oggi tocca alla Grecia... domani all'Italia (1 Viewer)

tontolina

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Il caso greco offre importanti spunti di riflessione per l’Italia, paese nel quale la cultura della legalità è pure pressoché inesistente come attestano, tra i tanti indicatori, le dimensioni di massa della corruzione e dell’evasione fiscale e, soprattutto, lo statuto impunitario garantito a corrotti ed evasori da una successione di leggi che nel loro sapiente e progressivo stratificarsi hanno dato vita a un sistema che, come ha recentemente dichiarato il ministro della Giustizia Paola Severino, “scoraggia gli investitori premiando i corrotti e chi non paga, penalizzando le persone oneste”.

da Caro Monti, la Grecia è vicina - micromega-online - micromega
 

tontolina

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CRISTINA FACCI SOGNARE


In pochi ne sono a conoscenza, ma Cristina Fernandez de Kirchner, attuale primo ministro argentino (in vero il titolo è Presidente della Nazione) è con grande presunzione uno tra i primi cinque migliori governatori al mondo.
L'Argentina sotto la sua guida, emanazione e continuazione di quella del defunto marito Nestor Kirchner, sta sorprendendo il mondo, in tutti i sensi.
Il programma di governo, di impronta socialista se non nazionalista, sta consentendo una impensabile recupero e trasformazione per l'economia del paese dei Tango Bond che fino a dieci anni fa veniva denigrato ed odiato da quasi tutto il mondo per il suo salutare default finanziario (salutare per la sua popolazione).
Sotto la guida di Cristina, l'Argentina ha in meno di cinque anni dimezzato il tasso di povertà (su base demografica) e raddoppiato al tempo stesso il tasso di istruzione, aumentando la percentuale del PIL (dal 3% al 6%) investito in miglioramenti infrastrutturali per l'educazione scolastica proponendo ad esempio l'accesso al web a tutti.




La Fernandez è un premier da invidiare: il suo operato di stampo peronista è volto a far crescere il paese ed a proteggerlo al tempo stesso.
Con il neocostituito Ministero della Produzione e la detassazione dei capitali provenienti dall'estero, Cristina dimostra di avere le idee molto chiare: la nuova politica industriale argentina deve essere volta a creare occupazione incentivando le grandi multinazionali ad insediarsi per creare nuovi posti di lavoro attraverso benefits fiscali allettanti (noi italiani facciamo il contrario). La politica nazionalista non trova miglior paese al mondo in cui manifestarsi ed esprimersi arrivando persino ai piani di rimpatrio dei ricercatori argentini trasferitisi all'estero: sostanzialmente si richiamano in patria gli argentini che se ne sono andati perchè non remunerati o gratificati in patria (anche qui noi italiani potremmo fare scuola). L'ultima provocazione (da ammirare e copiare) è il piano di nazionalizzazione (per non dire esproprio) della partecipazione detenuta dal gigante petrolifero spagnolo Repsol sulla YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), l'azienda petrolifera dello stato argentino.
Eugenio Benetazzo .:::. Il più autorevole economista fuori dal coro in Italia



Quest'ultima, prima privatizzata e dopo acquistata interamente nel 1999 dalla Repsol appunto. In buona sostanza la Kirchner vuole riprendersi con un atto di sovranità popolare una risorsa strategica per la nazione: il petrolio argentino. Vai Cristina facci sognare. Magari anche in Italia ci fossero leader e rappresentanti degli interessi della nazione di questa portata. Sulla scia dell'esempio argentino infatti il nuovo e futuro leader italiano (non Mario Monti che ormai si è trasformato di fatto da tecnico a politico) dovrebbe replicare questo operato, espropriando per motivazioni di interesse nazionale le partecipazioni che detengono le varie fondazioni nelle due grandi banche italiane (Unicredito e IntesaSanPaolo). Nello specifico, il nuovo premier italiano dovrebbe nazionalizzare le quote detenute da Fondazione Cariverona e Fondazione Caritorino in Unicredit Banca rispettivamente del 3,5 % ciascuna, trasformando lo Stato Italiano nel primo azionista assoluto (la Libia sarebbe al 7,5% mettendo insieme Libia Investment Authority e la Banca Centrale Libica).




Uguale operazione si dovrebbe implementare con IntesaSanPaolo nazionalizzando le quote detenute dalle Fondazioni San Paolo (10%), Cariparo (5%), Cariplo (4,7%) e Caribo (2,7%) arrivando a controllare quasi il 25% della banca. A quel punto spingere a una fusione tra i due istituti orchestrata dallo Stato per costituire la più grande banca italiana privata (ma soggetta a controllo e governance pubblico) e la terza in Europa per patrimonio netto tangibile dopo Deutsche Bank e Credit Agricole (stando almeno ai dati di Giugno 2011). La banca così costituita potrebbe migliorare notevolmente la propria redditività complessiva riducendo corposamente i costi operativi, rafforzando il suo patrimonio attraverso dismissioni di immobili (pensate a quante filiali verrebbero smantellate a parità di assets e impieghi complessivi postfusione). A quel punto avendo una banca a controllo statale rafforzata nel patrimonio e più competitiva (che detiene oltre il 60% del mercato dei servizi bancari) si potrebbero intraprendere tutte le nuove riforme che necessita oggi il mercato del credito rivedendo le modalità di supporto ed affiancamento alla piccola e media impresa, certi che la nuova banca diverrebbe uno straordinario strumento di politica economica non convenzionale sotto l'egida dello Stato nell'interesse della nazione.
 

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LA DRACMA, UN AUTOGOL PER IL PAESE

di LINO TERLIZZI
Considerando il quadro po­litico greco, con l'incapa­cità dei principali partiti di formare un Governo ed il ritorno al voto il prossimo mese, la possibilità di un'uscita di Atene dal­l'euro è ormai una delle opzioni pos­sibili. Al di là di sondaggi che mostra­no una maggioranza di greci favore­voli ad una permanenza nell'euro, c'è la realtà di una parte importan­te della popolazione greca che ritie­ne che la moneta unica e le politiche ad essa collegate siano un grande problema, non un'opportunità. Pro­babilmente una parte consistente dei greci vorrebbe stare nell'euro so­lo a condizioni fissate da Atene, co­sa questa impossibile, ed un'altra parte vorrebbe semplicemente uscirne e tornare alla dracma. I ve­ri favorevoli all'euro appaiono oggi in minoranza.
Se dal prossimo voto uscissero raf­forzati i partiti contrari alla moneta unica, l'opzione dell'uscita potreb­be diventare realtà. Tra gli analisti a livello internazionale circola già la definizione «Grexit», Greek exit, stra­tegia di uscita greca dall'euro. Per la verità questa definizione si riferisce non tanto a ciò che pensano gli an­ti-euro in Grecia, quanto a ciò che stanno preparando Berlino e Bru­xelles da mesi, in silenzio. La Ger­mania ed altri Paesi dell'Eurozona vorrebbero tenere la Grecia nell'eu­ro, ma non vogliono nemmeno tro­varsi impreparati di fronte al preci­pitare degli eventi.
Se i tempi fossero molto brevi, potreb­be non esserci neppure la possibili­tà di organizzare un euro 2 per i Pae­si più deboli. Vi sarebbe solo spazio per il ritorno alla dracma. Se così fos­se, si aprirebbe una fase di rischi ed incertezze per l'Eurozona. Ma nel contempo la Grecia non risolvereb­be i suoi problemi, che non dipendo­no sostanzialmente dall'euro quan­to da un indebitamento fuori control­lo. Per Atene, si tratterebbe nel me­dio e lungo periodo di un autogol.
Se si analizza infatti cosa comporte­rebbe con ogni probabilità l'uscita dall'euro della Grecia per il Paese e
segue a pagina 4

Vedi LINO TERLIZZI a pagina 04

■ DALLA PRIMA PAGINA
LINO TERLIZZI
La dracma, un autogol per il Paese
per l'Eurozona, si può avere un'idea dei vantaggi e degli svantaggi su entrambi i versanti.
Con la dracma Atene riavrebbe senza dubbio la sua sovranità monetaria, ma al tempo stesso avrebbe un'alta inflazione ed alti tassi di interesse. Supponendo (anche se il percorso tecnico è tutto da costruire) che i debiti greci in euro siano ridenominati in dracma, l'inflazione permetterebbe in effetti un taglio del valore reale degli stessi debiti. Ma l'alta inflazione taglierebbe anche i redditi, soprattutto quelli medio-bassi. Gli alti tassi di interesse, inoltre, renderebbero molto difficile il rifinanziamento del debito pubblico ed il costo del denaro elevato costituirebbe sul piano interno un altro ostacolo alla crescita economica.
La dracma rappresenterebbe di fatto una svalutazione della moneta corrente e ciò potrebbe aiutare le esportazioni greche, è vero. Peccato che l'export costituisca una voce secondaria del Prodotto interno lordo ellenico e che quindi il beneficio nel caso sarebbe molto relativo. C'è poi da valutare un effetto che in parte si è visto nei mesi scorsi ma che potrebbe aumentare a dismisura, quello della corsa agli sportelli delle banche per prelevare euro, da tenere o da trasferire all'estero, in previsione del ritorno ad una dracma che sarebbe molto più debole della moneta unica . Ciò potrebbe provocare ulteriori problemi alle banche greche ed all'economia ellenica nel suo complesso. I nodi del debito pubblico e della scarsa o inesistente crescita economica non verrebbero quindi affrontati. I magri benefici iniziali verrebbero sommersi dagli stessi problemi di fondo, probabilmente nel giro di non molti anni.
Per l'Eurozona, il rischio si chiama contagio. Considerando il piccolo peso economico della Grecia, l'uscita di Atene non sarebbe di per sé un grande problema. Ciò che Bruxelles e Berlino temono è un effetto talmente negativo sui mercati da mettere in ulteriore difficoltà Portogallo, Spagna, Italia. Di nuovo, se non vi fosse il tempo di organizzare un euro 2 del Sud Europa da affiancare ad un euro 1 dei Paesi forti, allora farebbe capolino anche per gli altri Paesi deboli citati il ritorno alle monete nazionali. Un conto sarebbe però l'uscita dall'euro del solo Portogallo, un conto le uscite di Spagna o Italia, che cambierebbero in modo sostanziale lo scenario dell'Eurozona.
D'altro canto Bruxelles ha avuto tempo per prepararsi contro il contagio ed ha a disposizione meccanismi di Fondi salva-Stati che prima non c'erano. La Banca centrale europea ha affinato le tecniche. Molte grandi banche europee hanno ridotto l'esposizione verso la Grecia o altri Paesi deboli. Il contagio europeo nel dopo dracma è un rischio ma non una certezza. L'autogol di Atene in questo caso sembra proprio, invece, una certezza.
 

tontolina

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Mondo | Economia - 12:14
La ricapitalizzazione può partire

Via libera della Commissione UE per salvare le principali banche greche
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BRUXELLES - La Commissione Ue ha dato il suo via libera temporaneo alla ricapitalizzazione-ponte delle principali banche greche (Alpha Bank, EFG Eurobank, Piraeus Bank e National Bank of Greece), effettuata tramite il Fondo ellenico per la stabilità finanziaria. «Le banche greche stanno attualmente operando in condizioni estreme, la ricapitalizzazione ponte da parte del Fondo ellenico assicura la stabilità del sistema bancario greco», ha affermato il commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia.
CdT.ch - Mondo - La ricapitalizzazione può partire
 

tontolina

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Mondo | Economia - 12:14
La ricapitalizzazione può partire

Via libera della Commissione UE per salvare le principali banche greche
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BRUXELLES - La Commissione Ue ha dato il suo via libera temporaneo alla ricapitalizzazione-ponte delle principali banche greche (Alpha Bank, EFG Eurobank, Piraeus Bank e National Bank of Greece), effettuata tramite il Fondo ellenico per la stabilità finanziaria. «Le banche greche stanno attualmente operando in condizioni estreme, la ricapitalizzazione ponte da parte del Fondo ellenico assicura la stabilità del sistema bancario greco», ha affermato il commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia.
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Mondo | Economia - 09:11
Grecia: i soldi tornano nelle banche

I cittadini che avevano ritirato il loro denaro tornano a depositarlo sui conti
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ATENE - La recente vittoria elettorale di Antonis Samaras, il leader del partito conservatore di Nea Dimocratia, favorevole all'Ue e alla permanenza della Grecia nella zona dell'euro, ha portato una ventata di fiducia nel paese, tanto che la gente che aveva prelevato il denaro dai propri conti bancari, nel timore di un ritorno alla dracma, sta velocemente rimettendo i soldi in banca. Lo scrive il quotidiano economico Capital.
Il giornale nella sua versione online cita fonti bancarie ben informate, secondo cui si stima che dalle elezioni del 17 giugno siano rientrati complessivamente nelle banche dieci miliardi di euro ad un ritmo di circa duecento milioni al giorno. Il ritmo del rientro è costante e stando ad esperti del settore bancario, la tendenza continuerà.
 

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Il doppio gioco di Deutsche Bank

Il doppio gioco di Deutsche Bank

Secondo un report di Morgan Stanley che analizza i dati della Bundesbank, l’istituto centrale di Berlino, nei primi cinque mesi dell’anno le banche tedesche hanno ridotto gli investimenti in Italia del 25%, rispetto al -7% di tutto il 2011.
Andrea Mazzalai 2 agosto 13:00

Il doppio gioco di Deutsche Bank | Trend Online

Vi ricordate ora basta boicottiamo Berlino quando vi ho raccontato come Deutsche Bank ha dato il via all’attacco speculativo che ha travolto il nostro Paese…
Bene ora secondo un report di Morgan Stanley che analizza i dati della Bundesbank, l’istituto centrale di Berlino, nei primi cinque mesi dell’anno le banche tedesche hanno ridotto gli investimenti in Italia del 25%, rispetto al -7% di tutto il 2011.

E dire che, grazie alla crisi, il dividendo tedesco in termini di interessi sul debito sarà quest’anno di 21 miliardi di euro. È questo il vero «bagno di sangue» dell’Europa, che per S&P sarà in recessione anche nel 2013.
Italiani?
Niente credito.

Nei primi cinque mesi del 2012 le banche tedesche hanno ridotto del 25% i prestiti alle imprese e alla clientela della Penisola, ritornando ai livelli del 2005. Una contrazione di gran lunga superiore rispetto al totale dell’anno scorso (-7%).

A dirlo un report della Bundesbank, l’istituto centrale guidato da Jens Weidmann, analizzato dalla banca statunitense Morgan Stanley e ripreso dal Financial Times.
I dati evidenziati dalla Buba sono impietosi: da gennaio a fine maggio i finanziamenti in direzione Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) sono scesi di 55 miliardi di euro rispetto al 2011, a quota 241 miliardi (-18%). E dire che gli istituti tedeschi non hanno grossi problemi, almeno a guardare dai rendimenti negativi dei Bund che detengono in portafoglio.

Che Berlino abbia iniziato a fuggire da Roma non è notizia di oggi. Esattamente un anno fa, era il 2 agosto, fece scalpore la riduzione dell’esposizione di Deutsche Bank al debito italiano dagli 8,01 miliardi di fine 2010 ai 997 milioni del 30 giugno 2011. O ancora, a fine 2001, le restrizioni imposte dalla Bafin, il regolatore tedesco, a Hvb nei trasferimenti alla capogruppo Unicredit.
Segue
 

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