A Bruxelles si parla del nulla ma esiste un’agenda parallela: perché sui mercati già scavano trincee
Di
Mauro Bottarelli , il 28 giugno 2018
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Cosa decideranno al Consiglio UE in corso a Bruxelles? Francamente, non me ne frega un cazzo. Sarà la solita pagliacciata e, alla fine, se si vorrà evitare ondate sgradite (a tutti) di migrazioni, toccherà pagare. I libici, la Turchia, il Niger. Salcazzo chi altro ma è l’unica via. Perché se anche l’Italia terrà duro con la linea dei porti chiusi, se Tripoli o Tobruk non fanno qualcosa, ci ritroveremo con il Mediterraneo ridotto a una zuppa di bagnarole cariche di persone. E al primo incidente, al primo ferito, al primo morto, addio linea dura. E’ inutile che ci prendiamo per il culo, sappiamo tutti che è così. Quindi decidano un po’ il cazzo che vogliono. Tanto, le uniche due cose davvero importanti su cui si è presa una decisione, le si è sapute prima ancora che tutti i leader arrivassero nella capitale belga.
Ovvero, Budget europeo uscito dal programma del Consiglio e utilizzo dell’ESM per finanziare il fondo di risoluzione bancario.
Quindi, tradotto: le cose importanti le decideranno i soliti direttori privati e gli accordi di potere bilaterali e, soprattutto,
sta arrivando un’ondata di merda destinata a sommergerci peggio che nel 2008. Quindi, meglio parare il culo alle banche. Ovviamente, non a tutte.
Ormai è corsa contro il tempo e, come vi dicevo, qui rischiamo doppio in vista della fine del QE, ammesso e non concesso che mai avvenga, almeno nei termini prospettati da Mario Draghi a Riga.
Primo,
le banche – come certificato dalla BRI –
sono stracariche di merda nei bilanci, assortimento che va dai titoli di Stato a rischio a un vaghissimo utilizzo del leverage che potrebbe risultare fatale, il tutto a fronte di una riattivazione del meccanismo di credito verso l’economia reale praticamente a zero. E questi due grafici,
c
i mostrano che la dinamica è destinata a peggiorare, proprio facendo riferimento al comparto corporate europeo e alla fine di quella pacchia chiamata CSPP, ovvero l’ampliamento della platea di bond eligibili all’acquisto da parte della BCE anche al ramo aziendale, di fatto un bypassaggio del finanziamento per via tradizionale, ovvero bancario. Qual è il problema?
Il solito, cioè che dal dito si è passati al braccio e poi alle gambe.
Ed ecco che hanno emesso cani e porci a badilate, tanto che oggi ci ritroviamo con circa 800 miliardi di bond con rating BBB non finanziari a fronte di un mercato dell’alto rendimento europeo con un controvalore di 285 miliardi.
Due volte e mezzo, una ratio che non si vedeva dal 2008. Bell’annata, se ricordate.
E perché tutto questo?
Semplice, con la BCE che ha reso i costi delle emissioni obbligazionarie alla portata di tutti, ecco che proprio tutti si sono messi a emettere come pazzi, unendosi alla grande festa del mark-to-salcazzo.
Il problema, ora, è un po’ più che potenziale e ipotetico: perché in tempi di mercato europeo dell’high yield che comincia a contrarsi, ci troviamo con un esercito di potenziali “fallen angels”, ovvero bond sulla soglia dell’alto rendimento, che potrebbero causare un grosso mal di stomaco da congestione al mercato, sufficiente a procurare un bel blocco intestinale.
Il tutto, senza più gli acquisti onnivori e senza rating della BCE. Capito perché, al netto dei guai borsistici di giganti come Deutsche Bank o del portafoglio titoli di Stato delle banche francesi, si è ben pensato di utilizzare l’ESM come backstop per il sistema bancario?
Ma non pensiate che sia solo questione europea. Anzi. Questi grafici
ci mostrano come, udite udite, nel loro ultimo studio addirittura
quei rincoglioniti senza redenzione dell’FMI si siano resi conto che a livello globale c’è un vaghissimo problema legato al debito ad alto rendimento, addirittura arrivando a conclusioni da candidatura al Nobel per l’economia come questa
: “Più alto il livello del debito ad alto rendimento, più alto il rischio finanziario”. Non so voi ma io sono commosso: di fronte a tanta geniale arguzia, a tanta capacità di leggere con anticipo le dinamiche, non si può che levarsi il cappello. Per chiedere l’elemosina, perché a occhio e croce il rischio è di finire così.
Ovviamente, sul medio termine. Forse anche sul lungo, perché non scordiamoci mai l’arma segreta delle Banche centrali: calciare in avanti il barattolo, sperando in un miracolo.
O una guerra, ipotesi più probabile. E, soprattutto, ottenibile a tavolino. Nel frattempo, godiamoci il capolavoro degli antesignani di ogni mark-to-salcazzo globale, eccolo:
a furia di acquistare ETF, infatti, la Bank of Japan oggi è uno dei primi dieci azionisti di oltre il 40% delle aziende giapponesi quotate, per l’esattezza di 1.446 su 3.735, stando a dati Nikkei al 31 marzo. E non basta, perché come vedete,
la stessa istituzione monetaria di Tokyo detiene anche il 42% di tutti i bond sovrani del Giappone! In un mondo così, chi ha bisogno di un bravo trader? Basta non andare contrarian alla Banca centrale e il miracolo centralista-statalista dei mercati sempre in rialzo per legge diviene realtà, la “price discovery” è una pratica del passato come la caccia con arco e frecce! Unicorni per tutti, non c’è rischio di farsi male!
E, in effetti, ad oggi nessuno è così stronzo da andare a vedere il bluff di un player che da solo muove mezzo mercato,
il problema si porrà quando le promesse di tapering – sia della FED che della BCE – dovranno diventare realtà, ovvero quando Mario Draghi sarà costretto a passare dagli annunci ai fatti e, soprattutto, quando la Banca centrale USA smetterà di poter contare sull’impulso creditizio cinese e comincerà a fare i conti con la realtà. Già, perché al netto di metà delle Borse emergenti in “bear market” e l’altra metà in correzione, la rogna maggiore arriva proprio dalla Cina, quantomeno come segnale. Primo, questo,
ovvero il fatto che in un Paese dove non filtra nemmeno una scoreggia se il governo non vuole, casualmente salta fuori un documento riservato che dice chiaro e tondo come stiano per partire cazzi finanziari della magnitudo di uno tsunami, ovviamente legati all’indebitamento da schema Ponzi che caratterizza il paradiso del capitalismo centralizzato (anche se, avanti di questo passo, il Giappone è destinato a spodestare Pechino senza pietà dal gradino più alto del podio). Bruttissimo segno.
Secondo, il fatto che il governo cinese sarebbe intenzionato ad arrivare addirittura a un bando sulle vendite di bond denominati in dollari con durata inferiore a un anno.
Il perché è presto detto ed è legato al comparto più strategico ma anche sistemico e delicato dello
schema Ponzi cinese, quello immobiliare. Grazie al dollaro relativamente debole e stabile degli scorsi anni, infatti,
i costruttori cinesi si sono indebitati come cani malati in dollari, peccato che oggi il rafforzamento della divisa USA determinato dalla politica della FED e il contemporaneo indebolimento dello yuan anche per l’attività di svalutazione della Banca centrale cinese (PBOC) stanno facendo lievitare il carico debitorio di quei soggetti verso livelli insostenibili, ovvero innescando il rischio di una catena di default. Tanto più che, come mostra questo grafico,
i costruttori cinesi hanno venduto qualcosa come oltre
10 miliardi di dollari di notes con maturazione inferiore a un anno. Di fatto, se passerà la draconiana riforma governativa, moltissimi soggetti del comparto vedranno sparire la principale fonte di rifinanziamento e si ritroveranno impossibilitati al roll-over: come impatterà tutto questo sul mercato azionario (6,8 trilioni di market cap), con Shanghai già a -22,8% da inizio anno?
Pechino sta “stimolando” un deleverage tale da permetterle di lanciare il suo QE ufficiale, quello alluvionale sulla cui prospettiva stanno sperando tutte le altre Banche centrali? Di fatto, è questo il miracolo che si attende, mentre si calcia avanti il barattolo, in Europa come negli USA come in Giappone? Se è così, auguroni. In compenso, vedrete che supereremo il Trattato di Dublino. Ne sono certo.
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