Paradisi fiscali d'europa: Svizzera-Lussemburgo-Germania (1 Viewer)

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Quei paradisi fiscali chiamati Germania, Lussemburgo, USA…
Di Maurizio Blondet , il 17 febbraio 2018 26 Comment
Quei paradisi fiscali chiamati Germania, Lussemburgo, USA… - Rischio Calcolato

Dimenticate Vanuatu, Antigua e Bermuda: sì, sono i paradisi fiscali più chiusi, “riservati” per i loro clienti e coi prelievi fiscali minimi (o zero). Però, se alle loro legislazioni di opacità fiscale concepite per attrarre capitali sporchi unite anche la loro importanza nella finanza mondiale – come ha fatto un centro studi chiamato Tax Justice Network (TJN) questi minuscoli paradisi tropicali scendono molto nella classifica. E al primo posto sale la Svizzera.
Al secondo, gli Stati Uniti, per cui passa il 22,3% dei flussi internazionali di capitale.


(Si noti: l’Olanda, satellite della sfera economica tedesca è 14ma in questa classifica dei paradisi fiscali. L’Italia, al 43mo posto)
E al sesto posto troviamo il Lussemburgo (chi l’avrebbe mai detto?), che ci ha dato generosamente il capo morale e legale commissione eurocratica, seguito immediatamente dalla Germania: sì, Germania. Secondo la valutazione del TJN, la Germania è più paradiso fiscale del Dubai. Decimo paradiso fiscale, l’isola di Guernsey, che è pur sempre Europa.

Strano che questi paesi non compaiano nella “Lista Nera” che l’Unione Europea, misura di ogni eticità, ha approntato e che aggiorna spesso (per lo più riducendo il numero dei dannati: nella lista UE sono rimasti solo 9 paesi; Panama ha ringraziato). “Contrariamente ad altre, la nostra lista non è basata su decisioni politiche”, spiega TJN

E’ discutibile aver messo la Svizzera al primo posto, chiunque sa che se un italiano o un francese apre un conto là, lo stato francese o italiano ne riceve comunicazione obbligatoria. TJN riconosce che la Svizzera è aperta coi paesi dell’OCSE; ma, dice, rifiuta di fornire i dati ai paesi del Terzo Mondo. Usa due pesi e due misure. Però si riconosce che la Confederazione si sta regolarizzando.


Anche come evasori, niente male.
Molto più interessante il secondo posto assegnato agli Stati Uniti: la fonte stessa della Moralità Occidentale, l’unica superpotenza necessaria, che giudica e punisce tutti coloro che trasgrediscono al suo diritto commerciale e fiscale, colpendo stati e individui e aziende con sanzioni e sequestri dei beni. Qui,addirittura, il TJN afferma che Washington ha aggravato la sua natura di paradiso fiscale negli ultimi anni. L’America si è rifiutata di unirsi allo scambio automatico dei dati bancari vigente dell’OCSE . Con l’alta motivazione che si è dotata della propria legge, FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), la quale è più nobile e morale di tutte le altre. Il punto, spiega il centro studi, è che il FATCA obbliga sotto minacce (eseguite) di sanzioni, i paesi esteri a inviare a Washington tutti i dati sui cittadini americani che hanno attività e conti all’estero; però non fornisce le stesse informazioni su cittadini stranieri che hanno conti in USA.

Un tipico diritto talmudico, diremmo: fai agli altri quel che non vuoi gli altri facciano a te. Un vertice della civiltà giuridica.

Ci sono stati americani, Delaware, Wyoming,Nevada, che lasciano registrare ditte presta-nome e “trust” completamente anonimi, per attrarre capitali esteri sporchi. Non solo: “hanno montato un marketing molto aggressivo all’estero, sottolineando che il FATCA non implica reciprocità”. Decisamente, jus talmudicum.

Suisse et Etats-Unis en tête : le vrai classement des paradis fiscaux

Grazie a questo “marketing” (il centro studi lo chiama “il Far West”), gli Stati Uniti hanno visto aumentare i flussi di capitali mondiali transitanti nel loro Far West fiscale dal 19,6 per cento nel 2016, al 22,3 % oggi.

Passiamo alla Germania: perché solo al settimo posto fra i primi dieci paradisi fiscali del mondo? Non è solo che a Bruxelles opera sottobanco per evitare l’instaurazione di un registro dei beneficiari dei veicoli finanziari, e che ancora non ha firmato gli accordi di scambio-dati coi paesi emergenti. E’ che se la consideriamo un tutt’uno con il Lussemburgo con cui forma effettivamente un compatto sistema “europeo”, dovrebbe salire molto più in alto nella lista: congiuntamente, il flusso di capitali mondiali che attraggono supera il 17% mondiale, quasi al livello USA; molto distante dal povero 4,5 % svizzero: molti capitali della UE ovviamente che vengono ospitati molto volentieri lì, sfuggendo ai regimi fiscali degli altri paesi della (cosiddetta) Unione Europea, meno generosi. Ecco perché Bruxelles fa finta di non vedere il semi-furto delle risorse fiscali degli Stati UE senza voce in capitolo verso gli stati fiscalmente generosi coi ricchi;e come mai gli europei si vedono imporre austerità senza fine dal padrino del “dumping fiscale” lussemburghese, questo Juncker messo lì dalla Merkel.


Germania Paradiso Fiscale”
Sebbene la Germania non pratichi il segreto bancario al modo della Svizzera, molte scappatoie nelle leggi fiscali, la loro applicazione di manica larga per i non residenti, un informale ma fortissima riservatezza sulle informazioni fiscali, hanno reso la Germania molto attraente per i capitali illeciti.

Introduction

La sua stessa anormale crescita economica attrae sostanziose quantità di capitali da riciclare: lo stesso ministero Finanze tedesco l’ha calcolati in 100 miliardi nel 2014. Nel 2010 la Germania “ospitava” depositi di non-residenti per 1,8 trilioni di dollari; nel solo mese di agosto 2013, l’autore del saggio “Tax Haven Germany” Markus Meinzer ha valutato l’ammontare delle attività fruttifere esenti da imposta dei non-residenti, tra i 2,5 e i 3 trilioni di euro. Piove sul bagnato, potremmo dire.

Mi raccomando, Più Europa.
 

tontolina

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DAZI AMARI – TRUMP DICHIARA GUERRA TOTALE ALLA GERMANIA SULLE AUTO, E LA MERKEL TREMA. L’ATTACCO DELLA CANCELLIERA AL PRESIDENTE USA DAVANTI AL VICE PENCE: “STA MANDANDO IL MONDO IN MILLE PEZZI. NON CAPISCO COME LE NOSTRE MACCHINE POSSANO ESSERE CONSIDERATE UNA MINACCIA. LA PIÙ GRANDE FABBRICA DELLA BMW È IN CAROLINA DEL SUD” – IRAN, AFGHANISTAN, NORTH STREAM: TUTTI LE QUESTIONI APERTE TRA BERLINO E WASHINGTON

trump e la guerra alle auto tedesche, merkel trema: 'le produciamo in usa' - tutti i nodi

MERKEL VA ALL' ATTACCO DELL' AMERICA DI TRUMP "STA MANDANDO IL MONDO IN MILLE PEZZI"


Alberto Simoni per “la Stampa”

Il senatore Lindsey Graham per stemperare il clima e spiegare agli amici europei che le sponde dell' Atlantico sono sempre lì, non così distanti, dice che il «multilateralismo è complicato ma è meglio che stare a casa soli sul divano».

Mike Pence che di mestiere fa il vice presidente Usa e che non perde occasione per ricordare quanto è straordinaria l' amministrazione Trump sottolinea che gli States «oggi sono più forti che mai e che guidano il mondo visti i successi in Afghanistan e in Corea del Nord».

Eppure se infiliamo i temi su cui europei e statunitensi bisticciano la lista è lunga. Come ha ricordato Joe Biden, ex vice di Obama, rintuzzando le frasi del suo successore «per essere leader bisogna che vi sia qualcuno con cui guidare». Cosa che oggi - almeno vista da Monaco - non sembra esserci.

Così è toccato soprattutto ad Angela Merkel ricordare a Washington impegni, onori e doveri di un' alleanza, la Nato, che definisce «un ancoraggio ai valori». Lo ha fatto parlando sul podio della Conferenza per la sicurezza di Monaco anticipando di un' ora il «rivale» Pence.

La cancelliera ha incassato applausi e una standing ovation inusuale in questi ambienti paludati. Commuovendosi. Pence solo qualche timido applauso quando ha annunciato che l' ultima sacca dell' Isis in Siria sta collassando e quando ha chiamato l' Europa a riconoscere Juan Guaidó come presidente venezuelano. Alla fine si sono alzati soltanto parenti (di Trump) e qualche altro atlantista.

I due non si sono risparmiati colpi e attacchi, hanno tenuto le posizioni e se il summit bavarese aveva almeno la timida (e non dichiarata) velleità di far riavvicinare Ue e Stati Uniti, quell' ambizione è naufragata.

Merkel ha elencato tutto ciò che divide e ha preso a prestito le parole di Graham per suggerire - perentoria - che «non si possono ridurre in mille pezzi le strutture multilaterali».
Meglio cooperare. Ma su quali basi? I nodi quindi sono molti.

Dall' Afghanistan dove Merkel ha ricordato che gli americani non possono andare via senza dire nulla agli alleati soprattutto pochi giorni dopo che Berlino aveva esteso di un anno la missione dei 1300 soldati tedeschi; alla Russia di Putin con cui la Germania vuole continuare i progetti energetici. Ecco perché «il Nord Stream 2 - dice Frau Merkel - si farà».

Certo la Russia è per alcuni versi un nemico, agisce «con guerre ibride contro Stati economicamente più deboli», ma sta pure a qualche migliaio di chilometri di distanza e «resta un partner». «Bisogna ragionare con Mosca e fare sforzi per la cooperazione», spiega la cancelliera che sui rapporti a Est non sente ragioni. Come sui commerci. Il Dipartimento al Commercio Usa vuole imporre sanzioni del 25% alle auto tedesche, verrebbe colpita principalmente la Bmw, «ma noi amiamo le nostre auto, siamo orgogliosi e continueremo a produrle».

Ad ascoltare Pence in sala oltre a Ivanka e al marito Jared Kushner, c' erano John Kerry («Non ha detto nulla di clima, mi vergogno di lui») e Nancy Pelosi. Il vicepresidente ha intimato agli europei di ritirarsi dall' accordo sul nucleare e di imporre sanzioni all' Iran; ha esortato gli alleati a non lasciare che la Cina entri nei loro sistemi di telecomunicazione sbarrando le porte a Huawei; e poi ha detto a Merkel che «non si rafforza l' Occidente diventando dipendenti dall' energia dell' Est». Il Nord Stream 2 non s' ha da fare insomma. Un corpo a corpo vigoroso su tutto, o quasi. Il bilaterale successivo avrà smussato solo i toni. Graham rischia di restare solo sul divano.

TRUMP, È GUERRA TOTALE ALLE AUTO STRANIERE MERKEL: «MA LE PRODUCIAMO ANCHE IN USA»

Flavio Pompetti per “il Messaggero”

Venti di tempesta stanno agitando il mondo dell' auto. Un rapporto stilato dal ministero per il Commercio di Washington dopo nove mesi di ricerca, sta arrivando sulla scrivania di Donald Trump in queste ore, e stando alle indiscrezioni della vigilia concluderà che le automobili importate negli Usa dall' estero costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale.
A quel punto il presidente avrà 90 giorni per decidere se vuole aprire un' altra pagina della guerra commerciale che lo oppone al resto del mondo, o se è il caso di abbassare la guardia, come gli suggeriscono gli stessi politici repubblicani e molti costituzionalisti, e come gli chiedono gli alleati internazionali, a partire dalla Germania.

Proprio l' auto è stato uno dei temi del duro scontro tra Angela Merkel e il vicepresidente americano Pence, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. «Non capisco come le nostre automobili possano essere considerate una minaccia alla sicurezza degli Usa ha detto la cancelliera tedesca - ricordiamoci che la più grande fabbrica al mondo operata dalla Bmw non è in Baviera, ma nella Carolina del Sud». La nuova pagina della guerra dei dazi sarà l' incognita sotto la quale le piazze finanziarie riapriranno domattina, con il timore di azioni che potrebbero colpire al cuore una delle maggiori industrie globali.

LE PROIEZIONI
Le proiezioni fatte dal think tank di Washington Tax Foudation parlano di 73,1 miliardi di dollari di possibili, nuove imposte che si abbatterebbero sui consumatori statunitensi, e della possibile perdita di 700.000 posti di lavoro in tre continenti.
Trump ha ordinato l' inchiesta lo scorso maggio, invocando la Sezione 232 del codice del Commercio che lo autorizza a emettere provvedimenti punitivi contro le nazioni che importano beni negli Usa, quando lo scambio ha degli effetti negativi sulla sicurezza interna degli Usa. Il ricorso a questo strumento gli ha permesso tra l' altro di aggirare un voto di conferma che il legislativo era restio a concedergli.

Questa attribuzione di potere al presidente risale agli anni '60, in piena guerra fredda, in assenza di una giurisdizione internazionale. Era stata usata un paio di volte nella storia degli Usa, ma mai dopo la creazione del Wto nel 1995. Trump è stato il primo a invocarla in tempi recenti, quando ha deciso di applicare dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio. I politici statunitensi non sono d' accordo che il presidente la usi a suo piacimento come una strategia negoziale, e infatti hanno proposto nel corso dell' ultimo mese nuove leggi che vorrebbero sopprimerla, o perlomeno spostare la funzione di controllo delle indagini dal ministero per il Commercio, più suscettibile al controllo politico della Casa Bianca politici, a quello per la Difesa, più titolato ad esprimere un parere in materia.

I Paesi colpiti potrebbero essere la Germania e l' Italia in Europa, e poi il Giappone e la Cina, forse.

Il rapporto sembra contenere tre diverse raccomandazioni:
l' imposizione di dazi del 25% su auto e componenti provenienti dall' estero ad eccezione della Corea del Sud, con la quale gli Usa hanno già firmato un accordo;
una tassazione inferiore al 10%, pari a quella che le auto made in Usa incontrano nel mercato europeo;
imposte selettive solo su alcune vetture (le elettriche ad esempio), e sulle componenti.
È difficile sfuggire al sospetto che la minaccia arrivi nel momento in cui la Casa Bianca sente di essere vicina ad un accordo commerciale con la Cina dopo un anno di frizioni e di dazi, e intenda somministrare la stessa terapia all' Europa e al Giappone.



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