OT: Topic del cazzeggio (6 lettori)

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di Giorgio Meletti | 23 settembre 201 Il Fatto Quotidiano
Il portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino sale all’onore delle cronache da par suo grazie a un messaggio audio a due cronisti, finito poi on line, in cui definisce i dirigenti del ministero dell’Economia “pezzi di merda” perché nascondono possibili tagli al bilancio dello Stato, necessari a finanziare il reddito di cittadinanza: “Non è accettabile che non si trovano dieci miliardi del cazzo”. Al netto di semplificazione e volgarità, Casalino ha ragione. E speriamo che adesso esterni anche sui “pezzi di merda” di Palazzo Chigi, sennò non vale. Al tempo stesso, concentrandosi sui “dieci miliardi del cazzo”, perpetua l’errore storico della politica italiana. Si sceglie un dettaglio per far credere – o credendo in buona fede, molto più grave – che lì si giochino i destini della Nazione.
Casalino forse non lo sa, ma da decenni i governi italiani si esercitano nella ricerca di quattro soldi del cazzo per non affrontare i problemi veri. Il ministro pro tempore e qualche “pezzo di merda” a diretto riporto si vestono come zio Paperone nel Klondike e si avventurano alla ricerca dei “fondi”. Dove cercano? In un luogo mitico chiamato “pieghe del bilancio”. C’è una vasta letteratura in materia. Quando il primo governo con la Lega nella stanza dei bottoni, nel 1994, affrontò il tema delle pensioni (i conti dell’Inps non tornano mai), il ministro Adriana Poli Bortone avvertì: “Nelle pieghe del bilancio vanno cercate ulteriori risorse”. Qualche anno dopo fu la volta del taglio delle tasse e il ministro Maurizio Gasparri non vedeva “pezzi di merda” in giro: “I tecnici stanno lavorando per individuare nelle pieghe del bilancio risorse che possano essere dirottate da spese superflue”. La spending review, che teneri: non trovarono niente. E Mario Monti, ve lo ricordate? Per finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali “bisogna lavorare nelle pieghe del bilancio”, faceva sapere. Poi venne il governo Letta. “Abbiamo trovato i fondi per tagliare le tasse”, annunciò il ministro Flavio Zanonato, tutto serio. Poi venne il governo Renzi e trovò “tra le pieghe del bilancio”, un tesoretto di 1,5 miliardi. E appena due settimane prima delle elezioni del 4 marzo scorso, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin tornò dal Klondike con il botto elettorale: “Abbiamo trovato risorse per gli ospedali di Penne e Teramo”. Sembra di vederli, ministri e superburocrati entrare negli uffici e intimare: “Cacciate fuori le pieghe del bilancio”, e poi accanirsi su ogni scrivania e aprire tutti i cassetti per vedere se ci sia qualche risorsa da cinque euro. Come se lo Stato italiano galleggiasse su un mare di pieghe di bilancio intrise di fondi aggiuntivi. Il nostro petrolio.
Dove sbaglia Casalino? Come tutti quelli che vanno al potere all’improvviso, ha perso il contatto con la realtà. E si occupa di “dieci miliardi del cazzo”, quando il bilancio dello Stato è di circa 800 miliardi, e non saranno quei dieci miliardi a cambiare la storia. Vada a studiarsi i dati Eurostat (dimentichi per un momento che quelli che li producono a Bruxelles sono forse “pezzi di merda” anche loro), guardi la riga “Italy” e noti che il prodotto interno lordo italiano è sceso dai 1687 miliardi del 2007 ai 1594 del 2017. In altre parole, oggi, rispetto a dieci anni fa, il reddito annuo degli italiani è calato di “90 miliardi del cazzo”. Intanto quello dei tedeschi (pezzi di merda anche loro? Gli dichiariamo guerra?) è cresciuto di “350 miliardi del cazzo”. L’economia italiana sta andando a picco, mancano milioni di posti lavoro, ci siamo fumati decine di miliardi di Pil, e Casalino si occupa di trovare nelle pieghe del bilancio i “dieci miliardi del cazzo” che gli servono a mandare i suoi boys a sparare nuove cazzate nei talk show.
 

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Dimentichiamo i numerini, pensiamo ai cittadini, trallallero trallallà. Lo ha detto il vicepremier Luigi Di Maio, e lo ha detto davvero (tranne trallallero trallallà che però era sottinteso). Dimentichiamo i numerini, pensiamo ai cittadini: una bellissima filastrocca specie perché Di Maio l’ha composta lunedì sera a Genova, dove da quarantuno giorni aspettano un decreto d’urgenza che avvii la ricostruzione del ponte Morandi. Si chiama decreto d’urgenza proprio perché ha questa curiosa particolarità: lo si emana in caso d’urgenza. Se non ci fosse urgenza se ne occuperebbe il Parlamento coi suoi tempi da pisolino pomeridiano. Dunque l’urgenza c’era, ma non c’era nessuna fretta, e ieri, quarantuno giorni dopo, il decreto era finalmente in viaggio per il Quirinale, sebbene con rifiniture un po’ grossolane. Nel pomeriggio era successo che il Ragioniere dello Stato (quello che per mestiere si occupa di numerini e non di cittadini, e quindi sta sul gozzo a Di Maio) s’era visto recapitare un testo senza cifre. Non c’era scritto né quanto si sarebbe speso né dove si sarebbero recuperati i denari. Insomma, detto fatto: dimentichiamo i numerini. E però è un modo davvero estroso di scrivere i decreti anche perché, si sa, i ragionieri non amano l’estro: quelli sono fissati con le calcolatrici e pure con la Costituzione, che ragionieristicamente esige i saldi. Così i numerini sono stati aggiunti un po’ di corsa, e tutto questo preannuncia un autunno molto avvincente, con la legge di bilancio improntata alla nuova filosofia politica: dimentichiamo i numerini, pensiamo ai cittadini, trallallero trallallà.
La Stampa/Buongiorno/Mattia Feltri
 

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