Spike V
Forumer storico
di Marco Lillo e Vittorio Malagutti
Palazzi prestigiosi sfilati a banche e società quotate. Operazioni con prestanomi. E plusvalenze milionarie. Protagonisti: imprenditori come Stefanel e Benetton, manager, finanzieri. Un vorticoso giro d'affari. Con troppi conflitti d'interessi
Signore e signori, ecco a voi la bolla del mattone. Una bolla all'italiana. Piena di furbetti, furbastri, furboni. Ci sono manager, banchieri, grandi imprenditori, politici, uomini delle istituzioni. Tutti a scambiarsi case e palazzi. I pezzi migliori, naturalmente. Sfilati dal patrimonio di società quotate in Borsa con migliaia di piccoli azionisti o dal portafoglio dei fondi immobiliari. Facile, quando si gioca in casa. Facile, quando lo speculatore di turno si trova al crocevia di grandi affari e non resiste alla tentazione di prendersi qualcosa per sé. E i soldi? No problem. C'è sempre qualcuno pronto a far credito ai furboni d'Italia. Per loro le banche sono sempre aperte.
E così, in un'apoteosi del conflitto d'interessi, si scopre che una scelta compagnia di privilegiati è riuscita a cavalcare alla grande gli anni del boom accumulando patrimoni multimilionari. Ci sono case di gran pregio nei centri storici di Milano e Roma che passano di mano più volte nel giro di pochi mesi. Attici di lusso ceduti a prezzi stracciati. Immobili che rimbalzano da un proprietario all'altro a valori sempre crescenti. E a ogni passaggio il venditore intasca la sua bella plusvalenza.
Tutto scritto. Tutto nero su bianco nei documenti ufficiali che 'L'espresso' ha raccolto. Qui non c'entrano i furbetti doc, da Stefano Ricucci a Danilo Coppola. Quelli hanno ballato una stagione soltanto. In questa storia, invece, troviamo marchi prestigiosi come la Pirelli Real Estate, la più grande società immobiliare italiana controllata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Industriali come i Benetton e gli Stefanel. Un manager di lungo corso come Vito Gamberale. E poi gli uomini di punta della filiale italiana della Lehman, la banca d'affari Usa fallita nel settembre scorso. Così, poco alla volta, viene alla luce un complicato network di relazioni affaristiche, alcune davvero sorprendenti.
Affari in autostrada. Partiamo da Padova e dall'Antonveneta. Nel 2004, alla vigilia dell'ondata di cambiamenti che l'avrebbe sconvolta, dall'Opa di Gianpiero Fiorani alle indagini, dalla scalata spagnola all'arrivo del Monte Paschi, la banca patavina decide di vendere il proprio patrimonio immobiliare. Antonveneta allora era controllata da un gruppo di imprenditori, tra cui Giuseppe Stefanel, e poi da Benetton, dagli olandesi di Abn Amro e dal Lloyd Adriatico. Nel dicembre 2004 vengono cedute 160 unità immobiliari in tutta Italia per 140 milioni al gruppo Usa General Electric Real Estate. Appartamenti, negozi e sportelli bancari, ma soprattutto i palazzi di rappresentanza nei centri storici delle città. Ma gli americani di GE rivendono dopo pochi mesi. A chi? Mentre Fiorani e Abn Amro si contendono il controllo della banca, entro l'estate del 2005 il patrimonio approda nei portafogli di Benetton e Stefanel.
A Benetton va il gioiello della collezione: il complesso di negozi e appartamenti all'angolo tra piazza Venezia e via del Corso, a Roma. Mentre Stefanel paga 93,4 milioni di euro per 147 immobili sparsi in tutta Italia (con una plusvalenza per GE di una decina di milioni in sei mesi).
I palazzi di piazza Venezia transitano per una società intestata alla fiduciaria Finnat, che nello stesso giorno stipula il preliminare per vendere al medesimo prezzo (42,2 milioni) alla Piazza Venezia Srl di Gilberto Benetton, amministrata dalla figlia Sabrina (nipote di Luciano e cugina di Alessandro). A rileggerla oggi l'intera operazione appare come una spartizione del patrimonio della banca da parte di due soci autorevoli. C'è solo un palazzo che segue una strada diversa. Prima della vendita in blocco a GE Real Estate, una manina sfila lo stabile di via del Mancino, 50 metri da piazza Venezia a Roma, e lo vende a una società di Vito Gamberale. Ancora una volta si resta dalle parti di Ponzano Veneto.
Il manager in quel periodo era infatti amministratore della principale società del gruppo Benetton: Autostrade. Antonveneta ha finanziato pure l'acquisto del manager di Benetton con un mutuo da 1,5 milioni. Un'operazione che pare in conflitto di interessi, ma Vito Gamberale la difende così: "Benetton non c'entra. Mi ha proposto l'affare il mio architetto e quell'immobile era in condizioni pietose e ho pure dovuto alzare la mia offerta perché c'era un concorrente". Resta il fatto che Gamberale compra bene: 2,1 milioni di euro per un palazzetto di quattro piani per 600 metri quadrati in pieno centro. Dopo la ristrutturazione (costata 3,8 milioni) lo stabile è diventato un residence di lusso. Si chiama Dolce vita e con i suoi 12 appartamentini affittati a 200 euro al giorno vale almeno 10 milioni di euro.
Palazzi prestigiosi sfilati a banche e società quotate. Operazioni con prestanomi. E plusvalenze milionarie. Protagonisti: imprenditori come Stefanel e Benetton, manager, finanzieri. Un vorticoso giro d'affari. Con troppi conflitti d'interessi
Signore e signori, ecco a voi la bolla del mattone. Una bolla all'italiana. Piena di furbetti, furbastri, furboni. Ci sono manager, banchieri, grandi imprenditori, politici, uomini delle istituzioni. Tutti a scambiarsi case e palazzi. I pezzi migliori, naturalmente. Sfilati dal patrimonio di società quotate in Borsa con migliaia di piccoli azionisti o dal portafoglio dei fondi immobiliari. Facile, quando si gioca in casa. Facile, quando lo speculatore di turno si trova al crocevia di grandi affari e non resiste alla tentazione di prendersi qualcosa per sé. E i soldi? No problem. C'è sempre qualcuno pronto a far credito ai furboni d'Italia. Per loro le banche sono sempre aperte.
E così, in un'apoteosi del conflitto d'interessi, si scopre che una scelta compagnia di privilegiati è riuscita a cavalcare alla grande gli anni del boom accumulando patrimoni multimilionari. Ci sono case di gran pregio nei centri storici di Milano e Roma che passano di mano più volte nel giro di pochi mesi. Attici di lusso ceduti a prezzi stracciati. Immobili che rimbalzano da un proprietario all'altro a valori sempre crescenti. E a ogni passaggio il venditore intasca la sua bella plusvalenza.
Tutto scritto. Tutto nero su bianco nei documenti ufficiali che 'L'espresso' ha raccolto. Qui non c'entrano i furbetti doc, da Stefano Ricucci a Danilo Coppola. Quelli hanno ballato una stagione soltanto. In questa storia, invece, troviamo marchi prestigiosi come la Pirelli Real Estate, la più grande società immobiliare italiana controllata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Industriali come i Benetton e gli Stefanel. Un manager di lungo corso come Vito Gamberale. E poi gli uomini di punta della filiale italiana della Lehman, la banca d'affari Usa fallita nel settembre scorso. Così, poco alla volta, viene alla luce un complicato network di relazioni affaristiche, alcune davvero sorprendenti.
Affari in autostrada. Partiamo da Padova e dall'Antonveneta. Nel 2004, alla vigilia dell'ondata di cambiamenti che l'avrebbe sconvolta, dall'Opa di Gianpiero Fiorani alle indagini, dalla scalata spagnola all'arrivo del Monte Paschi, la banca patavina decide di vendere il proprio patrimonio immobiliare. Antonveneta allora era controllata da un gruppo di imprenditori, tra cui Giuseppe Stefanel, e poi da Benetton, dagli olandesi di Abn Amro e dal Lloyd Adriatico. Nel dicembre 2004 vengono cedute 160 unità immobiliari in tutta Italia per 140 milioni al gruppo Usa General Electric Real Estate. Appartamenti, negozi e sportelli bancari, ma soprattutto i palazzi di rappresentanza nei centri storici delle città. Ma gli americani di GE rivendono dopo pochi mesi. A chi? Mentre Fiorani e Abn Amro si contendono il controllo della banca, entro l'estate del 2005 il patrimonio approda nei portafogli di Benetton e Stefanel.
A Benetton va il gioiello della collezione: il complesso di negozi e appartamenti all'angolo tra piazza Venezia e via del Corso, a Roma. Mentre Stefanel paga 93,4 milioni di euro per 147 immobili sparsi in tutta Italia (con una plusvalenza per GE di una decina di milioni in sei mesi).
I palazzi di piazza Venezia transitano per una società intestata alla fiduciaria Finnat, che nello stesso giorno stipula il preliminare per vendere al medesimo prezzo (42,2 milioni) alla Piazza Venezia Srl di Gilberto Benetton, amministrata dalla figlia Sabrina (nipote di Luciano e cugina di Alessandro). A rileggerla oggi l'intera operazione appare come una spartizione del patrimonio della banca da parte di due soci autorevoli. C'è solo un palazzo che segue una strada diversa. Prima della vendita in blocco a GE Real Estate, una manina sfila lo stabile di via del Mancino, 50 metri da piazza Venezia a Roma, e lo vende a una società di Vito Gamberale. Ancora una volta si resta dalle parti di Ponzano Veneto.
Il manager in quel periodo era infatti amministratore della principale società del gruppo Benetton: Autostrade. Antonveneta ha finanziato pure l'acquisto del manager di Benetton con un mutuo da 1,5 milioni. Un'operazione che pare in conflitto di interessi, ma Vito Gamberale la difende così: "Benetton non c'entra. Mi ha proposto l'affare il mio architetto e quell'immobile era in condizioni pietose e ho pure dovuto alzare la mia offerta perché c'era un concorrente". Resta il fatto che Gamberale compra bene: 2,1 milioni di euro per un palazzetto di quattro piani per 600 metri quadrati in pieno centro. Dopo la ristrutturazione (costata 3,8 milioni) lo stabile è diventato un residence di lusso. Si chiama Dolce vita e con i suoi 12 appartamentini affittati a 200 euro al giorno vale almeno 10 milioni di euro.