PER COMBATTERE L'ANSIA MI HANNO CONSIGLIATO DI CAMMINARE FINCHE' NON MI PASSA. DEVO DIRE CHE STA COMINCIANDO A FUNZIONARE, VIENNA E' BELLISSIMA. (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
In alternativa al terrorismo catastrofista propagandato dal team di scienziati-Cassandra,
Silvio Brusaferro, Franco Locatelli, Giuseppe Ippolito e Giovanni Rezza del Comitato tecnico scientifico
che dall’inizio della fase 2 prevedono – smentiti puntualmente dai dati del contagio –
scenari catastrofici
a proposito del ritorno dell’epidemia in Italia,
c’è una cordata di esperti che sostiene l’esatto contrario:

l’epidemia è in totale, costante regressione, e chi si ammala oggi di Covid-19
corre un bassissimo rischio di ammalarsi gravemente e di contagiare gli altri a causa della carica virale notevolmente bassa.


Sono Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni,
Donato Greco, Lucà Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e Roberto Rigoldi:

virologi, immunologi, anestesisti ed epidemiologi, che ora hanno deciso di presentare un documento a loro firma
in aperto contrasto con la fazione dei colleghi più pessimisti.


«Evidenze cliniche non equivoche – affermano i dieci – da tempo segnalano
una marcata riduzione dei casi di Covid-19 con sintomatologia.
Il ricorso all’ospedalizzazione per sintomi ascrivibili all’infezione virale
è un fenomeno ormai raro e relativo a pazienti asintomatici o paucisintomatici.
Le evidenze virologiche, in totale parallelismo, hanno mostrato un costante incremento di casi con bassa o molto bassa carica virale».

Nel documento viene anche fatta menzione degli studi in corso «utili a spiegare la ragione» di questo abbassamento della virulenza.

«Al momento la comunità scientifica internazionale si sta interrogando sulla reale capacità di questi soggetti,
paucisintomatici e asintomatici, di trasmettere l’infezione».
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sono tempi duri per l’Italia in Europa.

Abbiamo un Governo che si nutre di illusioni, la più perniciosa delle quali è che si possa ricevere aiuti finanziari da Bruxelles senza pagare pegno.

Su tale convincimento si dipana la polemica politica nostrana tra gli europeisti ad oltranza e i cosiddetti sovranisti.

Il bisogno di ricorrere a espressioni forti nel dibattito politico interno non aiuta la comprensione della complessità dei rapporti
che si sono consolidati all’interno del quadro comunitario europeo.

È, perciò, comprensibile che nell’immaginario collettivo i tedeschi, e in genere gli esponenti dei Paesi nordici dell’Ue,
appaiano come i cattivi mentre i popoli del Sud dell’Europa vengano percepiti come le vittime sacrificali
di una strategia geopolitica fondata sul principio nietzschiano della volontà di potenza.

Ma come sempre nelle cose umane la verità dimora a profondità molto superiori a quelle alle quali la dialettica politica quotidiana è abituata a immergersi.

La storia delle incomprensioni tra i Paesi del Sud dell’Unione europea e quelli del Nord s’inquadra in un conflitto ideologico-culturale
di lunga durata tra due visioni del mondo contrapposte.

Non si tratta soltanto di pensarla in modo diverso sulle singole scelte di indirizzo economico o politico,
ma di aderire a scale valoriali complessivamente incompatibili.


Al momento, il fronte che ha la meglio è quello del Nord, mentre il Sud resta soccombente.

Perché?

Si tratta forse di misurare le vittorie e le sconfitte con l’algoritmo di calcolo del Pil?

L’indicatore più affidabile è l’impianto filosofico-economico-normativo sul quale poggia l’Unione europea.

Lo spirito guida che ha plasmato il paradigma comunitario è stato quello dell’Ordoliberalismo di matrice germanica.

Di cosa si tratta?


Per il tedesco Josef Hien, studioso di scienze sociali e politiche,

“l’ordoliberalismo si è proposto non solo come teoria economica, ma anche come teoria della società
e, in quanto tale, non poteva prescindere dall’etica”.

Esso matura negli ambienti della scuola di pensiero di Friburgo, a cavallo delle due grandi guerre del Novecento.

Le prime mosse risalgono al 1936 quando Walter Eucken, professore di economia politica a Friburgo,
fonda la rivista “Ordo”, da cui deriva il nome “ordoliberalismo”.

Ma è con l’economista Ludwig Erhard, il padre del miracolo economico tedesco del secondo dopoguerra,
chiamato nel 1951 al ruolo di ministro dell’Economia della Repubblica Federale Tedesca nel Governo di Konrad Adenauer,
che gli studiosi del gruppo “Ordo” tracciano le linee fondamentali della politica economica della Germania post-hitleriana
individuando la strada dell’”economia sociale di mercato”
improntata al primato della politica monetaria sulla politica fiscale,
all’allineamento dei prezzi sull’offerta delle merci,
all’equità sociale nella progressiva distribuzione del benessere.

La concezione ordoliberale dell’economia, della società e dei metodi per governarle è stata successivamente estesa
al contesto comunitario nella costruzione del quadro filosofico-economico-giuridico dell’Unione europea così come oggi lo conosciamo.


È importante comprendere che gli intellettuali dell’Ordoliberalismo abbiano vissuto dolorosamente la crisi del proprio tempo.

Loro sono stati motivati dal bisogno di “pensare e comprendere i processi politici ed economici che a partire dalla Grande Guerra
hanno stravolto il volto dell’Europa e del mondo, insieme alla vita di milioni di uomini” (Mesini).

L’Ordoliberalismo è l’antitesi alle teorie politico-economiche sia keynesiane sia totalitarie,
giudicate degenerative per la crescita democratica degli Stati d’impianto liberale
.

Nelle declinazioni dell’economia comuni a entrambe le teorie:
economia protetta, pianificata, assistenziale e keynesiana,
l’Ordoliberalismo individua gli agenti patogeni di un’invariante illiberale,
prevaricatrice degli spazi di libertà dell’individuo
.

La “Terza Via” (espressione attribuita a Wilhelm Röpke), che è l’economia sociale di mercato figlia del pensiero ordoliberale,
diviene l’alternativa sia al dirigismo statalista di matrice marxista-leninista
sia al “cattivo pluralismo” prodotto da esasperazioni distorsive di un liberalismo economico e di un capitalismo aggressivo sfuggiti di mano.

Il metodo di governo ispirato dalla teoria ordoliberale si materializza agendo attraverso due diverse tipologie di azioni: regolatrici e ordinatrici.

Nella proiezione di Euchen le due azioni convergono sull’obiettivo primario
rappresentato dalla stabilità dei prezzi in funzione del controllo dell’inflazione.

Cosicché

“tutti gli obiettivi diversi da questo non potranno che essere secondari.
Il mantenimento del pieno impiego,
la conservazione del potere d’acquisto
o l’equilibrio nella bilancia dei pagamenti non dovranno diventare obiettivi primari”
(Mesini).

Ciò spiega molto dell’ossessione, trasmessa agli altri Stati dell’Ue, per le politiche antiinflazioniste
e l’avversione radicale per quelle espansive che comportino aumento dei debiti pubblici.


Ma se gli ordoliberali hanno visto nell’economia sociale di mercato non un fine ma un mezzo per raggiungere un traguardo escatologico:

la moralizzazione della vita economica, lo si deve alla forte influenza che il pensiero religioso
di derivazione protestante ha avuto sui suoi massimi teorici.


Una miscela di protestantesimo riformato e luteranesimo tradizionale ha condotto a concepire

“tanto istituzioni forti che limitino l’azzardo morale quanto una solida base morale ed etica (Sittlich) per la società e l’economia” (Hien).

Il fulcro dell’etica ordoliberale ruota intorno al concetto di un’austera responsabilità individuale
che trasforma l’attitudine del singolo cittadino a costruirsi con le sue sole forze il proprio destino in un imperativo etico inderogabile.

In tale ottica il debito è colpa mentre l’intervento dello Stato è concepito se ausiliario e non surrogatorio dell’agire individuale.

Se si traspone tale concetto dal piano individuale a quello delle organizzazioni complesse come gli Stati
è facile comprendere del perché “antropologicamente” i tedeschi, e i nordici in generale,
non riescano ad accettare di condividere politiche in deficit.

Il problema, per quanto riguarda i popoli del Sud Europa, non è stato che i nordici la pensassero alla maniera descritta,
ma il fatto che il paradigma ordoliberale sia stato trapiantato integralmente nel contesto comunitario.

E insieme ad esso si sia fatta strada l’altra peculiarità che connota l’ordoliberalismo:

l’eccesso regolatorio che presiede alle dinamiche dei rapporti intracomunitari da cui si generano le tanto temute “condizionalità”.

Quando ironizzando sul burocratismo di Bruxelles descriviamo la governance comunitaria
come attenta a deliberare sulla lunghezza delle zucchine piuttosto che sulle grandi scelte geopolitiche,
sottovalutiamo l’essenza costitutiva delle regole, anche le più puntute, nell’impostazione ordoliberale.

È purtuttavia vero che l’Ordoliberalismo mescoli il giudizio di valore (relativo) con la verità (assoluta)
alimentando quel fastidioso senso di superiorità morale che i tedeschi manifestano nei rapporti con gli altri popoli,
in particolare dell’area mediterranea.

Ne vengono fuori impulsi di razzismo culturale “che conducono a costruire l’Europa come società esclusiva piuttosto che inclusiva.

Magari muovendo da modelli comportamentali concernenti la cittadinanza economica più che la cittadinanza politica” (Somma).

Ma il tanto sbandierato rigore etico nasconde una profonda ipocrisia.


Giulio Sapelli
, storico dell’economia noto al grande pubblico televisivo, critica l’apparente rigorismo dei tedeschi nel rispetto delle regole:

“La chiamano economia sociale di mercato. Ma non c’è un testo su quest’ultima, ma un libro di un sociologo.
È l’economia ordoliberista tedesca: né debito pubblico né intervento pubblico. Ma il mondo è sempre andato avanti così.
Poi loro lo fanno, perché hanno speso 250 miliardi prima del 2008 per salvare le banche.
Hanno nazionalizzato due volte la Commerzbank. Si governa con la menzogna. E gli altri stanno lì a sentirla”.



Ora, la realtà ignota ai più è che l’Italia abbia accettato che il patto europeo sposasse questa filosofia
pur nella consapevolezza che antropologicamente contrastasse con la sua identità profonda sensibile alla libertà creativa,
allergica alla superfetazione normativa e regolamentare, a tratti anarchica e libertina nella ricerca del carpe diem.

Come uscirne?


Posto che l’Unione non demolirà le sue fondamenta esistenziali e che un’Europa a geometrie istituzionali variabili sia utopia,
l’alternativa reale è se restare alle condizioni date abbracciando totalmente la “weltanschauung
costruita dall’ordoliberalismo germanico oppure trovare il coraggio di andarsene, come ha fatto la Gran Bretagna.

Uscire significa rischiare l’abisso;

restare vuol dire cancellare più di duemila anni di edonismo mediterraneo.

Si tratta di scelte dolorose.

E quando mai affrancarsi da una condizione opprimente è stato un pranzo di gala?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Dal prossimo 1 luglio scatterà il cosiddetto "contraddittorio preventivo obbligatorio"
dell'Agenzia delle Entrate nei confronti di alcune tipologie di contribuenti.

Una sorta di "interrogatorio" o di "faccia a faccia" preventivo tra il potenziale evasore e il Fisco.

A renderlo noto, spiegandone le modalità, è la stessa Agenzia con la circolare n. 17/E di oggi
con cui si forniscono tutti i chiarimenti, dall'ambito applicativo ad ampio raggio delle nuove regole ai casi di esclusione,
e ad alcuni aspetti legati all'iter del procedimento sul fisco, come la "motivazione rafforzata"
che l'Agenzia deve fornire nel caso di mancato accoglimento dei chiarimenti e dei documenti prodotti dal contribuente.

L'applicazione della misura è definito dal Dl n. 34/2019, che prevedeva, proprio a decorrere dal 1 luglio 2020,
che gli uffici dell'Agenzia delle Entrate fossero tenuti, in materia di fisco, a invitare al contraddittorio il contribuente
prima di emettere avvisi di accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali, contributi previdenziali, ritenute,
imposte sostitutive, Irap, imposta sul valore degli immobili all'estero (Ivie), imposta sul valore delle attività finanziarie all'estero (Ivafe) e Iva.

Sono questi, dunque, i campi di applicazione dell'istituto del contraddittorio preventivo obbligatorio
che si configura ad ampio raggio considerando che l'Agenzia incoraggia il ricorso al contraddittorio preventivo, quando possibile,
anche nei casi non obbligatori, al fine di valorizzare il più possibile il confronto anticipato con il contribuente e di accrescere l'adempimento spontaneo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Basterebbe rileggere gli articoli dei mesi scorsi, non solo quelli postumi al virus,
anche quelli del periodo precedente, sotto finanziaria, per vedere che purtroppo siamo stati tra i primi
se non primissimi a prevedere effetti, conseguenze del Giuseppe Conte giallorosso.


Cosi come da soli o quasi, da settimane insistiamo ossessivamente a dire che senza una grande revisione
della spesa pubblica oceanica e piena di sprechi ed eccessi assurdi, il banco potrebbe saltare eccome.



Abbiamo scritto ripetutamente la scriteriatezza di un esecutivo che ha spaccato l’Italia in due,

da una parte l’apparato statale che della crisi economica nemmeno se ne è accorto,

dall’altra quello privato ridotto alla disperazione, senza lavoro, fatturato, stipendi e incassi.


Ci siamo soffermati sulla mancanza di pudore dei parlamentari di tutti i livelli, dei ranghi istituzionali,
dei superburocrati, dei manager statali apicali, dei dirigenti più alti di enti ed organismi, di tanti consulenti inutili,
dei commissari di authority e organi di sorveglianza, dei direttori di istituti sconosciuti,
che non hanno proposto neanche il taglio temporaneo di appannaggi da sceicco
che in questa emergenza drammatica totale e nazionale sono insostenibili.


Abbiamo sottolineato l’importanza di procedere subito allo stralcio di provvedimenti di erogazioni a pioggia impensabili,
aumenti contrattuali che avrebbero potuto procrastinarsi senza ridurre alla fame gli assegnatari,
finanziamenti destinati alla cooperazione, parliamo di cifre che insieme sommano decine e decine di miliardi
a disposizione e a totale invarianza di bilancio.


Ci siamo sgolati ad invitare alla revisione e al taglio seppure temporaneo di una infinità di altre voci
della spesa pubblica che sono improduttive e non vitali, tali per cui fra questo,
quello e quell’altro a raggiungere una cifra complessiva superiore agli 80 miliardi di spesa extra
fin qui stanziati non sarebbe stato né complicato né un reato vista la catastrofe incombente.


Come se non bastasse abbiamo suggerito di fare una riflessione intorno all’utilizzo in parte con una norma ad hoc,
delle riserve in oro del paese che sono tra le maggiori del mondo, valore corrente circa 140 miliardi,
insomma ad usarne una cinquantina fosse solo per garanzia non sarebbe esiziale.


Per non parlare delle proposte di autorevoli economisti di ogni colore politico,
di procedere all’emissioni di titoli interni ultra decennali e vantaggiosi fiscalmente
da far sottoscrivere agli italiani
per evitare sia il peggio sia la mannaia dei mercati,
altre decine di miliardi che sicuramente sarebbero arrivati.


Ma ciò che conta è che tutto questo se fosse stato fatto avrebbe cortocircuitato totalmente sia la questua disperata con la Ue,
sia il problema dei tempi, e sia quello dello spread, anzi ci avrebbe messi in una condizione di autonomia tale
per cui la nostra voce in Europa avrebbe potuto farsi sentire e valere come mai prima d’ora.


Del resto in una fase di crisi epocale disporre di una cifra con l’emanazione di provvedimenti ad hoc emergenziali,
che potrebbe raggiungere il 15% del pil, in parte ad invarianza di bilancio e in parte a debito nei confronti però solo dei nostri cittadini,
sarebbe stato e sarebbe ancora un jolly di importanza tale da garantire veramente la salvezza del paese.



Del resto se non ora quando?

Se non si pensa quando si è con l’acqua alla gola a rivedere la spesa pubblica
e risparmiare anche temporaneamente valanghe di miliardi da destinare dove manca sangue,
se non si chiede un sacrificio all’apparato statale che ha sempre vissuto tranquillo grazie al lavoro del privato,
se non si effettua ora un travaso della spesa dall’improduttivo al produttivo che rischia di saltare
e di portarsi dietro baracca e burattini, quando ci si pensa?


Eppure non solo l’esecutivo giallorosso non ci ha pensato ma ha aumentato l’uscita improduttiva,
l’assistenzialismo, lo statalismo
, ha emesso dpcm sbagliati, contorti, che destinano risorse in modo discriminato,
centellinato, ritardato, 80 miliardi in larga parte sprecati che infatti stanno provocando rabbia e indignazione ovunque.


Tanto è vero che viaggiamo verso un pil che precipiterà del 13 percento, un debito verso il 170 percento,
le casse vuote e un settore privato e produttivo che alla fine dell’estate in buona parte tirerà le cuoia,
fallimenti, licenziamenti, libri in tribunale, altroché scadenze fiscali da pagare, mutui da saldare e lotta al contante per crescere.


Dal 1 luglio la mortificazione del contante peggiorerà i consumi, perché la spinta all’utilizzo dei bancomat non c’entra niente con l’uso del contante,
tanto è vero che dall’America alla Germania, dove la moneta elettronica è preponderante l’utilizzo del contante è illimitato,
da noi questo provvedimento è una ipocrisia che favorirà le banche piuttosto dell’economia.


Per non parlare del fatto che questo governo avendo rinunciato per incapacità e impreparazione alla elaborazione di una strategia seria,
di contrasto, approvvigionamento, reperimento, di strumenti, mezzi, riforme contro la crisi
si è completamente consegnato all’Europa ai suoi finanziamenti e ai suoi comandamenti,
tale per cui o l’Europa o la morte, ci rendiamo conto?


E se il next fosse cambiato come è probabile che sia?

Se il recovery fosse ridimensionato e posticipato come è probabile che sia?

Se il mes fosse davvero condizionato?

Se il Qe della Bce fosse abbreviato?

Ebbene sarebbe l’apocalisse, questa è la possibile prossima tappa del governo che ci hanno imposto
contro ogni logica della democrazia dell’alternanza, con la scusa che ci avrebbe salvato dal centrodestra pericoloso e illiberale.


Qualcuno per carità di patria se ne accorga, batta un colpo, intervenga, ponga rimedio,
con questo governo ci stiamo giocando il futuro del paese, anni di lavoro delle imprese,
posti e occupazione, ci stiamo giocando l’economia reale della nazione e rischiamo l’apocalisse come se niente fosse.

MUOVIAMOCI
 

Val

Torniamo alla LIRA
A proposito d’incertezza scientifica, abbiamo vissuto recentemente l’esperienza abbastanza sconcertante
delle continue diatribe tra virologi, infettivologi, primari, analisti, esperti veri e falsi di Covid-19,
sfociate talvolta persino in iniziative giudiziarie.


Ma sull’origine dei cambiamenti climatici l’incertezza è ancora maggiore e la conflittualità che ne deriva è vieppiù veemente.

La climatologia è una scienza giovane, o forse, più che una scienza a sé stante,
sarebbe più corretto definirla una sorta di approccio multidisciplinare a un problema molto complesso,
basato su scienze consolidate da una lunga tradizione, quali la fisica, chimica, biologia, geologia, paleontologia, zoologia e le loro varie declinazioni.

Queste scienze, e segnatamente la Fisica, che ha fatto un po’ da “madrina” a tutte le altre,
hanno ottenuto i loro maggiori successi attraverso l’applicazione del metodo cartesiano,
teorizzato nel “Traité de l’Homme” (1633) e denominato spesso meccanicismo riduzionistico,
che mira alla comprensione della natura delle cose complesse riducendole alla interazione delle sue componenti,
o a sottosistemi più semplici e fondamentali, descrivibili come parti di un apparato meccanico, che di essi non è che un assemblaggio.


Ad esempio, i successi della Fisica Atomica nel descrivere l’interazione fra luce e materia
non sarebbero stati possibili se non si fosse separata, nel calcolo dei livelli energetici dell’atomo,
l’interazione elettrostatica tra il nucleo e l’elettrone da quello dell’atomo con il campo di radiazione,
considerando questo come una piccola perturbazione di un sistema energeticamente più grosso.


Qui sorge la prima difficoltà per la climatologia: la complessità.

Il clima è un sistema complesso, consiste cioè di sottosistemi che interagiscono dinamicamente fra loro
e non possono essere analizzati separatamente.

Tali sistemi vengono studiati tipicamente attraverso apposite metodologie di indagine di tipo “olistico”
che consistono essenzialmente in modelli analitico-computazionali in toto (“il tutto è maggiore della somma delle singole parti”)
dei comportamenti dei singoli sottosistemi assieme alle loro reciproche interazioni.

Queste interazioni sono spesso di tipo non-lineare, per cui la risposta di un sottosistema (e quindi del sistema nel suo complesso)
a una somma di stimoli non è in genere data dalla somma delle risposte agli stimoli presi singolarmente,
né amplificando lo stimolo di un certo fattore si ottiene una risposta amplificata dello stesso fattore.


Qui incontriamo la seconda difficoltà nello studio del clima: la non-linearità.

La fisica ha sempre trattato malvolentieri i fenomeni non-lineari, cercando di linearizzarli,
anche quando essi non devono essere trattati come sistemi complessi e sono quindi molto più semplici del clima.

Una delle ragioni del successo della Meccanica Quantistica (la teoria del microcosmo)
è di essere rigorosamente lineare, mentre la Relatività Generale di Einstein (la teoria del macrocosmo) non lo è,
ma lontano dalle grandi masse può essere linearizzata, producendo equazioni formalmente identiche
a quelle delle onde elettromagnetiche ed è così che già un secolo fa si è prevista l’esistenza delle onde gravitazionali, recentemente osservate.


La linearizzazione tuttavia non sempre funziona.

Basti pensare alla fisica dei plasmi (ossia i gas ionizzati) che vengono usati per la fusione nucleare.

Questa è un fenomeno arcinoto, teorizzato e verificato sperimentalmente sin dal 1932 su piccola scala,
ben prima che venisse scoperta la fissione, che poi è diventata la sorgente vera dell’energia nucleare utile per l’uomo.

Su grande scala, invece, la tecnica prevalentemente studiata e sperimentata, ossia la fusione controllata a confinamento magnetico,
presenta elementi di non-linearità nel comportamento dei plasmi, che, in aggiunta alle difficoltà tecnologiche ed economiche,
rendono ancora oggi molto difficile fare previsioni attendibili sulle prospettive reali di utilizzo della fusione nucleare
come fonte primaria di energia per l’umanità.


Il clima è chiaramente un sistema altamente non-lineare:
perché non c’è una relazione lineare tra i vari forzanti e l’anomalia termica
(effetti di feedback, come vapore acqueo, nuvole, circolazione acque oceaniche).


La terza difficoltà è senz’altro la maggiore: la non-sperimentabilità.

Il clima non è suscettibile di sperimentazione in laboratorio ed è questa la condizione che pone più problemi,
perché non permette di usare il metodo sperimentale per validare i modelli teorici.

Qual è la conseguenza più seria di questa limitazione?

L’impossibilità di verificare o falsificare l’ipotesi antropica (Anthropogenic Global Warming, Agw)
e quindi di assegnare o meno all’uomo la responsabilità, unica o prevalente, del riscaldamento globale,
di stabilire cioè una relazione biunivoca di causa e di effetto.

Vediamo perché.


Per stabilire una relazione di causa e di effetto occorre che si verifichino due condizioni:

1) la causa (nella fattispecie l’ipotesi antropica) deve produrre l’effetto osservato
(nella fattispecie il riscaldamento globale, detto anche anomalia termica);

2) l’effetto osservato deve essere il prodotto esclusivo o almeno prevalente della causa ipotizzata.

Nella fattispecie, noi potremmo essere certi solo della condizione 1), ma non della condizione 2),
in quanto l’anomalia termica può essere dovuta anche ad altre cause e non solo all’intervento dell’uomo.


La ragione di questo risiede essenzialmente nel fatto che l’ipotesi Agw non può essere sottoposta ad una verifica sperimentale,
come invece richiede il metodo scientifico universalmente accettato, fino dai tempi di Galileo e Cartesio.

Il metodo consiste nel formulare un’ipotesi interpretativa del fenomeno naturale preso in esame
e sulla base di questa costruire un modello, anche estremamente rozzo e semplificato,
ma che sia in grado di poter essere sottoposto a un test di laboratorio, in modo da poterne verificare o meno le predizioni:

se il risultato è positivo allora gli scienziati cominciano ad aver fiducia nel modello e possono raffinarlo
ed arrivare per gradi ad una descrizione più accurata e completa del fenomeno in questione.

Se invece il risultato è negativo, in genere abbandonano il modello e provano ad elaborare e a testarne un altro.


Ora, per quanto riguarda l’ipotesi dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo, non è possibile,
per evidenti ragioni pratiche e data l’estrema complessità del sistema climatico, riprodurre in laboratorio un modellino del pianeta Terra,
e studiarne il comportamento variando i parametri fisici che influenzano il clima,
attribuendo così ad ogni parametro il peso giusto e sperando poi di trarne delle informazioni utili per fare predizioni su scala globale.

L’unica cosa che la Scienza è in grado di fare in questi casi sono delle simulazioni al computer,
peraltro assai complesse e sofisticate, ma con il limite di poter soddisfare solo la condizione 1) suddetta, non certo la 2).


Vediamo i due grafici che riproducono i dati misurati di anomalia termica dal 1860 ad oggi,
confrontati con i modelli Cmip (Coupled Model Intercomparison Project), elaborati dal International Panel on Climate Change
(Ipcc - Technical Summary 2013, figs. TS9, p. 60).


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Il grafico soprastante evidenzia il buon accordo tra le temperature misurate
e le elaborazioni dei modelli in presenza di tutti gli elementi “forzanti del clima”, ivi comprese le attività umane.

Se invece queste ultime vengono tolte dal modello, il risultato è quello riportato nel grafico sottostante,
che evidenzia una divaricazione tra le previsioni del modello e i dati a partire dal 1960 circa.


Cosa si può dire di questo risultato?

Certamente la condizione 1) è soddisfatta dal modello, perché l’andamento della temperatura
senza la presenza dell’uomo è diverso dal precedente, ma la 2) certamente no,
perché non possiamo escludere l’intervento delle altre cause naturali nel determinare l’anomalia termica.

Questo sarebbe possibile solo se, per assurdo, avessimo a disposizione le misure di temperatura di un altro pianeta Terra gemello
ma senza l’uomo o con l’uomo in uno stadio di sviluppo pre-industriale, e quindi se potessimo verificare che le predizioni del modello
sono in accordo con esse.

Naturalmente Ipcc sostiene che le cause naturali sono ben descritte dai loro modelli,
ma se così fosse, essi dovrebbero descrivere bene gli andamenti dell’anomalia termica globale
che si sono avuti nel passato e di cui abbiamo numerose indicazioni (proxies), cosa che invece non accade.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La Verità pubblica un articolo sui contatti e le telefonate fra il vicepresidente del CSM Giovanni Legnini
e l’ex condirettore e vicedirettore generale di Pop Bari Gianluca Jacobini.

In teoria, di per se, questi contatti non sono collegati alle inchieste sul fallimento della banca pugliese,
e potrebbero perfino essere, ìn teoria, giustificati dal fatto che l Pop di Nari gestisce lo sportello all’interno della struttura del CSM.

In realtà i contenuti sono ben diversi e molto più interessanti.


Prima di tutto escono in luce le classiche immagini di affaristi e mediatori, come in questo caso Sergio Della Rocca,
che ha precedentemente avuto incarichi in Tercas e CaRiPe e che ha messo in contatto le due parti.

Poi ne risultano delle informazioni che, se fossero vere, sarebbero preoccupati,
ma comunque sono delle millanterie che non mettono in buona luce chi le pronuncia:

ad esempio Jacobini si vanta di aver fatto nominare, attraverso Legnini,
il procuratore di Bari Anna Maria Tosto che poi avrebbe dovuto indagare sulla banca .

Legnini ha poi confermato che fu lui a mediare la nomina della Tosto, sostenuta da Area, contro Capristo, sostenuto da Unicost,
per cui qualcosa di vero c’è.

A completare il quadro vi sono poi le telefonate fra Legnini e Jacobini in occasione delle elezioni in Abruzzo,
il cui contenuto è ignoto, ma immaginiamo di cosa abbiano parlato, vista l’occasione.

Purtroppo non lo sapremo mai.


Un fatto è evidente: chi indaga sulle collusioni fra vertici degli istituti finanziari e della magistratura?

Deve tutto avvenire ad un livello tale da sfuggire al controllo democratico del pubblico?

L’assenza di questi controlli incrociati sta erodendo la base democratica del paese,
eppure abbiamo aree intoccabili, ed irriformabili, il tutto nel silenzio più totale.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’ennesimo colpo di scena rischia di dare un colpo alla campagna elettorale di Joe Biden.

Secondo quanto risulta dagli ultimi appunti analizzati dell’ex agente speciale Peter Strzok,
colui che fece arrestare sia il Generale Flynn per il “Russiagate”,
sia che portò avanti un’inchiesta basata sul falso dossier Steele,
ha scritto in una nota datata 4 gennaio che :

il precedente presidente Obama,

Joe Biden,

Sally Yates (ex procuratore generale) e

Susan Rice (ex consigliere per la sicurezza nazionale)

tutti assieme hanno discusso su come fosse necessario procedere penalmente contro il generale.

Obama avrebbe personalmente diretto le “Persone giuste” sulle modalità di indagine contro il generale,
evidentemente per giungere alla sua incriminazione.

Ricordiamo che il Dipartimento di Giustizia USA (DoJ) ha trovato tutte queste accuse come infondate
ed ha chiesto il proscioglimento e la liberazione del generale Flynn, ex Consigliere per l Sicurezza Nazionale di Trump,
ma intanto il generale ha visto la sua credibilità distrutta.



Sia Obama sia Biden hanno detto di “Essere consapevoli” delle indagini in corso contro l’entourage del neoeletto presidente Trump,
ma Biden ha più volte negato di essere personalmente informato sulle questioni di Flynn e di avervi avuto un ruolo attivo.

Come sottolinea Foxnews TV invece gli appunti di Strozk evidenziano una realtà ben diversa,
con Obama e Biden attivi cospiratori contro un presidente eletto, Trump,
e con un modo di agire che viene ad essere al limite del colpo di stato.

Chiaramente questo tema sul ruolo del “Deep State”


Nel frattempo la vicenda di Flynn viene definitivamente conclusa a favore del generale:

il giudice che si stava occupando del processo a Flynn, con una mossa al limite della legge,
si era opposto al proscioglimento richiesto dal DoJ.

Ora la corte di appello del Dipartimento di Columbia ha dato ragione a Flynn
e cancellato le resistenze del giudice al proscioglimento del generale,
tra l’altro demolendo le sue motivazioni in modo definitivo.

A questo punto il generale Flynn esce di scena e la sua persecuzione giunge alla fine
 

Val

Torniamo alla LIRA
Una importante regole di sicurezza per il sistem bancario USA è la cosiddetta “Regola Volcker”, da nome di Paul Volcker ,
famoso presidente dell FED degli anni 80.

Questa norma è un regolamento federale che generalmente proibisce alle banche di svolgere determinate attività di investimento
con i propri conti e limita i loro rapporti con fondi di copertura e fondi di private equity, detti anche fondi coperti.

La regola Volcker mira a proteggere i patrimonio delle banche e ad evitare che queste
si mettano in speculazioni troppo spinte con i mezzi propri, sottraendoli alla garanzia dei depositi e dell’attività propria d’azienda.


Solo che la crisi è talmente grave che, per sostenere i fondi di private equity, cioè i fondi che posseggono grandi gruppi industriali,
è stato deciso di “Allentare” la Regola Volcker.

A questa norma si sono accompagnate altre misure di alleggerimento per i requisiti di capitalizzazione delle banche.

Per la precisione:


  • la nuova Volcker consente alle banche di assumere quote di fondi di capitale di rischio
  • che erano stati precedentemente vietati nel tentativo di fornire “maggiore flessibilità nella copertura di fondi che forniscono prestiti alle imprese”. .

  • Le agenzie di controllo del sistema bancario USA stanno ricacolando i margini di copertura nelle operazioni swap intragruppo
  • purche queste coperture non superino 15% la misura di capitale “Tier 1” dell’impresa.
  • Questo alleggerisce le necessità di copertura intragruppo, permettendo quindi di liberare capitale Tier 1 a copertura di operazioni esterne.

Alla notizia le azioni hanno potentemente rimbalzato:

gli Equity Fund infatti a qusto punto possono intervenire anche sul mercato,
con l’eventuale aiuto diretto nel patrimonio nelle banche.

Ad esempio la banca A può acquistare il 10% del fondo X che, in caso di precipitare del valore dei titoli può intervenire sul mercato.

La mossa quindi ha una grande utilità nel breve-brevissimo periodo, ma introduce
un ulteriore livello di rischiosità nel sistema bancario USA il cui capitale di copertura
può anche essere ridotto dalle perdite degli Equity fund partecipati.

Ma intanto, alla fine , può intervenire la FED e salvarli tutti….. Oppure no ?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Alla fine le peggiori impressioni su Wirecard sono state confermate ed oggi ,
dopo l’arresto del CEO Markus Braun, la società ha fatto richiesta di accedere alle procedure fallimentari.

Praticamente Wirecard è in bancarotta.

Ora i 4 miliardi di credito vantati dal sistema bancario nei suoi confronti rischiano di volatilizzarsi nel nulla.


La causa della richiesta di bancarotta è stata presentata con grande semplicità dal nuovo management

”A causa di imminente insolvenza e indebitamento eccessivo”.

Anche le controllate è possibile presentino domanda di bancarotta, rendendo l’affare un disastro internazionale.


Una fonte vicina ai colloqui con i creditori ha affermato che sebbene la società avesse un nucleo sano,
circa i due terzi delle vendite erano stati falsificati nei suoi conti.

Questo rende il Valore della società completamente incerto e , probabilmente, vicino allo zero…..

Per cui ”Non è possibile rimborsare il debito totale di 3,5 miliardi di euro con quel core, nonostante tutte le sfide legali che li attendono”,
ha affermato la fonte a condizione di anonimato.

Un’altra fonte ha affermato che le banche sono state colte completamente di sorpresa
dal fatto che Wirecard abbia chiesto l’insolvenza senza neanche attendere una richiesta o una contrattazione con i creditori.

Questo significa che, in realtà, il management ha una idea piuttosto chiara del buco che si è creato
e degli effettivi attivi della società, e che non c’è molto da sperare.

I “Fondi filippini” sono realistici come quelli caraibici che aveva a suo tempo Parmalat.



I valori di borsa dicono molto sulle prospettive di Wirecard:


wirecard-25-6-1.png



Da 100 a 3 euro per azione nell’arco di una settimana è una fluttuazione significativa delle prospettive della società.

Sicuramente salteranno 500 milioni di bond ed 1,75 miliardi ad un pool di 15 banche più altre posizioni simili.

Bisogna tornare al 2018 ed al fallimento P&R per poter vedere un buco comparabile, anche se più piccolo.

Un duro colpo per il sistema creditizio tedesco.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’Europa ha il proprio Centro Europeo per la Prevenzione delle malattie infettive, chiamato ECDC.

Allo scoppio del COVID però ECDC è intervenuto con ritardo,
praticamente seguendo le indicazioni dell’OMS e senza una vera attività investigativa propria.


Questo ha spinto un gruppo di parlamentari europei, Simon Baldassarre, Antonio maria Rinaldi,
Mario Adinolfi, Rosanna Conte, Isabella Tovaglieri, e Marco Dreosto, a proporre un’interrogazione
per comprendere il vero ruolo di questo ente europeo nell’attività di prevenzione.

L’interrogazione era la seguente:

Oggetto: Implementazione sistema di sorveglianza globale sulle epidemie


L’attuale pandemia di COVID-19 mette in luce la debolezza intrinseca dell’attuale organizzazione europea
e la mancanza di un sistema globale di allarme, che sia efficiente e tempestivo, sullo scoppio di eventuali nuove epidemie.


La Corea del Sud, con la sua capacità di contenere rapidamente il contagio, ha mostrato come il monitoraggio rapido
– sia di quanto avviene all’estero, sia dell’evoluzione epidemiologica nel proprio paese –
si renda necessario per poter limitare i danni degli eventi epidemici.
Purtroppo, queste informazioni richiedono un coordinamento anche al di fuori dell’Unione, quindi solide relazioni internazionali.




Anche la Johns Hopkins University, nella relazione dal titolo “Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic”,
evidenzia l’importanza di questa attività di sorveglianza e controllo nell’ambito della prevenzione delle epidemie di malattie di carattere respiratorio.


Tutto ciò premesso, si chiede alla Commissione:


1. se si intenda creare una rete di controllo globale delle nuove patologie potenzialmente epidemiche;


2. se, al fine di reperire le necessarie informazioni e creare i relativi collegamenti,
non si ritenga necessario coinvolgere l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza;


3. se non si ritenga opportuno che questo sistema di controllo coinvolga i responsabili nazionali e regionali dei servizi sanitari.



Una domanda precisa, sui poteri e le capacità reali dell’ECDC in Europa e soprattutto all’estero,
di indagine sulle epidemie che scoppiano negli altri paesi.

La risposta è stata, diciamo, deludente:


La Commissione collabora con gli Stati membri e i partner internazionali su tutti i fronti per contrastare la pandemia di Covid-19.
Uno dei compiti principali del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC),
attraverso il suo sistema di ricerca informazioni sulle epidemie, è l’individuazione delle nuove minacce per la salute.
L’ECDC opera in stretta collaborazione con i gruppi di ricerca informazioni sulle epidemie dell’Organizzazione mondiale della sanità
e fa parte di un’estesa rete di monitoraggio con partner in tutto il mondo.
L’ECDC controlla costantemente le fonti di informazione per individuare minacce sanitarie e riceve notifiche formali
attraverso il sistema di allarme rapido e di reazione (SARR) dell’UE, il quale è stato aggiornato nel 2019 per facilitare lo scambio di informazioni.



L’ECDC valuta quotidianamente le potenziali minacce per la salute.
Nel 2019 ha individuato 306 minacce per la salute e ha provveduto alla formazione di gruppi
negli Stati membri sul tema della valutazione delle minacce.
Qualora siano identificate nuove minacce significative per l’UE, l’ECDC redige una valutazione rapida dei rischi,
che viene condivisa con i punti di contatto SARR negli Stati membri dell’UE e discussa con i rappresentanti degli Stati membri
in seno al comitato per la sicurezza sanitaria dell’UE. Le valutazioni rapide dei rischi sono disponibili sul sito web dell’ECDC1.


La Commissione e gli Stati membri fanno affidamento sulle valutazioni rapide dei rischi
e sul sostegno tecnico dell’ECDC in presenza di gravi minacce di malattie infettive che coinvolgono più paesi.


L’ECDC pubblica una relazione settimanale sulle minacce poste dalle malattie trasmissibili
concernente le minacce più attive per la salute pubblica, che è accessibile al pubblico e condivisa
con i servizi della Commissione e il servizio europeo per l’azione esterna.


Come annunciato nel piano di ripresa, la Commissione assegnerà un ruolo più incisivo all’ECDC nel coordinare la sorveglianza,
la preparazione e la risposta alle crisi sanitarie.



Ora capite bene che identificare 309 potenziali minacce nel 2019 è completamente inutile.
Praticamente ECDC viene ad identificare una minaccia al giorno, a che serve, quando le vere epidemia accadono ogni 10 – 15 anni?



La parlamentare europea Simona Baldassarre, prima firmataria dell’interrogazione,
ha capito subito l’assurdità della situazione e l’ha evidenziata in un suo comunicato:


“Avevamo chiesto quale fosse la funzione del ECDC, il Centro Europeo per la Prevenzione delle Malattie Infettive,
ci aspettavamo una risposta chiara e precisa che indicasse le capacità di indagine internazionale di questo ente
ed i contatti con i servizi preventivi dei singoli paesi.
Purtroppo la Commissione si è limitata a rispondere elencando le sue attività ed informandoci che nel 2019
la ECDC ha identificato 309 possibili minacce.
Peccato che non sia stata in grado di riconoscere e valutare per tempo l’unica vera minaccia degli ultimi 15 anni, cioè il Covid-19,
che ha ucciso centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo ed ha devastato la nostra economia.
Ora siamo venuti a sapere, attraverso ISPI, che il virus era già presente nelle fognature delle grandi città italiane
nella prima metà di dicembre 2019, ben prima che OMS ed ECDC emettessero alcun avviso.
Non abbiamo bisogno di un servizio europeo che emetta un allarme al giorno, equivalente a nessun allarme,
ma che sia in grado di identificare poche minacce effettivamente gravi e di mettere i servizi sanitari nazionali sull’avviso per tempo.
Purtroppo la commissione è stata mancante anche su questo punto”.
 

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