30 Maggio 2020
La Repubblica/Ricci
Quest'anno, il debito pubblico dei paesi industrializzati schizzerà al 120 per cento, un livello quasi "italiano", senza che nessuno batta ciglio. Il nostro, però, arriverà al 160 per cento e, forse, oltre. Troppo? E' sostenibile? Le
ultime mosse europee hanno rasserenato i mercati: a fine settimana, i rendimenti sui Btp decennali erano scesi sotto l'1,5 per cento, quasi un intero punto in meno, rispetto ad aprile. Ma, quando, l'anno prossimo, la marea dell'epidemia si sarà ritirata e gli altri paesi cominceranno a ridurre rapidamente il loro fardello e l'Italia no, la domanda ritornerà: è sostenibile o c'è in vista un default?
Perché la fragilità arriva in profondità e si proietta nel futuro: la
Relazione appena sfornata da Bankitalia calcola che, se l'Italia mantenesse il bilancio più o meno in ordine (come è riuscita a fare negli ultimi cinque anni) e l'economia crescesse dell'1 o 2 per cento (negli ultimi dieci anni, invece, siamo andati indietro dello 0,3 per cento l'anno) il debito pubblico si ridurrebbe di due punti percentuali l'anno, rispetto al Pil. Ovvero, anche in questa ipotesi ottimistica, ci mettiamo 15 anni, per tornare dal 160 al 130 per cento del Pil, il livello di debito a cui siamo adesso. Fitch o Moody's, le agenzie di rating, sono pronte a mangiarci per molto meno. Ma sono conti giusti? Forse, no. Se cambiamo i parametri, la situazione è meno nera.
Anzitutto, per il futuro immediato e prevedibile, c'è il soccorso europeo. Anche senza mettere in conto il mega Piano per la Ripresa europea prospettato da Ursula von der Leyen, ma sommando interventi di mercato della Bce e prestiti dagli altri programmi Ue, per il 2020 il 60 per cento del fabbisogno del Tesoro
è coperto dai soldi d'Europa: avremo meno bisogno dei mercati degli anni scorsi. Come risultato, a fine 2020, un quarto abbondante di tutta la nostra montagna di debito sarà in mani europee, soprattutto Bce, impermeabili a ondate di panico. La quota detenuta dai privati non sarà molto diversa da quella pre-coronavirus. Ma vuol dire comunque un fiume di interessi da pagare sul debito, sufficienti a dissanguare l'economia, no? Vero, solo fino ad un certo punto. Il 30 per cento dei titoli del Tesoro è in mano a investitori stranieri e i relativi interessi defluiscono all'estero. Ma il 50 per cento - fra banche, assicurazioni e privati - è detenuto in Italia e i relativi interessi, dal punto di vista dell'economia nazionale, sono una partita di giro fra Tesoro e creditori italiani. Per l'ultimo 20 per cento, poi, gli interessi, per alti che siano, sono zero: quello che la Bce incassa sui titoli italiani viene ridato a Bankitalia e, da questa, al Tesoro. Il bazooka Bce è gratis.
Tuttavia, il criterio di cui parliamo sempre - il peso del debito pubblico sul totale dell'economia - forse non è il parametro giusto per giudicare la sostenibilità dell'indebitamento. Fino a che il debitore paga regolarmente gli interessi, cosa importa quanto è il debito? Erik Fossing Nielsen, il capoeconomista di Unicredit, sottolinea che un debito è sostenibile, fino a quando il debitore ha le risorse per pagare gli interessi ai suoi creditori. L'anno scorso, l'Italia ha destinato il 7,2 per cento dei suoi introiti fiscali al pagamento degli interessi sui Btp. Nei cinque anni precedenti, la media era stata l'8 per cento. E' tanto? Più o meno è il livello di Spagna e Gran Bretagna, di cui nessuno mette in dubbio l'affidabilità. Adesso, però, c'è la nuova esplosione da pandemia. Sempre Unicredit - che è fra i più pessimisti - ritiene che il debito pubblico italiano balzerà al 167 per cento quest'anno e si ridurrà solo al 156 per cento l'anno prossimo. Non è la fine del mondo, però, assicura Nielsen. Anche se i rendimenti sui Btp risalissero dall'1,5 verso il 2 per cento, l'Italia dovrebbe destinare al pagamento degli interessi il 9 per cento del gettito fiscale. Davvero, chiede il capoeconomista di Unicredit, il 9 per cento non è sostenibile e, invece, il 7-8 per cento sì?