I tedeschi sanno fare la voce grossa solo contro i deficienti eurpei ... perchè non lo fanno con gli americani ma subiscono e basta?
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Obama-Merkel. Freddezza reciproca e strategie divergenti
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Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l’eurozona non c’è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l’America comunque guarda più verso l’Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato».”
Qualche mese fa, nell’ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
“...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS – che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo.
Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti.
«Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri.”
Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell’istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la “solita” Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell’ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all’acquisizione statale della partecipazione).
Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell’intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM(specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative “colossali” magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra “aree economiche”, pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell’UEM, sotto le vesti dell’ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le “torsioni” geopolitiche tedesche sono quindi l’altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania “esporta” l’instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea “presa” (col “tallone”), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria.
Ed è qui, col suo eloquente significato di contrapposizione accelerata praticamente su... tutto, che si colloca la questione Fed-Deutschebank, su cui ci dà lumi l’analisi diFlavio.
Prendiamo spunto dai due commenti di Paolo Giusti e Matteo Di Felice per porci due ottimi quesiti in chiave “frattalica”.
Paolo si chiede: c’è già stata, a livello globale, una Casablanca come nella Seconda Guerra Mondiale?
Marco invece sottolinea: oh, Deutsche Bank è “orribilmente sottocapitalizzata” ?
Cercheremo di essere veloci, chiari e concisi e tenteremo di saldare insieme le due cose. Perdonate le sbrigatività ma, di questi tempi, alle volte essa sembra essere davvero tutto.
Prima di tutto partiamo dall’interessante articolo di Mauro Bottarelli, che utilizza la fonte Zerohedge per inquadrare bene come e dove “stiamo andando”.
Il suo ottimo articolo dà un quadro generale della situazione che si sta delineando nell’attuale contesto economico mondiale, soprattutto nella parte finale dove si dice chiaro e tondo una cosa: come durante il primo dopoguerra, dove sussidiando la macchina bellica nazista diede il via all’escalation che portò al secondo conflitto mondiale, anche al giorno d’oggi il modello finanziario tedesco è messo sotto accusa, per la sua spregiudicatezza e per l’idiosincrasia recondita a qualsivoglia forma di controllo, siaparte dell’amministrazione americana che, soprattutto, dagli organi di controllo federali statunitensi: v.
Deutsche Bank's Lonely Fight With the Fed - NYTimes.com.
Perché? Cosa c’è dietro questa amicizia di facciata, dimostrata all’ultimo G8 nonostante le frecciatine di Obama alla Merkel sulla fine dell’austerità, che sotto le ceneri nasconde invece un crescente nervosismo fra la classe dirigente americana e la cancelleria tedesca?
Il soggetto della nostra discussione è, come già accaduto, Deutsche Bank. Dobbiamo quindi aver ben presente cosa abbiamo già riportato su questo blog in merito a tale argomento e come essa si muova nel contesto europeo e mondiale. Sappiamo bene d’essere di fronte ad un colosso finanziario globale. Ma, per illustrare al meglio la situazione paradossale in cui ci troviamo, cerchiamo di partire dal principio.
Tutto, o quasi, ha inizio all’indomani del collasso della Lehman Brothers del 2008.
Negli USA il debito privato esplode dopo decenni di redditi in caduta libera, cioè un frutto liberista che oggi essi stessi trovano sempre più avvelenato, i mutuatari subprime non riescono più a far fronte alle rate dei loro mutui, le banche si ritrovano con crediti inesigibili e case invendibili, il sistema finanziario americano (e non) collassa.
La FED si vede costretta ad intervenire e mette sul piatto tutte le risorse disponibili per evitare il peggio, cercando di salvare tutti, o quasi, gli istituti più importanti, nazionali e stranieri. Diviene quello che potremmo definire “the global lender of last resort”.
Come avviene ciò?
La Federale Reserve (Fed) seleziona quattordici banche centrali straniere e garantisce lorolinee di swap in dollari con lo scopo di fornire liquidità (in dollari) alle banche con controllate sotto giurisdizione estera (statunitense), inoltre presta soldi direttamentealle filiali americane delle banche europee facenti parte della Federal Reserve System per garantire loro tutta la liquidità necessaria ad evitare il peggio.
La BCE riceve fondi nella misura dell’80% elargito alle 14 BC estere selezionate dalla FEDmentre le banche inglesi e tedesche assorbono rispettivamente il 27% ed il 24% dei fondi prestati alle sussidiarie straniere.
Perché la FED ha agito in tal modo? Per preservare l’integrità finanziaria statunitense (e globale) all’indomani del collasso Lehman “salvando” le banche estere su cui le banche americane stesse erano più esposte (cfr. pag. 14 primo .pdf). La Fed ha concesso prestiti di ultima istanza alle banche straniere poichè hanno sperimentato gravi carenze di fondi in dollari dopo che i mercati interbancari a breve termine si erano di fatto congelatinell’ottobre 2008.
Queste carenze di dollari sono state una conseguenza diretta della crescita esplosiva delle attività bancarie transfrontaliere dopo il 1999.
Le banche estere, in particolare modo quelle europee, hanno cominciato ad accumulare grandi quantità di attività denominate in dollari, tra cui titoli garantiti da ipoteca (MBS), tramite il sistema bancario “ombra”, raggiungendo il picco di oltre 10.000 miliardi dollari poco prima della crisi, un importo pari al totale degli attivi del settore bancario commerciale degli Stati Uniti.
Le banche estere finanziavano i loro subprime assets, tutti di lungo periodo, con sul breve via swap, sul mercato monetario o acquistando valu
ta nazionale americana. Nell’ottobre 2008, con l’interbancario congelato, non avevano di fatto più fondi per poter rinnovare le loro posizioni.
E’ qui che la Fed ha agito da prestatore di ultima istanza globale, garantendo attraverso le linee di swap dollari alle banche centrali selezionate, girati poi agli istituti richiedenti, oppure garantendo accesso diretto ai prestiti alle sussidiarie straniere operanti sul suolo americano secondo quanto affermato nel Federal Reserve Act del 1913, secondo cui la FED ha la responsabilità di impostare la politica monetaria e garantire la stabilità dei mercati finanziari.
Parliamo di una cifra vicina ai 30mila miliardi di dollari di cui le banche straniere (e loro controllate) furono le maggiori beneficiarie.
Diamo un po’ di numeri: 77,5 i miliardi sul totale dei 110,5 totali prestati al picco delle richieste nell’ottobre 2008 agli istituti “stranieri”; 290 e 287 i miliardi, con acquisto di MBS, elargiti rispettivamente a Deutsche Bank e Credit Suisse; il picco di debiti, come paese, nei confronti della FED da parte di UK e Germania, rispettivamente di 355 e 325 miliardi di dollari. Non male!
A tali cifre aggiungiamo l’oramai tristemente famoso affare Taunus Corp.,controllata americana della Deutsche Bank, che a fronte di assets pari a 396 miliardi di dollari aveva un patrimonio netto passivo di 1400 miliardi (cioè le sue passività erano maggiori delle sue attività), salvata con ben 66 miliardi di dollari dalla FEDNY nel 2008.
Oltre a ciò aggiungiamoci pure gli 11,8 miliardi per il salvataggio della AIG, che direttamente ha beneficiato sia la Deutsche Bank che la Taunus. Leggendo quanto affermano Simon Johnson e Mark Jarsulic sul blog del New York Times la questione diventa più chiara:
“Gran parte delle sue (della Taunus Corp.) passività, all’incirca 294mld di dollari, consisteva in indebitamento a breve in dollari… attraverso depositi non assicurati, repo, ecc… Non è chiaro di quanto aiuto la controllante (Deutsche Bank ndr.) avrebbe dovuto o voluto fornire alla sottocapitalizzata Taunus. Ma il governo degli Stati Uniti non ha scelto di scoprirlo, perché il fallimento accompagnato da vendite forzate di centinaia di miliardi di dollari in attività denominate in dollari avrebbe potuto produrre un altro scivolone in stile Lehman… la Federal Reserve è intervenuta per sostituire i creditori a breve termine che hanno scelto di mollare Taunus. L’Indebitamento della Taunus - attraverso la finestra di sconto, la Term Auction Facility, la Primary Dealer Credit Facility, la Term SecuritiesLending Facility, Single-Tranche Open Market Operations – raggiunse i 66 miliardi dollari nel mese di ottobre 2008. La Federal Reserve ha anche iniziato enormi currency swap con la Banca centrale europea, rendendo possibile per la Deutsche Bank scambiareeuro per dollari e soddisfare le esigenze di finanziamento in dollari di Taunus ... Deutsche Bank (e indirettamente Taunus) è stata fortemente favorita dalla decisione da parte della Fed e del Tesoro di attuare il salvataggio del gigante assicurativo AIG per cui Deutsche Bank ha ricevuto 11,8 miliardi dollari (quali pagamenti relativi ai CDS AIG e a prestiti che altrimenti non sarebbero stati saldati). Taunus ha ricevuto questo aiuto da parte delgoverno degli Stati Uniti perché il suo fallimento avrebbe intensificato una situazionefinanziaria già caotica… la Federal Reserve sapeva che, una volta passata la tempesta, le attività del Taunus sarebbero state sufficienti a ripagare i suoi creditori.
Ma i dati contabili dicevano ben altro, e non è stato possibile per la Fed o chiunque altro poter stimare i valori fondamentali delle attività situate nelle 180 e più filiali Taunus. Taunus ha ottenutoil sostegno del governo Stati Uniti perché era semplicemente troppo grande e troppointrecciata con il sistema finanziario americano per poter fallire.”.
Detto in parole povere, la FED ha praticamente salvato la Taunus Corp., la Deutsche Bank e la Germania stessa. Pazzia? Vogliamo dare uno sguardo all’esposizione sui derivati della DB o ai suoi “fondamentali” ? Praticamente la DB sembra avere i tratti “somatici” di una dead bank walking. Vogliamo immaginare cosa succerebbe se passasse una nuova legislazione che ricalcasse ed implementasse il Glass Steagall Act entrato in vigore negli anni ’30 ed abolito dall’amministrazione Clinton? Possiamo dire che DB si troverebbe tutto a un tratto fallita? Non siamo molto lontani dalla realtà.
Eppure, nonostante tutto ciò ed i grossi rischi corsi in passato, lontano dai nostri sguardi,Deutsche Bank non ha perso la sua voglia di business, dimenticandosi alla grande dei “piccoli” problemi causati a livello globale (
News Archive: Top News from May 21, 2013 - Bloomberg deutsche-bank-seeks-to-avoid-law-suits-with-board-changes. html). Lasciando da parte i presunti scandali di sessismo, dalle parti di Francoforte ci sono problemi con:
- “amici” di vecchia data che reclamano soldi
InvestireOggi - La guida agli investimenti finanziari e di Borsa. bloomberg.com/news/2013-04-22/deutsche-bank-margin-call-on-vik-turns-into-2-5-billion-dispute.html;
- ex- dipendenti gole profonde
InvestireOggi - La guida agli investimenti finanziari e di Borsa .com/rubrica-4/business/il-buco-del-crucco-ora-che-la-sec-di-obama-ha-messo-sotto-inchiesta-47807.htm;
- cause intentate dall’amministrazione metropolitana di L.A. per l’acquisto di oltre 2.200 case lasciate poi andare in rovina nei bassifondi della città
InvestireOggi - La guida agli investimenti finanziari e di Borsa. bloomberg.com/news/2013-06-18/deutsche-bank-settles-los-angeles-slumlord-lawsuit.htm;
- Le autorità di regolamentazione bancaria americana: Deutsche Bank e altre banche estere con importanti controllate negli Stati Uniti sono sotto la lente della FED, che tenta di costringerle a soddisfare gli standard di capitale locali causando, a detta loro,maggior propensione al fallimento.La Fed richiede infatti che tali banche stabiliscanodelle holding intermedie a capo delle loro filiali statunitensi, come indicato dal Dodd-Frank Act del 2010.
Alla pari delle banche degli Stati Uniti, tali holding dovrebbero soddisfare gli standard di capitale e sottostare agli stress test a cui verrebbero sottoposte. La regola entrerebbe in vigore 1 luglio 2015 e, viste le esposizioni e le scarne capitalizzazioni degli istituti tedeschi, danno il mal di testa a DB e soci, visto che per la sola Taunus mancherebbero ben 12 miliardi di euro;
- la rabbia degli azionisti a cui è stato chiesto di partecipare ad un aumento di capitale di 2,8 miliardi tre mesi dopo che l’attuale amministratore delegato Anshu Jain aveva detto che tale operazione non era nel loro interesse:
InvestireOggi - La guida agli investimenti finanziari e di Borsa. com/news/2013-05-23/jain-halts-speech-as-deutsche-bank-protestors-vent-anger.html;
- i problemi per soddisfare i parametri di Basilea III
Deutsche Bank Cut by JPMorgan on Concern Over Capital - Bloomberg e la relativa sottocapitalizzazione.
Bottarelli al termine del suo articolo si chiede quali siano le cause di questo attacco a Deutsche Bank e, di conseguenza, al sistema finanziario tedesco. Difficile capirlo. Ma i fatti parlano chiaro. Vista l’abnorme esposizione di Deutsche Bank e delle sue controllate, gli Stati Uniti stanno chiedendo una massiccia ricapitalizzazione e controlli sugli operati delle banche. Un po’ come accade in UE dove si vorrebbe l’Unione bancaria che è vista dalla BuBa di Weidmann come fumo negli occhi. Dare il via a tali controlli significherebbe aprire il vaso di pandora delle omissioni dell’istituto di Francoforteproprio mentre i tedeschi impongono manovre lacrime e sangue per rientrare dai loro crediti al consumo sparsi in tutta Europa.
Gli Usa hanno praticamente salvato le terga della Germania all’indomani dello scoppio del bubbone Lehman, ed ora pretendono, a ragione o torto non sta a noi dirlo, di poter in qualche modo avere voce in capitolo anche nelle questioni dell’Eurozona.
Se non altro assistiamo a una pressione USA anti-austerity, che non passa certo, come da certi commentatori italiani si vorrebbe indurre, per la richiesta all'Italia di riforme strutturali che involgano, in questa fase, drastici tagli della spesa pubblica (si invocano 73 miliardi di tagli, senza sapere bene quale sia l'attendibilità del calcolo effettuato dall'Istat rispetto alla variazione comparata dei costi e senza sapere bene quali siano i volumi del bilancio statale su cui operare la comparazione: ma sul punto torneremo prossimamente). Gli USA, col fiscal cliff, stanno sperimentando senza obre di dubbio, da parte loro, quali siano gli effetti di tagli alla spesa come più "violenta" misura PRO-ciclica e non vogliono certo contrraddirsi chiedendo a noi di peggiorare le cose (a parte la fattibilità contabile-finanziaria della misura e la sua dimensione in base a criteri tecnicamente corretti).
Che lo vogliamo ammettere o no, gli studi citati, fra cui anche Bibow (v.introduzione) indicano una cosa chiara: la crisi viene si dal settore finanziario, ma a spingere sull’acceleratore dopo la Dot.Com Bubble del 2000 (e qui un succoso risvolto reso noto da Richard Koo di Nomura:
RICHARD KOO: The Entire Crisis In Europe Started With A Big ECB Bailout Of Germany - Business Insider, traetene voi le conseguenze), preludio dell’attuale recessione in corso, sono state le banche europee e le loro controllate in terra statunitense.
Ora, le suicide politiche di austerità stanno tagliando l’erba della ripresa sotto i piedidell’amministrazione Obama, mentre in ambito finanziario le frizioni molto ampie all’interno del contesto delle regolamentazioni bruciano le relazioni fra SEC-FED e BuBa. La deindustrializzazione in atto in UEM e la contemporanea frenata della Cina, allontananosia la speranza di una ripresa globale sia il miraggio di una possibile ripresa degli scambi proficua tra Eurozona e Stati Uniti.
Il messaggio sembra essere chiaro: ragazzi, il tempo è agli sgoccioli, vi abbiamo già salvato le chiappe una volta, non ci sembra il caso che vi rimettiate nei guai. E’ da capire ora fino a quando la Germania avrà il coraggio di giocare col fuoco e quale sarà:
a) la nuova Casablanca
b) chi sarà il ventre molle da colpire.
La Germania ha, nei fatti, un conto in sospeso con gli USA ma le politiche di austerità e la riottosità ai controlli finanziari sembrano essere il modo migliore per tentare di non onorarlo.
Di certo il “gioco” della Germania, che mira ad accentuare la propria veste di global player, spostandosi a Oriente per allacciare rapporti privilegiati con Cina e Russia, con ciò mirando a svincolare l’intero sistema commerciale mondiale dall’influenzamento del dollaro, e tirandosi indietro rispetto agli interventi strategici USA nelle varie aree del mondo (giunti probabilmente agli sgoccioli, vista la crescente autonomia energetica che l’America sta raggiungendo), è qualcosa di più di un “moral hazard” finanziario.
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