PANNOLINI E POLITICI DOVREBBERO ESSERE CAMBIATI REGOLARMENTE E PER LO STESSO MOTIVO. (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
L’Italia si divide in salvati e affondati:

i primi sono coloro che godono di un’entrata sicura, almeno in apparenza,

i secondi tutti coloro che invece sono stati colpiti da questa enorme disgrazia e non riescono a salvervisi.



Tra i più fortunati in questa enorme crisi economica che sta attraversando l’intero paese
a causa della pandemia ci sono sicuramente i # dipendenti pubblici.


I dipendenti pubblici si sentono tutelati, e protetti, m non sanno che, se non a fronte di grosse , enormi,
riforme del bilancio pubblico o una improbabile ripartenza economica, saranno loro, con i pensionati, le prossime vittime.


Secondo Valerio Malvezzi , se non cambieranno le cose, i prossimi a pagare saranno proprio loro.

Senza riforme nelle norme di bilancio europee, senza un vero cambiamento radicale dell politica economica,
è solo una questione di tempo prima che i tagli, come avvenne in Grecia, colpiscano il pubblico impiego ed i pensionati.


Perchè nessuno può dirsi immune in questa crisi.

 

Val

Torniamo alla LIRA
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Ci hanno raccontato a lungo, soprattutto durante la prima fase della pandemia,
che l’Italia era diventata di colpo un modello da imitare, lodata dall’opinione pubblica estera
per il coraggio e la rapidità delle sue scelte, pur dolorose.

Una retorica che è stata smontata passo dopo passo col passare dei mesi,
di fronte agli errori marchiani del governo Conte prima e Draghi poi.

Con tanto di stroncatura netta che oggi arriva dalle pagine dell’agenzia di stampa americana Bloomberg,
che chi ha messo in fondo alla graduatoria dei luoghi dove l’emergenza Covid-19 viene gestita nella maniera più efficace.



Nella classifica, che raggruppa 53 diverse nazioni, l’Italia occupa infatti soltanto il 40° posto,
a riprova di quanto anche il giudizio della stampa estera sia tutt’altro che benevolo nei confronti degli ultimi due governi e delle loro scelte.

Piuttosto che un esempio da imitare, siamo diventati insomma un pessimo modello dal quale prendere le distanze:
994 casi di Covid su 100 mila abitanti registrati mediamente in un mese, un tasso di mortalità dell’1,6%,
una politica di contrasto al virus che continua a mostrarsi stentata.


Più in alto di noi in classifica ci sono, per esempio, Nigeria, Perù, Portogallo, Pakistan.

In cima, secondo la rivista americana, c’è invece la Nuova Zelanda.

Ma non è soltanto Bloomberg, in queste ore, a tirarci le orecchie.

I dati raccolti dall’istituto Johns Hopkins University registrano infatti una copertura vaccinale insufficiente, pari soltanto al 6,7% della popolazione.

Nulla in confronto al 54,1 % di Israele, in cima alla classifica della resilienza.

“L’Italia affonda 11 posizioni mentre il paese ha chiuso negozi, ristoranti e scuole per combattere una nuova ondata.
Il suo governo sta pianificando una chiusura totale per Pasqua”.


Nelle analisi dei dati, ecco arrivare poi un severo giudizio sulle politiche dei Paesi del Vecchio Continente,
eccezion fatta per quel Regno Unito che una volta fuori dall’Ue ha potuto agire rapidamente e in autonomia
e sta per lasciarsi già alle spalle l’incubo Covid-19.



“Stanno pagando il prezzo per un lancio caotico di vaccini, con 9 dei 10 cali più significativi di marzo, e con città come Parigi bloccate di nuovo.
La metà della popolazione israeliana di 9 milioni di persone ha ricevuto due dosi di un vaccino Covid
e la vita di coloro che sono stati vaccinati si sta normalizzando rapidamente”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La settimana politica che sta per concludersi consegna qualche certezza.

La prima:

Giuseppe Conte è vivo (politicamente) e lotta insieme ai Cinque Stelle.
Er Sor Tentenna di Volturara Appula ha sciolto la riserva,
pur non avendolo comunicato a nessuno,
e si prepara a guidare la lunga marcia dei grillini verso non si sa quale sol dell’avvenire.

Il fu “Giuseppi” ha accettato di essere capo dei pentastellati
presentandosi all’incontro con il neo-segretario del Partito Democratico, Enrico Letta.

Per la formale intronizzazione bisognerà attendere la chiusura del contenzioso economico
che il Movimento ha con l’Associazione Rousseau a causa dell’uso a scrocco della piattaforma digitale.

Il suo presidente, Davide Casaleggio, disceso dall’iperuranio dei massimi sistemi,
ha comunicato agli ex seguaci dell’utopia della democrazia diretta,
che gli chiedono l’accesso al voto on-line degli iscritti per ratificare la nomina del nuovo capo politico,
una cosa molto terrena che può essere così riassunta: pagare moneta, vedere cammello.


Ma tant’è.
Il nuovo corso dei Cinque Stelle per ripartire deve ripianare i debiti accumulati con il nucleo pensante dell’intelligenza collettiva grillina.

Posto che Giuseppe Conte riesca a riavviare i motori sfasati del fu movimento-apriscatole (preferibilmente di tonno),
dovrà darsi un progetto sul quale erigere una casa accogliente che non somigli troppo a un mausoleo funerario.

Per chi?

Si suppone per i progressisti che abbiano inclinazioni ambientaliste, ma che siano animati dal sacro fuoco del giustizialismo;

per gli europeisti tendenti a sposare le tesi del socialismo, rappresentate a Bruxelles dal Partito Socialista europeo;

e, sottinteso, per quel manipolo inossidabile di parlamentari grillini ai quali può andare bene tutto, a patto che le loro terga restino incollate alla cadrega.



Se sarà questo il profilo del Cinque Stelle 2.0, cioè la brutta copia dell’odierno Partito Democratico,
si può essere certi che una pattuglia di revanscisti grillini si recherà in processione a Milano,
presso la sede della Casaleggio & Associati, a chiedere al giovane Davide
di usare la mazzafionda per colpire il mostro Conte-Golia, generato dal sonno della morale pentastellata.


Il manifesto lanciato giorni orsono dal vertice dell’Associazione Rousseau, “Controvento”,
sembra concepito a misura per dare ostello allo scontento cresciuto nel cuore dei Cinque Stelle.


Seconda certezza.

È ufficiale: l’uomo della provvidenza “dem”, il redivivo Enrico stai sereno di renziana memoria,
il purosangue della scuderia di Beniamino Andreatta, al secolo Enrico Letta, è in realtà un brocco.

D’altro canto, cosa ne può sapere lui della politica impastata di sangue ed escrementi,
gli stessi ingredienti di cui sono fatti i drammi genuini e le vicissitudini delle persone in carne e ossa?

Il suo curriculum parla chiaro: la politica l’ha imboccata dall’alto diventando, prima, ministro nel 1998 col Governo D’Alema
e poi, nel 2001, parlamentare della Repubblica.

Dove mai avrebbe potuto interagire con i problemi dei comuni mortali, toccandoli con mano?

Alle cene di gala del Club Bilderberg e della Trilateral Commission?

Ancor più delle passeggiate lunari sullo ius soli e sul voto ai sedicenni,
lo scollamento dalla realtà è certificato dalla legnata rimediata con la storia del cambio dei capi dei gruppi parlamentari del partito.

Portato sugli scudi alla guida dell’organizzazione dopo l’umiliante defezione del segretario nazionale titolare, Nicola Zingaretti,
il caro ragazzo ha inaugurato il suo mandato impegnandosi nella rimozione delle scorie radioattive del renzismo presenti all’interno del partito.


Messa nel carniere la nomina (facile) di due vicesegretari di proprio gradimento,
i giovani e rampanti Irene Tinagli e Giuseppe Provenzano,
Letta ha puntato la prora sulla defenestrazione dei capigruppo alla Camera e al Senato, Graziano Delrio e Andrea Marcucci,
entrambi in odore di intelligenza con il nemico Matteo Renzi.

Il pretesto scelto dal vindice del proprio astio: la necessità di dare una mano di rosa al muro del pianto “dem”, mestamente ingrigito al maschile.

Argomentazione debole e implausibile, da fargli piovere addosso una gragnuola di critiche. E non solo.

Già, perché i “morituri te salutant” Delrio e Marcucci, annusata l’aria, gli hanno mollato un calcio negli stinchi.
Graziano Delrio non ha atteso il colpo di grazia e dalla finestra ci si è buttato da solo,
lasciando con socratico distacco il posto di capogruppo alla Camera perché altri si azzannassero per averlo.

Andrea Marcucci, invece, forte della consistenza al Senato della corrente interna al Pd, “Base riformista”,
che riunisce gli orfani dell’ex Rottamatore (Matteo Renzi), ha avvelenato i pozzi:
se n’è andato, rilasciando dichiarazioni tali da apparire un gigante del pensiero rispetto a un neo-segretario roso dalla brama di vendetta.


L’uscente si è dato una erede: la senatrice lombarda Simona Malpezzi.

Per non rimediare una sonora sconfitta, il brocco ha dovuto ingoiare il rospo.

Risultato: uscito di scena un renziano, arriva, eletta dall’assemblea del gruppo all’unanimità, una renzianissima.

Magra consolazione per Letta versione Terminator.

Potrà però appagarsi col sapere che almeno è donna.


Terza certezza.

Il neo-segretario “dem” ha incontrato il capo politico, salvo contrordine, dei grillini nuova versione, Giuseppe Conte.

Una mossa importante per comprendere il futuro dei due partiti.

Ma anche per fare la conta di chi non sarà della partita nel centrosinistra che verrà.

L’abbraccio dei Democratici con i grillini, sebbene quest’ultimi rigenerati nella centrifuga del contismo in pochette,
espunge dal perimetro della possibile coalizione la sinistra radicale di Nicola Fratoianni, da un lato,
e dall’altro, la laguna liberal popolata dalla fauna esotica dei renziani,
dei “quattro gatti al circolo del tennis” di Carlo Calenda
e delle “foglie morte” alla Jacques Prevert che cadono a mucchi dal ramo pendulo degli amanti divisi di +Europa.

Quanto basta per pronosticare che l’auspicato campo largo del centrosinistra
si ridurrà a un striminzito orticello presidiato dai soliti noti, disperatamente bisognosi di sopravvivere a se stessi.


Il nuovo cantiere della sinistra (fortuna che almeno uno sia stato aperto in Italia)
presto dovrà fare i conti con le candidature alle Amministrative del prossimo autunno.

Come negli antichi riti pagani, occorreva il sacrificio di un capro espiatorio per celebrare la palingenesi dei due partiti.

E la testa di Virginia Raggi, attuale sindaca grillina di Roma, sarebbe stata perfetta per la circostanza.

Peccato che l’interessata non fosse dello stesso avviso.

Non solo non ha porto la testa all’altare sacrificale, ma ha cominciato a scalciare,
lasciando intendere che prima della decapitazione venderà cara la pelle.

I due leader, delusi, potrebbero optare per un’altra vittima da offrire ai riti propiziatori.

Soggetto più docile è Roberto Fico.

Basterà legarlo mani e piedi e condurlo a immolarsi sull’ara irta di spine della candidatura a sindaco di Napoli.

Le due faine (Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca), che infestano le lande della sirena Partenope,
lo attendono a braccia aperte e a mandibole spalancate ad angolo retto.


Per l’occasione, hanno già sistemato le carbonelle nel barbecue.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La scorsa settimana la Corte Costituzionale tedesca, con sede a Karlsruhe
in quella che, enfaticamente, viene chiamata la “Cittadella del diritto”,
ha emesso un ordine bloccando la firma del presidente Altmaier al Recovery Fund,

il progetto europeo di fondo comune per lo sviluppo, che a Bruxelles viene chiamato,
enfaticamente e vuotamente “Next generation EU”.

Se pensano di formare con questi quattro soldi l’Europa, siamo già tutti morti.


Cosa succederà ora?


Prima di tutto notiamo che la sentenza del maggio 2020
con cui si voleva imporre alla BCE di giustificare gli acquisti legati al QE di Draghi è caduta, letteralmente, nel vuoto:
la BCE si è guardata dal giustificare alcunché.

La BundesBank ha mandato documenti, ma quasi come cortesia , ma, alla fine , la sentenza è caduta nel vuoto.

Ora si attende una nuova sentenza sul tema simile, ma di dimensioni maggiori, del PEPP.

Il risultato sarà probabilmente simile: comunque la BCE ignorerà la sua sentenza.


Ora ha bloccato Altmaier su spinta di un ricorso richiesto da un’associazione vicina al leader di AfD.

Però lo stesso Altmaier pare non avesse intenzione di firmare l’accordo senza una decisione della corte Costituzionale,
ma AfD non si sarebbe fidata mai di un presidente espressione della maggioranza della Merkel.


Bene cosa succederà ora con queste due sentenze pendenti?


A) la sentenza sulla legittimità del PEPP.
Premesso che bisognerebbe leggerne il disposto, siamo piuttosto sicuri che la BCE lo ignorerebbe bellamente,
mentre la Bundesbank lo rispetterebbe solo di facciata.
A questo punto, in teoria, la corte potrebbe nominare un Commissario ad Acta per adempiere la propria sentenza,
ma è una probabilità molto, ma molto, lontana;


B) se la sentenza sul Recovery Fund fosse quella di un suo respingimento avremmo due risultati:
  • Tutto dovrebbe tornare a Bruxelles per una nuova discussione, e questo sarebbe la morte del piano stesso,
  • perché ne rimanderebbe eccessivamente l’applicazione.
  • Le ricadute politiche sarebbero devastanti sul Sud Europa i cui governi hanno presentato
  • il Recovery come il salvataggio necessario, anche se sappiamo che è un intervento superficiale;

  • dal punto di vista operativo però cambierebbe poco.
  • Probabilmente la BCE dovrebbe ampliare ulteriormente il suo intervento,
  • portandolo magari da 1850 a 2350 miliardi e avvicinandosi all’intervento USA.
  • Gli stati prenderebbero lo spazio del recovery ritoccando minimamente i propri interventi.
  • Alla fine il Recovery influiva per lo 0,64% del PIL europeo.

Lo smacco non sarebbe economico, ma politico.


L’inutilità di Bruxelles e la divisione fra i paesi europei sarebbe tangibile e sotto gli occhi di tutti.



Avremmo una spinta al rinnovamento ed a mettere da parte quei partiti che hanno espresso la Commissione Von Der Leyen,
espressione del fallimento più profondo dell’Unione.

Forse ne potrebbe nascere un movimento di rinnovamento europeo,
forse semplicemente assisteremmo all’implosione poliica della Commissione e della CDU, di cui è l’espressione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Che la revoca delle concessioni autostradali al gruppo Benetton, sbandierata ai quattro venti per mesi dai Cinque Stelle,
fosse una semplice burla è cosa ormai evidente a tutti.


Gli slogan del giorno dopo la tragedia del Ponte Morandi si sono trasformati in ben più accomodanti strette di mano,
alla ricerca di una soluzione che permetterà in ogni caso agli imprenditori trevigiani di uscire di scena con il portafogli gonfio, gonfissimo.

Molto più di quanto si era inizialmente immaginato.

Per capirlo, basta dare un’occhiata alle cifre della trattativa attualmente in corso.


Cassa Depositi e Prestiti insieme ai fondi Blackstone Macquaire
ha infatti migliorato sia la componente economica che quella contrattuale dell’offerta per l’88% di Autostrade per l’Italia.

Sulla scrivania di Atlantia arriverà una proposta dal valore complessivo di 1,4 miliardi in più rispetto a quanto precedentemente ipotizzato.

Non proprio qualche spiccio, con la componente finanziaria salita da 9,1 a 9,5 miliardi
e con i rischi legali stimati in precedenza a 1,5 miliardi e che ora indicati al massimo in 500 milioni.

Un passo in avanti reso possibile dai ristori introdotti per l’emergenza Covid.

Se alle famiglie e agli imprenditori italiani arriveranno soltanto poche briciole,
il provvedimento consentirà a Cdp di alzare il tiro, aggiungendo sul già ricco piatto altri 400 milioni.

Riepilogando:

la prima valutazione di Aspi era di 9,1 miliardi di euro,
ai quali si sarebbero dovuti poi togliere 1,5 miliardi da mettere da parte per far fronte alla possibili spese legali
da affrontare a causa della tragedia del Ponte Morandi.

Ora, la cifra è salita a 9,5 miliardi, con la stima delle spese legali nel frattempo ridotta a 500 milioni.



Conti alla mano, i Benetton si ritrovano così con 1,4 miliardi di euro in più sul tavolo rispetto alle precedenti stime.


E non è detto che, prima delle firme finali, la cifra non possa salire ulteriormente.


Gli esponenti del M5S avevano annunciato di voler “sbattere fuori” gli imprenditori senza dar loro un singolo centesimo.


La realtà, ancora una volta, è però esattamente opposta rispetto alle promesse

fatte da un Movimento che ha ormai tradito ogni sua battaglia.


E solleva una scontata domanda:

“Danno 400 milioni di ristoro ad Aspi: l’11% del fatturato di un intero anno.
Quanto hanno dato ai ristoratori o agli alberghi?”.
 

Val

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Cosa diranno gli europeisti della strategia vaccini Ue?

Quelli che ci dicevano che dopo la Brexit la Gran Bretagna sarebbe stata massacrata economicamente?

Che ci sarebbe stato un disastro sociale, con addirittura gli scaffali dei supermercati e delle farmacie vuoti?

Ricordate?

Giravano persino presunti documenti dei servizi segreti – lunghi poche pagine, s’intende, perchè
doveva essere comprensibile da tutti, e rapidamente, per essere efficace –
in cui si parlava dell’ecatombe che si sarebbe abbattuta sull’isola dopo il divorzio con la tanto amata Unione Europea.

E, invece, la figura del fesso l’ha fatta Bruxelles, mica Londra!

In Gran Bretagna la vaccinazione va a gonfie vele e Johnson, tanto vituperato dall’Ue
(il leader maschilista, il leader depresso, il pagliaccio), esce come uno dei grandi vincitori della partita contro la pandemia.

Lui e gli Usa, che, soprattutto grazie a Trump, che sarà pure capitalista
ma che ha impostato la campagna vaccinale con lungimiranza, sono ormai protetti e possono far ripartire l’economia e la vita.


Sì, la vita.


Perché la vita è, da un anno, sospesa.

Morti, contagiati, immagini di terapie intensive, discorsi sui più fragili, sui meno fragili, sui sacrifici necessari, ristori, vaccinazioni.

Da mesi assistiamo a questo delirio, assuefatti da una propaganda del terrore.

Dopo le parole, però, ci sono sempre e soltanto i fatti.

I quali dicono che mentre noi diciamo che entro tale data arriveremo a tot migliaia di vaccinati al giorno, gli altri lo fanno.

E noi siamo ancora qui a dirlo.

È cambiato il commissario, è cambiato il presidente del Consiglio.

Non pare che l’arrivo di super Mario abbia tanto migliorato le cose.

C’è il caos come se non più di prima e la rabbia aumenta.

Sì, perché se prima eravamo tutti (tedeschi, italiani, cinesi, ecc.) sulla stessa barca – hoc non tibi soli
ora nella barca che affonda ci siamo solo noi, gli europei.



L'UE HA FALLITO ?

No, non ha fallito: ha preso delle decisioni suicide,
delegando la contrattazione vaccinale a un’interprete
(se l’avesse fatto l’Italia sarebbe stata derisa da tutta l’Europa)
e dimostrandosi incapace persino di stipulare dei contratti vincolanti con le case farmaceutiche,
ma - scusate - non si è sempre parlato delle istituzioni europee come di istituzioni preparate,
formate da gente che hanno studiato (mica come noi italiani, si diceva)?

Dov’è tutta questa competenza?

Voi la vedete?


E non solo.


Ultimamente vengono fuori notizie allarmanti:
vaccini nascosti,
presunti accordi bilaterali,
notizie contrastanti su Astrazeneca.

Il caso di Astrazeneca sarebbe una divertente barzelletta,
se non ci fossero di mezzo la vita e il lavoro di milioni di persone
.

Prima si blocca la somministrazione, poi la si fa ripartire.

Gente (fra cui Speranza) che dice: procediamo lo stesso;
altri che dicono: no, non c’è correlazione fra le trombosi e le vaccinazioni,
però… però blocchiamo per un po’ le somministrazioni, aspettiamo, vediamo.

L’Ema, l’Aifa e comitati ed esperti.

E gli Usa che dicono che i dati forniti dall’azienda Astrazeneca sono obsoleti.

E gente che parla di complotti.

È di pochi giorni fa la notizia di 29 milioni di dosi di Astrazeneca destinate al Belgio, ha detto un rappresentante ufficiale.


Poi c’è il caso Sputnik, altra barzelletta.

Tragica.

Non ci sono i vaccini in Ue,
si rischia il collasso economico, perchè quando un’azienda chiude poi non riapre per magia
e, come ormai sanno anche i sassi, gli Stati che prima ripartono, prima acquisiscono i canali commerciali e le commesse industriali libere.

Eppure l’Ue non accetta i vaccini Sputnik, non perché non funzionano
(persino eminenti medici si sono dichiarati favorevoli alla sperimentazione),
ma perché è prodotto da quel cattivone di Putin, l’uomo nero, il killer,
l’uccisore di donne e giornalisti, il maschilista, l’ex agente segreto e chi più ne ha più ne metta.

E questo rifiuto ideologico è un segno della pochezza della politica europea, non una realpolitik,
una politica concreta, che guarda ai bisogni, ma una politica infantile, ancora immatura,
che pone una questione ideologica di fronte ai bisogni economici e sanitari del suo popolo.

Una classe politica che agisce in questo modo non merita di governare,
perché non è in grado di assumere un atteggiamento imparziale quando necessario.

Posso anche giudicare il dirigente Rossi una persona spregevole e giudicare il dirigente Bianchi un uomo retto,
ma se il dirigente Rossi è bravissimo, fa correre l’azienda (e così dando lavoro ai miei dipendenti, i quali mandano i figli a scuola, ecc.),
e il dirigente Bianchi è incapace, scelgo il dirigente Rossi (e magari al dirigente Bianchi dedico una bella poesia).

Non è un ragionamento difficile.

Eppure, quelli che stanno a Bruxelles non l’hanno capito.

Oppure fanno finta di non capirlo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa.

Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista,
capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”,
tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia),
come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano.

Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”,
utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico,
pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna:
il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica
destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.



Oggi gli storici dimostrano quanto sia sbagliato utilizzare il termine “medioevo” nella sua accezione tradizionale,
oscurantistica e pre-scientifica, gravemente inesatta:
gli studi più recenti dimostrano infatti che le maggiori innovazioni rinascimentali, letteralmente grandiose, furono generate proprio dalla temperie medievale.

L’handicap residuo, semmai, riguarda il profilo politico di quel periodo, ancora dominato – al netto delle tante eccezioni virtuose, in alcune aree europee –
dalla cappa di piombo rappresentata dal potere assolutistico per eccellenza, quello teocratico, storicamente nemico del progresso
e capace di condizionare negativamente l’evoluzione in senso costituzionale delle stesse monarchie.

E’ proprio quel medioevo, probabilmente, a pesare ancora – e molto – sull’attualità odierna,
con personaggi come Angela Merkel ed Emmanuel Macron, fino a ieri impegnati (in chiave anti-italiana)
a cementare l’asse franco-tedesco in una sorta di grottesca riedizione del Sacro Romano Impero di marca carolingia.


La vocazione “medievale” di un certo potere globalista è riemersa anche a livello atlantico,
nell’opaca sovragestione di un fenomeno terroristico come l’Isis, ultima reincarnazione della filiera dell’orrore inaugurata durante l’era Bush
e perfettamente tollerata, in Medio Oriente, da una superpotenza che per anni non ha mosso un dito per fermare quei tagliagole
che sembravano usciti da un b-movie ambientato nell’epoca delle crociate.

Paura e sottomissione: dallo spread manipolato alle prodezze (incontrastate) del “califfo” Al-Baghdadi, il passo è stato brevissimo.

Attori e metodi diversi, in apparenza estranei l’uno all’altro, ma nella sostanza rispondenti al medesimo schema:
terrorizzare le masse per renderle impotenti, pronte all’obbedienza più cieca, azzerando la politica secondo lo slogan ormai celebre del credo neoliberista.


Ovvero: non ci sono alternative, rispetto alle decisioni che il regime dominante fa calare dall’alto, come indiscutibile verità di fede.


E’ di stampo chiaramente medievale anche la recentissima guerra santa scatenata contro le cosiddette fake news, prodotte dalle fonti indipendenti:
serve a silenziarle, convalidando così le tonnellate di fake news sfornate, in serie, proprio dal sistema mediatico mainstream.

Un capitolo particolarmente ignominioso, destinato a passare alla storia (almeno, quella dell’informazione),
riguarda la decisione del governo Conte-bis di istituire una sorta di Ministero della Verità,
apertamente dichiarato, per mettere il bavaglio alle notizie scomode sul fronte pandemico-sanitario.

Un triste primato, quello italiano, eguagliato – in barbarie – solo dalla decisione di Big Tech di silenziare Donald Trump nell’autunno 2020,
togliendo letteralmente il diritto di parola al presidente degli Stati Uniti d’America, quand’era ancora in carica e nel pieno esercizio delle sue funzioni:
una lesione democratica difficilmente dimenticabile, specie nel grande paese che si vanta di essere (stato) la culla della democrazia occidentale,
cui dobbiamo buona parte della nostra stessa modernità.


C’è ben poco di moderno, in realtà, nell’arcaico mitologismo dell’approccio scientista (non più scientifico) degli ultimi decenni,
in cui un gruppo di tecnici allevati dall’Onu ha decretato l’origine meramente antropica delle variazioni climatiche
che stanno mettendo a dura prova l’ecosistema terrestre.

Come se si trattasse di un nuovo credo religioso, gli specialisti dell’Ipcc Panel hanno avuto bisogno – per diffondere le loro tesi –
di un clero particolarissimo, supportato dai grandi media e capitanato da una influencer svedese di appena 16 anni.

Tipicamente medievale, in senso deteriore, lo stile della narrazione: è così, punto e basta.

Vietato eccepire: per chi dissente, è pronto il rogo (metaforico, oggi) con cui arrostire gli eretici, destinati come minimo alla gogna.


Per questa via, di trauma in trauma, con la medesima violenza culturale si è arrivati – in pochissimi mesi –
a bollare con il marchio più infamante, quello del negazionismo, chiunque osasse contestare non già l’esistenza del pericolo-Covid,
ma il metodo scelto per arginarlo.


Era la primavera 2020 quando alcuni
tra i maggiori epidemiologi del mondo, già in prima linea nel contrasto dell’Ebola, firmarono la Dichiarazione di Great Barrington.

La tesi poteva sembrare persino ovvia: è illusorio sperare di arginare un virus ad elevatissima contagiosità.

Proposta secca, dunque: isolare anziani e malati, e favorire invece il rapido contagio della gran parte della popolazione,
in modo da indurre lo stesso virus a diventare innocuo, per il nostro organismo.


Non stupisce, purtroppo, che le raccomandazioni di Great Barrington (nel frattempo sottoscritte da decine di migliaia di medici e scienziati)
siano rimaste lettera morta, ignorate dai grandi media.

Un anno dopo – marzo 2021 – eminenti specialisti confermano:

i paesi come la Svezia, che non hanno adottato nessun lockdown,

non pagano un prezzo più alto di quelli che, invece, hanno ceduto alla tentazione delle restrizioni.


A giugno, la Svizzera celebrerà addirittura un referendum: saranno i cittadini a dire fino a che punto

un governo ha diritto di sospendere la libertà, in cambio di una sicurezza sanitaria solo promessa (e con la certezza di devastare l’economia).


Negli ultimi giorni, la tesi epidemiologica di Great Barrington (protezione sanitaria selettiva e promozione diffusa dei contagi)
ha conquistato le prestigiose pagine di “Science”, sulla scorta di una recente ricerca universitaria statunitense, illuminata ormai anche dalle statistiche.


Di nuovo: se si insiste con il distanziamento sociale, non si risolve nulla.

Peggio: così facendo, di Covid si parlerà ancora per decenni.


L’alternativa?

Semplice: isolare i soggetti fragili ed esporre tutti gli altri al contagio, nel più breve tempo possibile.

La scommessa: se i contagiati diventano decine milioni, il virus si adatterà al nostro organismo, cessando di rappresentare una minaccia.

E, nel frattempo: occorre decidersi finalmente a curare, a casa e in modo tempestivo, i soggetti che si ammalano.



Il nuovo medioevo italiano, incarnato da un potente gruppo di tecnocrati di cui il ministro della sanità funge da zelante portavoce,

dopo un anno di epidemia (e centomila decessi) ancora non prevede un protocollo medico basato sulle cure precoci domiciliari.


Secondo i medici, si ridurrebbe anche del 70% il ricorso all’ospedale, garantendo guarigioni rapide.


Roberto Speranza, e con lui i tanti “terrapiattisti del Covid”, si comportano tuttora come se ignorassero l’esistenza di cure efficaci e ormai collaudate, prescrivibili da casa.



Di fronte all’impennata dei contagi (ovvia, dato il periodo stagionale,
e salutata con favore dai medici che puntano all’immunità di gregge, grazie alla stragrande maggioranza di contagiati asintomatici),
questi personaggi sembrano davvero agire come i teorici della Terra Piatta:


dopo un anno di restrizioni rivelatesi perfettamente inutili, oltre che catastrofiche per l’economia,
insistono nel proporre la vana stregoneria del lockdown, il disastroso sacrificio umano imposto a 60 milioni di persone,
come se questo bastasse a estinguere un virus che invece, dicono gli scienziati, è ormai palesemente endemico.


Come nelle fiabe, all’oscuro nemico pressoché onnipotente si pretende di opporre un solo rimedio, il vaccino,
che semmai è raccomandabile come forma di protezione delle fasce più fragili della popolazione.


Per ora, purtroppo, continua a vincere il medioevo.


O meglio, le leggende sul medioevo:
come la storiografia contemporanea rivela, infatti, alla Terra Piatta non credevano nemmeno nell’anno mille.
 

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