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L’ANALISI
Il governo prepara 7 miliardi
L’ultima trattativa con Intesa
Dovrebbero chiudere 600 dei 900 sportelli delle due banche venete. La complessa trattativa con Cà de Sass sui contratti per cedere i rami d’azienda
di Federico Fubini
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Non è una battaglia, ma una sfida di fioretto con qualche affondo di troppo. E non è una partita fra due avversari, ma fra tre squadre chiamate a concludere in un weekend ciò per cui in altre condizioni sarebbero serviti anche sei mesi. Perché nel negoziato per la liquidazione di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, con la cessione a Intesa Sanpaolo di circa venti miliardi di crediti di buona qualità e altrettanti debiti, c’è almeno una certezza: va chiuso subito. Entro stasera il governo deve varare il decreto che avvia la liquidazione delle due banche e stanzia le risorse per gestire le parti deteriorate. Deve farlo, perché domani mattina alla riapertura degli sportelli centinaia di migliaia di risparmiatori devono avere certezze sui loro depositi e sul rapporto con la loro banca. Nient’altro può garantire una transizione ordinata per le prime banche di dimensioni significative mai messe in liquidazione in Italia.
Per questo il confronto, a ritmo frenetico, è fra tre parti, con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il ministro del Tesoro riuniti tutto il pomeriggio a Palazzo Chigi e i vertici del Tesoro, a partire dal direttore generale Vincenzo La Via, al lavoro nella notte. Le tre parti sono il governo, Intesa Sanpaolo con la sua squadra legale e la direzione generale Concorrenza della Commissione Ue. Il precipitato della discussione sarà in un numero: l’ammontare dell’impegno finanziario da parte del governo per prendere in gestione tutti i crediti deteriorati delle due banche, accompagnare l’uscita di circa migliaia di dipendenti e versare degli aiuti alla ristrutturazione per ammortizzare l’impatto sociale in Veneto.
Quel numero, a ieri sera, sembrava cadere un po’ al di sotto degli otto miliardi di euro. Il resto delle risorse per gestire la liquidazione verrebbero poi reperite secondo i criteri già annunciati della legge italiane e europea: azzeramento del capitale e del debito subordinato, un intervento che agli ultimi dati di bilancio delle due banche potrebbe generare circa cinque miliardi di euro.
Quanto ai sette miliardi di euro circa che il governo investirà nella gestione dei dissesti, non tutto verrà recuperato ma certamente nel tempo per lo Stato ci sarà la possibilità di rientrare buona parte di quell’impegno. In buona parte dipenderà da quanto saranno bassi o alti i prezzi ai quali lo Stato si farà carico dei crediti cattivi e da quanto efficace e paziente sarà la sua gestione. Nel caso del Banco di Napoli, finito in dissesto a metà degli anni ’90, dopo un ventennio la quota di recupero era arrivata al 90%. Alla fine il costo per il contribuente del dissesto delle due banche venete potrebbe dunque essere inferiore a quanto inizialmente temuto.
I numeri dell’impegno finanziario contenuto nel decreto in approvazione oggi non sono ancora consolidati per un motivo preciso: il negoziato è ancora aperto. Non più tanto con la Commissione europea, perché Bruxelles ha già messo in chiaro le sue richieste da giorni. La direzione generale Concorrenza esige in primo luogo che ci sia una severa ristrutturazione della capacità industriale nella parte di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza che passa a Intesa Sanpaolo; su poco meno di 900 sportelli ancora in funzione, se ne dovrebbero chiudere circa seicento (mentre metà dello staff dei due istituti opera dalle sedi centrali), a maggior ragione perché Intesa a sua volta ha altri 800 sportelli in Veneto. La Commissione Ue chiede poi che, dopo l’intervento pubblico, la “bad bank” rimasta ai commissari liquidatori non avvii nuove attività operative e che l’aiuto alla ristrutturazione in Veneto non sia fuori proporzione. Non dovrebbero però esserci ostacoli seri nel trovare un punto di equilibrio fra Roma e Bruxelles.
I contatti invece sono stati particolarmente intensi ieri fra le squadre di Intesa Sanpaolo e quella del Tesoro. Un accordo sul contratto di cessione dei rami d’impresa delle due banche venete all’istituto milanese da parte dei liquidatori, con i relativi costi futuri per entrambe le parti, è infatti il presupposto di tutto. Il contratto verrà formalizzato in seguito. Ma solo se quel patto viene definito subito in tutti i dettagli diventa possibile iscrivere nel decreto entro oggi una cifra di stanziamento dello Stato per la parte restante delle due banche. Per questo fra le due parti il confronto a tratti è stato anche duro: i negoziatori di Intesa puntano a contenere i costi operativi di cui si fa carico la banca, per esempio sul numero dei dipendenti da trasferire dalla banche venete (in ogni caso, quasi tutti); i tecnici e l’ufficio legislativo del Tesoro invece spingono in direzione opposta, per ridurre al minimo l’impegno finanziario pubblico che sarà iscritto nel decreto di oggi.
Ogni nodo sciolto nel negoziato obbliga a rifare i conti e a cambiare la formulazione del decreto, con impegno costante degli esperti giuridici. E la lista delle questioni legali, contabili, industriali e amministrative da risolvere in poche ore è impressionante. Seguiranno poi le questioni successive, legate per esempio alla Banca centrale europea. È infatti possibile che da Francoforte non vengano a Intesa Sanpaolo richieste di rafforzare il capitale a seguito dell’acquisizione. Poi, verso fine anno, la Bce concluderà la valutazione sul patrimonio adatto per ciascuna banca vigilata e in quell’esercizio l’Eurotower terrà senz’altro conto anche dell’operazione sulle venete oggi ancora in corso.
24 giugno 2017 (modifica il 24 giugno 2017 | 22:37)
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