monetario è di esempio a tutto il mondo – tutti i contratti si fanno con la trasmissione ideale di quei massi. Tutti quelli che vendono qualcosa o trasferiscono un diritto acquistano quei massi e gli acquirenti vanno a contemplarli e se ne ritengono i padroni. Nessun uomo di governo, nessun capo tribù può variare il numero di quei massi di oro. Ciò che accade in quell’isola fortunata è accaduto nel secolo dal 1814 al 1914, in misura attenuata, perché la quantità dell’oro esistente nel mondo era allora variabile. Essa però variava al di fuori della volontà di qualsiasi uomo di governo o di stato. Nessuno invero poteva impunemente agire sulla quantità della massa circolante
Era il mito dell’oro che faceva sì che … coloro i quali contraevano dei debiti si sdebitassero delle obbligazioni introdotte con la medesima moneta; l’onestà la quale, considerata sempre uno dei dieci comandamenti, era diventata miracolosamente una regola d’azione alla quale neppure gli uomini di stato potevano sottrarsi, pretestando la cosiddetta ragione di stato. Era un’epoca nella quale, in conseguenza della onestà monetaria che dipendeva dal mago mitico dell’oro, gli scambi internazionali di beni e di uomini erano facili…

Nel 1914 gli uomini immaginarono di poter guardare dentro al meccanismo meraviglioso e lo ruppero; e al posto di esso istituirono quella che fu chiamata la moneta manovrata, moneta che non è più abbandonata al caso, che non è più abbandonata all’arbitrio, che non è più abbandonata alla scoperta fortuita di miniere d’oro, tutte cose del passato, cose che devono essere soppresse, perché non il caso, ma la volontà dell’uomo, la sapienza dell’uomo deve dominare anche il mercato monetario…Abbiamo visto che cosa è successo con la sostituzione della sapienza dell’uomo al caso, al caso fortuito della scoperta di miniere d’oro rispetto alla lira. La lira oggi ha una potenza d’acquisto che forse è la duecentesima parte di quella che era la potenza d’acquisto della medesima lira nel 1914…
Questi sono i risultati della sostituzione al caso della volontà preordinata da parte degli uomini. Questa sostituzione, in molti paesi del mondo, è la grande colpevole dei trasporti di ricchezza dall’uomo all’altro. La svalutazione monetaria … è la colpevole dell’arricchimento degli uni e dell’impoverimento degli altri e del sorgere di odii e di invidie fra le classi, che non furono mai tanto gravi come negli ultimi trent’anni. La mancanza di una base solida della moneta ha fatto sì che gli odii e le invidie si inasprissero e portassero ad uno stato d’animo rivoluzionario in tutti i paesi del mondo…
” [L. EINAUDI, Assemblea Costituente, 14 marzo 1947].

5. A quali "odii" e "invidie", "sorti negli ultimi 30 anni" precedenti il 1947, a causa dell'abbandono del gold standard, si riferisse, poi, non è ben chiaro, dato che sia Mussolini che Hitler, nella sostanza e pur con diverse strategie, conservarono il gold standard...
Sta di fatto che Einaudi vedeva, ancora in sede Costituente, il gold standard come un "meccanismo meraviglioso" frutto di un sapienziale "mito dell'oro".

6. E arriviamo perciò all'Einaudi del 1936 (in un'Italia che, volente o nolente, subiva, in piena crisi post 1929, i frutti di quel "mito" essendo quindi, dobbiamo supporre, scevra da "odii e invidie"; anche se Caffè ed altri ci raccontano ben altra storia), che si sofferma su un aspetto storico della moneta, sempre idealizzato, ma offertoci da Arturo come rivelatore della visione effettiva che cercò di far passare in sede costituente:
"Per trovare uno sprazzo di verità in Einaudi bisogna andare a scovarlo, come d’altra parte anche nel caso di Eichengreen, nei lavori scientifici di carattere storiografico, in particolare in uno studio sulla “moneta immaginaria”. Si trattava di un aspetto fondamentale dell’istituzione monetaria di antico regime anteriore alla parità aurea fissa: le funzioni di mezzo di pagamento e di misura di valore erano separate, così che il principe poteva intervenire alterarando il potere liberatorio della moneta interna, la c.d. “moneta piccola”, generando in pratica inflazione, adeguandone il rapporto con quella “grossa”, usata per gli scambi internazionali, il che equivaleva a una svalutazione.
Sentite un po’:
Laddove il sistema odierno della moneta effettiva riesce ad esaltare i sentimenti i quali fanno colpa allo straniero della svalutazione della moneta nazionale, il sistema antico della doppia moneta effettiva ed immaginaria metteva in evidenza il fatto che la svalutazione della moneta è sovrattutto un affare interno, importante nei rapporti fra classe e classe, individuo e individuo della stessa nazione, dove si negozia in lire immaginarie variabili e, alla lunga, irrilevante nei rapporti con l’estero, dove non solo si paga ma si è costretti a negoziare altresì in fiorini effettiva.” (L. Einaudi, Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno a Napoleone, in «Rivista di Storia Economica», t, n. 1, 1936, ripubblicato in L. Einaudi, Scritti economici, storici e civili, Milano, Mondadori, 1973, pag. 446 riportato in L. Fantacci, La moneta, Marsilio, Venezia, 2005, pag. 212).
Hai capito? Inflazione e svalutazione non sono un problema morale ma di rapporti fra le classi: shoquant! :) ".

7. Per completezza riporto il commento di Dargen:
"A riguardo mi sono venuti in mente i minibot proposti dalla Lega. Da quello che ho capito possono funzionare solo nel breve-medio periodo, ovvero con l'unico scopo tecnico di traghettare non bruscamente l'economia verso una nostra valuta unica. (Ed è questa la funzione dichiarata in effetti da Claudio Borghi, v.qui, infine).
Immagino che in caso di coesistenza forzata e prolungata di Euro/minibot (o di una qualsiasi altra 'doppia moneta') si potrebbe tentare di realizzare lo scenario descritto (nei limiti della sua assurdità, ma un tentativo di Essi potrei aspettarmelo)".

8. Ma c'è chi, invece, non la considera una soluzione transitoria, quanto, piuttosto, un "mezzo ritorno" alla sovranità monetaria...Se la vogliamo chiamare così (“La proposta di due monete (una nazionale per le transazioni domestiche ed una comune per le transazioni internazionali) si riferisce ad una situazione in pratica simile a quella che avevamo negli anni 80 e 90 con la lira e con l’Ecu”. Obiettivo dichiarato è un recupero, seppur parziale, della sovranità monetaria dello Stato...).

Pubblicato da Quarantotto a 17:31 25 commenti: Link a questo post
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lunedì 23 ottobre 2017
L'ITALIA. E LA "SCARSITA' DI RISORS€". [/paste:font]


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LA DOPPIA MONETA DI EINAUDI E L'€TA' DELL'ORO: LA "RIVOLUZIONE LIBERALE"? [/
http://www.senato.it/japp/bgt/showd....html?part=dossier_dossier1&parse=si&spart=si
Sì: il pareggio di bilancio viene, ad ogni Def annuale, spostato agli anni successivi. Ma, come vedrete, ci sono forti spinte "commutative" per anticiparlo al più presto...

1. Sul tema del federalismo in Italia, esiste la diffusa, quanto inesatta, convinzione che il nostro ordinamento (già de iure condito) sia meno federalista di altri, come ad esempio quello tedesco (stato federale per autodefinizione). Ma poiché sarebbe inutile discutere di diritto costituzionale e scienza delle finanze in termini comparati, in presenza di slogan pop come quelli che dominano il campo nel dibattito politico italiano, mi limito a riportare sue sintesi su informazioni utili in argomento, senza particolari commenti (solo qualche piccola nota esplicativa).

2. La prima fonte è l'estratto da un intervento di Pietro Nenni all'Assemblea Costituente, nella seduta del 10 marzo 1947, nella parte riferita alla realizzazione dell'unità e dell'indipendenza della Nazione italiana:
Nenni. Onorevoli colleghi, l'Assemblea troverà naturale che le mie prime parole siano per ringraziare l'onorevole Ruini e l'onorevole professore Calamandrei, per l'apprezzamento che essi hanno dato dei lavori delle Commissioni del Ministero per la Costituente, che hanno preparato il materiale di studio che l'Assemblea e le Commissioni hanno utilizzato nel corso dei loro lavori.
Desidero ricordare all'Assemblea i nomi dei presidenti delle tre principali Commissioni, perché penso che gli studi che essi hanno compiuto, così come hanno avuto una grande importanza per formare le opinioni nel corso di questa discussione, così avranno un'importanza eguale, e forse anche maggiore, nel prossimo avvenire, quando l'opinione pubblica, attratta dall'importanza delle nostre presenti discussioni, si interesserà ai fondamentali problemi costituzionali del Paese.
La Commissione economica è stata presieduta dal professor Giovanni De Maria, ed ha raccolto in 14 volumi i risultati dei suoi studi è delle sue relazioni. Non soltanto oggi, ma anche nell'avvenire, chiunque voglia studiare ed apprezzare la situazione economica del nostro Paese dovrà riferirsi ai lavori di questa Commissione.
La Commissione per la riorganizzazione dello Stato, presieduta dal professor Forti, ha chiuso i suoi lavori con tre volumi di relazioni delle quali il professor Calamandrei ha detto quale sia il grande valore scientifico.
La Commissione dei problemi del lavoro, presieduta dal collega professor Pesenti, ha raccolto, a sua volta, in quattro volumi i materiali di studio e di indagine da essa promosse sulla situazione ed i rapporti di lavoro.
Infine desidero di ricordare che una pubblicazione del Ministero della Costituente, il Bollettino di informazioni e di documentazione, diretto dal dottor Terenzio Marfori, ha certamente molto contribuito ad attirare l'attenzione degli studiosi, dei tecnici e degli uomini politici sui problemi costituzionali. Così pure credo sia doveroso rendere omaggio all'iniziativa di un editore privato, l'editore Sansoni, che, in accordo col Ministero della Costituente, ha promosso due collezioni: quella giuridica che si compone di 44 volumi e quella storica che si compone di 20 volumi, che hanno messo a disposizione di tutti gli studiosi un materiale prezioso di studio.
All'insieme di questo lavoro ha presieduto il giovane professore Massimo S. Giannini. Sono sicuro di essere l'interprete di tutta l'Assemblea rendendo a questi studiosi l'omaggio che essi meritano per avere contribuito col loro lavoro ed i loro studi a mettere tutta l'Assemblea in condizione di discutere i problemi costituzionali, ed a mettere il Paese in condizioni di apprezzare i risultati delle nostre deliberazioni.
...
Credo di non forzare l'interpretazione dello spirito del 2 giugno, dicendo che lo possiamo riassumere in quattro principî generali: gli elettori repubblicani il 2 giugno volevano uno Stato unitario, volevano uno Stato democratico, volevano uno Stato laico e volevano uno Stato sociale.
In questo modo essi traevano le conseguenze logiche e naturali delle lotte, che si sono svolte già nel lungo periodo della dominazione fascista e poi, in una forma molto più positiva e concreta, fra il luglio del 1943, l'aprile del 1945 ed il giugno del 1946.
Una grande volontà unitaria ha animato tutti i combattenti della libertà: i reparti della marina, dell'aviazione, del corpo volontari della libertà, che, sulla base della cobelligeranza, hanno partecipato a fianco degli alleati alla guerra contro il tedesco; la resistenza all'interno fino dai suoi primi episodi, che si sono prodotti nelle fabbriche con gli scioperi della primavera del 1943, e poi le formazioni partigiane. Il significato profondo di questa lotta è stato il desiderio e la volontà di salvaguardare l'unità e l'indipendenza del Paese, sia nei confronti dello straniero, sia nei confronti di movimenti interni, che avevano profondamente preoccupato l'avanguardia democratica, e che andavano dal separatismo approvato nella Val d'Aosta a quello della Sicilia.
L'unità e l'indipendenza del Paese è stato l'obiettivo primo e in un certo senso, principale di tutto il movimento di liberazione. Che poi questo movimento, dalle giornate napoletane dell'ottobre 1943 fino alle giornate milanesi dell'aprile 1945, avesse come obiettivo la conquista di una democrazia repubblicana, ciò non ha bisogno di essere dimostrato.
...
Esaminiamo la Costituzione dal punto di vista dello stato unitario.
L'articolo 106 del progetto afferma che la Repubblica italiana è una e indivisibile, che essa promuove le autonomie locali ed attua un ampio decentramento amministrativo. Questo articolo è certamente in perfetta armonia con quello che ho chiamato lo spirito del 2 giugno.
Non direi però la stessa cosa di quella specie di federalismo regionale, balzato fuori dalle improvvisate deliberazioni della Commissione che ha studiato l'attuazione del principio del decentramento amministrativo.
Altri, prima di me, hanno ravvisato in questo federalismo regionale un elemento pericoloso per l'unità dello Stato, per l'unità della nazione.
Certo, si può discutere, come ha fatto l'onorevole Orlando alcuni istanti fa, quale sia stato il valore del federalismo nel Risorgimento.
In questo caso bisogna però tener conto che, nel Risorgimento, ci sono state due concezioni, federalista e regionalista, che non sono mai andate d'accordo tra di loro.
C'è stata una concezione federalista e regionalista moderata, la quale era in fondo una forma di resistenza all'unità nazionale, diciamo la verità, di sabotaggio dell'unità nazionale; c'è stato il federalismo di Cattaneo e di Ferrari che, giudicato dal punto di vista dei principî, rappresenta non già un elemento regressivo, ma un elemento, progressivo nei confronti dell'unitarismo di Mazzini. Però, storicamente, aveva ragione Mazzini e l'Italia non poteva sorgere che come è sorta, cioè come stato unitario.
Lo dimostrano le immense difficoltà che l'Italia ha incontrato dopo il 1860 ed anche dopo il 1870 per attuare lo stato unitario, giunto a maturazione soltanto attraverso le prove dure che la nostra generazione ha attraversato dal 1915 al 1918. Ciò dimostra che, quando si discute un problema di questa natura, non ci si può porre dal punto di vista di un principio astratto, ma bisogna considerare i principî in rapporto alla realtà politica e sociale. Per cui, citare gli Stati Uniti nei confronti dell'Italia, è come se citassimo la luna nei confronti della terra; delle entità che fra di loro non hanno una comune misura di confronto.
Per me è evidente che, come l'Italia non poteva formarsi se non attraverso lo Stato uno e indivisibile, così oggi sarebbe un errore politico e un errore economico voler attuare le autonomie locali e amministrative sotto forma di federalismo regionale.
Sarebbe un errore politico, perché l'Italia è un Paese a formazione sociale, troppo diversa, perché una differenziazione legislativa nel campo regionale non metta la Regione in concorrenza con lo Stato.
Non ci sarebbe nessuna difficoltà a ordinare l'Italia sulla base del federalismo regionale, se le condizioni della Calabria fossero identiche a quelle della Lombardia (Commenti al centro), se la Campania si trovasse allo stesso piano di sviluppo economico, e quindi di sviluppo politico, della Liguria o del Piemonte. Ma, in una Nazione dove all'antagonismo sociale fra poveri e ricchi si unisce il dislivello fra le regioni settentrionali e quelle meridionali, un simile esperimento non può essere tentato prima di aver operato una vasta riforma sociale. Si rischia in caso contrario di mettere in pericolo l'unità della Nazione. (Vivi applausi).
Il federalismo regionale è anche un errore economico.
Non è serio dire alle popolazioni del Mezzogiorno che attraverso un sistema regionalista esse potranno meglio salvaguardare i loro interessi economici di quanto non lo abbiano fatto nel passato con lo Stato unitario. Le regioni meridionali hanno il diritto di contare sull'assistenza di quelle settentrionali, ciò, che è possibile soltanto sulla base di una legislazione unitaria.
Signori, è mia profonda convinzione che, se la Sicilia, la Sardegna o altre regioni meridionali sono economicamente in ritardo, non è per un eccesso di centralismo, ma perché il loro legame col restante del Paese non è abbastanza intenso. La soluzione del problema meridionale non la si trova nella separazione ma in una più intima fusione del Nord col Sud, in una politica di solidarietà delle regioni più ricche verso le più povere."

3. Il secondo estratto riguarda invece un recente post tratto dal sito Lavoce.info che fornisce dati e informazioni economico-concettuali "di base" relativamente a come funziona, fisiologicamente, la distribuzione territoriale della spesa di uno Stato unitario, sempre tenendo presente, in premessa la distinzione tra:
a) "effetto redistributivo" strutturale proprio della universalità della spesa pubblica e quindi delle funzioni e servizi che essa tende ad assestare a un livello standard e che essenzialmente dipende dalla distribuzione demografica (staticamente considerata: il discorso in termini dinamici, come insegna la realtà attuale, si fa più complesso: si pensi alla scuola pubblica-distribuzione dei plessi e del personale scolastico o alla sanità, o, ancora, alla semplice dislocazione di uffici periferici dello Stato, primi tra tutti quelli delle forze di polizia);
b) vere e proprie politiche territoriali di infrastrutturazione e di incentivazione dell'impiego di fattori della produzione. Basti dire al riguardo, che l'unità d'Italia ha agito in senso inverso rispetto al sud, in questa ottica; e, in termini finanziari, qualsiasi IPOTESI al riguardo cessa con l'adozione del modello Maastricht (basti ricordare che i "patti territoriali", anche se percentualmente allocati al sud in maggior misura, derivano da fondi europei, rispetto ai quali l'Italia è in un deficit contributivo in media dai 6 ai 7 miliardi all'anno, elemento che, unito ai vincoli fiscali, non può che determinare tagli progressivi della spesa universale).
 

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3. Il secondo estratto riguarda invece un recente post tratto dal sito Lavoce.info che fornisce dati e informazioni economico-concettuali "di base" relativamente a come funziona, fisiologicamente, la distribuzione territoriale della spesa di uno Stato unitario, sempre tenendo presente, in premessa la distinzione tra:
a) "effetto redistributivo" strutturale proprio della universalità della spesa pubblica e quindi delle funzioni e servizi che essa tende ad assestare a un livello standard e che essenzialmente dipende dalla distribuzione demografica (staticamente considerata: il discorso in termini dinamici, come insegna la realtà attuale, si fa più complesso: si pensi alla scuola pubblica-distribuzione dei plessi e del personale scolastico o alla sanità, o, ancora, alla semplice dislocazione di uffici periferici dello Stato, primi tra tutti quelli delle forze di polizia);
b) vere e proprie politiche territoriali di infrastrutturazione e di incentivazione dell'impiego di fattori della produzione. Basti dire al riguardo, che l'unità d'Italia ha agito in senso inverso rispetto al sud, in questa ottica; e, in termini finanziari, qualsiasi IPOTESI al riguardo cessa con l'adozione del modello Maastricht (basti ricordare che i "patti territoriali", anche se percentualmente allocati al sud in maggior misura, derivano da fondi europei, rispetto ai quali l'Italia è in un deficit contributivo in media dai 6 ai 7 miliardi all'anno, elemento che, unito ai vincoli fiscali, non può che determinare tagli progressivi della spesa universale).

Anzi, il progressivo venir meno del minimo fisiologico di cui al punto 1), determinato dalla diminuzione in termini reali dei principali aggregati della spesa universale, al netto dell'invecchiamento della popolazione, aggrava la situazione strutturalmente: il sud si svuota considerando anche se, come evidenzia Cesare Pozzi, i residenti "ufficiali" sono in parte fittizi e corrispondono in realtà a popolazione-lavoratori già trasferitisi), sicchè diviene inevitabile la "revisione" del numero di scuole, ospedali, uffici di Bankitalia e postali, inclusi.
E' l'altra faccia della polarizzazione territoriale, incentrata su Roma e Milano, anzitutto, e in inarrestabile corso con deindustrializzazione effettiva e potenziale (cioè desertificazione dei fattori della produzione).
Preciso ancora che l'effetto redistributivo della spesa universale agisce anche in senso non territoriale Nord-Sud, anche se dovrebbe apparire ovvio, quindi anche in senso sociale localizzabile tout court: (cioè agisce via via su ogni decrescente livello di comunità territoriale, fino ad arrivare alla considerazione del singolo individuo); Belluno, ad esempio, presumibilmente avrà un residuo fiscale rimpolpato dal maggiore di Treviso; e a Treviso, operai, magari immigrati, avranno un trasferimento di utilità dai contribuenti più abbienti (a titolo di esempio, e residenti in determinate zone del centro urbano, identificabili come aventi un residuo fiscale anche notevole rispetto ad altri "quartieri"), quanto al mantenimento di strutture scolastiche, ospedaliere e di presidio del territorio.
E lo stesso, vale per gli effetti su un sistema previdenziale a ripartizione...]. E dunque, come prosegue il prof.Petraglia, con un passo che sottolineo:
Strumentalmente, la redistribuzione interpersonale tra contribuenti a diversa capacità contributiva viene confusa con la redistribuzione tra i territori di residenza degli stessi.
3.1. Svolta questa premessa, riportiamo l'(ampio) estratto da Lavoce.info .
[Va solo ulteriormente precisato che lo stesso concetto di residuo fiscale ha senso nella sua origine "federalista" statunitense, sulla base di un tentativo di temperamento della giustizia commutativa applicata ai rapporti Stato-cittadino, temperamento reso necessario in un paese che, ove non lo avesse applicato, non avrebbe potuto superare i postumi di una tragica guerra civile. Il "residuo", infatti, diviene rilevante sulla base della visione esclusivamente etico-individualista del rapporto tra cittadino e governo. Logicamente, infatti, il "residuo" deriva dal calcolo di un saldo interno alla considerazione contrattualistico-individuale del rapporto con lo Stato, del tutto estranea alla nostra legalità costituzionale e, in genere, alle costituzioni - scritte e rigide- europee del secondo dopoguerra]:
"La stima del livello delle entrate e delle spese delle amministrazioni pubbliche a livello regionale consente di calcolare il saldo, noto in letteratura come residuo fiscale. Definito da James Buchanan come la differenza tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e i benefici che ne riceve sotto forma di servizi pubblici, è uno strumento attraverso il quale valutare l’adeguatezza dell’azione redistributiva dell’operatore pubblico.
Il potenziale informativo dello strumento consente, infatti, di evidenziare in maniera chiara l’ammontare complessivo della redistribuzione tra le diverse aree del paese compiuta dallo Stato centrale.
...
Occorre sottolineare come il concetto di residuo fiscale fu introdotto per trovare una giustificazione etica alla necessità di operare trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli meno ricchi degli Stati Uniti, in quanto Buchanan asseriva che l’azione pubblica, in base al principio di equità, doveva garantire l’uguaglianza dei residui fiscali dei cittadini di una determinata nazione.
In Italia, la redistribuzione delle risorse è data da tre diverse componenti: la necessità di garantire a tutti i cittadini i medesimi servizi connessi a diritti fondamentali (come salute e istruzione), la messa a punto di iniziative per lo sviluppo economico di aree a basso reddito, (ndr; v. però sopra, p.3 sub b))nonché l’utilizzo di meccanismi di ripartizione delle risorse basate su criteri storici.

Stime per le regioni italiane
Di seguito viene presentato l’aggiornamento al 2015 della stima del residuo fiscale delle diverse regioni italiane. L’analisi è stata realizzata utilizzando la metodologia di riparto su base regionale del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche introdotta dal lavoro di Alessandra Staderini e Emilio Vadalà e poi aggiornata da Eupolis Lombardia.
Nella tabella 1 sono riportati i valori pro capite delle entrate, delle spese e il relativo residuo fiscale.

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...
Il livello delle entrate si caratterizza per una apprezzabile variabilità, soprattutto per quel che riguarda il divario tra le regioni del Mezzogiorno e le rimanenti. Ciò conferma la circostanza che la capacità di sviluppare gettito fiscale è proporzionale al reddito prodotto dal territorio.
...
Sul fronte della spesa pubblica, il livello pro capite è più elevato nelle regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario. Evidentemente le consistenti risorse finanziarie di cui beneficiano le regioni a statuto speciale hanno garantito livelli di spesa maggiori. Allo stesso tempo anche le regioni più piccole (Liguria, Umbria, Basilicata, Molise, Abruzzo) mostrano livelli di spesa pro capite maggiori, dovuti presumibilmente alla indivisibilità di alcuni beni pubblici e a diseconomie di scala. Le regioni del Mezzogiorno complessivamente mostrano un livello di spesa leggermente più basso rispetto alle altre.
Per quel che concerne i residui fiscali sono evidenti invece i flussi redistributivi verso le regioni con reddito pro capite più basso, verso quelle a statuto speciale e verso quelle di piccole dimensioni. Le regioni del Mezzogiorno sono tutte beneficiarie della redistribuzione.
La figura 2 mostra come la variabilità dei residui fiscali sembra essere riconducibile principalmente alle differenze di sviluppo economico del territorio, (ndr; il che dà ragione a Nenni, a distanza di 70 anni) con l’eccezione di un gruppo di regioni a statuto speciale (Valle d’Aosta, province autonome di Trento e Bolzano e Friuli Venezia Giulia) e di piccole dimensioni (Liguria).
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Fonte: elaborazioni Cnr-Issirfa su dati Istat e Cpt.

Sono, quindi, confermate le indicazioni di precedenti lavori (Carmelo Petraglia e Domenico Scalera) e cioè che i residui riflettono la redistribuzione tra individui con redditi in media più elevati al Nord e più bassi al Sud, (ndr; il che significa che ridurre/eliminare il residuo implica la radicale negazione dell'effetto redistributivo essenziale del sistema fiscale di cui agli artt. 3, comma 2, e 53 Cost.), mentre la spesa pubblica è distribuita in maniera abbastanza uniforme tra tutti i cittadini aventi gli stessi diritti (ndr; il che, simmetricamente, implica che ridurre/eliminare il residuo, differenzia il livello dei diritti fondamentali in ragione di differenze di sviluppo economico territoriale, facendo aritmeticamente corrispondere alla maggior "autonomia" di una parte della popolazione di uno Stato, la minor autonomia dell'altra, vincolata a non poter coprire - con risorse che non ha, e che, in aggiunta, non potrà mai più sviluppare-, il costo uniforme dei servizi pubblici essenziali. Ciò vale a maggior ragione all'interno della "scarsità di risorse" imposta dall'adesione alla moneta unica).
Allo stesso tempo i dati mostrati inducono ad affermare che i beneficiari della redistribuzione non sono solamente le regioni del Mezzogiorno ma anche quelle a statuto speciale e quelle di piccole dimensioni; e che il livello di spesa delle regioni meridionali è analogo e leggermente più basso rispetto a quello delle altre regioni e, dunque, il miglioramento dei residui fiscali di tali regioni non può che essere correlato a politiche di sviluppo dei rispettivi territori."

Pubblicato da Quarantotto a 16:24 31 commenti: Link a questo post
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sabato 21 ottobre 2017
BANCA CENTRALE INDIPEND[/paste:font]
 

aquilarealeatapple

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" h!!p://www.affaritaliani.it/cronache/catania-donna-soccorre-due-ragazzi-che-la-rapinano-e-tentano-di-violentarla-506829.html "

simulazione di malessere , furto , tentativo di violenza carnale , percosse .. questi altri 2 vermi necessitano di 40 frustate in pubblico ciascuno e lavori forzati 8 ore al giorno a coltivare patate per 2 anni .
Voi sapete perchè la giustizia non funziona vero ? Che sia perchè i cardini della giustizia sono bloccati e corrotti da spaventosi conflitti di interesse ?
Avete tutta questa manodopera gratuita costituita da vermi , li volete qui .. prendetevene cura e metteteli ai lavori per la comunità , e i 2 anni che questi vermi dedicheranno alla coltivazione delle patate , i frutti , siano corrisposti alla madre e alla figlia come riparazione al torto subito !
 

aquilarealeatapple

Forumer attivo
vi prendono in giro con le pensioni , 63 i politici e 67 i cittadini .. continuano a prendervi in giro , loro sono in pensione quando entrano a lavorare in politica , voi guardate il vitalizio che è certamente iniquo e non guardate la busta paga .. quindi una persona che inizia a 15 anni a lavorare , a 67 anni avrebbe 52 anni versati di contributi , quanti anni pensate di vivere oltre i 67 anni ?
5 ? 10 ? 15 ? 20 ? 2000 ? 5000 anni ? quando li recuperate i soldi versati all'inps se l'aspettativa di vita è nei 90 anni se va bene ? vi restituiscono 23 anni e ve ne mangiano 29 ? Lo volete capire che vi prendono in giro si o no ? Non hanno accantonato niente dei soldi che voi avete versato , niente di niente ! riuscite a sentire dalle orecchie ? l'inps deve saltare , fatevi fare i conteggi all'inps , cancellatevi dal codice fiscale perchè è questo che vi lega , e fatevi restituire tutto il montante versato dei vostri 41 anni di lavoro ! Fossero anche soli 5 anni versati , fateveli restituire tutti i contributi obbligatori basati sul codice fiscale che voi avete versato !

Finitela di dire agli escrementi ladri di pensione di diverse migliaia d'euro al mese di vergognarsi , sono da una vita che rubano e non si vergogneranno mai , diteglielo , urlateglielo davanti al muso che fanno schifo , che sono schifosi vermi succhiasangue , loro e chi ha costituito le leggi sulle pensioni , ne avete ben motivo , però finitela di fargli presente che devono vergognarsi perchè vi ridono dietro come maiali che sguazzano nel fango .. il sistema è tutto marcio e prima o poi , il conto arriva ! altrochè se arriva !
 
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mototopo

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Ray Dalio scommette contro l’ Unione Europea
Bosque Primario 23 ottobre 2017 , 0:10 Economia, Notizie dall'Europa, Opinione 5 Commenti 4,354 Viste


DI RAUL ILARGI MEIJER

TheAutomaticEarth.com

C’è un punto di cui ha parlato recentemente il governatore della Bank of England, Mark Carney, che può essere il primo (o il secondo? poi vedremo) ingranaggio che fa girare la ruota dell’UE. Cioè, la compensazione dei derivati. È una delle poche aree in cui Bruxelles può rimetterci molto di più di Londra, ma è un’area bella robusta. E Carney ha voluto mettere un punto interrogativo gigante sulla preparazione della UE.

Carney Rivela il Potenziale Tallone di Achille della UE nei colloqui sulla Brexit

Carney ha spiegato perché il settore finanziario europeo correrà un rischio maggiore di quello del Regno Unito se ci sarà una Brexit “dura” o “senza negoziazioni”. […] Quando gli viene chiesto che genere di potenziale shock potrebbe subire, in termini di stabilità finanziaria, il Consiglio europeo, Carney ha diplomaticamente commentato che “è in corso un processo di studio”. Dopo aver dato l’allarme sulle compensazioni, durante il suo ultimo discorso alla Mansion House, ha detto: “I costi per frammentare le compensazioni, in particolare le compensazioni degli swap sui tassi di interesse, dovrebbero essere assorbiti principalmente dall’economia reale europea e sono costi considerevoli”.

Richiamandosi alla continuità di decine di migliaia di contratti di derivati, ha affermato che “è abbastanza chiaro che non saranno più validi”, che questo “poteva essere risolto solo da entrambe le parti” ma è stato “sottovalutato” da parte dell’Europa. Carney ha tirato un colpo basso all’Europa parlando della sua mancanza di preparazione “Noi siamo preparati perché potrebbe essere possibile una nostra uscita senza nessuna transizione … il lavoro di preparazione per noi c’è stato, ma è stato molto meno di quello che deve fare l’Unione europea”.

Dal punto di vista di Carneys “È nell’interesse dell’UE dei 27 fare un accordo di transizione”. Inoltre, a mio avviso dato la dimensione delle questioni dei 27 paesi che hanno voce in capitolo nella UE 27, in ultima analisi ci sarà un accordo di transizione. Il tempo, tra oggi e fine marzo 2019, è piuttosto limitato, per negoziare sulle grandi e complesse istituzioni e attività …

“Se si pensa all’attuazione del Basilea III, noi siamo i soli tra gli attuali membri dell’UE ad avere un’ampia esperienza nella gestione delle transizioni per le singole imprese di varie attività sui derivati e i loro rischi in base alla giurisdizione del Regno Unito. Ciò richiede 2-4 anni. A seconda dell’accordo, stiamo parlando di una notevole quantità di lavoro. “[..] “Non vorrei usare i problemi di stabilità finanziaria come leva per far pressione ma, nell’interesse di tutti i cittadini, non vorrei che venissero affrontati in modo freddamente tecnocratico “.

Sembra quasi che Carney conosca una cosetta o due a cui Juncker e i suoi amici non hanno sufficientemente pensato. La UE intende spostare sul continente tutti – o buona parte – la clearing dei derivati, ma non si tratta di una cosa facile, anzi farsene carico è una ragnatela tutta aggrovigliata ed estremamente costosa. Bruxelles probabilmente vuole usare questa storia per fare pressione su Londra in qualche modo, ma una Brexit dura potrebbe essere spiacevole, se non peggio. Bloomberg dello scorso giugno:

La UE guarda ai Giganti dei Derivative-Clearing minacciando la Relocation

“Oggi, un numero importante di strumenti finanziari denominati nelle valute degli Stati membri viene liquidato da CCP riconosciuti da paesi terzi”, secondo la proposta. “Per esempio, l’importo teorico in scadenza al Chicago Mercantile Exchange negli Stati Uniti è di 1,8 trilioni per i derivati con tasso di interesse espresso in euro”, ha dichiarato la commissione. “Questo solleva una serie di preoccupazioni”.

L’industria finanziaria ha lottato duramente contro una politica di localizzazione. La International Swaps and Derivatives Association ha dichiarato che richiedere che i derivati di tasso di interesse in euro siano liquidati da una clearing-house con sede nella UE, gonfierebbe i requisiti iniziali del margine fino al 20%. La FIA, un’organizzazione commerciale per i futures, le opzioni e i mercati dei derivati a livello centrale, ha detto che la delocalizzazione forzata potrebbe “quasi raddoppiare i costi previsti da 83 a 160 miliardi di dollari”.

Secondo l’articolo di Bloomberg, l’importo stimato in sospeso dei derivati con tasso di interesse OTC denominati in euro è di circa 90 trilioni di dollari, il 97% dei quali passa attraverso la London Clearing House (LCH) con sede in .. beh, c’è poco da indovinare …. Wikipedia:

LCH è una casa di compensazione indipendente con sede in Europa che si occupa di importanti scambi internazionali, nonché di una serie di mercati OTC. Sulla base dei dati del 2012, La London CH ha compensato il 50% circa del mercato globale dei tassi di interesse ed è il secondo polo mondiale di clearing per bonds e repos, ed opera su 13 mercati del debito pubblico.

Inoltre, alla LCH si compensa un’ampia gamma di attività, tra cui: merci, titoli, derivati negoziati in borsa, credit default swap, contratti energetici, derivati merci, swap su tassi di interesse, cambi in valuta e obbligazioni in euro e sterline. I soci della LCH comprendono un gran numero di grandi gruppi finanziari tra cui quasi tutte le maggiori banche d’investimento, broker e international commodity houses.

Altro dettagli dalla Reuters, dello scorso giugno:

Il Corpo dei derivati mette in allarme la UE per il trasferimento dell’ Euro Clearing da Londra

La spostamento del clearing dei derivati denominati in euro, da Londra, sul continente europeo richiederebbe alle banche di stanziare più denaro per garantire il commercio dalle inadempienze, un costo che dovrebbe essere riversato sulle stesse imprese, dice un’organizzazione globale dei derivati. [..] La LCH, una controllata del London Stock Exchange attualmente compensa la maggior parte degli swap denominati in euro, un contratto sui derivati che aiuta le società a contrastare movimenti inaspettati nei tassi di interesse o in valuta.

La Gran Bretagna, tuttavia, uscirà dal blocco europeo nel 2019 e questa operazione sarà fuori dalla portata normativa della UE. La International Swaps and Derivatives Association (ISDA), uno dei più importanti organi dell’industria dei derivati mondiali, lunedì scorso ha dichiarato che una “rilocalizzazione” del clearing in euro sull’Europa continentale ridurrebbe la liquidità dei mercati e ridurrebbe la capacità di risparmio bancario sui margini di compensazione nell’ambito della stessa liquidità.

La Deutsche Bank possiede il portafoglio di derivati più grande del mondo. Non tutti saranno denominati in euro, ma una buona parte sicuramente si. E io so che si tratta di importi nominali e che i derivati non sono cose usa e getta, così se la loro compensazione si svolge senza troppa trasparenza, allora cominciano le difficoltà.

Juncker sa bene come vanno queste cose. Anzi mi pare divertente segnalare questo:

I Soldi Divideranno l’ Europa dopo la Brexit

Come parte del periodo di transizione di circa due anni, chiesto nel suo fluidificante discorso di Firenze il mese scorso, la Gran Bretagna continuerebbe a pagare il bilancio dell’UE per assicurare che nessuno degli Stati membri debba rimetterci soldi per la sua decisione di uscire. Questi pagamenti netti di circa 10 miliardi di euro all’anno risolverebbero il problema immediato della UE, per il buco che altrimenti si aprirebbe nelle sue finanze negli ultimi due anni dell’ attuale quadro di bilancio, che va dal 2014 al 2020.

[..] attraverso le sue procedure contabili, la UE si impegna per la spesa che verrà pagata in futuro dagli Stati membri. Ciò significa che anche dopo il 2020 ci saranno ancora pagamenti dovuti per impegni assunti durante l’attuale piano di spesa settennale. Quel mucchio di bollette non pagate, brillantemente chiamato “reste à liquider”, dovrebbe arrivare a 254 miliardi di euro alla fine del 2020.


Le stime di quanto dovrebbe pagare la Gran Bretagna di queste spese variano, ma tenendo conto di quanto potrebbe essere stato speso per progetti in UK si dovrebbe trattare di circa 20 miliardi di euro. Oltre a questo – e di questo l’Unione europea si sta occupando maggiormente – ci sono le passività dell’UE , in particolare quelle per i benefici pensionistici non finanziati del personale europeo, che si stimano in 67 miliardi di euro alla fine del 2016, che la Gran Bretagna dovrebbe condividere. Anche tenendo conto di qualche potenziale compensazione della sua quota, la Gran Bretagna si può veder presentare un conto tra i 30 e i 40 miliardi di euro oltre ai 20 miliardi di euro che deve pagare durante il periodo di transizione.

La UE si finanzia sulla volatilità, tanto che avrà un pila di € 254 miliardi di fatture non pagate tra 3 anni. È spaventoso. Non per Bruxelles, ma per i paesi membri della UE. Un Brexit duro, in cui la Gran Bretagna può rifiutarsi di pagare, è forse ancora più spaventoso.

Comunque, una volta che Juncker avrò fatto tutto, dovrà passare al problema successivo. I derivati sono una grande nuvola che minaccia l’Europa, ma questo c’è qualcos’altro di potenzialmente sconvolgente.

Ray Dalio, manager del più grande hedge fund del mondo, sta cercando di fare un cortocircuito, facendo grandi scommesse contro qualsiasi cosa sia italiana e, data la dimensione dell’Italia e quindi della sua importanza per la UE, le sue scommesse contro l’Italia sono scommesse dirette contro Bruxelles.

Il fondo Dalio apre con 300 milioni di dollari contro l’azienda dell Energia Italiana

Bridgewater Associates sta scommettendo un miliardo di dollari contro contro l’economia italiana. Il più grande hedge fund del mondo ha annunciato una scommessa di 300 milioni di dollari contro l’ Eni SpA, il gigante del petrolio e del gas italiano, secondo dati raccolti da Bloomberg. Bloomberg ha riferito che l’azienda di Ray Dalio ha scommesso più di 1,1 miliardi di dollari contro le azioni di sei Istituti finanziari italiani e contro altre due società.

Quest’ultima scommessa è la seconda per importanza fatta dal hedge fund contro una società italiana, con 310 milioni di dollari scommessi solo contro Enel SpA, il più grande servizio di pubblica utilità del Paese. Titolare della quota di maggioranza dell’Eni è il governo italiano tramite la Cassa Depositi e Prestiti SpA e il Ministero dell’Economia. Il coinvolgimento del governo si riflette anche nella nomina dell’amministratore delegato. L’attuale CEO Claudio Descalzi è al timone dell’azienda dal 2014 ed è stato riconfermato quest’anno.

Un miliardo e centomila dollari contro il sistema bancario, 310 milioni di dollari contro la più grande impresa pubblica, 140 milioni di dollari contro le Assicurazioni Generali e ora 300 milioni di dollari contro la compagnia nazionale del petrolio e del gas. Sembra qualcosa di più grande di quello che mostra questo grafico di Bloomberg.



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Dalio non va a vedere il bluff dell’Italia, non vuole fare come fece George Soros con la sterlina inglese nel 1992, Dalio sta mettendo alla prova l’intera UE e il suo sistema finanziario. Sta dicendo di non credere che potrà tenere il passo. Sta sfidando beffardamente Mario Draghi e punta “tutto quello che ci vuole”.

Quindi che cosa faranno Roma, Bruxelles e Francoforte? Non potranno ignorare quello che fa il No 1 degli hedge fund per sempre. Dovranno pompare denaro verso l’Italia e in grandi quantità. La Merkel non gradirà, e nemmeno il suo nuovo alleato di coalizione FDP e la Bundesbank potrebbe avviare un’azione legale.

Dalio ha trovato il tallone d’Achille dell’Unione, che non è solo il fatto che l’Italia sia insolvente (non è da sola in questo), ma ha trovato che l’Europa è tutta un grande cinema dove si vuol dare a tutti l’impressione che le cose stanno galleggiando. Così Dalio ha detto: Quanto costa un biglietto per entrare al cinema ? Ora il biglietto è pagato e lui sta dentro.

‘Bridgewater non è entrato al cinema per niente. Spendere 1,85 miliardi di dollari non è un giochetto neanche per lui.

L’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, potrebbe anche aver detto che Dalio perderà le sue scommesse, ma secondo i responsabili del FMI, le sofferenza italiane per i prestiti a fine giugno 2016 – pari a 356 miliardi di euro – erano il 18% del totale dei prestiti delle banche italiane, il 20% del PIL italiano e di un terzo dei NPL (prestiti non performanti) complessivi della zona euro. Intesa Sanpaolo ne possiede una bella fetta.

“Qualunque cosa ci voglia” potrebbe essere troppo da spendere per la UE, e sembra che Draghi sia stato messo nel sacco, così come Juncker e la Merkel.

Quanti miliardi ci vorranno per buttar fuori Dalio? E dopo ? Chi sarà il prossimo, quale hedge fund, quale politico, quale capo della BCE? Prossimamente nei migliori cinema!



Raúl Ilargi Meijer

Fonte : https://www.theautomaticearth.com

Link : https://www.theautomaticearth.com/2017/10/ray-dalios-shorting-the-entire-eu/

18.10 2017
 

mototopo

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martedì 31 ottobre 2017
LA L€GGE DEL TAGLIONE (DEL DEBITONE). HIC MAN€BIMUS OPTIM€ [/paste:font]

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Poi l'Italia brucia e i viadotti crollano? Accettate virilmente...

1. Tagliare la spesa pubblica, si sa, è segno di virile credibilità di fronte ai mercati e a l'€uropa. D'altra parte, invece, gli investimenti effettuati con spesa pubblica, spesso unificati nella categoria (sempre di spesa pubblica) "misure supply side", risultano virtuosi. E quando c'è la virtù, come ben sanno gli innamorati, "le dimensioni non contano".

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E questo è l'ultimo aggiornamento ufficiale, tenuto conto della nota al Def, dell'andamento dei "mitici" investimenti pubblici:

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2. Ma ecco infatti, nel disegno di legge di "stabilità" per il 2018, le rispettive dimensioni della cr€dibilità rapportate a quelle della virtù:
La manovra -secondo il documento- avrà un impatto positivo sui tassi di crescita del pil in termini di differenziale tra lo scenario programmatico e quello tendenziale ammonta a "0,3 pp in ciascuno degli anni 2018 e 2019".
Nel dettaglio, ammontano a 3,5 miliardi i tagli della spesa pubblica per il 2018 [n.b.: sono tagli strutturali, quindi, a differenza delle "decontribuzioni" e degli "investimenti pubblici" sono 3,5 miliardi trascinati nella loro intera misura per ogni futuro esercizio di bilancio] che andranno a copertura delle misure della Legge di Bilancio.
Altre coperture da 'entrate aggiuntive' allo studio nell'ambito della lotta all'evasione di alcune imposte vengono quantificate in 5,1 miliardi di euro.
Le risorse per la competitività e l'innovazione, che includono anche le decontribuzioni per i giovani, nel 2018 ammontano a 338 milioni; 2,1 mld nel 2019 e quasi 4 miliardi nel 2020. Gli stanziamenti per lo sviluppo che comprendono le spese per gli investimenti pubblici saranno pari a 300 milioni nel 2018, che passeranno a 1,3 miliardi nel 2019 e a 1,9 miliardi nel 2020. I fondi per la lotta alla povertà, reddito di inclusione sociale incluso dunque, sono 600 milioni nel 2018, 900 milioni nel 2019, 1,2 nel 2020.
3. Inutile dire, però, che per la Commissione UE, pur conscia dell'incombere del "voto", la manovra non è abbastanza credibile e virile:
La Commissione aveva risposto al ministro Padoan in modo interlocutorio. Evidentemente, la manovra 2018 non convince neppure se l’obiettivo concordato dovesse essere una riduzione del disavanzo strutturale dello 0,3% del Pil. L’esecutivo comunitario vorrebbe ricevere maggiori precisazioni dal governo entro martedì. La situazione è complicata dal fatto che Bruxelles prevede una significativa deviazione dei conti pubblici anche per quanto riguarda il 2017.
In particolare, la Commissione fa notare che «l’aumento previsto della spesa pubblica primaria netta è superiore all’obiettivo di una riduzione di almeno l’1,4%» (stesso problema è notato per il 2017). La lettera di Bruxelles è per certi versi di maniera (una manciata di paesi, tra cui la Francia, ha ricevuto una richiesta di informazioni). Non c’è desiderio di mettere in difficoltà il governo Gentiloni a ridosso del voto.
Interessante è il riferimento alla spesa legata all’emergenza migranti. Nel chiedere dettagli, Bruxelles sembra pronta a tenerne conto nel calcolare l’obiettivo di riduzione del deficit. Ciò detto, la Commissione deve far rispettare il Patto; chiede manovre precise; e vuole coprirsi le spalle da eventuali critiche di paesi insoddisfatti da ciò che ritengono una eccessiva discrezionalità nell’analisi dei bilanci".

Padoan, virilmente risponde: "il vino è buono".

4. In questo simpatico e ormai consueto siparietto, ogni cosa è illuminata dalla condivisa fede incrollabile nell'austerità espansiva: teologia che Stiglitz, quando vuole, demolisce in modo esemplare...probabilmente contando sul fatto - rassicurante- di rimanere inascoltato.
Ciò che distingue il gioco delle parti annuale Italia vs Commissione UE, sono diversi gradi di separatezza dal modello teologico germanico: il fiscal compact che, se realmente non lo si volesse incorporare nei trattati, tanto varrebbe recederne, come sarebbe possibile in ogni momento, indipentemente dalla perdurante vigenza del (pallido) art.81 Cost..
Tuttavia, quanto a teologia dell'austerità espansiva, le nostre tradizioni non sarebbero seconde a nessuno, come ci riporta Francesco Maimone con annessa analisi di Federico Caffè: Adoratori della deflazione selvaggia e del taglio alla spesa pubblica, da sempre.
ADDENDUM- Anche perché, il modello di crescita presunta, che con dovizia ci illustra anche l'Istat, sottolineando come esso costituisca un modello normativizzato via Commissione UE, è quello che prevede che la crescita stessa sia determinata ESCLUSIVAMENTE dalle forze dell'offerta.

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5. Ne emerge, da "tempi non sospetti", una teorizzazione morale, virile e credibile, di rara chiarezza:
Nel III Rapporto della Commissione Economica presentato all’Assemblea Costituente del 18 ottobre 1946 (Problemi monetari e commercio estero - Interrogatori, questionari, monografie), veniva interrogato l’allora ragioniere generale dello Stato, Gaetano Balducci, per chiarire la situazione della tesoreria onde trarre prospettive per il futuro. Anche allora bisognava “sanare” il bilancio dello Stato!
Baffi chiese a Balducci: “Si potrebbe fare economia in qualche settore? ”.
La risposta di Balducci fu la seguente:
… Su questo sono un po’ pessimista, perché purtroppo non si riesce a far comprendere tale verità nemmeno agli uomini politici responsabili. Quando un paese si trova nella situazione economica in cui si trova il nostro, tante spese bisogna assolutamente abbandonarle, anche se sono un prodotto della civiltà. Bisogna avere il coraggio di scendere dal livello di civiltà in cui si era. Per esempio (è doloroso dirlo), le spese di assistenza sociale, le spese di istruzione, ecc. non solo vengono tenute al livello di prima, ma anzi si vogliono aumentare, mentre, viceversa, ciò non è possibile…” [Rapporto cit., 108].

Per tale ragione nel 1949 – a Costituzione in vigore – Federico Caffè non poteva che stigmatizzare il mito della “deflazione benefica e risanatrice” che affermava essere alimentato “dalla corrente più autorevole (o comunque più influente) dei nostri economisti, e pedissequamente ripetuto dai politici, sia pure con la consueta riserva, di carattere del tutto retorico, che esclude una loro adesione «a una politica di deliberata deflazione». In realtà non occorre che uno stato di deflazione si manifesti in quanto deliberatamente voluto dalle autorità politiche; se esso, comunque, si manifesta, una eventuale inazione delle autorità di governo implica una loro grave responsabilità, in quanto la deflazione, non meno e forse ancor più della inflazione, è uno stato patologico che non si sana attraverso l’azione spontanea delle forze di mercato”.
Egli si rendeva conto che in Italia non fossero possibili allora “… alcune forme di manovra del debito pubblico del genere di quelle seguite negli Stati Uniti e nell’Inghilterra in base alla tecnica della finanza funzionale e ai canoni della politica economica «compensatoria». Ma anche gli obiettivi più modesti di una spesa pubblica in funzione anticiclica e di interventi stimolatori molto più blandi… sembrano irraggiungibili di fronte alla visione strettamente contabile e computistica degli organi in parola, ai quali pare ben improbabile fare accogliere un giorno l’idea che possa essere utile talvolta non già far quadrare i bilanci, ma tenerli in squilibrio. Alla fine gli organi agiscono con la testa degli uomini che li dirigono…”.

5.1. E ricordando con “sgomento” le citate parole di Balducci, Caffè proseguiva:
“…Quando si aggiunge che, parlando di spese di istruzione, egli precisa che intende riferirsi addirittura ai maestri elementari, si può comprendere quale irrimediabile sconforto debba arrecare la consapevolezza che idee simili prevalgano in organi pubblici in posizione strategica agli effetti della manovra della politica economica…
CHE SENSIBILITÀ DI FRONTE AI PROBLEMI DELLA DISOCCUPAZIONE potrà avere chi ritiene eccessiva la spesa per l’istruzione o per i servizi sociali in Italia?
Non si tratta di necessaria impopolarità che qualcuno deve anche assumersi. Si può essere impopolari dicendo che certe spese non debbono essere fatte, ma si può esserlo dicendo, invece, che devono essere trovati i mezzi per poter sostenere le spese stesse, ad esempio con una tassazione più incisiva o più perequata.
Nella preferenza accordata a una alternativa anziché all’altra vi è già un concetto di scelta che implica preoccupazioni per certi interessi di gruppo anziché per altri … Alla deflazione pretesa «risanatrice», non meno che all’inflazione, SONO LEGATI INTERESSI PARTICOLARI CHE SI AVVANTAGGIANO DELLA SITUAZIONE CHE NE RISULTA, A DANNO DELLA PARTE PIÙ ESTESA DELLA COLLETTIVITÀ…
” [F. CAFFE’, Il mito della deflazione, Cronache sociali, n. 13, 15 luglio 1949].
Quindi, tenetelo a mente: “bisogna avere il coraggio di scendere dal livello di civiltà” in cui eravamo, altro che concorsone con l€uro ed il fiscal compact..."

5.2. Sulla tomba dell'Italia, nella prospettiva dell'imminente decesso voluto (a grandi intese) per la prossima legislatura, scriveranno il seguente epitaffio (e il senso è ovviamente invertito):
Hic man€bimus optim€
 

mototopo

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GLI ALLIEVI E I "MAESTRI": DRAGHI E VISCO VS. CAFFE' E M.S GIANNINI [/paste:font]


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1. Di questo "estratto" sotto riportato ci interessa il punto in cui si parla di "allievi" dello stesso maestro. Questa ascendenza scolastica è spesso riportata (v. ad es; qui e qui), laddove come maestro si debba intendere Federico Caffè.


2. Le "bio" curriculari dei due peraltro dicono di percorsi che poi divergono radicalmente dalla "scuola" riconducibile a tale maestro, al punto che questa qualità di "allievi" non risulta oggi ragionevolmente attribuibile se si guarda al percorso scientifico-formativo effettivamente svolto dai due.
Draghi, in realtà "matura" con un Ph.D al MIT con una tesi sotto la supervisione di Modigliani e, udite, udite!, Solow (che abbiamo visto proprio qui, p.4, in Addendum, a proposito dei modelli di "crescita" affidati "esclusivamente alle forze dell'offerta").
Visco, a sua volta, tra il 1974 e il 1981 si perfeziona presso la University of Pennsylvania, dove ottiene il suo Ph.D , evolvendo la sua esperienza in ruoli come questo: "dal 1997 al 2002 è stato Chief Economist e Direttore dell'Economics Department dell'OCSE".
Per entrambi la prevalente attività di ricerca e di studio, nonché l'esperienza operativa presso istituzioni economiche nazionali e internazionali, si colloca nel solco della neo-macroeconomia classica (v. qui, p.4: quella che, dedita al recupero della visione neo-classica del mercato del lavoro perfettamente flessibile, elabora persino la teoria dei salari di efficienza, per...autogiustificare le proprie posizioni, certamente flessibili ma solo verso l'alto...dato che l'efficienza si dispiega essenzialmente nel rendere flessibili verso il basso, su larga scala, le posizioni altrui).

3. La dissonanza cognitiva del continuare a classificarli come "allievi" di Caffè, pertanto, si può spiegare solo come curiosa rimozione dei rispetti percorsi formativi e professionali; cioè come un problema di comunicazione-informazione al riguardo...
Ma una volta superata questa dissonanza è evidente che il maestro Caffè non può più collocarsi tra gli antecedenti della cultura economica da essi espressa e portata avanti in ruoli istituzionali. Questo distacco dalla "matrice" diviene perciò non segno di contraddizione (che gli si potrebbe imputare ove ci si ostinasse a definirli allievi in senso di appartenenti ad una "scuola", anzicchè meri "studenti" di quel professore) bensì di una manifesta trasformazione divergente.

4. Questa ormai incolmabile divergenza si può agevolmente verificare proprio riportandosi al reale pensiero di Caffè sui temi che, oggi, caratterizzano l'azione e le prese di posizione dei due (supposti) allievi. Vale perciò la pena di riportarlo, questo pensiero, ricorrendo ai ritrovamenti filologici di Arturo:
"Caffè e l’Europa ma anche specificamente Caffè e l’euro.
Nel suo manuale (Lezioni di politica economica, a cura di N. Acocella, Bollati Boringhieri, Torino, 1990) mette in guardia per ben tre volte contro l’ipotesi di una moneta unica europea. Eccovele:
pagg. 110-11: “Il difficile cammino della integrazione europea viene reso più arduo sia dalla pretesa di anticipare gli eventi, prima che se ne siano stabilite le basi (ad esempio ‘la moneta europea’); sia dalla pretesa di non tener conto delle fasi congiunturali avverse, come se la Comunità fosse stata configurata soltanto in vista di periodi favorevoli.”;
pagg. 298-99: parlando del gold standard: “In esso coesistevano varie e distinte monete (sterlina, dollaro, marco, franco ecc.), ma, attraverso il vincolo dei cambi fissi e sin quando fossero rispettate le “regole del gioco” necessarie per il buon funzionamento del gold standard (le regole, cioè, elencate a p. 294), si può dire che sostanzialmente la situazione era molto analoga a quella che comportasse l’esistenza di una moneta unica.
Le singole economie nazionali dovevano adattarsi alle esigenze di uno standard monetario intemazionale: questo assicurava la stabilità dei cambi; ma non la stabilità dei prezzi interni dei singoli paesi che dovevano adattarsi, come si è visto, per assicurare il riequilibrio delle bilance dei pagamenti.
La stabilità dei cambi favoriva lo sviluppo degli scambi e degli investimenti internazionali; ma imponeva questo vincolo di adattabilità delle economie interne, adattabilità che molto di frequente si realizzava attraverso la disoccupazione e in genere la più o meno prolungata sottoutilizzazione delle risorse disponibili. E opportuno non perderlo di vista oggi che (in mutate condizioni) si prospettano possibilità di una “moneta unica" nell’ambito di aree integrate.
”;
pag. 344: “Rispetto a questi problemi costituiscono ’’risposte fatue” quelle fornite dal moltiplicarsi di progetti di pretese soluzioni che sembrano non tener conto degli insegnamenti della storia (dalle proposte per la creazione di una “moneta europea”, alla possibilità che dovrebbe essere concessa ai cittadini di economie ritardate di effettuare investimenti in valuta estera, all’attrattiva che continua a esercitare il ritorno al sistema aureo).
Il carattere “fatuo” delle risposte non vuol dire, peraltro, che esse non siano rappresentative di giudizi di valore e di interessi sezionali chiaramente individuabili.
A monte dei problemi tecnici considerati nel presente capitolo vi è una crisi irrisolta delle politiche economiche: la riaffermazione di un liberismo economico che spesso confonde la valorizzazione dell’iniziativa individuale con la salvaguardia a oltranza di posizioni privilegiate; l’offuscarsi della concezione di Stato garante del benessere sociale, che spesso si tende a valutare alla stregua di uno Stato acrìticamente assistenziale (Caffè, 1982), la tendenza a riabilitare il mercato, trascurandone le inefficienze (vedi p. 50).
”.
Insomma, anche Caffè era fra "quelli che ce l’avevano detto". Ovviamente, direi".

5. Ma (nella stessa sede, che non a caso, traeva da un post dedicato alla "irriformabilità" dei trattati), anche Francesco, riporta un'interessante raccordo tra Caffè e la critica dell'attuale "cosmopolitismo", del capitale, in cui si inscrive la cooperatività mostrata da Draghi e Caffè alla realizzazione, in particolare, dell'eurozona, e che si pone nel solco di una lunga storia di trasformazione (appunto) dell'agire politico-economico delle istituzioni di Bretton Woods e delle organizzazioni economiche (liberoscambiste) in generale:
"Quel “cosmopolitismo” (l’ordine sovranazionale del mercato) denunciato da Basso corrisponde a l’automatismo internazionale criticato duramente da Federico Caffè proprio per gli sviluppi decisionali che si sono poi materializzati in seno agli organismi internazionali :
… La circostanza che Beyond the Welfare State costituisca una raccolta di saggi e non un’opera unitaria non diminuisce l’interesse di un pensiero come quello di Gunnar Myrdal sempre ricco di approfondite riflessioni. In primo luogo, nel discutere sullo “Stato dei servizi”, che è l’equivalente svedese della ricordata espressione inglese, egli può parlare come protagonista: come componente, cioè, del gruppo di coloro che “in qualità di esperti e talvolta anche di veri e propri uomini politici, promossero attivamente riforme sociali ed economiche intese a perfezionare…questo grande movimento riformistico della nostra epoca”.
Proprio in conseguenza di questa diretta partecipazione egli fu in grado, da un lato, di rendersi conto della “costante lotta di retroguardia contro le riforme” organizzata da coloro “che avevano interessi legati al vecchio ordine”. In realtà, come accade per tutte le posizioni conservatrici, essa si rivelò completamente miope, in quanto “lo stato organizzatore dei servizi ebbe un’influenza così forte sullo sviluppo della produttività potenziale degli individui, che nel processo dinamico della sua realizzazione, si potè avere un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse povere in una situazione economicamente progressiva senza deprimere le condizioni della maggior parte di coloro che, godendo dall’inizio di una situazione vantaggiosa, dovettero in un primo tempo fare le spese delle riforme”.
Ciò non evitò che queste posizioni di retroguardia trovassero un appoggio negli economisti legati alla TRADIZIONE DELL’AUTOMATISMO INTERNAZIONALE, la cui preservazione richiedeva che le singole economie nazionali fossero obbligate ad adattarsi ai mutamenti del mondo circostante, anche a costo di subire disoccupazione e depressione. Senza concordare con le conclusioni pratiche di questi economisti, Myrdal riconosce l’importanza della premessa di valore internazionalistica, la quale, peraltro, nelle condizioni contemporanee, non può trovare un’adeguata difesa in un utopistico “automatismo”.
 

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GLI ALLIEVI E I "MAESTRI": DRAGHI E VISCO
“Dobbiamo innanzi tutto tenere presente che lo Stato del benessere è uno Stato organizzatore”.

Oggi IL GIOCO DELLA DOMANDA, DELL’OFFERTA E DEI PREZZI non può considerarsi effettivamente “libero”, né sul mercato dei capitali e della mano d’opera, né su quello delle merci e dei servizi; è regolato, infatti, dalla legislazione e dall’amministrazione statale …nonché dalle grandi imprese semipubbliche e private operanti entro la struttura e sotto il controllo statale.
In ultima analisi, se vogliamo ristabilire l’integrazione dell’economia mondiale, dobbiamo preoccuparci di coordinare e armonizzare proprio tali complesse strutture di interferenza organizzata sui mercati”.
Purtroppo, la rete delle organizzazioni cui era stato affidato il compito di realizzare una cooperazione internazionale “organizzata” (equivalente in qualche modo allo “stato organizzatore” sul piano interno) si è dimostrata incapace di conseguire i suoi obiettivi, proprio per il progressivo stravolgimento delle meditate carte statutarie su cui le varie organizzazioni si fondavano. Stravolgimento nel senso di ricondurre, attraverso successive crisi, VERSO SOLUZIONI “AUTOMATICHE” LE QUALI …RIFLETTONO IN REALTÀ LE PRESSIONI DELLE POTENZE EGEMONI.
In tal modo lo sforzo compiuto da Myrdal di porsi in una posizione più ampia, libera da preoccupazioni nazionalistiche, finisce da un lato per fornire una conferma ulteriore di quanto è mancato nella realizzazione dello “stato dei servizi”; dall’altro…ci porta a riflettere sull’appoggio concreto che…l’internazionalismo nominalmente automatico finisce per dare alle resistenze di retroguardia delle posizioni di privilegio.
Basti pensare al CARATTERE FARISAICO che assume la martellante insistenza contro I PERICOLI DEL PROTEZIONISMO SUL PIANO MONDIALE E L’ASSOLUTA INDIFFERENZA NEI CONFRONTI DELLE CONDIZIONI DI LAVORO E DI SFRUTTAMENTO
”.
E l’allora CEE, ricorda Caffè “… va considerata nel vasto movimento di idee, di dibattiti, di concretamenti e di inevitabili compromessi che contraddistinsero, prima ancora della cessazione del secondo conflitto mondiale, il disegno di dar vita a una collaborazione economica internazionale organizzata, basata cioè su concordati impegni e su istituzioni intese a favorirne…l’osservanza. Nell’ambito mondiale questo disegno contemplava una cooperazione istituzionalizzata sul piano valutario, su quello finanziario e su quello commerciale…Ma sul piano della cooperazione commerciale internazionale si dimostrò insuperabile il contrasto tra un liberalismo di tipo tradizionale e l’aspirazione … a evitare, come si disse, la stabilizzazione delle disuguaglianze”.
Perciò “possiamo renderci conto delle ragioni che impediscono ai distinti monologhi di tradursi in costruttivi dialoghi.
In un saggio molto noto, Lord Kaldor ha posto in evidenza le limitazioni imposte alla politica economica dai conflitti nell’impiego di determinati strumenti, per inibizioni di carattere politico, sociale, ideologico.
Se la collaborazione internazionale organizzata costituisce un punto dal quale non si torna indietro, nulla, tranne l’interpretazione deviante dei tecnocrati, preclude che, con motivate richieste avanzate nelle sedi stabilite, sia possibile far ricorso, quando occorra, a temporanee misure di contingentamento, di razionamento, di controlli fisici, di regolamentazione delle forme e della entità DELL’INDEBITAMENTO ESTERO E DEI MOVIMENTI DI CAPITALI IN GENERE …

In definitiva, “un vero quadro incisivo di politica economica non può essere fornito che da alcune opzioni fondamentali le quali, nelle condizioni contemporanee, sembrano essere costituite:

a) dalla riaffermazione di un livello pressoché pieno dell’occupazione, come traguardo fondamentale, indispensabile per legittimare il consenso e reagire, in forme non repressive, ai fenomeni asociali di conflittualità;

b) dal riconoscimento che il pieno impiego comporta non soltanto una politica di controllo pubblico della domanda globale, ma altresì una politica di attenta AMMINISTRAZIONE DELL’OFFERTA COMPLESSIVA. Sul terreno, appunto, dell’offerta, sia i fenomeni aberranti delle eccedenze agricole da distruggere sia i fenomeni di carenze strutturali di periodo lungo attestano con chiara evidenza i limiti e le insufficienze delle indicazioni fornite dal mercato;

c) queste indicazioni non sono che il riflesso dell’esistente distribuzione dei redditi e dei patrimoni. E poiché tale distribuzione risulta estremamente sperequata nella realtà comunitaria, occorre essere chiaramente consapevoli che questa sperequazione si riflette necessariamente nel sistema dei prezzi. Questi sono bensì degli indicatori sociali …; ma proprio perché espressione di una sperequata distribuzione dei redditi e dei patrimoni sono fattori di cumulativo aggravamento di queste tendenze e non di una loro attenuazione che può soltanto attendersi dall’azione dei poteri pubblici;

d) occorrerebbe riacquistare la consapevolezza che il peso ingente e a volte esclusivo, fatto gravare sulla politica monetaria come strumento di lotta antinflazionistica, è necessaria conseguenza della generale riluttanza all’impiego dei controlli diretti
” [F. CAFFE’, In difesa del Welfare State – Saggi di politica economica, Rosemberg& Sellier, 1986, 40-43, 98, 144, 151-152].

6. Per completare il quadro della divergenza dall'ex "maestro" Caffè e dalle sue ancor attualissime (e ideologicamente rifiutate) soluzioni, - e data la ben evidente direzione assunta dall'azione istituzionale sostenuta da Draghi e Visco (negli ultimi decenni), riportiamo un passaggio di Massimo Severo Giannini (sempre citato da Francesco), relativo al modello economico costituzionale (keynesian-kaldoriano, come ci viene testimoniato direttamente qui).
Per inciso: tale modello dovrebbe essere, per tutti gli appartenenti alle istituzioni della Repubblica che abbiano prestato giuramento di fedeltà e osservanza della Costituzione, normativamente superiore al "modello di crescita di Solow" e della Commissione UE; una superiorità gerarchica della fonte costituzionale che è vitale per la democrazia, tanto che, in caso di incompatibilità, teoricamente (purtroppo), dovrebbe intervenire lo sbarramento dell'art.11 Cost. cioè i famosi controlimiti che Luciani (qui, p.11), segnala costituire non solo un limite di legalità incombente sulla Corte costituzionale, ma anche su "altri organi dello Stato", al di là del momento giurisdizionale:
"Ci tengo a sottolineare, come puntualmente fatto nel post, l’aspetto riguardante anche la politica di amministrazione dell’OFFERTA, perché è strettamente legato alla strumentazione dell’IMPRESA PUBBLICA (art. 43 Cost.) con la quale lo Stato organizza servizi pubblici e produce beni essenziali nell’interesse della collettività e non per profitto, strumento necessario non solo ai fini del livello occupazionale, ma anche per combattere quelle “strozzature” che vengono utilizzate dai trust finanziarizzati per imporre “l’inflazione programmata” (!). Ma sia il sostegno alla domanda che all’offerta necessita della sovranità monetaria:
… Le imprese pubbliche appartengono a due tipi fondamentali: le imprese di servizi pubblici, le imprese per obiettivi politici (politico-economici, politico sociali…). Con queste configurazioni si presentano già allorché sorgono, nel sec. XVII: le fabbriche d’armi, gli arsenali, LE BANCHE PUBBLICHE…).
Lo Stato liberale fu, per sua ideologia (dati gli interessi che impersonava) avverso all’impresa pubblica: onde le soppresse, e quelle di cui non si potè provare, le trasformò in organizzazioni di tipo amministrativo…mentre altre che non potè sopprimere, FURONO PRIVATIZZATE
L’avvento dello STATO PLURICLASSE ha mutato il quadro, in quanto le nuove classi emergenti reclamarono la collettivizzazione di imprese private che per la loro posizione dominante o il loro carattere monopolistico fossero ritenute perturbatrici, o di interi settori di attività imprenditoriali attinenti a servizi di interesse pubblico generale…
” [M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 234-235].

7. E Caffè e Giannini (qui, p.2) furono pubblicamente ringraziati in sede di Assemblea Costituente per il loro fondamentale apporto di consulenza scientifica alla redazione del testo poi approvato.
La conclusione è che, poiché scripta manent, nel bilancio di una vita al servizio delle varie "istituzioni" (che non sono tutte eguali e non sono tutte costituzionalmente "compatibili"), ognuno, poi, avrà i ringraziamenti delle forze che avrà sostenuto.

Pubblicato da Quarantotto a 12:45 4 commenti: Link a questo post
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martedì 31 ottobre 2017
LA L€GGE DEL TAGLIONE (DEL DEBITONE). [/paste:font]
 

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