Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo (2 lettori)

mototopo

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BANCHE, LA BOMBA DEI CREDITI DETERIORATI CHE PUÒ FAR SALTARE IL NOSTRO SISTEMA: IL RUOLO DEI GRANDI FONDI






Il mercato dei crediti deteriorati che inondano il sistema bancario italiano, quest’anno, alla fine supererà i 100 miliardi di euro. Una discarica di prestiti marci che infesta le nostre banche e che, come sottolinea La Stampa, fa gola ai grandi fondi di investimento tradizionali. A livello europeo, secondo l’Fmi, i crediti deteriorati (Npl) ammontano a 988 miliardi di euro: l’Italia, dunque, detiene il 30% di questa poco rassicurante torta.

Nel dettaglio, secondo i dati Bce, le sole banche italiani rilevanti hanno in pancia 249,35 miliardi lordi di prestiti marci o quasi, il 14,79% del totale concesso alla clientela. La media europea, per intendersi, parla di un’incidenza del 5,92 per cento. La Banca d’Italia nell’ultima rilevazione statistica di fine settembre, calcola il totale in 297,2 miliardi lordi, suddivisi tra 189,34 miliardi di sofferenze e altre due categorie ritenute ancora “recuperabili”: 101,62 miliardi di inadempienze probabili e 6,24 miliardi di prestiti scaduti.

Una vera e propria bomba, almeno sulla carta. Una bomba che la Bce cerca di disinnescare imponendo aumenti agli accantonamenti: la copertura dei crediti dubbi è salita dal 54% di inizio 2014 al 62% attuale. E in questo contesto, come detto, entrano in gioco i grandi fondi: si è infatti sbloccato il mercato della compravendita dei crediti marci. Chi li acquista mira al recupero oppure alla gestione di tali crediti, con i quali si possono fare ottimi affari. Ottimi per i colossi della finanza, ma non per i cittadini.

Tanto per intendersi, secondo le stime di Banca Ifis, nel 2017 tra operazioni fatte e annunciate, la crescita delle operazioni di compravendita sui crediti sarà esponenziale, permettendo al mercato di raggiungere una dimensione di 104 miliardi.

L’Italia, dunque, è la nuova meta prediletta dei grandi fondi internazionali che, non a caso, stanno invadendo Milano (Fortress e Pimco, Banca Ifis, AnaCap, Hoist Finance, Kruk, Algebris, Quaestio attraverso il Fondo Atlante II). In questo contesto si fa sempre più pesante il pressing della Bce, che ha introdotto nuove e contestate regole sugli Npl (questo il nome dei crediti deteriorati). Le regole prevedono che per quelli che dal primo gennaio 2018 saranno catalogati come Npl, le banche mettano da parte un valore pari al 100% dello stesso credito deteriorato: dovranno farlo entro due anni se il credito non è coperto da garanzie, entro 7 se al contrario le garanzie ci sono.

Insomma, i nostri istituti saranno chiamati a trovare molta liquidità e in poco tempo. Ed è proprio questa la circostanza che preoccupa privati e imprese: la possibile conseguenza di questa situazione è che le banche tornino a chiudere i rubinetti del credito, soffocando quel minimo barlume di ripresa che si intravede. E ancora, le nuove regole imposte dalla Bce potrebbero determinare un’accelerazione nel peggioramento del rating bancario: basterà uno sconfinamento rispetto ai tempi previsti per essere visti con sospetto e magari declassati. E ad ogni declassamento peggiorano le condizioni per attingere ai finanziamenti. Uno scenario esplosivo. Una nuova bomba sopra il quale si muove il sistema bancario italiano.

Pubblicato da Libero, 15 ottobre 2017
 

mototopo

Forumer storico
crisi ottobre 17, 2017 posted by Mitt Dolcino
Nel silenzio dei media il sistema Italia sta implodendo. L’ottima versione di Guido Salerno Aletta


Avete notato i media recentemente? Tra fake news ed argomenti quattrostagioni tirati fuori dal cassetto alla bisogna stanno raggiungendo il parossismo dell’indecenza: non si informa più la gente, non si evidenziano più gli argomenti importanti, men che meno i problemi. Si cerca solo di fare una cosa, solo una: tenere calma la gente, non facendole capire che sta andando letteralmente in rovina.

L’ho già spiegato più e più volte, tra crisi (che i media hanno contribuito a rendere più pesante e profonda, non fosse per l’avallo della nefasta austerità) ed interessi delle elites locali, che poi sono gli stessi editori, oggi il gioco è quello di fregare il prossimo. Leggasi, visto che dette elites hanno avuto la possibilità di delocalizzare le proprie aziende, di pagare le tasse all’estero (vedasi FCA, ma non è l’unica), oltre a pagare meno di i dipendenti (Job Act etc.), dopo aver fatto guadagni fenomenali in borsa, alla fine lasciano un buco di gettito. Che deve essere colmato dagli italiani, dalla gente.

Non che tali elites siano contrarie all’austerità, tutto sommato sanno che è nefasta: il punto è che l’austerità da imporre ai periferici è necessaria per tenere in piedi l’euro. E visto che costoro hanno accumulato enormi patrimoni proprio in euro – sostituendoli ad instabili lire -, dunque devono accettare il rigore di Bruxelles e Berlino. Anche se manderà in rovina il paese. Chiaramente, la gara è – come detto prima – a fregare il prossimo, i deboli italiani dovranno pagare per chi conduce la macchina del vapore, anche loro italiani.

Se le entrate tributarie sono salite del 2.6% mentre il PIL è salito meno (1%), allora le tasse sono aumentate…

Questo in sintesi è quanto vi ho spiegato negli ultimi 4 anni, per contingenze personali ho avuto la fortuna di capirlo prima. Ne volete la riprova? Ho fatto una breve analisi di stampa sulle manovre finanziarie dal 2011 in avanti, analisi grossolana, solo i titoli, prendendo anche il 2010 quando il governo Berlusconi iniziò ad essere messo sotto pressione: facendo la somma delle manovre correttive, con quella del 2017 siamo a circa 200 miliardi di maggiori tasse (va notato che la manovra pre-elettorale del 2017 è la più bassa di tutte, ossia la mazzata euroimposta per gli italiani arriverà dopo le elezioni del 2018, in assenza di una sfida aperta all’EU e soprattutto all’euro). O anche, visto che nei primi 8 mesi del 2017 le entrate tributarie sono aumentate del 2.6%, visto che l’economia NON è aumentata del 2.6%, le tasse sono aumentate di conseguenza (diciamo almeno dell’1.6%, ndr). Ad esempio con i metodi statistici che vi ho “svelato” (vedasi LINK) la scorsa settimana quando vi ho spiegato che la tassazione italiana media di circa il 43% (è abbastanza stabile attorno a tale cifra dal 2009, ndr) si riferisce all’economia effettiva più quella sommersa; ovvero, visto che quella sommersa non paga tasse la reale pressione fiscale è drasticamente aumentata dal 2010-11 (l’introduzione dell’economia sommersa nel calcolo del PIL data dal 2014), siamo prossimi al 50%, per le aziende al 65% (LINK). Ed infatti dopo 6 anni di austerità – come da copione – i salari sono crollati ed i prestiti andati a male esplosi.

LINK: http://www.teleborsa.it/Editoriali/2017/10/16/la-piramide-rovesciata-non-regge-1.html

Un paese così, una vera piramide rovesciata, non può resistere a lungo. Oggi vedo che altri autori, ben referenziati, anche diffusi (strano), rafforzano tale tesi. Ad esempio Salerno Aletta, di Teleborsa.it, rinomato sito di analisi finanziaria. Articolo da leggere assolutamente, per la plastica chiarezza del ragionamento. Non è la prima volta che leggiamo – con estremo interesse – le apprezzate analisi di questo autore.

Quello che purtroppo nessun ancora vi dice sono le conseguenze di cotanto scempio euroimposto: semplicemente la fame, non poter curare i propri vecchi che inevitabilmente moriranno di inedia, penso soprattutto a coloro che perso il lavoro non riusciranno a trovarne un altro. Rivoluzione? Vedremo, se qualcuno finanzierà la rivolta. Certo, le prospettive per l’Italia sono funeree, a maggior ragione se il dollaro si indebolirà e/o le borse crolleranno e/o i tassi saliranno. E se vi aspettate comprensione dai tedeschi, da gente come Schauble, scordatevelo: pensate davvero di ricevere aiuto dai nipoti di coloro che non ebbero pena a mettere gli ebrei nel portacenere ?

A voi la Scelta.

MD
 

andgui

Forumer storico
LINK: http://www.teleborsa.it/Editoriali/2017/10/16/la-piramide-rovesciata-non-regge-1.html

Un paese così, una vera piramide rovesciata, non può resistere a lungo. Oggi vedo che altri autori, ben referenziati, anche diffusi (strano), rafforzano tale tesi. Ad esempio Salerno Aletta, di Teleborsa.it, rinomato sito di analisi finanziaria. Articolo da leggere assolutamente, per la plastica chiarezza del ragionamento. Non è la prima volta che leggiamo – con estremo interesse – le apprezzate analisi di questo autore.

Quello che purtroppo nessun ancora vi dice sono le conseguenze di cotanto scempio euroimposto: semplicemente la fame, non poter curare i propri vecchi che inevitabilmente moriranno di inedia, penso soprattutto a coloro che perso il lavoro non riusciranno a trovarne un altro. Rivoluzione? Vedremo, se qualcuno finanzierà la rivolta. Certo, le prospettive per l’Italia sono funeree, a maggior ragione se il dollaro si indebolirà e/o le borse crolleranno e/o i tassi saliranno. E se vi aspettate comprensione dai tedeschi, da gente come Schauble, scordatevelo: pensate davvero di ricevere aiuto dai nipoti di coloro che non ebbero pena a mettere gli ebrei nel portacenere ?

A voi la Scelta.

MD

Mit Dolcino scrive sempre bene e questa volta consiglia di leggere Salerno Aletta.
Se non lo avete ancora fatto, leggetelo,
 

mototopo

Forumer storico
IL QE DELLA BCE AGLI SGOCCIOLI, E COMUNQUE E’ STATO INUTILE.








Cari amici

qualche giorno fa abbiamo scritto che il QE della BCE probabilmente sarà dimezzato dal prossimo anno, con la decisione presa già entro fine ottobre.

Come sono stati utilizzati questi soldi , che fine hanno fatto i soldi messi in moto da parte della banca centrale europea? Ricordiamo che a vendere i titoli di stato o privati alla BCE sono state istituzioni finanziarie e grandi investitori, dato che gli acquisti sono avvenuti solo sul mercato secondario. Cosa hanno fatto queste società dei soldi ricevuti ?



Come vedete dal secondo grafico i soldi sono finiti in azioni, strumenti monetari ed investimenti esteri. Per la precisione la maggior parte è finita in strumenti monetari ed investimenti esteri. Se volevate una spiegazione pratica al perchè il QE non ha funzionato, eccovela servita: i soldi iniettati o sono stati inutili, perchè son rimasti in liquidità, oppure sono andati all’estero. Si è confermato il vecchio detto per cui è inutile portare al fiume un avallo che non vuole bere.

Il fatto che siano rimasti lontani dall’economia reale spiega anche molto bene perchè abbiano avuto così poco effetto sul tasso di inflazione: sia liquidità sia investimenti esteri hanno effetti minimi. Insomma il QE è servito a ben poco, a parte calmierare gli interessi sui titoli pubblici.

Anche quest’unico effetto positivo però potrebbe venire a cadere. Come riportato dal sito zerohedge, stanno circolando delle voci piuttosto precise secondo le quali il QE non solo avrà un termine, ma è stata già quantificato il valore dei titoli che saranno ancora acquistati: le voci autorevoli affermano che gli acquisti da parte della BCE avranno ancora un valore di 200 miliardi di euro complessivi. Si tratta di una cifra bassa, molto bassa, che è coerente con 4 mesi a soli 30 miliardi e successivamente altri 4 mesi a soli 20 miliardi. Se questo fosse vero il “Tapering” sarebbe molto rapido, quasi brutale. Qualcuno preme per far saltare l’euro, e neppure vuole aspettare che Draghi se ne vada.
 

mototopo

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L’oligarchia burocratica sente il bisogno di una “nuova narrativa”. Ha cominciato nel 2013 l’allora presidente della Commissione Europea, Barroso: “Dobbiamo continuare il racconto, continuare a [essere noi a] scrivere il libro del presente e dell’avvenire. Ecco perché occorre una nuova narrativa all’Europa”, ed ha esortato “artisti, ricercatori e intellettuali” a pensare a un nuovo racconto. Donald Tusk con la Merkel a fianco, l’agosto 2016, ha fatto appello ai 27 governi: riuniamoci a Bratislava per metterci d’accordo su una nuova narrativa. Anche Macron, nel marzo 2017, ha incitato alla creazione di un “racconto nazionale”, una “storia evocatrice”, da distinguere dalla storia vera e propria: “Ciò che importa, nella storia, è che ci sia sì questa parte di ermeneutica, ma che non giunga a decostruire questo rapporto” con il gran racconto della Francia in Europa.

Persino la CIA si preoccupa per noi. Nel suo “The World in 2035”, rapporto quadriennale di previsioni e scenari, che ha posto sulla scrivania dell’appena eletto presidente Trump (l’avrà sfogliato?), l’Agenzia deplora che “l’Unione non ha saputo creare il senso di comune destino fra i suoi cittadini”, ed auspica l’uso di “racconti evocatori” nell’Unione Europea per mantenere l’unità dei suoi spazi in crisi. Esorta gli eurogarchi: “La capacità di forgiare racconti evocatori, ideologie, di attirare la tensione, di coltivare la fiducia e la credibilità servirà i loro interessi e valori”. Con pronta obbedienza, la UE ha subito convocato “15 Future Leaders [sic: studenti Erasmus] in un seminario intitolato “Visions for the World in 2035”. Nemmeno il titolo hanno cambiato.

“Nessuno crede più a UE=Prosperità“

Il motivo lo ha spiegato la Carnegie Europe, branca con sede a Bruxelles del Carnegie Endowment for Internationale Peace, uno di quei think-tank che diffondono la global vision di Washington (e della Cia): nessuno in Europa crede più alla vecchia narrativa, “La UE è prosperità, la UE è la pace”.

Il livello di vita delle classi medie è crollato, le classi operaie non esistono più, la demografia è zero, attentati “islamici” insanguinano le capitali, la UE eccita il conflitto in Ucraina, ammassa truppe contro la Russia, partecipa alle aggressioni israelo-americane di destabilizzazione della Libia, Siria, Irak, Afghanistan…per la prima volta dal dopoguerra, il suddito europeo “si sente minacciato” anziché sicuro, stando nella UE. C’è il rischio che s’imponga una “nuova narrativa che evidenzia la migrazione, il terrorismo, i mali della globalizzazione”. Anzi, con l’avvento dei “populisti”, gli stessi oligarchi possono adottare questa nuova narrativa. “Una narrativa – si lagna Carnegie – che fa a meno di visione, fa a meno di entusiasmo, fa a meno di slogan. Una narrativa basata sul freddo ragionamento”.

Anzi già sta avvenendo, perché la nuova narrativa ha un vantaggio per l’oligarchia: le permettere di governare le masse europoidi con la paura, invece che con la speranza (che ha tradito). Adesso Macron, tipica creatura del neo-europeismo, proclama che è necessario costruire una difesa comune europea “contro il terrorismo”; che occorre un FBI europeo, un tribunale europeo anti-terrorismo, polizia di frontiera europea – insomma, adesso “serve più Europa” come al solito, ma per prepararsi alla guerra. Macron ha invitato i giovani europei ad arruolarsi volontari nell’esercito francese… Contro i terroristi interni, le minoranze islamiche che di colpo si radicalizzano, passando dalla discoteca e alcol al jihad, si varano leggi speciali molto utili per ridurre le libertà civili; non si deve uscire dall’euro, perché “altrimenti chissà cosa succede ai vostri risparmi”. Adesso ci vuole “più Europa” perché singoli piccoli stati sarebbero piccoli e indifesi nel mondo globalizzato, che adesso è minaccioso e non più dipinto, come fino all’altro ieri, come la fabbrica delle “magnifiche sorti e progressive”.

Si appropriano i programmi altrui

Macron è arrivato perfino ad evocare come pericolo “gli otto figli per ogni donna africana”: l’argomento-tabù, che avrebbe suscitato immensi strilli mediatici e magari condanne della Corte dell’Aia per “razzismo” se l’avesse adottato Marine Le Pen (o, oggi, in Italia Salvini, in Ungheria Orban..) viene dunque sdoganato per far parte della “nuova narrativa”. Qui c’è il rischio che, se non per creare “il senso di destino comune” la cui mancanza deplora la Cia, ma per neutralizzare le volontà di uscita dalla UE, gli oligarchi burocratici facciano addirittura propria la psicosi della “invasione musulmana”. Dopotutto, la stessa parola “europeo” appare nell’ottavo secolo nel quadro delle lotte arabo-musulmane.

Non è una ipotesi paradossale. Noi italiani abbiamo visto infinite volte l’oligarchia messa al potere dalla UE, la “sinistra”, il PD, che si appropria – quando occorre – le proposte politiche dell’opposizione, via via che esse conquistano il favore dell’opinione pubblica. La Lega dice che siamo inondati da migranti, e la gente gli dà ragione? Ma Minniti è pronto ad adottare lo stesso atteggiamento e a realizzare il blocco dei negri. Vi lamentate della UE e delle sue austerità? Ma ecco Renzi che “va in Europa” a “battere il pugno sul tavolo”! Il Movimento 5 Stelle critica Visco, il capo della Banca Centrale, per la sua complicità con i banchieri farabutti? Ed ecco Renzi che addirittura ne chiede le dimissioni! Volete il populismo? Ve lo diamo noi! Il sovranismo? La critica a Bruxelles? Ecco,noi siamo meglio! Volete moderatismo? E noi ci alleiamo con Alfano! Anzi Berlusconi! Le Crociate contro l’Islam? Printi, eccoci!

Tutto quel che volete: basta che al potere restiamo noi, e non votiate Lega o 5 Stelle. Sovranismo, rottamazioni? Crociate, secessioni? Disposti a tutto. Purché non ci allontaniate dalle casse pubbliche.

In pochi anni li abbiamo visti guerrafondai con Obama ed Hillary, austeritari e anti-Putin con la Merkel, i migliori amici di Soros e Goldman Sachs, ora papalini devoti con Bergoglio…

E’ il nuovo tipo di trasformismo, di cui la Sinistra è sovrana produttrice: il nuovo trasformista non cambia partito, cambia idee, proposte politiche, adotta da parassita i programmi dell’avversario. Ovviamente è una finzione, come dimostra il fatto che la Sinistra al potere, mentre “respinge i migranti” dalla Libia, passa comunque lo jus soli. E dovremmo aver ormai imparato che, quando la Sinistra si appropria delle “idee” altrui per realizzarle lei, le rovina. Un po’ facendolo apposta, molto perché non le capisce , essendole quelle idee di un altro universo culturale, alla Sinistra estranee, che le fanno schifo. Ricordiamo quando volle appropriarsi del “federalismo” leghista; ci ha dato la riforma del Titolo 5 della Costituzione, sull’autonomia delle Regioni, un volontario, criminale disastro.

Ciò ci riporta alla “nuova narrativa” che cerca l’oligarchia eurocratica, al mito, al grande racconto che sostituisca quello, scaduto, “UE eguale Prosperità, UE eguale Pace”.

Notiamo che essi si apprestano a “cambiare narrativa” invece di cambiare programmi. Che sono la causa dello scadimento del mito precedente.

Un elenco dei loro errori sarà necessariamente incompleto:

Hanno allargato la Comunità Europea freneticamente ad Est, inglobando nazioni con storie e culture troppo diverse per instillarne il “senso del comune destino”.

Hanno lasciato che la Germania seguisse il “suo” destino nazionale imponendolo come “destino comune” con metodi burocratici e punitivi agli altri.

Hanno creato la UE contro la volontà dei popoli (basti pensare ai referendum con cui gli elettorati hanno detto NO a Maastricht), e per farne poi cosa? Non una “fortezza Europa”, ma uno spazio aperto e vulnerabile a tutti i venti della globalizzazione. Messo i nostri lavoratori in concorrenza coi cinesi. Che scopo aveva fare “l’Europa Unita”, per poi scioglierla senza identità né difese nel governo finanziario globale. Ovviamente hanno rotto con la Russia (che invece doveva integrare) per obbedire alla Nuland, Obama e agli Estoni, mantenendo però furbescamente la dipendenza energetica dei tedeschi dal gas russo.

Noi europei, grandi perdenti della globalizzazione
Hanno applicato alla crisi recessiva del 2008 tutte le “cure” sbagliate che dettava la Germania con cecità bottegaia, tagliato lo stato sociale, precarizzato il lavoro, fatti mancare gli investimenti strutturali; non hanno mai concepito una politica industriale ed economica davvero “europea”, ma hanno adottato quella germanica; distrutto con l’euro le industrie italiane, indebolito le francesi, devastato la Grecia. Nel complesso, hanno fatto di un blocco che era una grande potenza industriale, un deserto de-industrializzato che deve importare tablet e cellulari da Cina e Corea. Ci hanno riempito di islamici e neri non qualificati, inutilizzabili per una rinascita economica.

Lungi dalla comunità di destino, nemmeno i due paesi (pretesi) nucleo duro europeista, Francia e Germania, non hanno la minima comunanza di intenti su cosa debba essere l’Europa. Macron voleva forzare la Markel a mettere in comune i conti; lei ha sempre risposto picche. Si ricordi che quando Macron, allora ministro delle Finanze di Hollande, definì il trattamento tedesco alla Grecia “una versione moderna del Trattato diVersailles”, la Cancelliera volle che Hollande ritirasse il suogiovane ministro dal tavolo delle trattative:

Adesso, dopo le nuove elezioni tedesche, il piano Macron è del tutto fallito.

Il quindicennio Merkel-Mitterrand è stato decadenza ed encefalogramma piatto.

Hanno abbassato il livello della cultura europea, bi millenario retaggio. Sono diventati culturalmente subordinati agli Usa. Hanno lasciato estendere le mafie invece di reprimerle, perché servono ai paradisi fiscali che dovevano abolire, e invece lasciano vivere. Il risultato sono gli attentati a azero-kazaki a Malta.

Hanno anche de-responsabilizzato le classi politiche nazionali, abituandole al “ci pensa l’Europa”. Il risultato è una crisi di deflazione dal debito da cui non sanno uscire, benché la loro banca centrale riempia le loro banche fallite dei centinaia di miliardi di euro.

Facciamola breve, ecco la conclusione politica: “I popoli d’Europa sono i grandi perdenti della globalizzazione” .

La Cina ne ha tratto vantaggi immensi, l’Asia è cresciuta tanto da rivaleggiare con gli Usa. Gli stessi Stati Uniti, se non dilapidassero centinaia di miliardi per le guerre per Israele, possono considerarsi vincenti in quanto mantengono le centrali di potere finanziarie, quelle dellre invenzioni e quelle ideologiche (la”narrativa” mondiale la impongono loro).

Noi, popoli d’Europa, siamo diventati più poveri e meno civili, la nostra economia soltanto non cresce, l’euro è incagliato, la UE è diventata”prigione dei popoli”, la prossima rivoluzione tecnologica ci vedrà dipendenti da Corea e Cina ed Usa.

Lorsignori dovrebbero essere appesi in una piazzale Loreto europea. Invece che fanno? Cercano una “nuova narrativa” da raccontarci – per non cambiare programma. Cambiano le parole e non i fatti.

http://www.maurizioblondet.it/la-ue-cambia-narrativa-invec
[/URL]
 

mototopo

Forumer storico
la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.






























martedì 17 ottobre 2017
NELL'IMPOSSIBILITA' DI ESSERE NORMALI (ANCHE COL QE): IL NUOVO "FATE PRESTO"...IMPRATICABILE. [/paste:font]

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Lo so: l'immagine è stata usata tante altre volte. Ma ci sta più che mai bene...

1. Zerohedge, basandosi sui dati Citi(group?) Research, fornisce alcuni interessanti dati su volumi e flussi del Quantitative Easing della BCE e sulle conseguenti prospettive che si aprono con il tapering, cioè con la progressiva discesa degli acquisti fino alla loro cessazione.
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2. Gli acquisti totali, a partire dall'inizio del QE a marzo 2015, ammontano a 1,89 migliaia di miliardi di euro. Fino ad oggi, in questo stesso periodo, le nuove emissioni di titoli pubblici, nell'eurozona, sono ammontati (perciò) ad appena un quinto del volume degli acquisti; anzi, se si ha riguardo al più recente periodo (interno al QE "pieno") che parte dal 2016 e va fino all'inizio del tapering, il saldo netto delle nuove emissioni (rispetto all'estinzione di titoli alla loro scadenza naturale) è stato quasi pari a zero.
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Già questo primo dato è piuttosto impressionante, dato che questo ha significato una rarefazione dei titoli progressivamente scambiabili sul mercato, prezzi che salgono di conseguenza, e investitori che, avendo venduto,- e dati i livelli raggiunti dai prezzi, e inversamente dai rendimenti divenuti negativi in termini reali-, hanno razionalmente indirizzato la liquidità altrove.

3. Perciò, prosegue Zerohedge, è importante anche vedere chi abbia venduto alla BCE, guadagnandoci con plusvalenze rispetto ai prezzi originari di acquisto, e dove abbia collocato i suoi soldi.
Il settore dei detentori privati dei titoli ha contribuito alle vendite per 1,5 miliardi (su 1,89).
In base ai dati BCE, sappiamo che le vendite (e quindi le plusvalenze) sono state in maggior misura effettuate dalle banche private, per un ammontare di 645 miliardi dall'inizio del QE, contribuendo così a più del 40% del declino della detenzione privata dei titoli. Le vendite si sono appuntate per la maggior parte sui bond governativi, (293 miliardi) su altre emissioni finanziarie private (273 miliardi), mentre le obbligazioni delle imprese non finanziarie, e assimilabili, sono state vendute solo per 70 miliardi.
A parte le banche, Citi stima che mentre gli investitori non residenti nell'eurozona hanno venduto, dal marzo 2015, 400 miliardi, il settore non-bancario dell'eurozona ha coperto il rimanente ammontare di 795 miliardi (beninteso, residuo rispetto ai 645 miliardi venduti dal settore bancario).
Questo smentisce l'idea predominante che le vendite alla BCE siano state effettuate prevalentemente da "stranieri", poiché la maggior parte delle cessioni del settore non bancario sono venute da investitori domestici. Se a ciò, appunto, si aggiunge quanto venduto dalle banche dell'eurozona, diviene chiaro che la gran parte dei 1500 miliardi di vendite "private" alla BCE, è stato compiuto da residenti nell'eurozona.

4. Zerohedge, si pone quindi la domanda: dove sono andati questi soldi?
Gli indicatori "Citi" mostrano che la massa del differenziale di liquidità (rispetto all'impiego precedente in titoli soggetti al QE), guardando al 2014, si è convertito in un aumento del tasso di accumulo sui depositi (pura preferenza per la liquidità in presenza di tassi prossimi allo zero e tendenzialmente negativi in termini reali, tanto più se con "moderate" aspettative di rialzo dell'inflazione, che avrebbe dovuto essere l'obiettivo dichiarato del QE), e in flussi di investimento esterni all'eurozona!
Con buona pace dei "piani Juncker", nonché della "colpevolizzazione" degli italiani per il fatto di tenere i soldi liquidi, come hanno fanno, diffusamente, tutti gli altri risparmiatori dell'eurozona (e infatti, il vertice di Tallin di questa estate stava già ipotizzando le "contromisure"... un po' pesantucce).

5. Comunque, prosegue Zerohedge, dall'inizio del QE, l'accumulazione nei depositi è proseguita, ma sono cresciuti gli acquisti di equities (cioè di azioni, com'era ovvio e, d'altra parte, previsto) e specialmente gli investimenti all'estero, secondo una tendenza marcatamente accelerata durante il 2017 (com'è altrettanto ovvio per un'eurozona che, nel suo complesso, accumula saldi positivi nel saldo commerciale e che, simultaneamente, non riesce veramente ad uscire dalla bassa inflazione "core" (v.qui, p.9), cioè al netto della volatilità dei prezzi delle importazioni di petrolio e materie prime).

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6. Domanda finale di Zerohedge: con la BCE ormai orientata al tapering, con annunci "ballon d'essai" sul taglio dei suoi acquisti mensili della metà o più, cosa è in procinto di accadere ora che la stessa BCE potrebbe effettivamente ridurre gli acquisti ben oltre il 50%? Le "famiglie" (privati non finanziari) venderanno più o meno obbligazioni, e cosa accadrà ai rendimenti?
La risposta a questa domanda, che Zerohedge pone in modo volutamente angoscioso (quasi retorico), non è difficile da immaginare. Disaggregando per i singoli Stati dell'eurozona i dati sugli acquisti prossimi alla cessazione del QE (per quanto progressiva), il risultato è quello di una risalita - non può predirsi esattamente quanto progressiva o, piuttosto, repentina e da quando- dei rendimenti dei titoli del debito pubblico per i paesi, tra cui "tradizionalmente" l'Italia, soggetti agli spread (cioè ai differenziali, sul prezzo di collocamento, rispetto ai bund tedeschi).

7. Ora, in condizioni fisiologiche, questi spread, come abbiamo visto, dovrebbero essere determinati prevalentemente dalla posizione netta sull'estero (indicatore, teoricamente fondamentale, rispetto al quale l'Italia non è messa poi così male, v. l'ultimo Bollettino di Bankitalia, pag.12 che segnala una continua riduzione, arrivata, al primo trimestre del 2017, a -226,1 miliardi, cioè a qualcosa di meno del 14% del PIL, con un miglioramento di oltre 10 punti rispetto al fatidico 2011).
Ma nell'eurozona, cioè nel gold standard in cui le correzioni degli squilibri di competitività, (interni all'area valutaria sub-ottimale, cioè con esplicito "divieto" di trasferimenti), sono affidate esclusivamente alla riduzione del costo del lavoro perseguita tramite austerità fiscale, non c'è nulla di fisiologico: l'armonizzazione "spontanea" della competitività interna all'eurozona, infatti, è stata compromessa dalle preventive politiche di deflazione salariale tedesche (sempre qui, p.2) e ogni "inseguimento" da parte degli altri paesi, inclusa la Francia, passa per la mera applicazione dell'aggiustamento fiscale-deflattivo, ben spiegato da Draghi (qui, p.1), che, però, risulta contemporaneamente distruttivo della capacità industriale interna e, quindi, irreversibilmente riduttivo dello stock di capitale produttivo e della connessa occupazione. Con un più che ovvio epifenomeno di fallimenti a catena e di conseguenti insolvenze bancarie di imprese, private aggiuntivamente della domanda interna, e famiglie (qui, pp.8-10), private dell'occupazione e quindi del reddito. Dall'austerità espansiva.

8. Solo che, ora, queste insolvenze divengono un regime autoritativamente amministrato dall'€uropa, quello dei c.d NPL, all'interno dell'Unione bancaria: ne abbiamo parlato tante volte.
Il tapering, opportunamente, verrà modulato in modo da incidere più tangibilmente nel dopo-elezioni italiane, semplicemente perché, sul piano politico, sono di gran lunga le più importanti, essendo l'ital-tacchino il piatto forte del menu dell'eurozona e di ogni "fate presto!".

9. Ma rimane il fatto che la BCE ha già iniziato a inasprire i requisiti sugli accantonamenti di capitale corrispondenti al deprezzamento in bilancio delle sofferenze posti essenzialmente a carico del sistema bancario italiano (i valori di bilancio dei ben più incerti strumenti derivati nel bilancio del sistema bancario tedesco, non sono stati sostanzialmente toccati: andrebbero bene così, mark to fantasy, con l'Imprimatur della vigilanza BCE!).
Quindi, per quanto moralmente tentati, e scientificamente non attrezzati a comprenderlo, i banchieri italiani "fiutano" che al prossimo aumento degli spread sarà difficile, anzi controproducente per i loro interessi patrimoniali e, ancor più, per la preservazione del loro controllo societario, invocare un nuovo "fate presto" che, via austerità" fiscale, induca un nuovo dilagare delle sofferenze (sicuramente soggette alle nuove regole BCE).
La totale falsità (usiamo la definizione di Milton Friedman) del debito pubblico come primo dei problemi italiani, potrebbe, anzi, dovrebbe, in un'ottica di istinto di sopravvivenza del nostro sistema bancario (se pure è rimasto), risultare un'arma spuntata. Anzi: una spada senza elsa, che ferisce pure chi la impugna.

10. In pratica, lo spread, in un'eurozona depurata dalla droga del QE, si lega ad un parametro, o meglio, ad un'aspettativa, ben diversa da quella relativa all'andamento della PNE: i mercati tendono a prezzare la stupidità (Prodi dixit) dell'eurozona e dei suoi parametri fiscali, per paesi, altrimenti sani, come l'Italia e, quindi, la prospettiva di dover abbandonare la valuta unica e il conseguente ritorno a una moneta nazionale, che, in ipotesi, dovrebbe svalutarsi (ma ormai non è pronosticabile di quanto, in una valutazione seria e non terroristica) rispetto alle altre valute di scambio internazionale, come il dollaro o, molto teoricamente, al wannabe euro che si vorrebbe capace di sopravvivere senza l'Italia (che sarebbe sempre più un marco, prima sottovalutato, ma poi, a seguito dell'Ital€xit, da rivalutarsi).
E' bene rammentare queste prospettive, che si affacciavano nel 2011-2012, naturalmente al di fuori del "fate presto!" del mainstream.
"Un altro fate presto" non è possibile: a meno che anche il Quarto Partito (qui. p.2) non voglia suicidarsi.
E' questa la novità che incombe sulle elezioni italiane, cioè su tutti gli italiani, per il 2018...
 

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Forumer storico
analisi economica del diritto.






























giovedì 19 ottobre 2017
"L'ALTRO RIMEDIO" (AL..DEBITOPUBBLICOBRUTTO): IL QUARTO PARTITO MUORE MA NON SI ARR€ND€ [/paste:font]


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1. Cominciamo il nuovo post dalla parte finale del precedente:
"...la BCE ha già iniziato a inasprire i requisiti sugli accantonamenti di capitale corrispondenti al deprezzamento in bilancio delle sofferenze, posti essenzialmente a carico del sistema bancario italiano (i valori di bilancio dei ben più incerti strumenti derivati nel bilancio del sistema bancario tedesco, non sono stati sostanzialmente toccati: andrebbero bene così, mark to fantasy, con l'Imprimatur della vigilanza BCE!).
Quindi, per quanto moralmente tentati, e scientificamente non attrezzati a comprenderlo, i banchieri italiani "fiutano" che al prossimo aumento degli spread sarà difficile, anzi controproducente per i loro interessi patrimoniali e, ancor più, per la preservazione del loro controllo societario, invocare un nuovo "fate presto" che, via austerità" fiscale, induca un nuovo dilagare delle sofferenze (sicuramente soggette alle nuove regole BCE).
La totale falsità (usiamo la definizione di Milton Friedman) del debito pubblico come primo dei problemi italiani, potrebbe, anzi, dovrebbe, in un'ottica di istinto di sopravvivenza del nostro sistema bancario (se pure è rimasto), risultare un'arma spuntata. Anzi: una spada senza elsa, che ferisce pure chi la impugna.

...In pratica, lo spread, in un'eurozona depurata dalla droga del QE, si lega ad un parametro, o meglio, ad un'aspettativa, ben diversa da quella relativa all'andamento della PNE: i mercati tendono a prezzare la stupidità (Prodi dixit) dell'eurozona e dei suoi parametri fiscali, per paesi, altrimenti sani, come l'Italia e, quindi, la prospettiva di dover abbandonare la valuta unica e il conseguente ritorno a una moneta nazionale, che, in ipotesi, dovrebbe svalutarsi (ma ormai non è pronosticabile di quanto, in una valutazione seria e non terroristica) rispetto alle altre valute di scambio internazionale, come il dollaro o, molto teoricamente, al wannabe euro che si vorrebbe capace di sopravvivere senza l'Italia (che sarebbe sempre più un marco, prima sottovalutato, ma poi, a seguito dell'Ital€xit, da rivalutarsi).
E' bene rammentare queste prospettive, che si affacciavano nel 2011-2012, naturalmente al di fuori del "fate presto!" del mainstream.
"Un altro fate presto" non è possibile: a meno che anche il Quarto Partito (qui. p.2) non voglia suicidarsi".

2. Quello che cercheremo di verificare più in profondità è se la consapevolezza, nel Quarto Partito (come definito da De Gasperi), della natura suicida (per se stesso) di un nuovo "fate presto!", cioè della richiesta di un drastico consolidamento fiscale post-elezioni e post QE (taglio della spesa pubblica in istruzione, previdenza e sanità, oltre che della spesa corrente per il funzionamento fisiologico "minimo" della pubblica amministrazione):
a) possa essere originata a sufficienza dalla prospettiva di una perdita del controllo azionario nazionale del sistema bancario, in esecuzione del disegno normativo dell'Unione bancaria (e in derivazione da ciò, della perdita del controllo nazionale della ricchezza in impianti industriali e immobili, che verrebbero inevitabilmente assoggettati all'esecuzione creditoria accelerata da parte delle banche, e svenduti in sovraofferta a operatori esteri, in quanto gli unici dotati di liquidità e di credito da parte dei rispettivi sistemi bancari non italiani);
b) o se, invece, tale prospettiva - e la relativa consapevolezza del "suicidio"- siano, dal Quarto Partito, ritenute un costo tollerabile e/o limitabile di fronte alla praticabilità di un altro rimedio, capace di salvare queste posizioni di controllo mediante un intervento di soccorso dello Stato.
Il che equivale a dire che l'interesse prioritario perseguito dalle istituzioni di governo è quello della tutela degli interessi di tale ristretto gruppo di potere, come evidenziava Gramsci rispetto allo Stato liberale pre-fascista: ciò vuol anche dire che sia ormai de facto superato il modello legale costituzionale nel senso indicato da Calamandrei, secondo un disegno che è proprio dei trattati europei, e in particolar modo della moneta unica, che, di conseguenza, diviene un caposaldo istituzionale da preservare a qualsiasi costo, data la prevalente vantaggiosità rispetto ai rischi che esso comporta.

3. La certezza dell'assetto istituzionale garantito dalla moneta unica, in effetti, farebbe propendere per questa seconda soluzione: il Quarto Partito, cioè, muovendosi nell'orizzonte cognitivo implicito nella ideologia delle "riforme", pare (pare) non scorgere l'attualità del rischio legato agli effetti dell'Unione bancaria, e preferisce una visione statica, idealizzata, del quadro istituzionale favorevole così descritto da Zenezini (citato nello stesso post, parte finale): (pag. II):
“La ragione storicamente contingente della centralità assegnata alle riforme è da rinvenire nel processo di creazione del mercato interno europeo, della moneta unica e nei vincoli imposti dai trattati europei alla conduzione della politica macroeconomica. Questo mutamento del quadro di politica europea ha progressivamente prosciugato qualsiasi fonte di intervento nell’economia oltre gli ambiti “microeconomici” della gestione dei mercati del lavoro e dei beni, determinando una sistematica distorsione verso orientamenti “offertisti” nelle politiche economiche. Questi orientamenti si sono quindi tradotti in una continua azione di promozione di riforme economiche mirate a favorire il “buon funzionamento” dei mercati.”

4. Il punto di riferimento, ideologico e materiale, risulta dunque chiaro: un vincolo, prioritariamente monetario, che limiti d'imperio ogni possibile intervento nell'economia alla gestione dei mercati del lavoro e dei beni, in senso "offertista", è un bene talmente prezioso, come insegnava d'altra parte Kalecky, che ben può generare la convinzione che rinunciare ad esso costituisca un male superiore a qualsiasi, e proprio qualsiasi, costo che tale vincolo potrebbe generare.
Forte di questa convinzione, (peraltro "statica", cioè non disponibile a essere rimessa in contestazione da qualsiasi situazione sopravvenuta), il Quarto Partito diviene naturalmente propenso a non vedere il suicidio (cioè la perdita di controllo bancario e industriale) come punto di approdo della moneta unica e, invece, a ritenere sempre praticabile, date certe condizioni politiche, - tipicamente rappresentabili a se stesso come un nuovo stato di eccezione legato agli spread e al debito pubblico-, un "altro rimedio" (per l'appunto).

6. Questo altro rimedio è anche un...altro modo di definire "l'altra €uropa", cioè di cosmetizzare come riforma progressista quella dei trattati, dissimulando il fatto inevitabile che essa può solo consistere, a questo punto del processo €uropeista, in un inasprimento del modello antisolidale e anticooperativo dell'eurozona (pur considerandosi la migliore delle ipotesi! Qui, p.10).
E in ciò ne abbiamo una conferma dal modo in cui si è espresso il premier proprio nel sostenere come l'unica direzione percorribile sia il "più Europa" nel cercare un accordo sulle proposte di riforma dei trattati, dominate dagli obiettivi e dai veti tedeschi.

7. L'altro rimedio, per salvare "l'altra €uropa", - data l'implicita accettazione come dogma dell'incubo del contabile, in ciò insita- non può che essere la super-patrimoniale che, appunto, salverebbe "capra e cavoli" dentro la moneta unica: a fronte di un'austerità consistente in tale misura, lanciata dall'emergenza spread post-QE e quindi dal consueto slogan dell'abbattimento del debito pubblico, si otterrebbe la preventiva copertura dell'intervento statale (tosatura dei contribuenti-risparmiatori), complementare al burden sharing (tosatura degli obbligazionisti e piccoli azionisti), per salvare le banche che, notare l'ironia, vedrebbero aggravati i loro bilanci proprio dall'adozione di un tale drastico prelievo fiscale (cioè dal riespandersi delle insolvenze bancarie da cui si voleva sfuggire...).

8. Un giro euristico, ma solo nei volumi di tassazione rispetto alla riduzione della ricchezza dei cittadini (in alternativa al traumatico bail-in sui correntisti), perché, comunque, sarebbe una gigantesca redistribuzione fiscale in favore del settore bancario da tutelare; il quale, però, non rimarrebbe a lungo a controllo pubblico, dato l'obbligo di cessione delle banche salvate, che le regole europee prevedono a carico dello Stato il quale, eccezionalmente, - e derogando al divieto di aiuti di Stato in ragione di (ben tangibili) crisi di portata sistemica-, venga autorizzato a intervenire.
Una cessione degli istituti transitoriamente nazionalizzati, ben difficilmente consentirà, comunque, la preservazione di un azionariato di controllo nazionale.

9. Ma anche prendendo per "buono" questo "altro rimedio", dal punto di vista delle aspettative statiche di permanenza del controllo istituzionale, esso dispiegherebbe effetti macroeconomici di cui, molto probabilmente, il Quarto Partito non si rende ben conto.
Ripercorriamo la questione dei riflessi sul PIL della patrimoniale, ordinaria o straordinaria, quest'ultima (come pare sfuggire ai più) già preventivamente autorizzata dalla Corte costituzionale, prendendo il clou sviluppato in un precedente post:
"Prendiamo le mosse da uno studio Bankitalia sull' "effetto ricchezza": http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td04/td510_04/td510/sintesi_510.pdf
Per quanto concerne la sola ricchezza finanziaria, la propensione marginale al consumo è simile nei due paesi [USA e ITA], pari a circa 9 centesimi per ogni euro di ricchezza finanziaria. ...
Per quanto concerne la ricchezza reale (essenzialmente abitazioni e altri immobili), la propensione marginale al consumo delle famiglie italiane è pari a circa 2,5 centesimi per ogni euro di ricchezza reale."

...
Una patrimoniale ragionevolmente imposta solo sulle attività finanziarie liquide, visto che per gli immobili il "cappottino" è già confezionata "smoothly" e funziona in parte già a pieno regime, e che volesse dare un gettito decente, - per un folle quanto irrilevante impiego in riduzione del debito e per il famoso innesco delle politiche vagheggiate da Renzi-, dovrebbe grosso modo attestarsi sul 15%, con (forse) una soglia di esenzione dei conti con attivi inferiori a 100.000 euro, o a 50.000 euro, o a chissà quanto.
Dipende dal concetto di "ricchezza sfrenata" e colposa che ci propineranno, come quando propugnano la riduzione delle centinaia di migliaia di pensioni superiori a 1500 euro al mese, giustificandole con quelle poche decine da 10.000 euro al mese, fruite da alcuni "amici" (o ex tali), in assenza di una contribuzione effettiva corrispondente (parliamo di contribuzioni figurative e virtuali concesse ai vari politici e grand commis, padri della Patria in servizio militante permanente).
Sia quel che sia, arrotondiamo e facciamo che vogliano ottenere comunque un certo gettito, accomodando poi la base imponibile e le soglie di esenzione su questo risultato prefissato. Cioè, poi, in senso quella volta elargitivo, lo stesso metodo usato per la rivalutazione delle quote bankitalia: prima decido quanto voglio erogare di profitti (per modo di dire), alle banche private, poi capitalizzo sulla base di questo livello "a prescindere".
Arrotondando, diciamo che un "monte premi" che si estenda alle attività liquide in mano alle banche (cioè i comodi sostituti di imposta retribuiti a commissione), e forse esteso ai titoli del debito pubblico intestati a persone fisiche (quindi non a soggetti finanziari), - cosa che equivarrebbe a un consolidamento parziale "selettivo" a carico di gente certamente colpevole della "disoccupazione giovanile"- , darebbe una base imponibile "a spanne" di circa 1000 miliardi e un gettito di 150 (scontando, ripetiamo, una certa astuta fissazione delle soglie di esenzione).
Ora 150 miliardi di prelievo patrimoniale sulle attività liquide avrebbero i seguenti effetti:

a) una riduzione dei consumi pari a 13,5 miliardi ALMENO, essendo la propensione marginale USA assunta da Bankitalia alquanto riduttiva, e non correlata alle aspettative che il diverso assetto monetario e fiscale imposto dalla UEM innesca nella creazione di risparmio meramente di "riserva". Diciamo che più realisticamente si produrrebbe un calo recessivo dei consumi di almeno un punto di PIL;

b) un calo delle disponibilità per il pagamento di crediti in generale e di mutui immobiliari, in particolar modo, innescando un ulteriore incremento delle sofferenze bancarie...
Ciò determinerebbe un quasi esiziale fattore di instabilità del nostro sistema bancario, inducendo o lo Stato a trasferire il gettito di questo prelievo straordinario in salvataggi bancari, o, in omaggio al metodo Cipro istituzionalizzato dalla riforma bancaria UE, a procedere a ulteriori prelievi "forzosi" sui conti bancari privati (o a tutte e due le cose insieme);

c) un simultanea ulteriore situazione di minor domanda interna sul fronte immobiliare, che si sommerebbe alla sovraofferta che, autonomamente, è già in corso per via delle politiche fiscali attualmente intraprese, e comunque programmate in ulteriore inasprimento, di crescente tassazione patrimoniale (moltiplicazione dei titoli di imposizione e aumento legislativo delle basi imponibili). Da ciò: crollo dei prezzi immobiliari e aggiuntive insolvenze a catena di ogni forma di credito garantita da tali assets. E quindi sinergia distruttiva col punto b).
E perciò si avrebbe anche un'accelerazione di quella ulteriore perdita di consumi indicata da Stefano come conseguenza della propensione marginale al consumo della ricchezza immobiliare: diciamo, attenendoci abbastanza moderatamente al suo calcolo, e ipotizzando un crollo dei prezzi immobiliari (aggiuntivo) del 10-15% sui valori attuali (già calanti), di un altro punto di PIL.

d) Insomma, solo sui consumi l'interazione distruttiva di una tale intelligente misura fiscale, inciderebbe con una recessione "diretta" di circa 2 punti di PIL (ottimistica e che esclude un effetto panico tra risparmiatori e sistema bancario: lì saremmo alla devastazione. Che però non è ragionevolmente escludibile)".

10. Ci pare interessante chiudere il cerchio riportando la risposta a una domanda ("perché distruggere l'Italia?") posta nei commenti seguiti al post appena citato (eravamo a febbraio 2014):
"La domanda è molto "essenziale": il fatto è che loro credono veramente non di distruggere ma di migliorare l'Italia.

La premessa da cui partono è che non c'è posto per l'Italia, nel suo tradizionale sistema industriale e culturale (ormai distrutti, effettivamente) nel mondo liberoscambista finanziarizzato, e che si sia creata una sola via di scampo: quella della compartecipazione assoluta con le mire dei grandi gruppi economico-finanziari che predeterminano gli assetti in Europa e in UE, ciò che implica una riorganizzazione sociale di base conforme ai loro obiettivi (cioè lo schema, già seguito in USA e Germania, del 99% appiattito dalla....curva di Phillips) e salvezza per "loro": cioè politici esecutori fedeli, executives bancari e industriali, residui che comunque si internazionalizzano, cui verrebbe sostanzialmente garantita una posizione di gestione "in nome e per conto" dei controllori sovranazionali del capitale finanziario.

L'unico elemento di incertezza è se una certa residua governance (una sorta di testa del "drago") di questo sistema di controllori sarà attribuibile ai tedeschi o agli USA (adde; il che è, ed è sempre stato, v.qui, p.5, a ben riflettere, un falso problema).

Ma gli obiettivi intermedi non mutano di molto, e come ho evidenziato, ormai la partita trascende persino quella della moneta unica.
La sua stessa conservazione o meno dipende dal raggiungimento degli obiettivi di strutturazione ordinamentale di questo predominio finanziario etero-diretto, al cui consolidamento potrà essere sacrificato lo stesso euro, al momento opportuno.

Ovviamente se ciò sarà utile per IL RILANCIO: allo stato cioè il trattato di liberoscambio interatlantico (seguendo lo schema: lo SME era in fondo sacrificabile purchè CONTESTUALMENTE, ne abbiamo la prova nelle date storiche, si avviassero mercato unico, criteri di convergenza e euro)".

Pubblicato da Quarantotto a 07:35
 

mototopo

Forumer storico
Bufera su Visco, ma silenzio sul retroscena (supermassonico)
Scritto il 20/10/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro anche lo strano “suicidio” di David Rossi.
«Anziché attaccare il Grande Oriente per le vicende provinciali di Banca Etruria – afferma Magaldi, oggi presidente del Movimento Roosevelt – giornali e televisioni farebbero meglio a interrogarsi sul ruolo di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, poi ministra di Monti: erano al vertice di Bankitalia quando la banca centrale avrebbe dovuto vigilare sull’operato del Montepaschi». Analoga polemica con Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”: «Si parla genericamente di massoneria, in relazione a piccole vicende locali, mentre si continua a ignorare il ruolo supermassonico di primo piano rivestito in Italia, per conto di reti internazionali, da personalità come Monti, Draghi, la stessa Tarantola, l’ex presidente Napolitano e l’attuale ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan». Sotto il fuoco renziano è ora finito Ignazio Visco? Non una parola, dal mainstream, sul possibile retroterra comune dei contendenti, legati a influenti “salotti” non italiani. Silenzio anche sul ruolo della banca centrale, a cui un altro supermassone, l’eurocrate Carlo Azeglio Ciampi, “staccò la spina” nel 1980, facendo in modo che Bankitalia cessasse di fungere da “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo lo Stato – per finanziare il debito pubblico – a rivolgersi all’esosa finanza internazionale, mettendo all’asta i propri bond. Risultato: una falla rovinosa nel debito italiano, perfetta per indebolire il paese di fronte all’eurocrazia.
«La messa alla berlina del governatore Visco ad opera della maggioranza piddina rappresenta un patetico scaricabarile politico», scrive Alberto Bagnai sul blog “Goofynomics”, che parla di «modus paraculandi». Bankitalia non vigilava adeguatamente sulla crisi delle banche italiane? Consob neppure? Chi, onestamente, può dire il contrario? «Ma pensiamo davvero che Visco e Fazio fossero degli incompetenti, dei dilettanti? Se così fosse – aggiunge Bagnai – la loro nomina ad opera della classe dirigente che ancora oggi si ripropone come insostituibile oligarchia dovrebbe suscitare alcune domande anche nell’elettore più superficiale». Forse, continua Bagnai, la causa di tante “sviste” ad opera degli organismi di controllo esterni e interni alle banche italiane «era imputabile non all’umana pochezza ma ad un’altra causa: ad un vincolo esterno». Più precisamente «a un chiaro e inequivocabile ordine di scuderia», emanato in sede europea. «Un ordine al quale tutti, ma proprio tutti, dai vertici Bce fin al più passivo sindaco e revisore della più piccola banca territoriale», dovevano sottostare. Ovvero: «Non intralciare l’enorme arbitraggio finanziario reso possibile dal Trattato di Maastricht e dall’unione monetaria».
Arbitraggio? «Così si chiama il prendere a prestito nel nucleo e prestare con spread ai mal-investitori della periferia senza subire rischi di cambio e senza alcun controllo sui movimenti dei capitali», spiega l’economista. «Una colossale macchina da soldi, la cui già enorme potenza era ulteriormente amplificata dal mercato dei derivati, grazie al quale si diluivano i rischi di credito nell’oceano degli ignari e polverizzati investitori globali». In pratica, una droga: «Come nel narcotraffico fisico, nel narcotraffico finanziario tutti si sono sporcati le mani: i coltivatori (ingegneri e top manager finanziari), i cartelli dei trafficanti (le grandi banche del nucleo, cresciute in “Germagna” sino a diventare uno Stato nello Stato), i cartelli degli spacciatori e la loro rete di “down the line dealers” (le grandi banche commerciali periferiche e le numerose banchette che le contornano)». E poi anche «i governi, i responsabili dei controlli a tutti i livelli: pubblici e privati, nazionali e internazionali, i partiti e le forze politiche, tutti pro-Maastricht e pro-euro (ricordo che la “Costituzione europea” da noi fu votata all’unanimità e il Fiscal Compact con dibattito praticamente zero»).
E’ stato questo il “miracolo” dell’euro, sintetizza Bagnai con sarcasmo: «È stata questa la fonte di accumulo di capitale finanziario che ora permette la fase due: sfruttare la mobilità incontrollata del lavoro». Quindi, «cari moralisti falliti e vigliacchi – chiosa l’economista – chi di voi è senza Maastricht scagli la prima pietra». Se è difficile leggere analisi di questo tenore sulla grande stampa, o tantomeno ascoltarle in televisione, è addirittura impensabile imbattersi in spiegazioni dettagliate su quello che Bagnai chiama “vincolo esterno”. La piaga del neoliberismo finanziario in versione europea ha drasticamente impoverito centinaia di milioni di persone? Certamente, osserva Magaldi, ma bisogna pur sapere che ogni piano – compreso questo – cammina sulle gambe di individui precisi, accuratamente selezionati da un’élite occulta per occupare posti-chiave. Rarissimo che l’oligarchia si dichiari: è accaduto di recente in Francia, quando il supermassone reazionario Jacques Attali ha rivendicato la partenità del progetto che ha portato all’Eliseo la sua creatura, Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild. In Italia, invece, si sorvola regolarmente anche su un altro difensore di Ignazio Visco: Romano Prodi. «Ne parlerò nel sequel di “Massoni”, di prossima uscita», annuncia Magaldi.
«Pessimo interprete di questa globalizzazione privatizzatrice», l’ex premier ulivista, ex presidente della Commissione Europea nonché advisor di Goldman Sachs: benché ufficialmente “progressista” sarebbe anch’esso «affiliato a quelle potenti reti supermassoniche internazionali che hanno progettato la grande crisi, in termini di svuotamento della democrazia e colossale trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto», sostiene Magaldi. La stampa ne coglie sempre e solo gli effetti terminali – la disoccupazione, la crisi dei risparmiatori colpiti dai crack bancari – evitando però sempre di inquadrare il disegno, i suoi architetti occulti e i relativi interpreti locali. Non stupisce che giornali e televisioni continuino a ignorare le rivelazioni di Magaldi, che forniscono un’inedita geografia del vero potere. Tra le 36 superlogge mondiali, da cui dipendono entità paramassoniche come il Bilderberg e la stessa Trilaterale, spicca il ruolo nefasto svolto negli ultimi decenni dalle Ur-Lodges neoaristocratiche e oligarchiche, come la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose”, la “Leviathan”, la “White Eagle”, senza contare la potentissima “Three Eyes” (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) e la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, secondo Magaldi con intenti addirittura terroristici (11 Settembre, Al-Qaeda, Isis).
A valle, la mappa del back-office del potere si rifletterebbe in Italia – come in ogni altro paese, non solo occidentale – nel reticolo dei leader locali: Magaldi ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali). Della “Three Eyes” farebbero parte anche Padoan e Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da uomini affiliati a Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia). Ignazio Visco, l’attuale governatore di Bankitalia, sarebbe invece legato alla “Edmund Burke” (insieme all’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco). Ma non c’è caso che ne si faccia cenno, nelle cronache: tutto finirà, come sempre, attorno alle chiacchiere di Renzi, più quelle su Renzi e quelle contro Renzi, senza spiegare verso quali scogli sta andando la nave, e per ordine di chi.
 

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Forumer storico

A George Soros il divieto di operare in Austria: “Hai 28 giorni per andartene”
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20 Ottobre 2017 - 17:56

2017-10-20 17:41:31
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Flavia Provenzani

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Il leader più giovane del mondo, Sebastian Kurz, contro lo speculatore George Soros: vietatele operazioni della sua Open Society Foundation in Austria.
 

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Forumer storico
BANCA CENTRALE INDIPENDENTE, PROTEZIONISMI E...HAYEK (il mondo non basta...decisamente) [/paste:font]


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1. Il titolo di questo post si compone di tre tematiche che questo blog ha approfondito per anni: risale agli esordi la focalizzazione sulla centrale importanza di Hayek nel paradigma €uropeo, in ogni sua proiezione geo-istituzionale e, in generale, in tutta l'ideologia politica del mondialismo, fin dalle sue prove generali teorico-pratiche, in specie sudamericane, ma che giungono fino ai ben tangibili effetti sul nostro (ex) ordinamento democratico-costituzionale.
Sarebbe un compito quasi impossibile anche solo riassumere, in un'unica rassegna, il materiale pubblicato su questi tre argomenti: non rimane, perciò, che invitare a fare una ricerca mirata e a verificare quello che, proprio su questi tre argomenti topici, potrebbe fondare, riassunto in "lemmi" para-simbolici, il filo conduttore del blog (che poi è l'analisi economica del diritto pubblico e, quindi, l'approccio fenomenologico all'economia istituzionalista concepita nel XX° secolo).

2. Piuttosto in questa sede partiamo da un "curioso", ma non sorprendente, evento della cronaca, in teoria molto importante, ma trascurato dai media italiani mainstream: non lo trascura invece il Financial Times che dedica un "fondo" (giovedì 19 ottobre 2017, pag.20) alla mega-riunione svoltasi a Washington sotto l'egida, niente di popodimeno che, del FMI e della World Bank.
Radunatisi "funzionari" ed espertologi di ben 190 paesi (!) con cosa se ne escono questi sobri eredi del Washington Consensus (trattandosi della più evidente perpetuazione assembleare di quella "catena di comando")?
Con le seguenti indicazioni schematizzate dal FT, che vi riporto. Avremmo, cioè, quattro fattori positivi a favore della crescita mondiale:
- lo slancio della crescita sarebbe più ampio e durevole (di quanto atteso...il che è un po' tautologico e autopromozionale);
- le condizioni finanziario-creditizie favorevoli supportano i consumi, senza preoccupanti aumenti dell'inflazione (il che è auto-rassicurativo sulla stabilità finanziaria del mega-consumo a debito privato);
- la volatilità dei mercati finanziari "molto bassa" consente all'onda di valutazioni più elevate (dei vari titoli scambiati) di proseguire ulteriormente (il che è semplicemente...inquietante);
- la speranza che la crescita economica possa essere ulteriormente rafforzata dai progressi, attesi da lungo tempo, nell'applicare politiche aggiuntive pro-crescita, particolarmente in Europa e negli USA (idem come sopra).

3, Questa elencazione di fattori positivi si regge su un unico comune denominatore: il dominio della finanza sull'economia reale e la giustificazione di questa perdita del normale rapporto strumentale della prima rispetto alla seconda, in un'orgia scientifico-naturalistica che si impernia sulle priorità teologizzate del contenimento dell'inflazione (elemento espressamente enunciato) e della concezione monetarista e (neo)neo-classica della piena occupazione: intesa, ovviamente, come quella, di qualsiasi livello, corrispondente al tasso di inflazione "naturalisticamente idealizzato", e che si affida alla potenza esclusiva del sistema dei prezzi, riguardante anzitutto (in realtà "solamente") i salari sul mercato "perfettamente concorrenziale" del lavoro (tradotto in pratica, delle vostre vite: non esiste disoccupazione involontaria, ma solo gente che non vuole lavorare a certi livelli retributivi perché è choosy).

4. In questa situazione si può notare, sul piano squisitamente comunicativo, una palese contraddizione: a giorni alterni, a seconda del contesto in cui gli espertologi "funzionari" si riuniscono, si paventa la secular stagnation, dovuta alla cattiva digestione dell'innovazione tecnologica da parte di pigri lavoratori corporativisti, se non xenofobo-guerrafondai (p.2), nonché ad un "inspiegabile" calo demografico nei paesi a capitalismo "avanzato", salvo poi dimenticarsene di fronte al presunto slancio della crescita superiore alle attese (che su basi statistiche secolari ed oggettive, non è neppure lontanamente paragonabile alla crescita anteriore all'irrompere del dominio del meraviglioso mondo global-freetrade di Hayek e dello stesso Washington Consensus).

5. Ma veniamo, proprio per illustrare meglio le grottesche ed autoelogiative contorsioni a sostegno del modello globale di crescita compiute mercoledì scorso a Washington - e mediaticamente diffuse in automatico h.24 in Italia, senza il benché minimo dubbio, in un esercizio di fanatico provincialismo autolesionista- ai punti critici che minaccerebbero la crescita, riportando appunto la seconda "lista" riassunta dal FT:
- una limitata comprensione di relazioni economiche chiave nei paesi avanzati (come quelle sulla produttività, la determinazione dei salari e le dinamiche inflattive; tradotto: non si pensi neppure per un attimo ad attenuare la presa sulla deflazione salariale competitiva sul mercato del lavoro, pensando di poter fare concessioni su tale fronte solo perché si cresce...ma non si esporta mai abbastanza...tutti, contemporaneamente!), così come dell'impatto delle innovazioni tecnologiche (e ci risiamo);
- incertezze sul commercio mondiale e per l'eventuale normalizzazione della politica monetaria da parte di più d'una delle banche centrali sistemiche;
- una crescente reazione contro le compagnie "big tech" nel contesto di un "mettersi al passo" sia da parte dei governi che delle stesse compagnie rispetto all'importanza sistemica del settore;
- la questione geopolitica delle minacce nucleari della Corea del Nord;
- le persistenti diseguaglianze che alimentano le politiche della rabbia, delle divisioni sociali e la polarizzazione dei partiti.

6. Insomma, gli espertologi di 190 paesi, radunati sotto le bandiere di FMI e WB, si lamentano essenzialmente della riottosità, considerata irrazionale, dei substrati sociali che vengono così tanto beneficati da questa crescita superiore alle attese e da questa manna dei titoli finanziari che continuano a crescere indefinitamente, in una pur irreale mancanza di volatilità delle quotazioni.
Con un inviperito disappunto si muovono rilievi ai "governi" che, assurdamente, intendono mantenere il consenso elettorale sacrificando le ulteriori e tanto attese riforme strutturali pro-crescita del mercato del lavoro, dimenticando gli effetti benefici degli aumenti di produttività per unità di lavoro, che gioverebbero al commercio mondiale se la si smettesse di assecondare i lavoratori in quel corporativismo avido e protezionista; avidità che invece, le politiche accomodanti delle banche centrali sistemiche dovrebbero aver già soddisfatto, consentendo, col denaro facile, la creazione di milioni di meravigliosi posti di lavoro e una ripresa degli investimenti su cui, i governi, mostrano, ingrati, tutta la loro arretratezza nel comprendere l'importanza sistemica di una produzione di servizi hi-tech - sostitutivi della manodopera nei servizi, dopo che la stessa è stata sterminata quella nel manifatturiero- che diventa il nuovo TINA progressista e mondialista.

7. Non c'è nulla da fare: voi siete vecchi, siete il passato, e non volete adeguarvi alla nuova realtà del progresso infinito del mondo della finanza senza frontiere, che è pure attenta all'economia reale purché sia ridotta ai servizi hi-tech delle compagnie big-tech. Un autentico "trionfo" di questa impostazione, basata sul drive praticamente esclusivo dell'investimento nella digital economy, pur punteggiato da qualche lamentela sul calo continuo degli investimenti nei paesi in via di sviluppo (chissà perché: neppure un serio interrogativo viene posto su quale modello di sviluppo e su quali settori merceologici siano rispettivamente spiazzati e privilegiati da questo incontestabile drive), la si può avere nel World Investment Report dell'UNCTAD per il 2017 (dove la considerazione principale è dedicata all'aggregato dell'investimento diretto estero, cioè alla presunta vitalità del free-trade globalizzato, e non al complesso degli investimenti mondiali comunque localizzati).
Siamo di fronte a puro offertismo autoreferenziale; l'essere umano, ridotto a unità di lavoro a produttività incrementale forzosa, scompare.

8. Non a caso l'Unione europea, quando deve rilanciare la comunicazione sui benefici della globalizzazione ci riporta la crescita del commercio internazionale sul PIL mondiale,
resource.html


Non la crescita del...PIL mondiale in corrispondenza della 3a ondata di globalizzazione (cioè quella applicativa del WC e post-guerra fredda), che invece, proprio per la finanziarizzazione, cioè per quel processo che inizia dalla fissazione del dogma delle banche centrali indipendenti, è andata in modo molto poco entusiasmante (almeno per il lavoro; non per i profitti, secondo questo paper del 2016 con rilevazioni che arrivano al 2015).

9. Il primo grafico a) mostra che il PIL mondiale reale è andato piuttosto maluccio, a partire dall'era monetarista delle banche centrali indipendenti, cioè specificamente dai primi anni '80, e via via nell'era del Washington Consensus e della "terza" globalizzazione, punteggiata dalle varie crisi finanziarie.
Il secondo grafico b) indica che la variazione del PIL nominale si è convertito quasi totalmente in un aumento dei profitti delle grandi imprese e quindi nella ben nota stagnazione della quota salari "mondiale" (per derivazione di una crescita mondiale quasi del tutto assorbita dai profitti):
a)
Growth.png

b)
1global.png

better-but-not-good-enough-oecd-economic-outlook-presentation-june-2017-3-638.jpg


10. E tutto ciò, fermo restando che la crescita mondiale registratasi nello stesso periodo è prevalentemente dovuta a quella dei paesi che (fuori dall'OCSE) NON SI SONO ASSOGGETTATI AL WASHINGTON CONSENSUS e al dogma delle banche centrali indipendenti, paesi che, saggiamente, stanno cercando di svincolarsi in modo crescente dalla crescita esclusivamente legata al "libero" commercio mondiale; notare (in basso a sinistra nel grafico sottostante) il contributo dell'area euro alla crescita del PIL mondiale dal 2008 ad oggi! Nel grafico susseguente si vede come, dopo l'ultima crisi finanziaria, i paesi asiatici che crescono, tendano a tenersi, cautamente, sempre più a distanza dal puntare sulla crescita del commercio mondiale.
shortterm-momentum-will-it-be-sustained-oecd-economic-outlook-presentation-september-2017-3-638.jpg


oecd-economic-outlook-christian-kastrop-oecd-4-638.jpg


11. Ma per finire, poiché diamo per attendibile che la crescita mondiale sia stata, nel 2016 e nella parte iniziale del 2017, - come ci dicono gli espertologi del meeting FMI e WB- superiore alle attese (in effetti previste come meno rosee secondo il Bloomberg Forecast, v. fig.3), ciò appare dovuto a ragioni esattamente opposte a quelle da loro identificate; in particolare, quanto alle incertezze sul commercio mondiale; infattti, mentre il commercio mondiale "rallenta", si registra una crescita mondiale superiore alle attese proprio grazie a incrementali (e piuttosto generalizzate) barriere non tariffarie. E sono proprio i paesi emergenti ad aver coerentemente tenuto tale razionale linea di (preteso) protezionismo, v.qui, p.6, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008:

f335349b-bc10-4187-8d8d-0d06483db92c


11.1. Questo ulteriore world growth outlook del 2017 (canadese) ci segnala questa tendenza al dualismo, nella crescita, proprio fra paesi "emergenti" - non conformatisi al Washington Consensus e relativamente liberi dalle condizionalità FMI-, che vedono aumentare sopra-trend il manifatturiero e i consumi, e paesi "sviluppati" che, convinti liberoscambisti, si affidano alle banche centrali indipendenti per far "ripartire investimenti e occupazione" e ottengono, invece, una crescita dell'occupazione in sotto-tendenza - per non parlare dei salari- e una continua perdita nel settore manifatturiero. Quindi, i secondi si devono/vogliono affidare alla speranza dei servizi, cioè all'economia digitale hi-tech e...all'ulteriore perdita strutturale di occupati (popolazione attiva), di domanda domestica e di crescita. Sorprendendosi poi se si ritrovano a perdere le elezioni...(naturalmente si tralasciano le insignificanti risultanze relative ai sondaggi sulle attese delle imprese...):

vemo_rb_ca_fig1.jpg


Pubblicato da Quarantotto a 17:32 Nessun c
 

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