Da fortino bancario regionale di
133 Casse rurali trentine a cava-
liere bianco accreditato su suolo
nazionale. È la curiosa metamor-
fosi che sta interessando Cassa
Centrale Banca, l’istituto nato nel 1974 come
Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine
Spa che, sull’onda della Riforma del credito
cooperativo promossa dall’allora presiden-
te del Consiglio Matteo Renzi, ha creato un
gruppo con 80 Bcc affiliate provenienti da
tutta Italia, più di 1.500 sportelli operativi
sul territorio nazionale, oltre 11 mila colla-
boratori e più di 500 mila soci. Il salto non
è da poco, ma sarebbe un errore pensare
che il cambio di passo sia stato istantaneo.
L’avanzata affonda le radici nel tempo: nel
2002 la banca decide di aprire la base socia-
le alle Bcc del Veneto e del Friuli Venezia
Giulia. Cinque anni più tardi modifica lo sta-
tuto per consentire l’ingresso nel capitale di
Dz Bank, il principale istituto centrale del
credito cooperativo tedesco (un tempo socio
forte e oggi sceso al 3,7%). Per anni Cassa
Centrale ha avuto questa doppia anima: ita-
liana e tedesca, ma chi conosce bene questa
realtà afferma che le radici non hanno mai
arrampicato né a Roma, né a Berlino e so-
no sempre state ben salde nella provincia di
Trento: ricca, autonoma, laboriosa, per anni
feudo del Centro-sinistra e dallo scorso otto-
bre a trazione leghista.
L’ascesa di Cassa Centrale si deve a un
mix di fattori. Alcuni la attribuiscono all’am-
bizione dell’ad e dg Mario Sartori e alla
capacità del management e dell’intera gover-
nance di sfruttare l’opportunità offerta dalla
Riforma per modernizzare il sistema delle
Bcc e crescere in tutta Italia. In particolare,
spiega una fonte, in questo difficile percor-
so la capofila è riuscita «a non farsi carico
dei costi del sistema federativo». Dopotutto
Cassa Centrale si è sempre presentata dal
punto di vista gestionale, all’interno del mo-
vimento cooperativo, come la prima della
classe. Al 31 dicembre 2018 la capogruppo
registra un utile netto di 97 milioni di eu-
ro, mentre il gruppo nel suo complesso vede
un utile aggregato di 308 mln. Il Cet 1 Ratio
della capofila si attesta al 49,47%, quello del
gruppo al 17,90%. Il patrimonio netto conso-
lidato sfiora quota 1,2 miliardi di euro, con
le banche affiliate il patrimonio è di 6,1 mi-
liardi. Il gruppo complessivamente presenta
3 miliardi di free capital e munizioni ade-
guate per compiere operazioni straordinarie.
I deus ex machina di questa trasformazio-
ne sono due: Sartori e il presidente Giorgio
Fracalossi. Sartori (classe 1958, nato nella
Valle del Vanoi) ha un passato manageria-
le nella Banca di Trento e di Bolzano (oggi
gruppo Intesa Sanpaolo) e si trova in Cassa
Centrale Banca dal 1999. Sposato, ex batteri-
sta, ha un figlio dottorando a Cambridge che
studia Storia economica e, ironia della sorte,
si sta specializzando in banche pubbliche e
banche centrali. Fracalossi (classe 1955) è un
uomo nato professionalmente all’interno del
credito cooperativo, in sella al gruppo banca-
rio trentino da circa dodici anni (presidente
di Ccb da nove) e ha sempre creduto nella
cooperazione mutualistica espressione del-
la comunità di riferimento. Commercialista,
sposato e padre di due figli, maratoneta della
prima ora, a un certo punto del suo percor-
so, insieme a Sartori, decide di fare il grande
salto. L’occasione è appunto l’autoriforma
che ha alterato lo status quo dominato dalla
Federcasse di Alessandro Azzi e dall’Iccrea
dell’allora presidente Giulio Magagni. Il tut-
to ha avuto inizio il 20 gennaio 2015 e dal 1°
gennaio 2019 i due gruppi (l’altra capofila at-
tiva su base nazionale è Iccrea) hanno preso
forma e sono diventati operativi a tutti gli
effetti. Da Roma e Milano sono molteplici i
tentativi di inquadrare i protagonisti trentini
che tuttavia non sono riconducibili ai tradi-
zionali poteri, salotti e alle consuete logiche
della finanza laziale e lombarda. Vogliono
stare nell’ombra e si dipingono come «gente
tranquilla che lavora». La corrente è quella
che sottende a tutto il mondo delle Bcc (catto-
lica, orientata alla cooperazione), ma sarebbe
un’operazione di pura fantasia associarli ai
grandi poteri che hanno segnato la finanza
nazionale. Sartori e Fracalossi sono degli out-
sider. E anche chi vuole dipingerli come vicini
al mondo renziano compie una distorsione. I
vertici non sono mai stati né aperti sosteni-
tori, né antagonisti di Renzi.
In molti si chiedono che cosa li abbia
portati oggi a valutare un’operazione così
insidiosa come quella di Banca Carige. Allo
stato il gruppo trentino starebbe valutando
un intervento finalizzato a rilevare il 9,9%
della realtà ligure sottoscrivendo l’aumen-
to di capitale da complessivi 700 milioni per
circa 70 milioni. La questione sarà oggetto
di un prossimo cda. La mossa si inserisce
all’interno di una manovra più ampia che ve-
de un rafforzamento patrimoniale di Carige
da complessivi 900 milioni, il cui perno è il
Fondo Interbancario di tutela dei depositi.
Alcune fonti riferiscono di una disponibilità
di Ccb a salire oltre il 10% della banca ligure,
in un secondo momento. La sfida è certa-
mente ambiziosa, ma la valenza strategica
è ancora oscura. Secondo indiscrezioni, sulla
discesa in campo di Ccb si è spesa soprat-
tutto Bankitalia. Va notato che in Liguria il
credito cooperativo non si è mai sviluppato
veramente e potrebbe essere un’occasione
per presidiare meglio la Regione. La partita
Carige potrebbe essere anche un modo per
accreditarsi presso il sistema bancario ita-
liano, dopo la recente costituzione del gruppo
cooperativo. E per crescere più velocemente
nel risparmio gestito e nella bancassurance.
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