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IL MARATONETA

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Emissioni navali: coi nuovi limiti 50 miliardi di extra costi per l’industria marittima
  • delle compagnie marittime

L’industria mondiale del trasporto marittimo si appresta ad affrontare uno dei cambiamenti di scenario più radicali degli ultimi decenni: dal 1° 2020 entreranno infatti in vigore i nuovi limiti al contenuto di zolfo nelle emissioni navali stabiliti dell’IMO (International Maritime Organizzation).


Attualmente, al netto delle cosiddette aree ECA (Emission Control Areas) che si trovano in Nord America e in Nord Europa, dove da anni il limite al contenuto di zolfo è molto basso (0,1%), nel resto del mondo le navi possono emettere fumi contenenti fino al 3,5% di SOx (ossidi di zolfo). Almeno fino al prossimo 1° gennaio, quando entrerà in vigore la nuova normativa – chiamata ‘sulphur cap’ o anche IMO2020 – che abbassa questo limite allo 0,5% a livello mondiale.
Al momento è ancora molto difficile prevedere le reali conseguenze sul settore, ma gli analisti sono d’accordo su un punto: l’impatto sarà enorme.


Se infatti alcuni punti percentuali relativi al contenuto di una delle molte sostanze presenti nelle emissioni delle navi possono sembrare poca cosa, non va dimenticato che il costo del carburante è di gran lunga la prima voce di spesa per una qualunque compagnia marittima (incide per il circa il 40% dei costi totali), piccola o grande che sia. E se si considera che gli extra-costi che l’industria dovrà sostenere per rispettare il nuovo sulphur cap si aggirano attorno ai 50 miliardi di dollari, appare chiaro che IMO2020 sarà quello che viene definito un ‘game changher’, ovvero un fattore in grado di mutare lo scenario competitivo in cui i soggetti economici si trovano ad operare

Le strade che un armatore ha a disposizione per rispettare le nuove norme sono sostanzialmente tre:

  1. passare dall’attuale Heavy Fuel Oil (con un contenuto pari al 3,5% di zolfo) al Very Low Sulphur Oil (0,5%),
  2. installare sulle navi dei catalizzatori chiamati ‘scrubber’ che abbattono il contenuto di zolfo nelle emissioni e che, quindi, consentono di continuare ad utilizzare il più economico havy fuel, e infine
  3. il GNL (gas naturale liquefatto), che per essere utilizzato come carburante impone però importanti lavori di adattamento della nave (in sostanza servono motori e serbatoi progettati appositamente).
  1. serbatoi progettati appositamente).
Gli scrubber, che sono molto costosi (tra i 2 e i 3 milioni di dollari a pezzo) saranno una scelta minoritaria: secondo le previsioni del gruppo genovese Fratelli Cosulich, corporation marittima attiva a livello mondiale anche nella fornitura di bunker (il carburante navale), infatti, solo il 5% (che peseranno però per il 15% in termini di capacità di stiva, essendo le più grandi) di tutte le 70.000 navi attive nel mondo che dovranno sottostare a IMO2020 sarà dotata di questi sistemi. Per il resto, la stragrande maggioranza degli armatori sceglierà di bruciare carburante a basso contenuto di zolfo: sempre secondo le stime di Cosulich attualmente l’80% delle vendite di carburante navale a livello mondiale riguarda l’Heavy Fuel Oil, mentre dal prossimo anno questa percentuale scenderà al 30%, a favore del Very Low Sulphur Oil che conterà per il 45% delle vendite totali di bunker. Se si considera che oggi una tonnellata di carburante tradizionale costa circa 500 dollari, a fronte dei 750 dollari (il 50% in più) necessari a comprare una tonnellata di fuel a basso tenore di zolfo, la portata della novità è evidente.
L’impatto del sulphur cap potrebbe risultare particolarmente gravoso (quando non fatale) per le società più piccole che, avendo poco potere contrattuale, non riusciranno a ribaltare gli extra-costi sui loro clienti e ne faranno quindi le spese direttamente.

Sul lato dell’offerta, la diffusione del bunker low sulphur potrebbe essere invece una buona notizia per i raffinatori, o almeno per quelli in grado di produrlo senza la necessità di interventi particolarmente onerosi ai propri impianti.

In Italia sono diverse le realtà che si sono già inserite nel nuovo business: la raffineria Iplom di Busalla (Genova), collegata via oleodotto al porto del capoluogo ligure, ha già avviato da alcuni mesi la commercializzazione di Very Low Sulphur Oil, sia per clienti locali che a livello internazionale.

Anche il gruppo Saras è già partito con la produzione di questo nuovo tipo di bunker nella sua raffineria di Sarroch, affiancando anche un ulteriore servizio, ovvero la fornitura fisica (tramite piccole navi cisterne chiamate bettoline) nel porto di Cagliari.
Non mancano poi le major, come ExxonMobil che ha recentemente reso noti i porti mondiali in cui sarà disponibile il suo bunker low sulphur, tra cui compare anche quello Genova (l’unico in Italia al momento).

Un discorso a parte merita il GNL: il suo utilizzo si sta diffondendo, ma resta sostanzialmente appannaggio di navi che, per tipologia di servizio offerto, si trovano ad operare su rotte regolari, scalando sempre gli stessi porti. Il problema è infatti la diffusione ancora scarsa dei depositi costieri dedicati allo stoccaggio di questo combustibile e dei mezzi (le bettoline, appunto) necessari a rifornire le navi. La situazione è comunque in costante evoluzione e anche in Italia, dove al momento non ci sono hub per il bunkeraggio di GNL già operativi, sono diversi i progetti ormai prossimi a diventare realtà.
Intanto sono sempre di più i traghetti e, soprattutto, le navi da crociera a scegliere questa nuova tipologia di propulsione ibrida a gas, anche se restano al momento una minoranza: secondo i dati recentemente diffusi dalla testata americana Cruise Industry News, attualmente sono infatti 26 le navi da crociera in costruzione con propulsione a GNL, su un totale di 117 cruiseship previste in consegna a livello globale da qui al 2027.

D’altra parte il gas naturale è una buona soluzione ‘ponte’, perché sostanzialmente azzera le emissioni di zolfo consentendo alle navi di rispettare appieno le nuove normative dell’IMO, ma non può essere, per stessa ammissione degli armatori, quella definitiva. Il GNL è infatti un combustibile fossile e, come tale, non privo di emissioni dannose per l’ambiente (soprattutto CO2).
“Il GNL – ha recentemente dichiarato il Presidente di Confitarma (l’associazione italiana degli armatori aderente a Confindustria) Mario Mattioli a margine dell’assemblea annuale dell’organizzazione – è sicuramente una soluzione, perché emette mento dei carburanti pesanti, me è transitoria perché è comunque un fossile e quindi delle emissioni le ha: non può essere considerata una soluzione definitiva. Può essere molto utile in una fase di transizione, ma è chiaro che poi si dovrà fare un ragionamento più forte su fonti alternative, come per esempio l’idrogeno”.
 

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