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Sentenza Del Turco. Vittima di un’inquisizione senza prove
E va bene: bisogna attendere, come si dice ogni volta, che siano rese note le motivazioni della sentenza che ha condannato Ottaviano Del Turco a nove anni e mezzo di reclusione. Si attenderà, con una punta di curiosità, per vedere come si giustificherà un qualcosa che non si capisce come possa essere giustificato. Chi, grazie al servizio pubblico offerto e garantito da “Radio Radicale”, ha potuto seguire tutte le varie fasi del dibattimento, non può che essere afferrato da un senso di sgomento, di smarrimento, di incredulità. Lo steso senso di sgomento e di smarrimento che ieri pomeriggio abbiamo manifestato in una breve conversazione con l’avvocato difensore Giandomenico Caiazza che aveva appena lasciato l’abitazione del suo assistito a Collelongo. E di cosa ti stupisci?, ha risposto Giandomenico, e potevi immaginarla l’espressione di malinconico divertimento nel replicare alle nostre osservazioni. “Questo è il paese. Non poteva che finire come è finita, in primo grado, l’avevo pur anticipato: Del Turco non poteva che essere condannato…”.
Già: messa da parte la nostra ingenuità, a ragionarci freddamente, Del Turco non poteva che essere condannato. Si poteva smentire, e contraddire in modo clamoroso, l’operato di una procura che prima smantella la giunta abruzzese di centro-destra, poi quella di centro-sinistra? Certo che no. Al massimo, nelle pieghe della motivazione, si potranno trovare appigli che consentano in appello di ribaltare la sentenza. Per questo varrà la pena di attenderle e di studiarle con attenzione. Per il resto…
Per il resto, Del Turco ha trascorso il pomeriggio di ieri con i giornalisti, che dopo aver snobbato per mesi il suo processo, si sono finalmente accorti della vicenda, e sono andati a chiedergli il commento di prammatica. Sono le interviste a Nino Cirillo per “Il Messaggero” e Corrado Zunino di “Repubblica” che colpiscono: “Un processo alla fine del quale sono stato condannato senza lo straccio di una prova, esclusivamente sulla base delle accuse di questo Angelini, il ras delle cliniche abruzzesi. La mia parola contro quella di un bancarottiere”.
Ancora, alla domanda se crede ancora nella giustizia: “Certo che ci credo. Ma questo non mi impedisce di cogliere la logica inquisitoria che la devasta. Ci sono magistrati che sono stati PM per tutta la vita e che alle soglie della pensione si ritrovano presidenti di una corte: come possono cambiare? Ecco, questo è il problema della giustizia italiana, mica Berlusconi”.
Le amicizie, le solidarietà: “Mi viene in mente che non parlo più con Veltroni dal giorno in cui mi scrisse una lettera in cui si augurava che sarei riuscito a dimostrare la mia innocenza. Come ai tempi dell’Inquisizione, quando non toccava all’accusa dimostrare le responsabilità”… “Hanno cercato disperatamente le prove per quattro anni e non hanno mai trovato un euro, né la traccia di un euro. D’altronde viaggio in Panda e trascorro i miei Natali a Collelongo”.
Tra le prove, una fotografia nella quale si vedrebbe Del Turco che prende una busta sull’uscio di casa: “Sa cosa c’era dentro quella busta? Castagne, noci, mele. È la foto di un anno prima rispetto alla presunta tangente. Le nostre perizie hanno smontato tutto…”.
E infine: “Che si tratti di un errore giudiziario non lo debbo dire io. Quanto all’errore politico, di sicuro quando si tratta di giudicare vecchi quadri socialisti come me, va tutto sin troppo veloce…”.
Del Turco confida che quando gli hanno comunicato l’esito della condanna si è sentito “un po’ come Tortora: malato, innocente e condannato come lui a dieci anni…”. Per quel che vale, siamo d’accordo.
Walter Vecellio, 23 luglio 2013
E va bene: bisogna attendere, come si dice ogni volta, che siano rese note le motivazioni della sentenza che ha condannato Ottaviano Del Turco a nove anni e mezzo di reclusione. Si attenderà, con una punta di curiosità, per vedere come si giustificherà un qualcosa che non si capisce come possa essere giustificato. Chi, grazie al servizio pubblico offerto e garantito da “Radio Radicale”, ha potuto seguire tutte le varie fasi del dibattimento, non può che essere afferrato da un senso di sgomento, di smarrimento, di incredulità. Lo steso senso di sgomento e di smarrimento che ieri pomeriggio abbiamo manifestato in una breve conversazione con l’avvocato difensore Giandomenico Caiazza che aveva appena lasciato l’abitazione del suo assistito a Collelongo. E di cosa ti stupisci?, ha risposto Giandomenico, e potevi immaginarla l’espressione di malinconico divertimento nel replicare alle nostre osservazioni. “Questo è il paese. Non poteva che finire come è finita, in primo grado, l’avevo pur anticipato: Del Turco non poteva che essere condannato…”.
Già: messa da parte la nostra ingenuità, a ragionarci freddamente, Del Turco non poteva che essere condannato. Si poteva smentire, e contraddire in modo clamoroso, l’operato di una procura che prima smantella la giunta abruzzese di centro-destra, poi quella di centro-sinistra? Certo che no. Al massimo, nelle pieghe della motivazione, si potranno trovare appigli che consentano in appello di ribaltare la sentenza. Per questo varrà la pena di attenderle e di studiarle con attenzione. Per il resto…
Per il resto, Del Turco ha trascorso il pomeriggio di ieri con i giornalisti, che dopo aver snobbato per mesi il suo processo, si sono finalmente accorti della vicenda, e sono andati a chiedergli il commento di prammatica. Sono le interviste a Nino Cirillo per “Il Messaggero” e Corrado Zunino di “Repubblica” che colpiscono: “Un processo alla fine del quale sono stato condannato senza lo straccio di una prova, esclusivamente sulla base delle accuse di questo Angelini, il ras delle cliniche abruzzesi. La mia parola contro quella di un bancarottiere”.
Ancora, alla domanda se crede ancora nella giustizia: “Certo che ci credo. Ma questo non mi impedisce di cogliere la logica inquisitoria che la devasta. Ci sono magistrati che sono stati PM per tutta la vita e che alle soglie della pensione si ritrovano presidenti di una corte: come possono cambiare? Ecco, questo è il problema della giustizia italiana, mica Berlusconi”.
Le amicizie, le solidarietà: “Mi viene in mente che non parlo più con Veltroni dal giorno in cui mi scrisse una lettera in cui si augurava che sarei riuscito a dimostrare la mia innocenza. Come ai tempi dell’Inquisizione, quando non toccava all’accusa dimostrare le responsabilità”… “Hanno cercato disperatamente le prove per quattro anni e non hanno mai trovato un euro, né la traccia di un euro. D’altronde viaggio in Panda e trascorro i miei Natali a Collelongo”.
Tra le prove, una fotografia nella quale si vedrebbe Del Turco che prende una busta sull’uscio di casa: “Sa cosa c’era dentro quella busta? Castagne, noci, mele. È la foto di un anno prima rispetto alla presunta tangente. Le nostre perizie hanno smontato tutto…”.
E infine: “Che si tratti di un errore giudiziario non lo debbo dire io. Quanto all’errore politico, di sicuro quando si tratta di giudicare vecchi quadri socialisti come me, va tutto sin troppo veloce…”.
Del Turco confida che quando gli hanno comunicato l’esito della condanna si è sentito “un po’ come Tortora: malato, innocente e condannato come lui a dieci anni…”. Per quel che vale, siamo d’accordo.
Walter Vecellio, 23 luglio 2013
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