Per cortesia ripristinate il 3d di mototopo (4 lettori)

aquilarealeatapple

Forumer attivo
" h!!ps://www.youtube.com/watch?v=5Bp2zihp3UA "

" solo " metalli tossici ? probabilmente no ... dopo tutte le informazioni che si sono acquisite sui vaccini , i risultati visti su tanti bambini e anche anziani , ci tenete ancora a far da cavie a questi animali ?
Non arrivo a definire esseri umani tutte le persone che sono dietro ai vaccini , agli scienziati venduti americani , europei , ai governi tutti e chi ne ha avvallato l'imposizione " a norma di legge " ..
uscite e scappate da roma , fino a che c'è tempo ! anche i responsabili dell'america e non solo , di queste schifezze pagheranno amaro questo scempio !

quindi qualcuno di voi potrebbe chiedersi : quale ragione potrebbe essere per fare ciò ?
provo a ipotizzare , nessun scienziato o dottore potrebbe avallare ciò , sono troppo materialistici nell'affrontare le situazioni strane e o ambigue ..
ciò potrebbe aver attinenza con la possessione delle persone , fateci caso , vi è mai capitato in sonno di un inturgidimento di un braccio , oppure una gamba , come se non riusciste a controllare il vostro corpo ? Questo non ha attinenza a posizioni sbagliate del corpo dove si addormentano gli arti , ho scritto irrigidimento muscolare ..
i puntini potrebbero essere : feti abortiti da legge falsa sull'aborto .. questi poi , invece che distrutti , inseriti di proposito in microparticelle nelle vaccinazioni , per ricombinazione dna con cellule morte , diventando veicolo per spiriti immondi all'interno di chi ha subito tali pratiche di vaccinazione !
già l'aborto di feti sani , come gesto e come legge umana , va contro ogni ordine celeste !
come dite ? ho fantasia a livelli stratosferici ? chissà ! spero per voi di non aver pienamente ragione ...
 
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mototopo

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Luciano Barra Caracciolo straordinario intervento sui trattati Europei

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Luciano Barra Caracciolo - straordinario intervento sui trattati Europei

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mototopo

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posted by Ingegner Caustico
LA TRUFFA DEL DEBITO PUBBLICO




Non esiste giorno senza che veniamo ammorbati dal mantra secondo il quale avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, distribuendo “troppo” benessere, così accumulando una montagna di debito pubblico. Quest’ultimo costituirebbe una zavorra per la crescita e un fardello che le precedenti generazioni hanno lasciato sulle nostre spalle e che noi stiamo colpevolmente trasferendo alle nuove. Per “salvare” queste ultime, non possiamo esimerci dall’applicare misure di austerità e fare le riforme strutturali. Per rafforzare il concetto si rifugiano su aspetti moralistico/colpevolistici (che non hanno NULLA di macroeconomico) del tipo: devi fare tu i sacrifici, in questo modo li eviterai ai tuoi figli; più ne fai e meno ne faranno loro! Di fronte a questo autentico ricatto morale, i più cedono ed acconsentono alla distruzione dei diritti, allo smantellamento dello stato sociale, alla riduzione degli stipendi, delle pensioni, alle svendite del patrimonio pubblico ecc.
Ma cos’è il debito pubblico e perché si forma? Occorre sapere che la spesa di qualcuno è SEMPRE il reddito di qualcun altro, pertanto il bilancio del settore pubblico (cioè la differenza tra entrate ed uscite statali) è lo specchio del bilancio del settore privato (al netto del bilancio estero). In parole semplici: se lo Stato spende 100 euro ed incassa 90, la differenza, pari a 10 euro, va al settore privato (costituito da privati cittadini e imprese) che si arricchisce. Se il settore pubblico ha un deficit di 10, il settore privato ha un avanzo di 10. Tanto si impoverisce il settore statale, tanto si arricchisce il settore privato e viceversa. Non ci credete? Ecco la situazione italiana dal 1999 ad oggi:



Elaborazione su dati AMECO

La figura è perfettamente simmetrica: tanto scende uno, tanto sale l’altro, per cui il fatto che ci sia del debito pubblico equivale al fatto che voi avete avuto la possibilità di risparmiare (inteso qui nel senso che avete potuto mettere un certo gruzzoletto in banca o sotto al materasso). Vi siete mai chiesti perché l’Italia è uno dei paesi al mondo con la maggiore ricchezza privata?!?
Peccato, ci dicono, che questo debito debba essere ripagato e, se non lo facciamo noi, come detto in precedenza, dovranno farlo i nostri figli e i nostri nipoti. Non necessariamente!!!

Per spiegare questo concetto faccio ricorso ad un report della McKinsey Global Institute (MGI) a firma di Richard Dobbs, Susan Lund, Jonathan Woetzel e Mina Mutafchieva ed intitolato “Debt and (not much) deleveraging” in cui si evidenzia il fatto che il debito di Stato detenuto dalle Banche Centrali (o qualunque altro ente governativo) in un certo senso è solo un’entrata contabile che rappresenta la rivendicazione di una parte del governo verso un’altra. Inoltre, tutti i pagamenti dell’interesse su questo debito sono tipicamente inviati alla tesoreria nazionale, quindi il governo sta effettivamente pagando sé stesso”. In pratica è una partita di giro: lo Stato, cioè, deve dei soldi a sé stesso (e quindi non dobbiamo dare niente a nessuno). Di questi argomenti se ne parlava alcuni anni fa anche sui media internazionali:

17 ottobre 2012 Wall Street Journal: “La Tentazione della Gran Bretagna: cosa succederebbe se la Banca di Inghilterra cancellasse semplicemente i 400 miliardi di debito pubblico che ora detiene..”

14 ottobre 2012 Financial Times: Gavyn Davies scrive “La Banca Centrale cancellerà il debito pubblico ?2”. Gavy Davies è l’ex capo economista di Goldman Sachs e cita Lord Turner (capo della FSA, la Consob inglese), che avrebbe detto in privato che una soluzione fattibile (Turner ha poi cercato di smentire quando è apparso riportato sul Guardian).

14 ottobre 2012 Telegraph: Ambrose Evans-Pritchard cita il report di due ricercatori al Fondo Monetario uscito ad agosto che dimostra anche matematicamente che se lo stato stampa moneta in misura sufficiente, può eliminare sia il debito pubblico che il credito bancario e il risultato come PIL, reddito e il resto sarebbe ottimo.

14 ottobre 2012 BusinessInsider.com: Joe Weisenthal cita un trader a Londra che gli parla della possibilità che la Banca di Inghilterra, che ha già comprato 1/4 del debito pubblico inglese, semplicemente lo mandi al macero e dica al governo che non le deve più niente.

Ma anche qualora, come nel caso dell’Eurozona, la Banca Centrale non fosse sotto il controllo del governo, si potrebbe rimpiazzare il debito governativo sul bilancio della Banca Centrale con una obbligazione perpetua a tasso zero.
Questa possibilità è stata presa in considerazione anche dagli esperti di Pictet Asset Management, Steve Donzè e Hiroshi Matsumoto, i quali nel report “Helicopter money: credible irresponsibility in Japan?” suggeriscono alla BoJ (Bank of Japan) di acquistare bond zero-coupon a scadenza illimitata, cioè titoli del debito governativo che non generano interessi e che non devono essere mai pagati in quanto non scadranno mai. L’ipotesi allo studio dalla stessa BoJ (per ora il governatore Kuroda nega, ma sempre più elementi fanno propendere per questa tesi) prevederebbe inoltre la graduale sostituzione dei titoli di stato in pancia alla BoJ con questi perpetual zero-coupon. In questo modo il debito può essere tranquillamente cancellato dal bilancio statale e addirittura azzerato!!! Ciò comporterebbe per la BoJ un disavanzo di bilancio, dato che le passività sarebbero superiori alle attività, tuttavia le Banche Centrali non sono soggette ai test di solvibilità previsti per le banche del settore privato e non devono avere gli stessi requisiti patrimoniali in quanto hanno la potestà esclusiva di creare denaro pertanto, per definizione, non potranno mai trovarsi prive di solvibilità. Per le banche centrali avere un patrimonio negativo non è certo una novità: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS), quelle di Cile, Repubblica Ceca e Israele hanno operato per anni con capitale negativo.
Analoga iniziativa è stata presa recentemente dalla Lega Nord che ha presentato al Parlamento Europeo ed alla Camera un atto di indirizzo (che potete trovare alla pagina web http://www.ilpopulista.it/userUpload/lega_proposta_risoluzione_annullamento_debito_pubblco.pdf) per la cancellazione dei mille miliardi di debito pubblico dell’Eurozona finora acquistati dalla Banca Centrale Europea nel corso del programma di quantitative easing.



La conseguenza sarebbe che tutti i debiti pubblici dell’Eurozona si abbasserebbero “pro quota” per l’importo dei titoli cancellati e quindi svanirebbero circa 200 miliardi di debito pubblico italiano su cui non dovremmo più pagare 8 miliardi di interessi. Se questa proposta venisse approvata, il rapporto debito/PIL italiano passerebbe istantaneamente dall’attuale 132,7% a circa il 113%. Procedendo in questo modo (quantitative easing e cancellazione contestuale dei titoli) il debito pubblico italiano si azzererebbe nell’arco di 13 anni!!!
Certo, a questo punto si smaschererebbe la menzogna del debito pubblico e come farebbero a ricattarci chiedendoci ulteriori sacrifici?!?



Claudio Barnabè
 

mototopo

Forumer storico
Euro crisis gennaio 27, 2017 posted by Maurizio Gustinicchi
INGANNO TEDESCO DELL’EURO: DALLA CIA UN DOCUMENTO ESPLOSIVO DEL 1978

Bel colpo di alcuni amici che mi passano questo prezioso e vecchio documento della CIA:



dove possiamo notare una prima sezione dedicata all’ingresso dell’Italia in una unione monetaria con i tedeschi:



In esso si legge:



Pandolfi chiese cambi flessibili, facilitazioni creditizie che ponessero al riparo dalle speculazioni, investimenti strutturali e trasferimenti nord-sud per aiutare le regione povere. Insomma, niente catene troppo strette e massima diffusione del benessere nel continente.

Ed ancora:



La lira crolla verso il Marco (dove esportiamo) e si rivaluta verso il dollaro (con cui paghiamo le importazioni) quindi non ci conviene legarci mani e piedi ai tedeschi con un cambio prefissato.

Ed infine:



Anche CARLI si espresse contro il legarsi troppo stretti col marco perché ci avrebbe distrutti!

Sapevano tutto tutti …. eppure hanno venduto i nostri risparmi all’imperialismo franco-tedesco.

Ma durerà ancora poco e ci LIBEREREMO!

Ad maiora.
 

mototopo

Forumer storico
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.































mercoledì 27 settembre 2017
L'INVARIANZA ELETTORALE DELLA GERMANIA E LE "RIFORME" DELLA SINISTRA COSMETICA [/paste:font]

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"The majority of voters in Western countries are here!"

1. Non mi stancherò mai di ripetere che tutto il battage, sulla crisi della costruzione europea e sul risultato "sconcertante", costruito dai media intorno alle elezioni tedesche, dipende dal concetto cosmetico di "destra" che si è costruito per simmetria al (neo)concetto di sinistra ridotta alla promozione dei diritti cosmetici (qui, p.2, infine): l'idea-guida è assuefare l'opinione di massa alla prevalenza di minoranze sezionali "deboli" per rendere accettabile la prevalenza della minoranza di classe timocratica, come fatto compatibile con "l'essere di sinistra".
In ciò sta il capolavoro del controllo mediatico del neo-liberismo e della idraulicizzazione della democrazia liberale, fatta passare come evoluzione naturale delle democrazie sociali in virtù della "globalizzazione" (che è invece un fenomeno di pervicace istituzionalizzazione intenzionale condotta dalle stesse elites e nient'affatto naturalistico).

2. Una volta capito che questa schematizzazione destra-sinistra non è fatta per descrivere la realtà dell'evoluzione dell'UE ma per dissimularla, cioè per dissimulare i suoi fini originari, si capisce che, finora, la "costruzione" è stata un indiscutibile successo.
Ma proprio per questo, cioè per essere stata efficace ed efficiente nel rendere irrilevanti "i parlamenti" nazionali, e quindi il suffragio universale, ed assorbire la sovranità degli Stati in un "buco nero" da cui non dovesse più riemergere (v. qui, le ormai celebri parole di Amato), - proprio per costituire ciò la forma più efficace di restaurazione dell'ordine internazionale dei mercati, (cioè istituzioni sovranazionali fondate riduzionisticamente su: a) gold standard (ovvero valuta de-nazionalizzata con banca centrale indipendente "pura"; b) free-trade; c) flessibilità del mercato del lavoro)-, questo successo lascia inevitabilmente sul campo di battaglia una quantità di vittime che, nell'ideologia neo-liberista dei vincitori, sono assunte come "costi".
Ma sono classificabili come costi solo in quanto le vittime (chiamate elegantemente "i perdenti della globalizzazione") sopravvivano fisicamente, continuando a gravare sull'efficiente allocazione delle risorse necessariamente scarse quali disoccupati e anziani improduttivi: nei prediletti termini malthusiani, se fossero fisicamente morte o MAI NATE, queste vittime sarebbero un asset.

2.1. E non a caso, la massa degli immigrati chiamati a sostituire i mai nati, i suicidati e i pensionati (di cui accorciare opportunamente le aspettative di vita) sono denominati "risorse": in effetti servono a ricostituire e possibilmente ad ampliare le fila dell'esercito industriale di riserva dei disoccupati e dei precarizzati, spingendo, attaverso una costante destabilizzazione sociale (che è il "costo" del successo, già messo in conto) verso la piena realizzazione del lavoro-merce (cioè della condizione di equilibrio teorizzata dai neo-ordo-liberisti come "flessibilità" che consente di negare persino il verificarsi periodico delle crisi, viste come mere fasi di aggiustamento verso gradi più intensi di flessibilità, come postulato della mai abbandonata visione teocratica della Legge di Say).

3. Ora i discorsi di Macron sulle riforme dei trattati, come pure le svolte a destra della Merkel, sono perfettamente comprensibili nella loro natura dialettica apparente (che Wolf spiega in modo lineare), e di mere sfumature tattiche ed auto-conservative, che sono adottate di fronte al "costo" della crescente impopolarità elettorale prima o poi conquistata da qualsiasi leader L€uropeista.
Queste posizioni pseudo-dialettiche, infatti, rimangono saldamente ancorate dentro il pensiero unico delle elites che hanno re-istituzionalizzato l'ordine internazionale del mercato: di cui L€uropa costituisce il più imponente successo, in quanto realizzante tale obiettivo in una comunità di Stati in precedenza caratterizzata da elevati livelli di industrializzazione "matura", di benessere relativamente diffuso e di connessa democrazia sociale (qui, p.4).

4. Ribadiamo un passaggio di Wolf , dal post sopra linkato (p.9), che proprio perché scritto a maggio, cioè ben prima delle elezioni tedesche, mostra come il "cul de sac integrazionista" che si sarebbe creato ora è pura fantasia (dei media italiani in particolare):
"La soluzione alle divergenze di competitività che propone la Germania (ndr; e che piace agli spaghetti-liberisti sopra ogni altra cosa e, aggiungiamo, valeva ieri come vale oggi essendo del tutto indifferente il risultato elettorale), è che ognuno segua il suo modello.
Nel 2016 tutti i membri dell'eurozona hanno così conseguito, eccetto la Francia, un surplus delle partite correnti (ndr; problemino non da poco...per Macron e la popolarità che ne ricaverebbe ove volesse accodarsi agli altri nel realizzare rapidamente, alla Monti, l'aggiustamento delle partite correnti).
Il saldo corrente complessivo dell'eurozona è passato da un deficit dell'1,2% nel 2008 ad un surplus del 3,4% nel 2016 (ndr; complice un dollaro forte che, però, dopo un transitorio effetto elettorale "Trump", sta tornando sui suoi passi).
"

...E dunque? Ecco:
"Se la Francia fosse indotta in una prolungata deflazione competitiva, Marine Le Pen diverrebbe presidente alla prossima tornata.
Macron deve chiedere ad Angela Merkel se la Germania sia disposta a rischiare questo risultato. Le "riforme" (ndr; del mercato del lavoro, beninteso) in Francia sono essenziali. E così lo sviluppo di istituzioni di condivisione del rischio (ndr; nella migliore delle ipotesi e al netto delle condizionalità giugulatorie volute dai tedeschi, da realizzarsi al più nel 2024, a "Macron" ormai giubilato).
Ma l'eurozona ha bisogno di un grande salto in avanti nelle retribuzioni dei tedeschi. Potrà accadere? Ho paura di NO (ndr; questa risposta logico-macroeconomica, cooperativa e anche democratico-sostanziale, non è più "praticabile" sol perché il malcontento sociale ha portato voti a AfD e...ai liberali).
"

5. Sarà allora meglio rammentare in cosa consista, e sia sempre constistito, il capitalismo tedesco e quale sia stato sempre, ed invariabilmente, il suo ruolo, promosso dai veri fondatori USA del federalismo L€uropeo, all'interno della costruzione.
Ci richiamiamo a uno scritto di Halevi, già più volte citato in questo blog, ma che oggi è straordinariamente attuale. (Halevi, va precisato, non è un keynesiano, tantomeno "post": ma è quantomeno un euro-realista, privo di illusioni sulla riformabilità dei trattati).
Di tale paper consiglio un'attenta rilettura: sarebbe troppo lungo riprodurlo per intero.
Ma tre passaggi meritano di essere riportati perchè mostrano sia la omogeneità del capitalismo tedesco rispetto a quello USA, riguardo alla struttura dominante degli oligopoli internazionalizzati, sia la peculiare rigidità ed invarianza dell'ideologia politica (ordoliberista-corporativista) che lo sorregge e che è parsa alle elites USA il motivo per avallare il modello tedesco come elemento di stress trasformativo dell'intera Europa:
A) Complessivamente dal 1982 al 1989 (ndr; piena "era SME") le eccedenze con l’estero non fecero che crescere fino a toccare quasi il 5% del prodotto interno lordo della RFT.
Questo costituiva il valore più alto nell’arco dell’intero decennio per l’insieme dei paesi dell’Ocse ad eccezione di alcune punte toccate dalla Svizzera. La composizione delle eccedenze mutò inoltre in favore dei redditi da investimenti esteri. Nel 1982 tale voce era nulla per cui il surplus con l’estero era dovuto interamente all’attivo commerciale.
Nel 1989 il valore degli introiti netti da investimenti esteri era intorno al 20% del valore dell’attivo commerciale.
Il fatto che l’aumento delle esportazioni nette in prodotti industriali venisse affiancato da un rapido incremento dei proventi netti dall’estero mostrava che la strategia tedesca di internazionalizzazione del capitale attraverso le esportazioni aveva successo. Le politiche messe in cantiere negli anni settanta poterono germogliare negli anni ottanta, nonostante l’ulteriore calo della crescita reale europea e mondiale.
Lo SME fu alla radice di questo successo.
Avendo ricompattato l’Europa sulla Germania nella fase alta del dollaro (1980-85), lo SME costituì un formidabile strumento per barricare il potere economico del capitale tedesco in Europa nella fase post-Plaza della svalutazione del dollaro. Dopo il 1985 le eccedenze europee con gli USA, compreso il surplus tedesco, si affievolirono assai rapidamente Complessivamente invece la crescita dell’attivo tedesco nei conti con l’estero continuò a crescere in assoluto ed in proporzione del reddito nazionale. Oltre il 60% del surplus della bilancia dei pagmenti corrente di Bonn proveniva dall’Europa, mentre nei confronti del Giappone la Germania soffriva di un deficit crescente. I profitti effettuati dal territorio tedesco nelle transazioni estere si realizzavano quindi principalmente in Europa.
Il contesto economico generale era però altamente stagnazionistico.
Dopo la grande espansione economica del 1968-73, dovuta soprattutto agli aumenti salariali, il tasso di crescita medio annuo europeo scese, nel periodo 1973-79, dal 4,9 al 2,5%. Quello della RFT passò dal 4,9 al 2,3%, cioè sotto la media europea.
Dal 1979 al 1990 il tasso europeo calò ulteriormente al 2,3% mentre il saggio di crescita tedesco toccava appena il 2%, aumentando lo scarto negativo rispetto alla media del Continente. Il basso tasso di crescita della RFT assieme alla posizione oligopolistica, protetta dallo SME, dell’apparato finanziario-industriale della Germania in Europa spiegano il ‘successo’ della strategia di accumulazione attraverso l’estero del capitale tedesco. La posizione globalmente oligopolistica della Germania è parzialmente deducibile, per il periodo 1979-90, dall’andamento medio positivo della ragioni di scambio. In altre parole, crescendo di meno ed esportando senza cedere sui prezzi la Germania strinse l’Europa in una morsa oligopolistico-stagnazionistica [3].
L’accumulazione stagnazionistica tedesca ottenne grande plauso in Europa.
La tecnocrazia francese esaltava il ‘modello renano’ contrapponendolo sia al capitalismo cartaceo anglo-americano sia all’inesitente radicalismo dei sindacati ufficiali tipo CGT. È comunque vero che in Germania i sindacati si adeguarono al ‘modello renano’ malgrado il paese esibisse un tasso di disoccupazione vicino al 7% benchè in moderato declino dal 1986. Il successo nel campo delle esportazioni contribuirono a convincere anche i sindacati che il ‘modello’ funzionava e bisognava quindi farlo durare.
Dei problemi che tale strategia creava se ne preoccuparono in pochi, tra i quali però va menzionato Romano Prodi che in un saggio del 1990 colse chiaramente la morsa deflattiva in cui Bonn avvinghiava l’Europa [4].
In ogni caso spinte a mutare il contesto delle cose non emergevano a meno che non si volesse prendere sul serio il piano Delors, una sorta di omogeneizzazione del capitalismo europeo in un’alleanza oligopolitica transnazionale gestita pariteticamente dalla burocrazia francese e dalle istituzioni tedesche. Il cambiamento avvenne perché crollò la parete orientale su cui poggiava il capitalismo tedesco in Europa.

Nota 4, che ci interessa da vicino: Romano Prodi, “The economic dimension of the new European balances”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review, no. 173, 1990

B) Nel capitalismo oligopolistico l’aumento dei margini di profitto non conduce necessariamente ad un maggiore investimento, può invece aggravare la stagnazione. Al tempo stesso le imprese sono sollecitate rafforzare ulteriormente i margini di profitto quando subentrano considerazioni di natura finanziaria legate al pagamento di dividendo e/o all’ottenimento di prestiti dai ‘mercati finanziari’. Ne consegue che la finanziarizzazione dei processi decisionali implica la trasformazione di attività in passività finanziarie future.
Per esempio se, come accade in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, una società si impegna comunque a pagare dei dividendi, l’emissione azionaria considerata come un attivo dal lato finanziario si trasforma in un esborso e quindi in passività. Se invece la società conserva la libertà effettiva di non distribuire dividendi, sottomettendo tale possibilità alla propria strategia di sviluppo, la traslazione di attività in passività non avviene automaticamente. Negli Stati Uniti il crescente ricorso ad istituzioni finanziarie extra bancarie obbliga vieppiù le imprese ad onorare l’impegno di erogare dividendi. Inoltre l’intercompenetrazione tra ‘mercati finanziari’ e fondi di investimento impone decisamente alle imprese di seguire una doppia linea che poco ha a che fare con l’investimento reale di lungo periodo. Da un lato esse devono garantire i pagamenti ai detentori di pacchetti di azioni, in larga parte in mano a società finanziarie.
Dall’altro lato le imprese devono assicurare che le azioni esibiscano valori tendenzialmente crescenti. La dinamica della capitalizzazione borsistica diventa così un elemento essenziale nella capacità di ottenere prestiti e di emettere strumenti di indebitamento come le obbligazioni. La consistenza del valore dei dividendi e delle azioni è valutata in termini reali, viene cioè paragonata all’andamento dell’inflazione e del saggio di interesse. In tal modo le imprese devono endogeneizzare il comportamento anti-inflazionistico.
Dati quindi i prezzi, vi è un solo modo per conseguire un saggio di rendimento monetario coerente con le valutazioni generate dai ‘mercati finanziari’: aumentare i margini di profitto. Proprio perché i prezzi sono dati, ciò implica la riduzione del costo del lavoro (salario) unitario.

In teoria la riduzione dei costi di produzione può effettuarsi tramite gli investimenti produttivi. Quest’ultimi però dipendono principalmente dalla domanda ed hanno perciò un orizzonte temporale molto diverso dall’immediatezza richiesta dai ‘mercati finanziari’. Ne consegue che la pressione principale viene esercitata sul salario stesso.
Quanto descritto corrisponde al comportamento dell’economia americana negli ultimi due decenni che ha comportato una crisi senza ritorno nel salario della grande massa dei lavoratori statunitensi [1]. Questo tipo di accumulazione finanziaria si risolve in un grande numero di persone allo sbando, anche se formalmente occupate, per le quali l’accesso ai servizi ed alle prestazioni pubbliche di natura sociale è vieppiù subordinato al principio dell’obbligo reciproco.
Ancora alla fine degli anni ottanta la Germania era lontana anni-luce da questa visione della società, possibile solo in un’economia totalmente spanata, disarticolata ed autoritaria come quella americana. In Germania la stessa deflazione salariale era concepita in termini produttivistici: ristrutturare tecnologicamente - non finanziariamente - per aumentare la produttività rispetto al salario. Se i risultati erano positivi in termini di profitto i sindacati cercavano di far scattare la contrattazione aziendale che poi diventava un elemento nella contrattazione di categoria.
È su questa base che, nella sostanza, i sindacati hanno accettato la strategia neomercantilista varata dai socialdemocratici nel 1969 e continuata da Kohl nel 1983
, le cui conseguenze stagnazionistiche e altamente negative in termini occupazionali per la Germania e l’insieme dell’Europa sono già state discusse. Una forza lavoro occupata allo sbando è inconcepibile in Germania, ma è proprio questo che Schroeder vuole sradicare dalla testa della popolazione.
 

mototopo

Forumer storico
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.































mercoledì 27 settembre 2017
L'INVARIANZA ELETTORALE DELLA GERMANIA E LE "RIFORME" DELLA SINISTRA COSMETICA [/paste:font]

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C) ...Innanzitutto la strategia lanciata da Schroeder nota come alleanza per l’occupazione si basa sull’idea che gli aumenti salariali sono un ostacolo al riassorbimento della disoccupazione. Ovviamente questa spiegazione, tra l’altro errata sul piano concettuale, non è che un pretesto.
Dal patto produttivistico orientato verso le esportazioni dei decenni settanta-ottanta, che comunque si è fondato su uno spostamento della distribuzione del reddito in favore del capitale e dei profitti senza tuttavia rilanciare il tasso di crescita reale, il governo social-verde di Schroeder è passato alla subordinazione dei sindacati ad una politica che pone le rendite azionarie - e quindi la valutazione proveniente dai mercati finanziari - al primo piano [3].
Inoltre e coerentemente con tale scelta, il Governo ha lanciato una riforma fiscale e dell’azionariato, la cui entrata in vigore è prevista quest’anno (2002), volta a facilitare le transazioni di pacchetti azionari e le stesse scalate ‘ostili’. Commentando tali misure l’International Herald Tribune ha giustamente osservato che esse aprivano la strada a radicali ristrutturazioni occupazionali destinate ad alterare profondamente il panorama sociale del paese e quindi dell’Europa. Infine la coalizione social-verde si sta battendo per spostare il sistema pensionistico verso i fondi di pensione proponendo finanziamenti pubblici agli schemi privatistici.
Data la natura altamente organizzata del capitalismo tedesco, i mutamenti vengono concepiti gradualmente.

Nel frattempo i socialdemocratici cercano di organizzare il consenso intorno alla chimera finanziaria. “Il principio è nuovo” ha dichiarato con approvazione Erich Standfest, specialista di politica sociale del sindacato confederale DGB, aggiungendo: ”il fondo permetterà di allargare le possibilità dei piazzamenti facendo in particolare maggiormente appello ai mercati borsistici” [4]. La chimera risiede nel fatto che si spera di accrescere il patrimonio pensionistico riducendo, al contempo, i contributi sociali erogati dalle aziende.
Lo sgonfiamento della bolla di Wall Street e l’ulteriore aggravamento della stagnazione stanno riaprendo la contraddizioni inerenti a tali strategie. I socialdemocratici non cambieranno però strada per cui la soluzione vettoriale delle contraddizioni avverrà sul terreno sociale, o in termini di scontro oppure in termini di accettazione passiva. Per salvare la loro strategia privatistico finanziaria - che è poi quella del capitale nella sua totalità - i governanti di Bonn, ora trasferitisi a Berlino, cercheranno di rafforzare l’Euro come moneta della deflazione salariale e del potere della ricchezza astratta, ossia di quella finanziaria. Su questo terreno troveranno l’appoggio delle classi capitalistiche europee ma non necessariamente del capitale americano.
(Ndr "non necessariamente", sarebbe da precisare, con riguardo agli effetti, per gli stessi USA, del mercantilismo tedesco, ma, come comprovano i fatti, non certo rispetto alla potenza riplasmatrice della spinta tedesca rispetto ai paesi con le "Costituzioni antifasciste"...)
Dal punto di vista del lavoro dipendente, cioè di classe, è assolutamente importante convincersi che con questi obiettivi non vi è nulla da spartire.

Bisogna quindi guardare alla creazione dell’Euro come un elemento delle strategie del capitale monopolistico europeo il quale lungi dall’essere omogeneo si esprime in maniera coerente solo nella lotta che conduce indefessamente contro il salario e la spesa pubblica produttiva e sociale.
Invece, purtroppo, la sinistra partitica italiana è corresponsabile dell’accettazione dell’ideologia metapolitica insista nei discorsi sull’ “Europa” e sull’ Euro. Questa ideologia disarticola ed indebolisce la resistenza e la capacità di autonomia politica delle classi e degli strati la cui vita dipende unicamente dai redditi da lavoro e dal funzionamento ed ampliamento dei servizi sociali pubblici
.
 

mototopo

Forumer storico
gil,, la persona. ne sa più di tutti e' l unico che conosce il funzionamento dello stato italiano. francese tedesco e dei trattati internazionali....presidente di sezione del consiglio di stato dr barra Caracciolo......dovrrbbere esserci lui come presidente del consiglio...,ma lo farebbero fuori dopo 2 secondi
 

mototopo

Forumer storico
VOGLIONO GUERRA. ALLORA RICORDIAMO CHI CI TRASCINO’ NELLE ALTRE
Maurizio Blondet 28 settembre 2017 39



(Il nostro Parlamento, bipartisan, ha aumentato le nostre spese militari da 70 a 100 milioni al giorno: + 43%. Gli eventi in corso tra Irak, Siria e Iran mi inducono a riproporre questo mio testo):

Benjamin Freedman (1890 – 1984) è stato un uomo d’affari di successo (era il proprietario della Woodbury Soap Co.), ebreo di New York, patriota americano. Era anche stato membro della delegazione americana al Congresso di Versailles nel 1919, dunque un “insider
 

mototopo

Forumer storico
orizzonte 48 luciano barra caracciolo


























martedì 3 ottobre 2017
AGGIORNAMENTO AL DEF: L'INEVITABILE CONDIZIONALITA' €UROPEA POST-ELETTORALE [/paste:font]


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L'approvazione dell'aggiornamento settembrino del Def è già materia di una grottesca trattativa (tra forze che si riconoscono senza sostanziali rivisitazioni nella linea economica €uro-competitiva che hanno condiviso per oltre 20 anni) che si impernia su alcune "sfumature": cioè sulla sostituzione di alcune, con altre, misure rientranti tutte nella consueta impostazione supply side. In particolare, si considera la decontribuzione fiscalizzata sulle "nuove" assunzioni, riferibili a una variabile platea di giovani o un po' meno giovani, retroattiva o meno (in pendenza dei sistemi attuali di sgravio a termine).
Basti al riguardo, l'autodefinizione di tali politiche come "innovazione e competitività" data dallo stesso Padoan in sede di audizione parlamentare sulla nota di aggiornamento ("Per competitività e innovazione, capitolo che include "incentivi agli investimenti privati" di Impresa 4.0 ma anche "interventi sul costo del lavoro volti a incentivare assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani" con la prossima manovra saranno stanziati 338 milioni per il 2018 che diventano 2,162 miliardi nel 2019 e quasi 4 miliardi nel 2020"). Tutto nel quadro di misure per stimolare l'offerta, appunto.

2. Ma la sostanza è uno dei consueti paradossi delle €-visioni supply side: si propaga ai media e all'opinione pubblica che "l'impatto positivo della manovra autunnale sul tasso di crescita del Pil, in termini di differenziale tra lo scenario programmatico e il tendenziale, è stimato pari a 0,3 punti percentuali nel 2018 e 2019 mentre diventa negativo all'incirca in pari misura nel 2020.".
Come possa ciò accadere rimane un mistero. Dal Sole24 ore traiamo questa tabella riassuntiva inserita nel Def:

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3. Comunque la si voglia vedere, rimane il fatto, secondo il quadro programmatico (che è quello che dovrebbe denotare obiettivi e volumi della manovra), che il deficit stimato per il 2018 si ridurrà di 0,5 punti di PIL rispetto al 2017.
Il saldo primario salirà da 1,7 a 2 punti di PIL:il che spiega empiricamente, meglio delle formule utilizzate dalla Commissione UE, la misura dell'output-gap nazionale, cioè del minor impiego dei fattori della produzione rispetto al "potenziale", che, peraltro, diviene costantemente in riduzione rispetto a ciascun anno precedente, dato che il sistema di rilevazione applicato nel fiscal compact incorpora necessariamente livelli crescenti di:
a) disoccupazione strutturale (il famoso NAIRU, non accelerating inflation rate of unemployment, qui, p.2, cioè quanto DEBBA essere la disoccupazione per non aumentare l'inflazione e non perdere la rincorsa ai tedeschi nell'aggiustamento verso la competitività);
b) contrazione dello stock degli investimenti complessivi in capitale produttivo: il che significa che persino gli investimenti lordi, cioè di mera sostituzione/manutenzione dell'esistente, hanno e avranno una dinamica di crescita inferiore a quella necessaria a mantenere i precedenti livelli produttivi.
Ecco infatti i dati ufficiali sull'andamento del livello degli investimenti, comparato con quello UE, fornitoci da gov.it su dati FMI (e non ha bisogno di commenti circa la conferma di quanto appena detto):

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E aggiungeremmo pur il dato su risparmi & investimenti, visto che i primi sono spesso oggetto di ordine di "attacco":

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4. Sul reperimento delle risorse per la manovra, e quindi per tale riduzione dell'indebitamento netto (nominale), si conta anzitutto su una crescita finale del PIL, nel 2018, pari a 1,5 punti, che determinerebbe uno scostamento in aumento dalle previsioni (1,2) di 0,3 punti, andando perciò a coprire all'incirca 1,5 centesimi di punto di correzione. Questo discorso, peraltro, parrebbe riflettersi anche sulle previsioni per il 2018, accreditandosi fin da ora una crescita sempre all'1,5 del PIL, che, a sua volta, dovrebbe autonomamente e "tendenzialmente" ridurre l'indebitamento netto, in tale misura di 1,5 centesimi, nel corso del 2018.
Il resto, giocoforza, cioè, 0,2 centesimi di PIL (0,5-0,3) dovrebbe essere garantito dagli effetti di consolidamento fiscale della manovra di stabilità.

5. Tutto questo, naturalmente, se la Commissione UE accredita come attendibili queste previsioni e conceda anche una certa flessibilità: rammentiamo in proposito che all'Italia la Commissione - dopo aver dichiarate "esaurite" le voci legittimamente invocabili di flessibilità- non imputa tanto la violazione della regola del deficit (cioè di effettuare comunque delle correzioni inferiori allo 0,6 annuo dettato da anni dalle regole del fiscal compact), quanto di violare la regola del debito: cioè di non "attaccare" il deficit stesso, giungendo a correzioni più incisive, al fine di ridurre il debito pubblico.
Sappiamo pure che questo metodo, su cui la Commissione insiste, non funziona, perché la stessa continua a ritenere applicabile un moltiplicatore fiscale di 0,5, negando perciò, nella sostanza, che le politiche di austerità determinino effetti depressivi del PIL tali da aumentare, anzicché diminuire, il rapporto debito/PIL.

6. Il Def in questo si allinea alla Commissione e dichiara un debito/PIL in diminuzione per i prossimi anni; ma, c'è da dire, che ciò viene costantemente fatto da anni, la Commissione un po' titubante (perché la misura dell'aggiustamento viene considerata "troppo poca") approva (quindi lo fa per le ragioni sbagliate) e, poi, puntualmente, il debito/PIL non decresce o, anzi, aumenta. Mentre l'Italia, comunque, eccettuando la Germania, continua a "fare il fenomeno" col deficit più basso e il saldo primario più alto dell'eurozona:
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7. In tutti questi ragionamenti, c'è un'evidente petizione di principio: si ipotizza che la maggior crescita italiana sia essenzialmente strutturale, e cioè dovuta alle politiche di consolidamento fiscale imposte dal fiscal compact, e non congiunturale, cioè determinata da un insieme di fattori contingenti, propri delle politiche monetarie UEM e dell'economia internazionale.
E dunque se l'austerità "funziona" (anche se "piccola", ma pur sempre costante), si arriva a dichiarare che un modesto consolidamento sia idoneo a risultare espansivo o, almeno, "non depressivo" (cioè? "Neutrale" sulla crescita?) come ha già dichiarato Gentiloni.

8. Le dichiarazioni governative risultano sfumate su questo punto della misura dell'effettivo consolidamento fiscale aggiuntivo per il 2018: ci dicono quali saranno le entrate aggiuntive "a copertura" ma non quanta parte di questa copertura riguardi nuove spese e nuovi sgravi fiscali (cioè misure in astratto "espansive").
Di certo le coperture indicate consistono in nuove entrate tributarie e nuovi tagli di spesa: "Le coperture della prossima manovra arriveranno oltre che dagli spazi di deficit [appunto] anche da 3,5 miliardi di tagli di spesa, compreso il miliardo l'anno a carico dei ministeri con la nuova spending review, e per 5,1 miliardi da nuove entrate, rappresentate da "misure allo studio che mirano a ridurre l'evasione di alcune imposte, in particolare le indirette". È quanto si legge nel documento, con tabella allegata, consegnato dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan alle commissioni Bilancio in vista dell'audizione sulla nota di aggiornamento al Def".
Di quanto poi queste coperture eccedano il "costo" delle misure supply side (only) adottande, lo si deve appunto desumere dai calcoli deduttivi fatti sulla tabella sopra riportata: e tali calcoli sono basati su stime del PIL relative ad una crescita non acquisita per il 2017 e, certamente, solo ipotizzata per il 2018 (tanto più che non la si può ritenere strutturale, ed è quindi soggetta alle variazioni congiunturali per il prossimo anno).

9. Ce n'è abbastanza perché la Commissione non sia d'accordo su tutta l'ipotesi: magari il clima pre-elettorale italiano, e le ragioni della paventata instabilità italiana ai fini del "rilancio" riformatore de L€uropa, le faranno chiudere un occhio. Ma le difficoltà di maggioranza della Merkel e il peso decisivo assunto dai "liberali" tedeschi - ultrazionalisti e ultra-austeri in fatto di politiche economiche...da imporre agli altri, PIGS-, non renderanno facili le cose.
Tanto è nevralgica questa difficile dialettica con la Commissione che occorre rammentare che Padoan aveva dichiarato, a febbraio 2017, in vista della manovrina correttiva (poi puntualmente adottata):
Padoan contro l'Ue: "La procedura d'infrazione mina la nostra sovranità economica"
9.1. Ed infatti, l'Istat stesso considera, pur con tutta la buona volontà che lo contraddistingue, acquisita, allo stato, una crescita dell'1,2% del PIL, e per il resto aggiunge delle (mere) "prospettive favorevoli" (cioè qualcosa che alla Commissione pare per definizione insufficiente):
"Le prospettive di crescita per i prossimi mesi appaiono in Italia "favorevoli" afferma il presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, parlando di "segnali di miglioramento dell'economia", trainata anche dalla domanda di investimenti in macchine e attrezzature [che abbiamo visto a quale traiettoria di crescita necessariamente corrisponda], "attesa crescere ad un ritmo superiore a quello osservato nel secondo trimestre dell'anno"...
Tuttavia, poi precisa, con solo un po' di wishful thinking, e gettando il cuore oltre l'ostacolo sulle conclusioni finali: "L'Istat ritocca le stime sul Pil e rafforza la crescita del primo trimestre, indebolendo però quella del secondo trimestre. Per il momento, la variazione acquisita per l'intero 2017 resta all'1,2%, non molto lontano dall'obiettivo dell'1,5% indicato dal governo. "La previsione effettuata con il modello marco-econometrico dell'Istat (MeMo-it) conferma per il 2017 il quadro previsivo indicato nella Nota di aggiornamento al Def".

10. Insomma: la Commissione UE, tra l'altro conscia che deficit e saldo primario per i prossimi anni possono variare anche in funzione della progressiva fine del QE (aumentando quindi i tassi sui titoli e l'onere del debito pubblico), e che, invece, quanto alla crescita, ci siano decisive condizioni congiunturali internazionali in probabile "peggioramento" (prima l'indebolimento del dollaro), potrebbe non bersela e rifare i conti su una crescita per il 2017 e, a maggior ragione, per il 2018, di livello nettamente inferiore.
Per ragioni pre-elettorali, negoziate nei corridoi di Bruxelles, potrebbe però accondiscendere e far finta di crederci...fino a un certo punto: cioè fino al punto da emettere la consueta nota di "Country Report", successiva all'approvazione "condizionale" della manovra per il 2018, minacciando l'apertura della procedura di infrazione per il 2018 stesso, se non verrà effettuata una manovra correttiva più o meno dopo la prossima approvazione del Def ad aprile 2018.
Una correzione che, tenendo conto delle probabili stime sulla crescita - che la Commissione ritiene strutturalmente attribuibile solo e sempre all'adozione delle "riforme strutturali", cioè alla correzione d'imperio del costo del lavoro e al taglio della spesa sociale-. dovrebbe attestarsi su almeno 0,5-0,6 punti di PIL: a voler essere ottimisti e, quindi, a prova di Merkel-liberali tedeschi "in charge" (e a pena, ripetiamo, di apertura di procedura di infrazione).

11. Il tutto si collocherà nel periodo più probabile di immediato post-elezioni e sarà "condito" di probabili "tensioni" sugli spread dei titoli pubblici (via via che si avvicina la fine del QE): quindi, la ital-grancassa mediatica procederà al "fate presto!" e si dovrà formare il governo tecnico-istituzionale di ampie intese "citigroup". E lo si tirerà per le lunghe in nome dell'emergenza perché "non possiamo permetterci di destabilizzare l'eurozona". A costo naturalmente della crescita (vera, non fantasma) e dell'occupazione (vera).
Poi ci penseranno le riforme dei trattati a rendere il quadro ulteriormente desovranizzato e indifferente al processo elettorale.
Fino al "crollo" e, quindi, al "ritorno": una lunga strada, considerando quello che gli italiani dovranno nel frattempo passare...
 

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