PER COMBATTERE L'ANSIA MI HANNO CONSIGLIATO DI CAMMINARE FINCHE' NON MI PASSA. DEVO DIRE CHE STA COMINCIANDO A FUNZIONARE, VIENNA E' BELLISSIMA. (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Gli italiani sono stati esemplari, la classe politica no.

Gli italiani di fronte al coronavirus, un’epidemia che ha scalzato la logica del dualismo ideologico
per cui tutte le scelte e le conseguenze dipendono dalla politica, ha risposto in modo adeguato.

Il popolo ha capito rapidamente, prima di tutto.

Il popolo ha eseguito, pur nel caos dei vari epidemiologi e virologi
e delle prime confuse direttive tra gli slogan scellerati sull’involtino e le accuse degli avversari.

Il popolo ha rispettato i “codici rossi”: milioni di famiglie e di individui tutti a casa di botto,
tutte le città, tutte le cittadine e i paeselli, tutte le province e le regioni, dal nord al sud,
alle isole, senza nessun incidente e senza necessità di interventi particolari delle forze dell’ordine,
hanno contribuito a un lockdown più ordinato di quello nella testa degli stessi amministratori.

Il governo ha prodotto una valanga di decreti, gli italiani di fatto hanno semplificato.

E nonostante le polemiche, non ci sono stati disordini e le città in un battibaleno si sono svuotate.

Gli anziani sono morti soli, le famiglie hanno inventato il tempo, i giovani non hanno fatto particolari capricci,
tutti hanno tirato giù saracinesche e chiuso attività.

Buoni e meno buoni, bravi e meno bravi, ricchi e poveri, tutti in ordine quasi perfetto.

Va dato atto agli italiani!


Non accadeva altrettanto nel resto d’Europa e del mondo, cioè nell’ incredula Germania ed Inghilterra,
nell’ altezzosa Francia, nella vagabonda Spagna e anche nei colossi Stati Uniti e Russia non andava meglio.

Si sono fermate mafie, omicidi, femminicidi, incidenti, rapine e tutto l’armamentario giudiziario pesante.

Numeri uno, l’Italia è un Paese di numeri uno, di talenti ed eccellenze.

Tradito, però, dalla classe politica.

La nostra classe politica non va bene, va malissimo.

Per cui ben venga l’idea appoggiata da Francesco Rutelli di una “scuola di pubblica amministrazione”
per formare eccellenze ritrovando la qualità e la trasparenza.

Indispensabile, e speriamo che non sia l’unica iniziativa.

Il problema non sono le poltrone, ma chi governa, cioè le persone.

Che sia la sinistra, che si è messa a rispolverare il peggior statalismo e dirigismo,
graziata dal padreterno dalle conseguenze che potevano essere un flagello a causa di un’immigrazione fuori controllo,
ma scaduta nelle ridicole guerre addirittura contro le statue di Montanelli e Cristoforo Colombo.

Che siano i 5 Stelle, che alla prova della verità dopo i V-day hanno tradito le aspettative
omologandosi al malgoverno contro cui si erano battuti.

Cito solo l’episodio più scandaloso del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede,
che in pieno silenzio ha consentito l’uscita dei capi mafiosi, per i quali c’erano voluti anni e sangue per le catture,
i quali - come confermano le cronache - sono andati a riorganizzare la malavita e il malaffare.

Che misera vergogna, signor Governo!

Lo spirito dell’ emergenza pandemica lo hanno colto più le pubblicità, gli spot, gli slogan che non i provvedimenti.

La nostra classe dirigente non spiega come abbassare le tasse,
come evitare gli sprechi e come rimodellare il lavoro sulle nuove realtà,
un lavoro per tutti, siano stranieri o coloro che il lavoro lo vanno perdendo e cercando.

La nostra classe dirigente non vara un grande piano sul reddito da lavoro vero e concreto,
ma confusi “stati generali dell’economia”, snobbati e svuotati.

Una volta i politici per vincere le elezioni lanciavano slogan del tipo “un milione di posti di lavoro”.

Il punto infatti non sono gli interventi economici, il punto è che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro,
quindi occorre assicurare l’occupazione non il prestito o il sostegno.

Forse onorare il principio fondativo costituzionale sarebbe la fine del clientelismo politico?

Di fatti quello che è avvenuto è che sono usciti i boss dal 41 bis,
è uscito perfino col borsone già a tracolla il solito Massimo Carminati,
cioè il mondo di mezzo che serve il mondo di spora, sfruttando quello di sotto di Mafia Capitale.

Attenzione, la cancrena avanza!

E la pietosa Virginia Raggi, che ha preso Roma con una maggioranza schiacciante,
invece di utilizzare questo tempo per rendere la Città biglietto da visita splendente,
ci viene a raccontare che siamo alla seconda “grande liberazione” perché saranno cacciati i Casapound dal palazzo abusivo.

Intanto la Città eterna, che anche così fa il giro del mondo, è trattata come una discarica a cielo aperto.

Come si può sopportare tutto questo?

Volete che tornino i leoni?


Se ne sono accorti tantissimi.

Ai cittadini non arriva quasi nulla, come dicono Giorgia Meloni e Matteo Salvini, delle casse integrazioni e dei sostegni.

I finanziamenti, che poi ripagheremo salato, si fermano e finiscono chissà dove.

Stiamo finanziando il malaffare non la ripresa.

Perché quello che è necessario a un popolo talentuoso è il lavoro.

Nessuno pretende di andare avanti con prestiti, redditi od elemosine.

Ma la classe dirigente non capisce, perché loro, i politici, gli amministratori e i sacerdoti,
vivono sulle nostre fatiche e coi soldi nostri.
 

Val

Torniamo alla LIRA
"loro" il pentolone non lo possono scoperchiare.......ma l'articolista è unpoco ingenuo.
Giovani magistrati intonsi ? ....ma se sono arrivati lì, intonsi non lo sono.


In Italia, tutti, nessuno escluso, sono indagabili per i fatti commessi (o non commessi).
Tutti, tranne uno e cioè Luca Palamara.



Spiego.

Nessuno di noi, comuni mortali, può censurare il proprio eventuale magistrato della Procura,
nel caso occorra difendersi da un qualche addebito, anche perché a differenza dei giudici,
che sono ricusabili nei casi previsti dalla legge, il Procuratore e i suoi sostituti non lo sono affatto.


Nel caso di Palamara, la situazione è molto diversa.

Questi, allo stato, risulta indagato da ben tre versanti:

dalla Procura di Perugia, per eventuali reati commessi;

dalla Procura Generale della Corte di Cassazione, per eventuali illeciti disciplinari; d

ai Probiviri della Associazione Nazionale Magistrati, per eventuali scorrettezze incompatibili col ruolo di associato.

In nessuno dei tre casi, Palamara è indagabile e gli indagatori dovrebbero subito farsi da parte.

Come si dice in gergo processuale, dovrebbero astenersi:

tutti.


Infatti, gli indagatori sono tutti magistrati, appartenenti cioè alla stessa corporazione di Palamara, suoi colleghi;
ma sono proprio i suoi colleghi a non poter far nulla nei suoi confronti e a non poter dir nulla,
per il semplice motivo che sempre vegeterà il sospetto che colui, di costoro, che fa o che dice,
faccia e dica o per appoggiarne la posizione – in quanto da lui beneficato in passato nel gioco delle correnti
– o per vendicarsi di un qualche torto subito – in esito allo scontro fra le correnti –
oppure semplicemente perché occupa il posto che occupa – fosse anche quello di Procuratore Generale della Cassazione –
in forza e a causa di spartizioni correntizie identiche a quelle che vengono a Palamara addebitate.



Insomma, in linea di principio, più in alto son collocati questi signori nelle gerarchie interne della magistratura,
meno son legittimati a indagare – e poi a giudicare – Palamara, perché tutti sospettabili di aver agito esattamente come lui
o comunque di aver tratto benefici dalla lottizzazione correntizia
.

Evangelicamente, nessuno di loro è legittimato a scagliare la prima pietra,
ma siccome è proprio questo che stanno facendo e si accingono ancora a fare, non posso nascondere che ne sono scandalizzato.


Tanto per capirci, ed estremizzando, sarebbe come se a indagare – e poi a giudicare – un ladruncolo,
venissero chiamati quelli che – forse (e qui lo sottolineo tre volte) – gli han fatto da corona
o addirittura han partecipato insieme a lui alle sue ruberie.

Vi pare normale?

A me, no.


C’è davvero da scandalizzarsi.

E invece, no.

Nessuno si scandalizza.

Apprendiamo così che addirittura in Cassazione hanno costituito un nutrito gruppo di magistrati
al solo scopo di censire le sessantamila pagine (si pensi che i “Promessi Sposi” non superano le 500 pagine)
in cui son trascritti i messaggi del telefonino di Palamara.



Domanda che nasce non dalla malizia, ma dalla normale esperienza di vita:

siamo proprio sicuri che uno di questi signori facenti parte di codesto gruppo,
trovando il proprio nome citato una o più volte in una di quelle pagine,
non venga preso dalla irresistibile tentazione di deletarlo, di trasformarlo,
di cancellarlo, di sbarazzarsene, con tanti saluti alle famose e neglette ragioni della giustizia?


Magari, di fatto, non sarà così e me lo auguro di cuore.

Ma nulla e nessuno può escluderlo in linea di principio.

E allora, come la mettiamo?


La mettiamo in modo che dovrebbe pensarci Sergio Mattarella,
nella sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura
e di Capo dello Stato e perciò custode della Costituzione.



In particolare, Mattarella, invece di limitarsi a denunciare sconcerto – come ha fatto più volte in questi giorni –
siccome lo sconcerto lo abbiamo anche tutti gli italiani prima e ben più di lui,
dovrebbe intimare a tutti questi signori di smetterla una buona volta,
perché non possono aspirare a quella credibilità sociale che invece dovrebbero garantire
quale fonte della loro necessaria legittimazione:

nessun giudice può tollerare infatti di essere sospettato di aver commesso falli simili a quelli per cui deve giudicare il suo imputato,
pena una rovinosa quanto irredimibile perdita di credibilità pubblica e privata.

Mattarella dovrebbe insomma – come usa dire – “prendere il toro per le corna” e,
chiedendo al Governo di varare in fretta e furia un decreto urgente specifico,
far adottare la sola soluzione oggi possibile, in attesa di riforme ponderate e globali.


Suggerisco infatti di affidare le indagini su Palamara – in sede penale, disciplinare e associativa –
alle sole persone ancora vergini, in quanto incontaminate dal cancro correntizio e perciò le sole credibili:
gli uditori giudiziari, vale a dire i giovani magistrati appena nominati.


Immagino l’obiezione:

l’inesperienza, la giovane età poco adatte a vicende così delicate per la vita delle istituzioni pubbliche.

Lo so bene.

Tuttavia, meglio di gran lunga l’inesperienza e la giovane età, che un’esperienza e una età non più verde,
maturate nel cuore della spartizione del potere nella logica delle correnti.

Qui, infatti, non si tratta di essere più o meno capaci o bravi.

Si tratta, prima ancora, di essere credibili.


Coloro che oggi indagano su Palamara, malgrado loro, non lo sono.

I giovani magistrati appena nominati, invece, lo sono.

Tuttavia, bisogna far presto: prima che i colleghi, quelli meno giovani e con più esperienza,
vengano a bussare alla loro porta, invitandoli a quella ignobile fiera delle vanità cui essi stessi parteciparono.


Nell’attesa, speriamo che, udito quel bussare, le loro porte rimangano chiuse.

Sì, ma fino a quando?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Un modo sicuro per finire di distruggere il paese togliendoli ogni speranza,
è stato di averlo dato in mano alla maggioranza più di sinistra della storia,
come se il comunismo, il cattocomunismo, per non parlare del grillismo avessero dato prova del contrario.


Tanto è vero che la coalizione a sostegno dell’esecutivo è tutta figlia di una sinistra pensiero
che è sempre stato il contrario dello sviluppo, della crescita e della libertà economica e produttiva,
dello stimolo al pluralismo delle idee e delle iniziative.


Basterebbe ripercorrere la genesi delle leggi più importanti che dagli anni 60 hanno iniziato a incancrenire l’albero italiano
creando le condizioni per lo sfascio dei conti, della spesa, della previdenza, dell’architettura istituzionale, dell’invadenza e della permeanza statale.


Insomma per decenni Dc da un lato e Pci dall’altro, un po’ come i ladri di Pisa seppure in politica,
facevano finta di litigare di giorno per poi accordarsi e spartirsi di notte il futuro del Paese,
e quel futuro disgraziato è né più né meno, il presente che purtroppo da anni conosciamo.


Dalla giustizia alla previdenza, dal lavoro al fisco, dallo statalismo all’assistenzialismo,
dai salvataggi agli arrembaggi pubblici, dalla scuola all’università all’informazione,
parliamo di un sistema paese venuto su con una matrice da socialismo reale piuttosto che democratica liberale.


Per farla breve da noi, la libertà e il pluralismo nell’economia, sono stati più apparenti che sostanziali,
perché la mano dello stato si è infilata ovunque, quella della burocrazia pure, quella del fisco uguale,
per non parlare del sindacato che i cattocomunisti hanno utilizzato come longa manus di sostegno politico
piuttosto che per la sostenibilità e la garanzia del lavoro.


Ecco perché a sentir parlare la maggioranza, di Alitalia, Ilva, autostrade, ingresso pubblico nelle aziende,
assunzioni statali, reddito di cittadinanza allargato
, limitazioni all’uso del contante
che tradotto significa limitazione della libertà costituzionale all’uso della moneta,
si capisce che non è cambiato niente ora per allora.


A sentire il governo parlare di giustizia, della riforma pannicello caldo Alfonso Bonafede,
come il caso “Palamara” fosse un pettegolezzo, oppure del fisco torquemada, d
ei consulenti e degli esperti infilati ovunque, della scuola, dei bonus,
dei concorsi per decine di migliaia di posti fissi e così via, ci si accorge che la sinistra pensiero distruttivo è sempre quello.


Insomma ci hanno rovinati allora e vogliono rovinarci definitivamente ora,
tanto è vero che dopo i provvedimenti sbagliati e ritardati di questi mesi di crisi,
ci ritroviamo con 80 miliardi sprecati, col debito sul pil che sale all’infinito,
col settore produttivo in ginocchio, senza una lira e appesi alla corda dell’Europa.


Eppure a sentirli parlare sembra che vivano su Marte
, per via dei distanziamenti :

vogliono raddoppiare le aule delle scuole e gli insegnanti,

vogliono accollare alle casse dello stato tutti i fallimenti,

pensano alla patrimoniale come fosse di stimolo all’economia e allo sviluppo generale,

vogliono diminuire la burocrazia ingaggiando task force, comitati, commissari e così via.


Parliamo di una maggioranza che vorrebbe tornare al fornitore unico di stato,
dalla telefonia all’informatica al digitale alle autostrade all’acciaio al trasporto aereo al credito bancario,
che vuole nel paese altre centinaia di migliaia di immigrati che senza lavoro finiranno per costare e creare insicurezza,
una maggioranza che pensa ai monopattini piuttosto che alle infrastrutture fondamentali.


Del resto da una coalizione che strizza l’occhio a Nicolás Maduro, alla Cina, al Venezuela,
mentre accusa Donald Trump di ogni nefandezza, che allarga i cordoni della spesa non per produrre ma per mantenere,
che spende i soldi non per evitare la chiusura di interi settori produttivi ma per assumere chi aspetti il mensile su qualche poltrona da scaldare,
che ci aspettiamo la salvezza?

Rifare l’Italia?


Suvvia ci finiranno di rovinare, tanto è vero che dopo i dpcm con i quali si è risolto poco o niente siamo disperati
e senza una lira in attesa dei soldi della Ue che se tardassero troppo o come è possibile e per certi versi giusto,
fossero di meno e condizionati, saremmo belli sottomessi e incatenati per sempre ad obbedire senza fiatare.


In fondo parliamoci chiaro chi non sa fare il proprio gioco finisce solo per favorire gli altri,
e questo governo non solo non è stato in grado di elaborare un piano di riforma della spesa,
dell’economia, del reperimento di risorse per il sostegno e il rilancio dei consumi,
della produzione e dell’occupazione in grado di creare reddito e ricchezza nazionale,
ma si è dedicato all’esatto contrario arrivando in Europa con chiacchiere e richieste urgenti di finanziamenti e basta.


Insomma c’è poco da dire,
i cattocomunisti,
gli eredi di Togliatti,
i grillini estimatori di maduro e della decrescita felice,

con la libertà economica,
la cultura liberale dello sviluppo,
l’utilizzo per la crescita produttiva della spesa pubblica,

non c’entrano niente, come c’entrano poco con la democrazia dell’alternanza,
per questo cercano di impedire il voto e la possibilità che gli italiani scelgano un’altra maggioranza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
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Val

Torniamo alla LIRA
Giuseppi doveva chiudere il FLOP di Villa Pamphili, giudicato inutile dalla maggioranza degli italiani,
con qualche annuncio eclatante ed incredibile, come è solito fare da quando è diventato il prezzemolino della TV.

Questa volta non è stato neanche originale e, seguendo quanto annunciato (e fatto….)
dal governo tedesco più di due settimane fa annuncia che il Taglio dell’IVA è fra le imposte da valutare.



Naturalmente Giuseppe parla, e Gualtieri dice NO, e forse, nel caso specifico, con qualche ragione.

Il problema di Conte è che parla sempre senza avere un’idea, neanche minima, delle cifre che sono in gioco.

Dotato di cavo orale, lo aziona per emettere suoni che poi, nella logica delle cose, non hanno nessun significato.

Nel 2019 gli incassi per l’IVA sono stati pari a 136 miliardi di euro.

Un taglio significativo delle aliquote, ad esempio del 2% (meno del 10% dell’aliquota più elevata)
porterebbero ad un taglio nelle entrate dell’ordine di 13 miliardi.

Il tutto per uno sconto del 2% dell’aliquota che si farebbe sentire veramente poco nelle tasche degli italiani.

Gualtieri, per non far fare una figuraccia eccessiva a Conte, ha poi parlato di un possibile tagli di 1,3-1,4 miliardi, praticamente nulla.

Per dare un’idea lo sconto tedesco è del 3% di aliquota, molto più consistente
e con un investimento di una cinquantina di miliardi.

Con 1,4 miliardi puoi ridurre l’IVA a qualche prodotto particolare, ma niente di decisivo.



Gualtieri ha fatto versare gli 11 miliardi di acconto IMU, anche con proprietari allo stremo.

Non ha ancora assicurato il rinvio dell’IRPEF di tre mesi, cosa fatta lo scorso anno senza grossi problemi per il bilancio
(il costo è di qualche decina di milioni nella peggiore delle ipotesi, zero nella migliore),
non ha rinviato l’IRES, richiesto da Confindustria,
può veramente concedere agli italiani 14 miliardi di riduzione IVA?

Scherziamo?


Tra l’altro l’IVA si riduce da sola, per le mancate vendite.

A settembre, senza incassi e con le aziende in crisi, magari tireranno fuori qualche idea più brillante,
come uno sconto sui biglietti aerei per permettere loro di scappare!!!!
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sappiamo - poverino - che non ha la capacità d'intendere e di concepire come funziona il mondo.

Se ad un commerciante gli dici : ti taglio l'iva del 2% di quanto aumentano le tue vendite ?

ZERO dico io.

Perchè i prezzi li fanno i commercianti.

Ma Voi pensate veramente che il commerciante taglierà il prezzo - poniamo da 36,60 euro a 36 euro -
(differenza del 2% di iva in meno su 30 euro di imponibile) del prodotto in questione ? Ma se li tiene lui.

Perchè nessuno andrà a comperare l'articolo perchè costa 60 centesimi in meno hahahahah

Prendiamo un'auto da 15.000 euro . La differenza su 12.300 euro di imponibile sono 240 euro.
E Voi pensate che qualcuno vada a comperare l'auto perchè costa 240 euro in meno ?

FESSO CHI CI CREDE
 

Val

Torniamo alla LIRA
.....i paesi nordici, Germania inclusa, hanno proposto addirittura un aumento dell’IVA accompagnata da una patrimoniale........
 

Val

Torniamo alla LIRA
Gira e rigira i volti sono sempre quelli.

In Italia, per chi non lo abbia ancora potuto constatare, esistono dei veri e propri “Ministeri di collocamento”.

Affronta la tematica il settimanale Panorama, il quale riferisce una lunga lista di nomi,
parlamentari o amministratori pubblici non riconfermati, che oggi hanno una seconda vita professionale come «consiglieri»,
«segretari particolari», «consulenti» nei dicasteri del governo Conte 2.



L’interessante fenomeno di “repéchage”, che cementa la fedeltà con amici arrivati al vertice,
è talmente palese che è impossibile non scorgerlo in tutta la sua sfacciataggine.

Fedeltà che ha anche un certo costo;

“solo nella lista, visionata da Panorama e aggiornata a maggio 2020, relativa alla presidenza del Consiglio,
tra il premier, i suoi sottosegretari e i ministri senza portafoglio, si contano oltre 200 nomi
per una spesa complessiva che fino a fine anno supererà i 5 milioni di euro”.


Il settimanale inizia l’elenco con Filippo Nogarin che,

“dopo solo dopo pochi mesi dall’aver perso per un pelo le elezioni del 26 maggio 2019,
il tempo di passare da un governo gialloverde a uno giallorosa, viene ripescato
in qualità di «consigliere» del ministro per i Rapporti col Parlamento
dal pentastellato Federico D’Incà con uno stipendio da 40 mila euro annui”.


La rassegna dei ‘fedelissimi’ prosegue poi con

“Ileana Cathia Piazzoni, deputata dem nella scorsa legislatura (2013-2018).
Dopo essersi ricandidata senza successo alle politiche del 2018,
nel settembre scorso ha deciso di traslocare sotto le insegne di Italia viva”.


Viene menzionato anche

“tra i collaboratori del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia,
Enrico Borghi, il cui stipendio è erogato direttamente da Montecitorio”.


Vicino all’etichetta di “reciclati” c’è Bruno Marton.

“Nella scorsa legislatura era senatore come Crimi e, oggi al Viminale
in qualità di ‘segretario particolare del vice-ministro’, percepisce circa 75 mila euro annui”.

Per quasi la medesima cifra lavora al ministero dell’Economia Enrico Gasbarra
in qualità di consigliere di Roberto Gualtieri, “suo datore di lavoro”.


Risulta anche il caso di Salvatore Capone, nominato dalla sua conterranea Teresa Bellanova
come consulente al ministero delle Politiche agricole.
Come fa notare Panorama “l’incarico, da 36mila euro era scaduto lo scorso febbraio…”


Segue la nomination di Alessio De Giorgi che da “social media manager di Matteo Renzi”,
per 80 mila euro è diventato «consigliere del ministro».


Rispetta la rigorosa regola di circondarsi di fedelissimi anche il titolare dei Beni culturali Dario Franceschini.
“Nonostante il ministro abbia già un portavoce e un capo ufficio stampa,
ha affidato un incarico di consulente per la comunicazione a Pierdomenico Martino”.

Si passa dopo a Rocco Casalino che, rivestendo il “ruolo di portavoce e capo ufficio stampa di Giuseppe Conte,
percepisce uno stipendio lordo di poco superiore ai 169 mila euro”.


Il passaggio da Enzo Moavero Milanesi a Luigi Di Maio è costato un ingrossamento dello staff del ministro
con un “peso sulle casse superiore ai 740mila euro”.

Naturalmente all’interno vi troviamo “fedelissimi del leader dei 5 Stelle”.

A cominciare da “Pietro Dettori, -consigliere del ministro degli Esteri
per la cura delle relazioni con le forze politiche inerenti le attività istituzionali-
ruolo che gli vale 120 mila euro;

per finire con Carmine America: ex compagno di scuola a Pomigliano d’Arco”.


Nell’elenco troviamo anche Dario De Falco, “amico di Giggino dai tempi del liceo classico linbriani, diventato oggi
«consigliere per le questioni istituzionali» con una retribuzione da 100 mila euro”.


“All’Istruzione, invece, a curare la comunicazione social della sottosegretaria Anna Ascani, è Davide Di Noi,
da poco nominato responsabile del dipartimento Cultura del Pd”.

Il Panorama riferisce che “sui social Di Noi ha ringraziato il segretario Zingaretti,
ma «soprattutto» proprio «Anna Ascani che ha sempre creduto in me»”.


Sicuramente nei casi come questi “la riconoscenza è d’oro”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’eterno ritorno del sempre uguale, come nel film Il Giorno della Marmotta
in cui il protagonista si ritrova a rivivere, con piccole variazioni, la stessa identica giornata ripetuta all’infinito.

Una sensazione più che naturale nel vedere l’ennesimo volto noto fare capolino tra le fila del governo giallorosso,
già ricco di quegli esponenti della casta che il Movimento 5S prometteva di spazzare via.

Altri tempi.

Oggi a tornare d’attualità è piuttosto il volto di Franco Bassanini,
in dirittura d’arrivo al ministero dell’Economia nel ruolo di consulente di Gualtieri
sul fronte delle semplificazioni e della promozione degli investimenti pubblici.



Una notizia che circola insistentemente in queste ore, anche se manca ancora l’ufficialità:

Bassanini dovrà aiutare Gualtieri nel non semplicissimo compito di trasformare in atti concreti
le promesse fatte dal premier Conte in queste ore, impegni presi con toni altisonanti ma difficili da tradurre in atti.

Il governo giallorosso, di fatto, sembra piuttosto in alto mare.

E allora ecco saltar fuori il più classico dei jolly, la mossa a sorpresa utile anche per tacitare
qualche animo irrequieto con un nome di tutto rispetto e potenzialmente utile su più di uno dei caldissimi fronti aperti in queste ore.

Bassanini, d’altronde, ha un curriculum che parla da solo:
presidente della Cassa Depositi e Prestiti dal 6 novembre 2008 al 10 luglio 2015,
è stato poi Consigliere Speciale dell’allora premier Matteo Renzi,
quello che oggi agita non poco i sonni degli esponenti giallorossi con i suoi umori turbolenti.

Un incarico di prestigio confermato anche con l’arrivo a Palazzo Chigi di Claudio Gentiloni,
all’insegna di una continuità che oggi si rinnova ancora una volta.

Bassanini, d’altronde, non si è mai allontanato troppo dai riflettori:
da poco ha coordinato una task force che per conto della società Assonime
si è fatta carico della stesura di un rapporto sui “fattori di blocco” da eliminare su infrastrutture e conti pubblici.


L’uomo giusto, dunque, per affrontare ostacoli insidiosi come gli interventi sulla pubblica amministrazione,
lui che già nel 1997 aveva proposto una rete unica nazionale che facesse da presupposto per il salto, digitale, in avanti.

Bassanini si inserirà in un caos che vede al momento i vari partiti del governo Conte tutti concordi sulle belle parole da utilizzare in pubblico,
al momento degli annunci, e più divisi che mai quando si tratta di passare ai fatti.

L’ultima proposta di Grillo, per esempio, è quella dell’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti in Tim, con una quota pari al 25%.

Idea che ha riscosso pareri favorevoli e contrari, come ormai da copione.

Per sbrogliare una matassa così intrigata, niente di meglio che uno come Basssanini, già avvezzo da tempo alle logiche della politica

In nome di una continuità che non deve mai mancare, alla faccia delle rivoluzioni.
 

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