NEOLIBERISMO - Noam Chomsky: “I padroni dell’umanità hanno ucciso l’Europa” (1 Viewer)

tontolina

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Noam Chomsky: “I padroni dell’umanità hanno ucciso l’Europa”
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(Foto di Archivio Pressenza)


“Si credono i padroni dell’umanità e purtroppo lo stanno diventando: la politica democratica ha cessato di resistere loro, spianando la strada alla dittatura incondizionata dei poteri forti, economici e finanziari, che ormai dettano le condizioni della nostra vita pubblica”. Parola di Noam Chomsky, considerato il maggior linguista vivente, autore del capolavoro “Il linguaggio e la mente”.

A 86 anni, il professore statunitense dimostra una lucidità di pensiero e di visione che non lascia spazio a dubbi. Nessuna illusione: “Le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è il neoliberismo”, dice Chomsky, in Italia per il Festival delle Scienze di Roma nel gennaio 2014. Il titolo dell’ultima raccolta di testi inediti tradotti in italiano è estremamente esplicito: loro, gli oligarchi globali, signori delle multinazionali e grandi banche d’affari, sono “I padroni dell’umanità”.

La democrazia in Italia è scomparsa quando è andato al governo Mario Monti, designato dai burocrati seduti a Bruxelles, non dagli elettori”, afferma Chomsky. In generale, come riporta il newsmagazine “Contropiano”, per Chomsky “le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere.”

Sono “finite”, le democrazie del vecchio continente – Italia, Francia, Germania, Spagna – perché le loro sorti “sono decise da burocrati e dirigenti non eletti, che stanno seduti a Bruxelles. Decide tutto la Commissione Europea, che non è tenuta a rispondere al Parlamento Europeo regolarmente eletto. Puro autoritarismo neo-feudale: questa rotta è la distruzione delle democrazie in Europa e le conseguenze sono dittature”.

Per Chomsky, il neoliberismo che domina la dottrina tecnocratica di Bruxelles è ormai un pericolo planetario. Il fanatismo del “libero mercato” come via naturale per un’economia sana poggia su di un dogma bugiardo e clamorosamente smentito. In realtà senza il supporto pubblico (in termini di welfare e di emissione monetaria) nessuna economia privata può davvero svilupparsi.

Oggi il neoliberismo si configura come “un grande attacco alle popolazioni mondiali”, addirittura “il più grande attacco mai avvenuto da quarant’anni a questa parte”. Desolante il silenzio dell’informazione, che coinvolge gli stessi “new media”: la loro tendenza è quella di “sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta”.

Giuseppe Altieri


 

tontolina

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22 AGO 2019 19:06
FU VERO GOLPE? - TREMONTI TORNA A PARLARE DEL RICATTO CHE CAUSÒ LA CADUTA DEL GOVERNO BERLUSCONI NEL 2011: “IL 5 AGOSTO DEL 2011 LA BCE INVIÒ AL GOVERNO ITALIANO UNA LETTERA DIKTAT. IL ‘DECRETO DI FERRAGOSTO’ FU DETERMINATO DAL RICATTO SU CUI SI BASAVA QUELLA LETTERA, CIOÈ: SE NON FATE QUELLO CHE VI ‘CONSIGLIAMO’ NON COMPRIAMO TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO CAUSANDONE IL DEFAULT. LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA FU INTRODOTTA SU INSISTENZA DEL…

giulio tremonti e il golpe finanziario del 2011: il 5 agosto la bce invio una lettera di ricatto...
1 – IL 5 AGOSTO 2011 LA BCE INVIÒ AL GOVERNO ITALIANO UNA VERA E PROPRIA LETTERA DI RICATTO

Lettera di Giulio Tremonti pubblicata da “Italia Oggi”

Gentile direttore, ho letto su ItaliaOggi l' articolo di Carlo Valentini pubblicato il 14 agosto sotto il titolo «Che fare di fronte alla maxi Iva?» Nell' articolo è scritto tra l' altro quanto segue: «Ricorda Paolo Balduzzi, docente di scienza delle finanze alla Cattolica di Milano: « Il primo a escogitare il meccanismo fu Giulio Tremonti, ministro dell' economia del governo Berlusconi. Da allora l' idea è piaciuta un po' a tutti gli esecutivi politici».

Quanto sopra non corrisponde al vero. Per le seguenti ragioni:
- a) il 5 agosto del 2011 la Bce inviò al Governo della Repubblica Italiana una lettera Diktat;
- b) il «Decreto di Ferragosto» fu determinato dal ricatto su cui si basava quella lettera: se non fate quello che vi «consigliamo» non compriamo titoli del debito pubblico italiano causandone il default;
- c) quel Decreto non conteneva alcuna clausola di salvaguardia, clausola che fu introdotta solo a seguito della successiva e strumentale insistenza «europea»;
- d) in ogni caso, e questo è il punto essenziale, la clausola così introdotta era totalmente priva di valore giuridico non producendo effetti vincolanti e specifici (come è invece stato dopo per le altre e vere clausole) esaurendosi nella forma di un impegno politico-programmatico. Impegno che tra l' altro era a sua volta subordinato all' ipotesi del non verificarsi degli effetti della manovra impostata dal Governo italiano;
- e) il sostanziale passaggio dal piano generico e programmatico al piano giuridico-vincolante mirato specificamente sull' Iva fu operato - caduto il Governo - dal Governo Monti che per primo introdusse il tipo di clausola che poi è stato sviluppato nel corso degli anni e che da allora è risalito ad oggi.

Altre volte, anche su ItaliaOggi, è stato evidenziato il movente della citata lettera del 5 agosto: in crisi non era l' Italia, ma erano le banche tedesche e francesi creditrici della Grecia.
Quando il Governo italiano si oppose all' uso del «Fondo Salva Stati» per salvare quelle banche si scatenarono gli spread e poi l' azione che ha infine portato alle gesta della «Troika» in Grecia.

Tanto cordialmente, Suo
 
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Il mondo è in alto mare, ma l’orchestrina neoliberista continua a suggerire di mangiare brioche
Caos, scenari venezuelani, populisti di destra e sinistra, ma la risposta del liberale in purezza è la reiterazione astratta dei classici principi di von Hayek.
Serve un nuovo Franklin Delano Roosevelt

Il mondo è in alto mare, ma l’orchestrina liberale continua a suggerire di mangiare brioche - Linkiesta.it

Ho tanti amici liberali, sono io stesso liberale, ma comincio a pensare che tra i responsabili del caos globale che stiamo vivendo ci siano anche loro, ci siamo noi, mi ci metto anch’io, tutti quelli che rispondono al disordine mondiale e alle diseguaglianze economiche create dalla rivoluzione tecnologica sfoderando, come a un dotto seminario di studi, l’ideologia dell’autentico, limpido e incontaminato pensiero liberale.

L’occidente ribolle ma la risposta del liberale in purezza è la reiterazione astratta dei classici principi di von Hayek, dimenticandosi peraltro che un altro gigante del liberalismo, John Maynard Keynes, seppe indicare una soluzione liberale alle mutate esigenze del suo tempo e da lì a poco nacque quella bazzecola che ha preso il nome di welfare state. Cosa che fece anche un altro grande liberal, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, il quale fu capace di rispondere alla Grande Depressione con il New Deal, cioè con un sistema di intervento statale e di protezione sociale ideato non per anticipare la rivoluzione socialista, come oggi denuncerebbero indignati i liberali in purezza, ma al contrario per scongiurarla e semmai per salvaguardare il capitalismo. Ora, invece, anziché affrontare la questione sociale del nostro tempo con la medesima ampiezza di vedute di allora, il riflesso condizionato è quello di negare che esista una questione sociale.

Il dotto seminario di studi liberali si è trasformato nell’orchestrina del Titanic che affonda mentre continua a suggerire ai naufraghi di mangiare brioche.
Il problema è che oggi tra i liberali non ci sono né Keynes né FDR, ma solo una reiterata e grottesca riproposizione dell’ortodossia di scuola austriaca o di Chicago che, salvo notevoli eccezioni tipo L’Economist di Londra e la leader liberal democratica inglese Jo Swinson, sta trasformando i liberali duri e puri nei nuovi comunisti del XXI secolo, gli unici ormai ad applicare l’ortodossia del pensiero a situazioni ormai sfuggite di mano.

Gli scienziati avvertono che i cambiamenti climatici provocano disastri ambientali ed economici, e potenzialmente esistenziali per l’intero pianeta, ma i neoliberali inflessibili spingono comunque sul pedale dell’acceleratore, si prendono gioco di Greta e delle nuove generazioni in piazza, nonostante poi i danni debbano essere pagati dal tanto odiato settore pubblico
Per cui, anche se si sono trasformate in soggetti più potenti delle odiate entità statali, le piattaforme tecnologiche devono comunque essere lasciate agire indisturbate, e non importa se stanno demolendo il tessuto sociale delle democrazie occidentali.
Se aumentano disparità economiche e le comunità meno attrezzate al cambiamento restano indietro, i liberali intransigenti spiegano che sia giusto così, devono soffrire, è il mercato, bellezza.
Le piazze si rivoltano contro le élite, a torto o a ragione, ma il liberale in panciotto se ne infischia e continua a spiegare che bisogna abbassare le tasse soprattutto ai miliardari, a maggior gloria dei super-rich e delle aziende del parastato che però sono così gentili da finanziare le attività dei centri studi liberali.

Gli scienziati avvertono che i cambiamenti climatici provocano disastri ambientali ed economici, e potenzialmente esistenziali per l’intero pianeta, ma i liberali inflessibili spingono comunque sul pedale dell’acceleratore, si prendono gioco di Greta e delle nuove generazioni in piazza, nonostante poi i danni debbano essere pagati dal tanto odiato settore pubblico. Quando gli si fa notare che sta saltando tutto, ammesso che il fenomeno non sia già irreversibile, e che bisogna trovare nuove formule, far circolare nuove idee, aggiornare quelle di cento anni fa, auspicare nuove soluzioni in grado di garantire e di proteggere chi non si sente garantito e protetto, perché altrimenti salta la società aperta, non c’è niente da fare perché i liberali rigorosi continuano con la tiritera dei tagli alla spesa pubblica e dello stimolo fiscale ai billionaire. Aborrono giustamente la soluzione venezuelana, ma facendo finta di niente diventano i facilitatori del chauvismo in Europa e in Occidente. Nei casi patologici, arrivano a sostenere Salvini, Putin, Trump e manca pochissimo che si giunga all’apologia liberale del luminoso sistema cinese.

In passato i progressisti della Terza Via e i conservatori compassionevoli hanno cercato una strada nuova per governare il cambiamento, i primi a immaginare una sintesi tra le ricette economiche liberali e la politica sociale progressista e i secondi a coinvolgere il settore pubblico per promuovere l’individualismo conservatore, ma entrambi sono stati spazzati via. Oggi la scena è occupata dai populisti di destra e di sinistra da una parte e da un litigioso arcipelago di posizioni progressiste e liberali dall’altra, il caos della Brexit e della secessione catalana da un lato e i disordini pubblici cileni dall’altro, il populismo venezuelano contro l’autoritarismo russo o cinese.
Forse è il caso di scendere dal Titanic, di togliersi il panciotto e di trovare un’inedita soluzione liberale.
 

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