"Mercati" (1 Viewer)

alan1

Forumer storico
Intanto copio gli interventi di ampio respiro di Gipa:
:D


gipa69 ha scritto:
Facciamo un po' il quadro della situazione proiettandoci sul prossimo anno visto ormai che il 2005 volge al declino con un annata che è stata leggermente meglio di quanto avevo preventivato soprattutto per quanto riguarda l'Europa.

Ritornando però agli USA ed all'indice che seguo con maggiore continuità (SPX) sta realizzando una fase di consolidamento che attualmente scarica gli oscillatori senza aver compromesso il trend dei prezzi.
La perforazione di 1275 potrebbe portare l'indice al test dei massimi del 2001 (1315) mentre la discesa sotto 1250 potrebbe avere un target iniziale intorno ai 1220.
Attualmente le probabilità statistica maggiore è per un ulteriore rialzo pur in presenza di fondamentali non particolarmente costruttivi.
Il motivo per cui le probabilità sono a favore di un rialzo sono molteplici:

-il mercato fino ad oggi ha rispettato l'andamento del ciclo presidenziale pur in presenza di una logica volatilità superiore all'andamento medio.

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se continua a rispettare il pattern del ciclo presidenziale esso dovrebbe continuare il rally durante la prima parte dell'anno. Infatti sui 26 cicli precedenti per ben 16 volte, cioè il 61% delle volte si è avuto il rally iniziale con una media di guadagno dell'8,4%.
Durante il seguito però sui 26 periodi per ben 24 si assistito ad un declino consistente che ha portato ad un perdita media del 20,9%.
Il mese in cui questa correzione è terminata ha visto il prevalere di Ottobre (5 occasioni) seguito da Luglio e Dicembre (4 volte ciascuno).
In seguito l'indice ha recuperato molte delle perdite conseguendo un rally che ha portato ad un guadagno medio entro fine anno del 17,8% ed è diverse volte proseguito nell'anno successivo. Tra parentesi comprare ad Agosto del secondo anno del ciclo presidenziale e vendere 35 mesi dopo è il trading più profittevole dei mercati USA ed ha avuto successo su 18 cicli ben 17 volte! Se poi come adesso l'approvazione degli elettori nei confronti dell'operato del presidente in carica è sotto il 50% la performance del mercato è superiore a quando l'operato è approvato da più del 50% nei sondaggi

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Postiamo gli ultimi casi in cui l'anno coincideva con il secondo anno del ciclo presidenziale

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Vi è quindi un'alta probabilità che tra fine anno ed inizio anno si sviluppi un rally non solo perchè il prossimo anno sarà il secondo del ciclo presidenziale ma anche perchè, sempre statisticamente, dal 1928 ad oggi comprare il 20 dicembre e vendere 18 giorni dopo di borsa è stato positivo il 75% delle volte.

Successivamente oltre alle considerazioni legate al secondo anno del ciclo presidenziale dobbiamo innestare le considerazioni relative al ciclo di rialzo dei tassi della Fed: molti analisti prevedono la fine del ciclo di rialzo tra la prossima riunione del Fomc e quella successiva.
Se ciò fosse vero dovremmo fare alcune considerazioni.
Sui 13 cicli rialzisti con almeno due rialzi dei tassi dal 1950 ad oggi sei mesi dopo il total return degli indici, cioè il ritorno compreso i dividendi è stato dopo 6 mesi del 2,47%, 5,06 dopo un anno e 8,55 dopo 18 mesi cioè un rendimento sotto il rendimento medio storico compresi i dividendi.

Se poi consideriamo i fondamentali la statistica prende una piega ancora più definita:
con un rapporto prezzo/utili sotto 12 il total return dopo sei mesi dall'ultimo rialzo risulta del 6,411%, del 8,92% dopo un anno e dell'11,62% dopo 18 cioè un ritorno nella media storica;
con un rapporto prezzo utili sopra 16 (come ora) invece il rendimento risulta di molto inferiore e cioè pari a -7,18% dopo 6 mesi, -9,94 dopo un anno e del -5,87% dopo 18 mesi.

Per questa statistica però è estremamente importante anche la posizione dell'indice stesso nel momento in cui la Fed effettua l'ultimo rialzo dei tassi.
Infatti se lo SPX è sopra la propria media mobile a 200 giorni allora nel passato per circa il 63% delle volte l'indice è andato al rialzo, se invece l'indice risulta sotto la mm200 giorni (è successo 5 volte dal 1930 ad oggi) allora la performance è stata sempre negativa.

Considerando poi che il ciclo al rialzo del mercato è ormai storicamente abbastanza lungo la probabilità che nel corso del 2006 vi sia una correzione di medio periodo è probabile.
L'indice non subisce una correzione del 10% o più dai massimi a 52 settimane da 133 settimane contro una media ciclica di 126 settimane.
I cicli più lunghi si collocano intorno alle 160 settimane (ne esiste uno di 395 ma è quello che ci ha avvicinato alla bolla del 2000) per cui è probabile che nel corso di quest'anno una correzione di almeno il 10% intervenga ad un certo punto dell'anno.
Sebbene stia avvenendo uno spostamento generazionale dei trend che dettano i cicli dei mercati il ciclo statunitense è per il momento abbastanza forte per influenzare più o meno apertamente gli altri mercati e quindi non consentire particolari extra gain al resto del mondo anche se è possibile che cominci a svilupparsi un certo decoupling su alcune realtà quali l'Asia da una parte e meno probabile ma comunque possibile l'Europa dall'altra.

Per finire le considerazioni sui mercati azionari un ppiccolo accenno alla Dow theory che attualmente sta mostrando alcuni segnali di mancata conferma che potrebbero indicare un possibile prossimo top se non negati nelle prossime sedute:
da una parte mentre il DJ transportation ha effettuato nuovi massimi il DJ industrial sta cincischiando sui massimi di Marzo ma sembra non riuscire a superarli mentre il DJ Utilities al momento è rimasto indietro ai massimi recenti.

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Per quanto riguarda il resto dei mercati si possono fare alcune considerazioni:
i bond USA non mostrano al momento paure inflazionistiche ( e potrebbero sbagliare...) e sembrano sul punto di rompere importanti resistenze.
Sul prezzo del decennale la rottura sembra in corso mentre invece sullo Yield siamo al test di una resistenza chiave che se perforata potrebbe invertire significativamente la curva.

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Anche l'oro sembra segnalare che il mercato non ha paure inflazionistiche in quanto sebbene il prezzo abbia corso molto il suo rapporto nei confronti dei metalli industriali è in una fase di debolezza.
Resta però il fatto che l'oro potrebbe aver realizzato un top di breve ma che la sua strada rialzista sembrerebbe appena iniziata.

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qua ho tracciato tutte le più importanti aree di resistenza...
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Il petrolio è ancora in fase di consolidamento ma il suo trend rialzista non è compromesso se non dopo la perforazione dell'area 40$ per cui adesso sembrerebbe una correzione a smaltire l'eccezionale performance degli ultimi tempi.

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Il CRB cresce all'interno di un canale rialzista...

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ed il copper al momento è ancora dentro l'uptrend di medio....

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Per finire il dollaro che attraversa una fase estremamente importante del suo ciclo, infatti all'interno del ciclo presidenziale il secondo anno è solitamente quello in cui il dollaro consegue le sue maggiori perdite nei confronti delle altre valute ed è sempre all'interno di questo ciclo che gennaio (il mese tradizionalmente più forte per il dollaro con il 70% di probabilità di rialzo) ha solo il 50% di probabilità rialziste.
Attualmente il dollar index sta consolidando poco sotto una resistenza cruciale che se perforata porterà ad un considerevole rally anche se difficilmente simile a quello che ha caratterizzato il dollaro dal 1995 fino al massimo del 2001 mentre in caso contrario e soprattuto con la rottura dell'area intorno ad 86 ci sarà la ripresa del downtrend.

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alan1

Forumer storico
gipa69 ha scritto:
Un commento importante perchè si interseca con quasi tutte le variabili macroeconomiche del momento lo meritano i mercati obbligazionari.
La contrazione dei tassi globali soprattutto sulla parte a lunga della curva ha posto lo scorso anno molte domande sui motivi di questa convergenza al ribasso in corrispondenza di una crescita dei prezzi delle materie prime.
Il cunudrum Greenspaniano ha trovato spiegazione nella forte liquidità presente sui mercati così come nell'arrivo sui mercati finanziari di molti nuovi operatori.
La causa primaria di questo movimento sono stati comunque gli ingenti acquisti di obbligazioni da parte dei paesi asiatici (i cosidetti producer) da una parte e dei paesi del Middle East (commodity producer) dall'altra.

Il cosidetto Bretton Woods II è diventato ormai di dominio pubblico anche se è probabilmente in essere da ormai diversi anni.
Il più o meno tacito accordo monetario prevede l'acquisto di prodotti finali dai paesi a basso costo unitario asiatici da parte dei paesi consumer-oriented (l'anglosfera principalmente e un pò tutti i paesi con una economia post industriale), i prezzi stabili o al ribasso incrementano i consumi che vengono ulteriormente sospinti dai bassi tassi di interesse mantenuti tali dai massicci acquisti che effettuano i paesi produttori per riciclare il loro surplus di bilancio (e anche oltre...).

Le conseguenze di questa triangolazione sono molteplici ed impattano sui mercati a più livelli:

1)I tassi bassi permettono di mantenere alta la liquidità dei mercati grazie al massiccio ricorso all'indebitamento che viene posto sotto pressione solo sulla parte a breve della curva. Sebbene occorrano sempre più dollari di debito per produrre un dollaro di PIL la facilità di accedere al finanziamento e l'estrema flessibilità del mercato permette il protrarsi della situazione

2)Le aziende globali esportano la fase produttiva del processo industriale in carico alle aziende dei paesi emergenti e mantengono al proprio interno solo la fase iniziale di ricerca e la fase finale di commercializzazione. Tutto questo permette di mantenere stabili ed elvati i propri utili, di avere un basso indebitamento e poca necessità di cassa che può essere reinvestita per finanziare le imprese produttive delocalizzate.
Per molti analisti questo ha posto fine o comunque limitato il tipico ciclo degli utili dalla durata mediadi circa 4 anni mantenendo più stabili ed elevati gli utili delle aziende globali.

3)La valutazione dei mercati seppure elevata secondo i parametri storici viene giustificata dai bassi rendimenti obbligazionari che non risultano quindi competitivi nei confronti dei mercati azionari e sebbene i rapporti fondamentali classici siano elevati (P/E P/BV ecc.) vengono universalmente accettati.

4)Il flusso di liquidità derivante da tassi reali negativi e quindi accomodanti riduce la percezione del rischio e permette agli assett solitamente considerati più rischiosi di avere overperformance significative.
Sebbene nel corso del 2005 si siano sviluppate situazioni estremamente pericolose per la stabilità del mercato (fallimento Refco, crisi GM, scandali contabili di Fannie e Freddy) i mercati hanno preseguito nella compressione della volatilità e quindi nella riduzione del premio al rischio.

5)La liquidità prodotta dalla crescita degli assett piuttosto che dalla crescita produttiva rende inevitabilmente più ricchi i ricchi e più poveri i poveri concentrando le risorse finanziarie in sempre meno mani.
Fa parte di questa tendenza la concentrazione degli scambi degli indici USA in mano a pochi operatori.
I volumi di scambio effettuati sul nyse nel corso del 2005 sono controllati per oltre il 20% dai nyse member cioè dalle principali banche d'affari USA contro il 5% del 2000.

6)Questo lungo periodo positivo seguente ad una crisi finanziaria di notevoli proporzioni permette agli investitori di sviluppare una forte fiducia nell'operato delle banche centrali soprattutto USA nel mantenere l'equilibrio economico globale.

7)L'inversione della curva USA che nel passato ha sempre segnalato un possibile fenomeno recessivo in questo caso potrebbe essere un falso segnala a causa della contrazione artificiale della parte a lunga della curva causata dagli acquisti delle banche Asiatiche.

Per molti analisti questa situazione può perpetuarsi in considerazione della positività che essa emana a favore di tutte le componenti partecipanti

Io personalmente condivido l'interessante osservazione di Coxe:
"Questa sorta di triangolazione economica/finanziaria ricorda altre situazioni del passato quale ad esempio quella tra l'Inghilterra, gli Stati Uniti e l'Africa ai tempi dell'impero britannico.
Gli inglesi in cambio di rum o prodotti simili prendevano gli schiavi dall'Africa e li trasferivano negli Stati Uniti ma in cambio pretendevano che gli Stati Uniti importassero i prodotti dall'Inghilterra invece che produrli in loco.
Quersto trasferimento di ricchezza all'Inghilterra cessò quando la tratta degli schiavi venne abolita (o comunque limitata) e scoppiò la Rivoluzione Americana".

Il processo attuale ha anche esso delle criticità che ne potrebbero determinare prima o poi la fine in maniera più o meno cruenta:

1)Rivalutazione della valuta Cinese
2)Crisi sistemica del sistema manifatturiero Cinese pressato dal pricing power e dalle rivendicazioni salariali
3)Mancata accettazione nel mondo occidentale della plutonomia
4)Tensioni politiche/economiche tra i paesi coinvolti
ecc.
 

gipa69

collegio dei patafisici
In questo inizio anno postiamo ancora alcune considerazioni grafiche con punti di vista differenti...

Bradley model

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secondo anno del ciclo presidenziale...

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andamento dei mercati USA dopo un bear market (aggiornato a ottobre)


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WCA model di breve (per il resto guardatevi il sito...)

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Rinehart prevision....

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GIANNI 113

Nuovo forumer
Fugnoli

TRovo molto interessante il commento di Alessandro Fugnoli strategist di ABax Bank, che conosco e reputo il migliore macroeconomista in Italia.
Attenzione quindi al Bull market delle materie prime quale causa di un peggioramento del ciclo piuttosto che al rialzo dei tassi.E attenzione alle tensioni politiche latenti (Americalatina) piuttosto che a quelle sopravalutate dai mercati.
Cosa ne pensate?=
Gianni 113


GEOPOLITICA 12 gennaio 2006
Strangelove a Tehran, neocastristi ricchissimi. Il bull market delle materie prime gode ottima salute.
Benjamin Friedman di Harvard ha pubblicato in ottobre un libro su cui molto si è discusso, The Moral Consequences of Economic Growth. La tesi di Friedman è che una crescita economica sostenuta non stimola un materialismo rapace ma, al contrario, è un prerequisito per la creazione e la permanenza di società libere e aperte. La controprova sta nel fatto che le derive populiste, i peggiori totalitarismi o semplicemente le fasi di convulsione sociale e politica sono stati quasi sempre preceduti da periodi di stagnazione o di crisi economica.
Johnn Speed. Mappa Mundi. 1627.
E’ un discorso sostanzialmente corretto sul piano storico, ma è forse incompleto. Si può anche argomentare, infatti, che cicli di crescita troppo robusta e prolungata possono portare instabilità economica e politica se vanno a urtare contro il muro dell’esaurimento delle risorse, sia sotto forma di forza lavoro sia sotto forma di materie prime.
Come sottolinea Marc Faber, i bull market delle materie prime, termometro della loro scarsità, hanno storicamente portato a un aumento delle tensioni geopolitiche e sono spesso sfociati in conflitti militari. Le fasi di industrializzazione accelerata (si pensi alla Germania guglielmina e alla Cina di oggi) sono in questo senso particolarmente delicate, specialmente quando si tratta di industrializzazioni dall’alto, in cui la motivazione politica e la volontà di potenza si combinano con il desiderio di accumulazione.
La paura di rimanere tagliati fuori nella corsa alle materie prime può fare assumere alle classi dirigenti (anche democratiche) tratti paranoidi e stimolare
ansia e aggressività. Bisogna fare attenzione, tuttavia, a non riportare a oggi i comportamenti dell’Ottocento e pensare a una riedizione della politica delle cannoniere. Anche allora, del resto, la guerra era un’eccezione, mentre le manovre politiche, gli intrighi e i machiavellismi erano la regola. Si pensi all’atteggiamento delle potenze europee, in competizione tra loro, nei confronti dell’impero Ottomano e del suo petrolio. Blandizie, minacce, aiuti finanziari, tentativi di destabilizzazione, ma nessun intervento militare contro la Sublime Porta fino a quando questa non fece l’errore di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali.
Oltre al paradigma della politica delle cannoniere (che ritorna periodicamente quando si acutizzano le tensioni sino-americane su Taiwan e si ipotizza un blocco cinese delle petroliere dirette verso gli Stati Uniti) i mercati hanno il ricordo vivo del paradigma del 1973, per il quale il conflitto non è quello dei paesi consumatori tra di loro, ma quello tra produttori e consumatori. E’ il paradigma che vede per la prima volta i produttori come soggetto politico che somministra, attraverso l’embargo, uno shock da offerta ai consumatori.
Oggi, nel caso dell’Iran, i mercati adottano il paradigma del 1973, che però, a nostro avviso, presenta in questo caso alcuni limiti.
Proviamo ad azzardare alcune ipotesi. La strada diplomatica per convincere l’Iran a desistere dal farsi l’atomica richiederà molti mesi. Si pensi ai sei mesi che l’amministrazione Bush impiegò sull’Iraq per cercare una soluzione Onu tra l’autunno del 2002 e la primavera del 2003. Questa volta la posizione europea sarà forse meno distante da quella americana, ma la Cina, che ha stipulato con Tehran grossi contratti strategici per la fornitura di petrolio, porrà il veto a mozioni troppo dure, figuriamoci a soluzioni militari. Un intervento unilaterale americano, d’altro canto, sarebbe stato possibile se non ci fosse stato l’Iraq, ma l’Iraq c’è stato.
Resta l’ipotesi di un’azione chirurgica israeliana, peraltro difficile perché i siti iraniani sono ben difesi. In caso di attacco, la comunità internazionale, con una certa ipocrisia, prenderebbe le distanze, togliendo a Tehran almeno una parte della legittimazione per un embargo. Contro chi sarebbe, poi, un embargo iraniano? Non contro gli americani, che in Iran non estraggono nulla. Sarebbe per forza contro europei e cinesi, esattamente coloro che Tehran dovrebbe cercare di ingraziarsi per dividerli dagli Stati Uniti. E per che cosa sarebbe l’embargo? Che obiettivi politici avrebbe? Un embargo unilaterale iraniano, inoltre, impoverirebbe immediatamente l’Iran stesso.
Riesce anche difficile ipotizzare che gli americani bombardino i pozzi petroliferi iraniani, gestiti da compagnie europee e cinesi, proprio mentre devono cercare di tenere Cina e Europa contro Tehran.
Quanto all’idea di un embargo allargato all’Opec, come nel 1973, o comunque dei paesi produttori islamici, si sottovalutano le tensioni tra Islam sunnita e Islam sciita e quelle, parallele, tra Arabia Saudita e Iran, che si amano tra loro come i principi cattolici amavano i principi protestanti nell’Europa tra Cinquecento e Seicento.
Se dunque i mercati sopravvalutano (speriamo) i rischi immediati sull’Iran (così come da sempre sopravvalutano i rischi in Nigeria o in Corea del Nord),
di sottovalutazione si deve invece parlare per altre situazioni meno spettacolari, come Venezuela (petrolio) e Bolivia (gas).
Il castrismo degli anni Duemila è ricco e freddo tanto quanto era povero e caldo quello degli anni Sessanta. Chavez e Morales (se verrà eletto domenica) galleggiano su oceani di risorse naturali, sono perfettamente coordinati tra loro e perseguono una politica freddamente e ferocemente antiamericana che è però avvolta in un guanto di velluto. Senza rotture spettacolari, senza embarghi, senza folklore Chavez aumenta lentamente e continuamente le tasse alle compagnie straniere che lavorano in Venezuela. Non fa la sciocchezza di nazionalizzarle, preferisce coinvolgerle, fare loro spendere grandi fortune in infrastrutture petrolifere così da indurle a non andarsene facilmente e poi le strangola lentamente con royalties sempre più alte. Parallelamente, Chavez cerca di vendere sempre di meno agli Stati Uniti e sempre di più a Cina ed Europa. Con il ricavato Chavez spera di comprarsi l’Ecuador e il Perù, con un occhio all’Argentina, emarginando il mite (e non antiamericano) Lula, con il quale ha peraltro eccellenti rapporti commerciali nella siderurgia e nel petrolio.
Il mercato del greggio guarda giorno per giorno ai fattori meteo, alle scorte, alle piccole azioni dimostrative nel delta del Niger e specula sull’Iran. A livello strutturale, però, quello che tiene alto il prezzo, dal lato dell’offerta, è il continuo aumento dei costi produttivi e fiscali. Sale l’acciaio delle trivelle, salgono i costi di trasporto, si trivella in acque sempre più profonde e sotto ghiacci sempre più spessi in condizioni così proibitive che la manodopera va pagata a peso d’oro. Sale il costo del Caspio, raddoppia (per adesso) il costo di Sakhalin, il progetto più grande di tutti. Sale il costo delle licenze.
I mercati comprano giustamente titoli dell’energia perché in questo momento nuotano tutti nell’oro. Potendo scegliere, tuttavia, è meglio comperare i fornitori di infrastrutture piuttosto che i compratori. Meglio le società piccole e medie, che alla fine verranno tutte acquisite, piuttosto delle major che dovranno pagarle a peso d’oro. Meglio chi estrae in Africa e in Nord America (ex Golfo) di chi estrae in Medio Oriente o nel Golfo del Messico con i suoi uragani.
Meglio di tutti, vero oro da tesaurizzare in un mondo sempre più rischioso dove l’atomica se la faranno presto l’Egitto, l’Arabia Saudita e qualsiasi ricco dittatore di passaggio, meglio di tutti i titoli delle società che estraggono in Canada dalle immense oil sands dell’Alberta, oltretutto a costi decrescenti ogni anno che passa.
Come scrive Goldman Sachs, questa espansione (con l’annesso bull market azionario) non sarà frenata dalle banche centrali (terrorizzate dall’idea di un rialzo di troppo dei tassi) ma dalle materie prime.
Concludiamo con un’annotazione sul dollaro. In un articolo pubblicato ieri sul Financial Times, Martin Feldstein smonta la favola dell’America inondata da capitali privati, ripristina la verità di un’America inondata da capitali pubblici asiatici e sostiene che il differenziale d’interessi (favorevole al dollaro) è nulla rispetto a quello che il dollaro dovrà perdere anno dopo anno per anni e anni. Lo segnaliamo perché Feldstein non è un qualsiasi stimatissimo professore di Harvard, ma è stato con Bernanke il più probabile candidato alla successione di Greenspan.
Alessandro Fugnoli
 

alan1

Forumer storico
Il Cluster dell'altra settimana ha segnato un max,
c'è un cluster minore fra una settimana, vedremo se si correggerà fino lì.
 
alan1 ha scritto:
Il Cluster dell'altra settimana ha segnato un max,
c'è un cluster minore fra una settimana, vedremo se si correggerà fino lì.
ù

ciao alan, ti devo dire che leggo un gran volentieri i tuoi commenti sui mercati, non essendo troppo ferrato, mi fa un po' da riferimento, secondo me , ti dovrebbero dedicare perlomeno una via....o una piazza se vuoi

quelli di nextra, che ho interpellato un paio di volte, non ti dicono un tubo , sempre generici....

a proposito, cosa intendi di preciso quando parli di 'cluster' , sono i vari max della curva del grafico del mercato nel tempo?

e... cosa ne pensi del fatto che i bond L/T negli ultimi 4/5 mesi si siano mossi in parallelo all'azionario. è un puro caso, ho vi è un nesso fra i due mercati che il sottoscritto, da analfabeta non conosce?

tank you alan
 

alan1

Forumer storico
keruak ha scritto:
alan1 ha scritto:
Il Cluster dell'altra settimana ha segnato un max,
c'è un cluster minore fra una settimana, vedremo se si correggerà fino lì.
ù

ciao alan, ti devo dire che leggo un gran volentieri i tuoi commenti sui mercati, non essendo troppo ferrato, mi fa un po' da riferimento, secondo me , ti dovrebbero dedicare perlomeno una via....o una piazza se vuoi

quelli di nextra, che ho interpellato un paio di volte, non ti dicono un tubo , sempre generici....

a proposito, cosa intendi di preciso quando parli di 'cluster' , sono i vari max della curva del grafico del mercato nel tempo?

e... cosa ne pensi del fatto che i bond L/T negli ultimi 4/5 mesi si siano mossi in parallelo all'azionario. è un puro caso, ho vi è un nesso fra i due mercati che il sottoscritto, da analfabeta non conosce?

tank you alan


Il cluster si calcolano con vari metodi ciclici,
tendono ad identificare momenti temporali nei quali c'è un'alta possibilità che avvengano eventi grafici significativi,
quali top o bottom, o anche accelerazioni dei movimenti.


In un normale ciclo economico ci sono alcune fasi con mercato azionario e obbligazionario correlati, altre fasi non correlate, ed anche fasi con correlazione inversa.

Invece siamo ora dentro un ciclo economico definibile "fiacco",
ciò perchè gli stimoli tipici che muovono il ciclo (stimoli delle banche centrali) sono stati troppo progessivi e prevedibili, in mercato ha quindi scontato i principali movimenti con progressione.

Ciò ha modificato i tipici periodi del ciclo, addossandoli tutti insieme, e rendendo i vari mercati protagonisti del ciclo molto più correlati del solito tra loro.


Appena avrò tempo scriverò qualcosa sulla teoria del ciclo e si capirà meglio.
 

giomf

Forumer storico
Daee ha scritto:
Non so se posso scriverlo o se è la sede giusta, ma qua la vedono brutta un po' per tutto
Ci si iscrive ed è gratis l'ultimo report. Chiedono di non pubblicare copia in giro.
www.elliottwave.com/wave/freeSTU
Brutta...riguardo a cosa....?

Potresti dirci in sintesi cosa dicono ..evitandoci l' inglese e la registrazione al sito ...
 

gipa69

collegio dei patafisici
Premesso che Pretcher è molto negativo da diversi anni leggo sempre con interesse i suoi commenti.
In questo caso si tratta di un commento di breve sui mercati a cura di Hochberg che segnala la possibilità sugli indici USA di un top di diverse settimane/mesi.
Questa conclusione deriva da diverse considerazioni:
1)La congiunzione di pattern di prezzo e temporali che segnalano la possibilità di un top la settimana scorsa intorno ai 1292 di indice spx
2)Weekly momentum del DJIA in divergenza da due anni rispetto ad un prezzo che oscilla su questi valori dal gennaio del 2004.
3)Il DJIA ha chiuso sotto importanti supporti con l'RSi in ipervenduto non eccessivo
4)L'83,7% dei volumi di venerdì sono stati ribassisti
5)Forte spike della volatilità che ha comunque ancora della strada prima di segnare un bottom di breve.
 

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