Libia – e’ ayesha gheddafi il nuovo leader della resistenza contro nato e isis (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Obama: in Libia abbiamo sbagliato, Regno Unito e Francia alleati “scrocconi” degli Usa

ESTERI, NEWS giovedì, 10, marzo, 2016
Barack Obama critica David Cameron e Nicolas Sarkozy per l’operazione in Libia contro Gheddafi nel 2011 inserendo, per questo brutto capitolo, Regno Unito e Francia tra gli alleati “scrocconi” degli Usa.

Il leader Usa dice che il Paese nordafricano è “nel caos” e definisce un “errore” il suo sostegno all’intervento Nato, dovuto all’erronea convinzione che Londra e Parigi si sarebbero presi una maggiore responsabilità nella gestione post militare.
Ma Cameron, afferma Obama in una intervista all’Atlantic magazine, fu distratto da altre questioni mentre Sarkozy “voleva strombazzare la sua partecipazione alla campagna aerea nonostante il fatto che avevamo spazzato via tutte le difese aeree”.
“Quando torno indietro e mi chiedo cosa è andato storto, c’è spazio per le critiche perché avevo più fiducia che gli europei, data la vicinanza alla Libia, investissero nel follow-up (assistenza)”.
Obama ritiene che gli Usa abbiano eseguito quel piano “al meglio di quanto potevo aspettarmi: abbiamo ottenuto un mandato Onu, costruito una coalizione, costataci un miliardo di dollari, che non è molto quando affronti operazioni militari. Abbiamo evitato vittime civili su larga scala, prevenuto quello che quasi sicuramente sarebbe stato un conflitto civile prolungato e sanguinario”.
“E nonostante tutto ciò, la Libia è un caos”, ammette Obama, riconoscendo che il piano di intervento, suggerito dal suo entourage, compresa Hillary Clinton, “non ha funzionato”. Gli Usa pagarono l’intervento anche con l’attacco alla loro ambasciata a Bengasi nel quale rimasero uccisi quattro americani, tra cui l’ambasciatore.
I motivi dell’intervento Usa – Ma perché Washington decise di invischiarsi in Libia vista la reticenza del presidente a farsi coinvolgere militarmente quando la sicurezza nazionale non è minacciata direttamente? “L’ordine sociale in Libia era andato in fumo”, risponde Obama, facendo riferimento alla situazione di allora. “L’opzione numero uno era non fare nulla e c’era qualcuno nell’amministrazione che disse che non era un nostro problema per quanto la situazione libica fosse tragica. Il modo a cui guardai alla situazione allora fu che sarebbe diventato un nostro problema se fossero esplosi in Libia un caos totale e una guerra civile”.


Le divisioni interne nel Paese – Obama punta poi il dito anche contro dinamiche interne alla nazione nordafricana: “Il grado di divisione tribale in Libia si è rivelato maggiore di quanto i nostri analisti si attendessero e la nostra capacità di avere delle strutture in loco per avviare attività di training e per fornire risorse è venuta rapidamente meno”. La Libia insomma ha dimostrato come gli Usa debbano evitare il Medio Oriente: “Non dovremmo impegnarci a governare il Medio Oriente e il Nord Africa”, ha detto recentemente Obama a un senatore. “Sarebbe un errore di base”, ricorda l’Atlantic.
Insomma, gli Usa “non devono essere sempre quelli che stanno in prima linea”. E in Libia “l’ironia è che, proprio per evitare che gli Stati europei e arabi ci tirassero per la giacca mentre portavamo avanti la lotta abbiamo insistito che, per definizione,” fossero loro a guidare la missione per rimuovere Gheddafi. tgcom24
 

tontolina

Forumer storico
Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà: Washington e Londra tifano per una nuova Somalia

Categoria: News Internazionali
Pubblicato: 19 Dicembre 2015
Letture: 2652
Nel resort marocchino di Skhirat è stato firmato il 17 dicembre l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico: il documento, non ratificato dai parlamenti di Tobruk e di Tripoli ha il valore della carta straccia ed il nuovo esecutivo patrocinato dagli angloamericani attraverso l’ONU ha l’unico scopo di chiedere un intervento militare internazionale in Libia. Washington e Londra non hanno alcun desiderio di pacificare il Paese e lavorano per la propagazione dell’ISIS nell’intero Nord Africa: come in Siria, Ankara e Doha collaborano introducendo i miliziani e contrabbandando petrolio. Solo l’Egitto e la Russia hanno l’interesse ad evitare l’implosione dell’ex-colonia italiana, mentre una coalizione internazionale a guida ONU la trasformerebbe in una nuova Somalia.

Un accordo di facciata, per coprire le vere intenzioni di Londra e Washington
Ha il sapore di una stanca riproposizione di un film già visto e rivisto, della messa in onda di un programma trito e ritrito, lo spettacolo proiettato il 17 dicembre nelle sale del resort di Skhirat, località balneare della Marocco bene: dopo mesi di estenuanti trattative è firmato l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico, presieduto dal premier Faiez Al-Serraj.
.........
.........
........
Lo Stato islamico qui in Libia è ancora giovane. Abbiamo bisogno di ogni musulmano che può venire, soprattutto medici, personale amministrativo e giudiziario, oltre ai combattenti. La Libia è una porta sul deserto africano che apre a diversi Paesi . E il controllo dello Stato islamico su questa regione porterebbe al crollo economico l’Italia e tutti gli altri Stati europei.”

La strategia di destabilizzazione angloamericana, camuffata da operazioni mediatiche come il recente accordo per la nascita di un improbabile governo d’unità nazionale, ha nel mirino l’intero Nord Africa. Gli unici attori interessati a soffocare anziché alimentare il caos sono violentemente osteggiati da Londra, Washington e Tel Aviv: stiamo parlando dell’Egitto del generale Abdel Fattah Al-Sisi e l’esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar.

L’asse russo-egiziano, unica soluzione per evitare una nuova Somalia
Alla destabilizzazione del Nord-Africa e del Levante poggiante su forze islamiste-rivoluzionarie, sostenuta dagli angloamericani, francesi, israeliani ed autocrazie sunnite, si è opposta la strategia di consolidamento dello Stato e di lotta al terrorismo poggiante su forze nazionaliste-laiche, capeggiata dalla Russia e dagli alleati regionali, primo fra tutti l’Egitto del generale Al-Sisi.

Il crescente attivismo dell’ISIS nella penisola del Sinai ed i continui attentati contro l’industria turistica, sono infatti tentativi occidentali di mettere a sua volta in ginocchio il Cairo, portandone al collasso l’economia: per risposta il nuovo presidente egiziano ha rinsaldato ancora di più i rapporti con Mosca, firmando l’intesa per la costruzione della prima centrale nucleare sul suolo egiziano con tecnologia russa 21.

L’asse egiziano-russo si proietta anche nella vicina Libia, dove il Cairo sostiene apertamente il governo nazionalista-laico di Tobruk ed il generale Khalifa Haftar, nominato nel febbraio del 2015 a capo delle forze armate libiche. In più occasioni il premier Abdullah al-Thani sollecita l’intervento di Mosca nel convulso teatro libico, da ultimo il 2 dicembre quando dichiara che il esecutivo di Tobruk è pronto a trattare “al più alto livello” un’operazione congiunta tra le forze armate russe e l’esercito nazionale guidato da Haftar22.

Per reazione gli angloamericani si adoperano in ogni modo per screditare l’ex-alto ufficiale di Gheddafi. “Haftar, il generale che piace al governo di Tobruk e che americani e inglesi non vogliono” scrive La Stampa nel febbraio del 201523, descrivendo l’ostilità che gli angloamericani verso il generale e i timori nutriti a Tobruk che Washington e Londra vogliano sbarazzarsene, per installare un fantoccio, “un Karzai libico”, così da gestire a piacimento il Paese in alleanza con gli islamisti.

Il 2 novembre del 2015, nelle ultime fasi dei negoziati, appare su La Repubblica l’articolo “Mattia Toaldo: Così Haftar cerca di sabotare il piano Onu24 dove il ricercatore del European Council on Foreign Relations, l’ennesimo pensatoio creato per indirizzare la politica secondo i desiderata di Londra e Washington, insinua che il generale Haftar sia il principale ostacolo al buon esito delle trattative ed addirittura una minaccia per gli interessi dell’Italia: in verità i nostri servizi segreti, al contrario, collaborano da mesi proprio con Haftar25.

I timori del governo di Tobruk si materializzano: il generale Haftar è escluso dal nascente governo d’unità nazionale, gli islamisti di Tripoli ottengono un riconoscimento formale e come premier è scelto Faiez Al-Serraj, inviso allo stesso parlamento di Tobruk da cui è uscito e manovrabile a piacimento dagli USA. Il fatto che Haftar sia stato emarginato e che le fazioni islamiste abbiano ottenuto la legittimazione, trasforma l’accordo firmato in Marocco il 17 in un inutile pezzo di carta, utile solo agli angloamericani a proseguire la loro politica di destabilizzazione.

Mentre infatti continuano a convergere verso la Libia i miliziani dell’ISIS, si attende che il nascente esecutivo di Faiez Al-Serraj, privo di qualsiasi reale legittimazione, chieda un intervento militare straniero in Libia, ipotesi violentemente avversata più volte da Tripoli e Tobruk26. “Britain hopes to send hundreds of troops to Libya after peace deal” titola il 17 dicembre The Guardian27, asserendo che Londra aspetta con ansia l’invito a dispiegare fino a mille militari in Libia, mentre il The Times ipotizza già una missione a guida italiana, forte di 6.000 unità, per addestrare e sostenere le forze di sicurezza libiche28.

Sembra di assistere alla riproposizione di un film già visto in Somalia nel 1991: gli angloamericani rovesciano il presidente filo-italiano Mohammed Siad Barre, il Paese precipita nel caos, a quel punto intervengono le Nazioni Unite (la Unified Task Force a guida americana cui partecipano italiani, inglesi, francesi, etc. etc.), la missione termina con un clamoroso fallimento e dopo quasi 25 anni il Paese del Corno d’Africa è ancora dilaniato dalla guerra civile. Il Regno Unito però ne approfitta, lavorado assiduamente per la secessione della ex-Somalia inglese (Somaliland) di cui cerca di sfruttarne le risorse petrolifere29 violando i divieti ONU alla ricerca ed all’estrazione di greggio.

Anziché progettare un disastroso intervento militare nella nostra ex-colonia, come sta già purtroppo avvenendo (il consigliere militare dell’ONU per la Libia è il generale Paolo Serra, formato negli USA come tutti gli alti ufficiali del nostro esercito), l’Italia dovrebbe ricordare l’esperienza della Somalia degli anni ’90: sostenere le iniziative degli angloamericani, interessati a fomentare il caos ed alimentare le spinte centrifughe, comporta solo rischi e danni, potenzialmente enormi in termini economici, umani e di immagine agli occhi del mondo arabo, senza alcun nessun beneficio. Il fenomeno dei signori della guerra e del terrorismo islamico esplode in Somalia dopo l’intervento della Nazioni Unite, che si ritirano nel 1995 lasciando il Paese in preda al caos. “The Lessons of Somalia: Not Everything Went Wrong” titolava allora Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations: gli angloamericani sfruttano infatti l’occupazione della Somalia per inoculare i batteri da cui germineranno nel giro di pochi anni i futuri capi di Al Qaida e la Somalia è ancora oggi fonte di destabilizzazione per l’intero Corno d’Africa.

Mogadiscio è un monito ad evitare qualsiasi avventura simile.

C’è un’alternativa? Certo, è quella di agire congiuntamente con il governo di Tobruk, l’Egitto e la Russia: armando l’esercito nazionale libico e fornendogli copertura aerea, è possibile sconfiggere i miliziani dell’ISIS e debellare la minaccia islamista, senza mettere uno stivale a terra. L’intervento militare russo in Siria dimostra che l’azione congiunta di una potente forza aerea straniera e di un esercito nazionale che combatte al suolo è risolutiva.

Oserà mai l’Italia di Matteo Renzi giocare l’unica carta vincente, ossia quella russo-egiziana?

È quasi impossibile, nonostante i saltuari ammiccamenti a Mosca ed al Cairo, perché il margine di manovra dell’esecutivo italiano è limitatissimo. Come dimostrano i recenti fatti relativi alla Banca Etruria ed al disastroso salvataggio degli istituti di credito, l’ex-sindaco di Firenze non resisterebbe 24 ore sotto il fuoco di uno scandalo mediatico-giudiziario che Washington può innescare a piacimento. Ecco perché è sempre più concreto l’intervento militare italiano in Libia, che trasformerà la Quarta Sponda in una Somalia a due passi dalla Sicilia.

Dato il contesto generale, potrebbe essere l’ultima scellerata azione del marcescente establishment italiano.

Federico Dezzani (Fonte)

Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà: Washington e Londra tifano per una nuova Somalia
 

tontolina

Forumer storico
e » politica » Corsa al petrolio libico, mappe e grafici sulla crisi
Corsa al petrolio libico, mappe e grafici sulla crisi

Serraj chiede aiuto per difendere i pozzi petroliferi dall'Isis. L'Italia tentenna. Francia e Gran Bretagna si preparano. Il caos spiegato con le infografiche.


di Alberto Bellotto

02 Maggio 2016

L'arrivo del nuovo premier Fayez Mustafa al-Serraj era solo l'inizio.
L'insediamento del nuovo esecutivo a Tripoli ha probabilmente aperto una nuova fase nel complicato scacchiere libico.
APPELLO PER SALVARE I POZZI. Il 25 aprile 2016 Serraj ha fatto appello alla comunità internazionale per salvare i pozzi petroliferi del Paese dalla minaccia dell'Isis.
Il G5 (Stati Uniti, Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna) ha riposto positivamente e non poteva essere altrimenti, soprattutto quando in ballo c'è l'oro nero.
E poco importa se la produzione è lontana dai ritmi pre-rivoluzione.

Corsa al petrolio libico, mappe e grafici sulla crisi
  • Le zone in cui è divisa la Libia: a Ovest il governo di Serraj e a Est quello di Tobruk. Al centro l'Isis che minaccia gli impianti petroliferi.
 

tontolina

Forumer storico
Libia:


La vera notizia, però è quella della liberazione del secondogenito di Gheddafi, Saif el Islam, tenuto da anni prigioniero in attesa di una condanna a morte o dell’estradizione verso il tribunale dell’Aja.

La notizia della sua liberazione, che sarebbe avvenuta addirittura il 12 aprile scorso viene smentita dalle autorità locali, mentre viene confermata dal suo avvocato, da al Jaazera e da diverse milizie locali, che lo avrebbero aiutato a scappare.

Vedremo, intanto ricordo a tutti che il buon Saif, mutilato durante la cattura, incarcerato per cinque anni e condannato a morte, dopo aver visto padre e fratelli uccisi dal nemico, è una figura particolare.

Pieno di odio potrebbe venir visto bene da parecchie fazioni , che amano quel tipo di rivincita familiare, che, anzi, è una tradizione nel mondo arabo, dove viene idolatrata la figura del figlio che prende le armi per uccidere gli assassini del padre.

Mondo dei Pazzi: Ucraina, Turchia, varie ed eventuali. - Rischio Calcolato
 

tontolina

Forumer storico

tontolina

Forumer storico
Libia, Obama: "Continueremo a bombardare l'Is senza sosta e su tutti i fronti"
La Repubblica - ‎12 ore fa‎

Libia, Obama: "Continueremo a combattere l'Is senza sosta e su tutti (afp) NEW YORK - “Per distruggere lo Stato islamico stiamo conducendo i raid aerei più precisi della storia militare”, dice Barack Obama, spiegando anche in una conferenza stampa al ...

Il lato oscuro della Clinton
Da qualche settimana, Washington Post e New York Times stanno raccontando, con dovizia di particolari, le “imprese” libiche della candidata alla presidenza Usa Hillary Clinton. Ci sarebbe lei, infatti, dietro l’intervento in Libia del 2011.


La notte del 14 marzo del 2011 non è una notte come tutte le altre. La Clinton è a Parigi. Tutto ormai è buio e l’aereo con a bordo Mahmoud Jibril, uno dei principali leader della rivolta libica, sembra non voler arrivare. È un incontro importante non solo per la storia americana, ma anche per quella mondiale. Una nuova guerra è alle porte. Jibril comprende che per convincere Obama a portare la guerra in Libia è necessario convincere la Clinton. Riuscirà nel suo intento e farà sprofondare la Libia nel caos, come nota anche il New York Times: “Oggi la Libia pone una minaccia sproporzionata alla sicurezza della regione, tanto da domandarsi se l’intervento, anziché scongiurare una catastrofe umanitaria, non abbia semplicemente contribuito a crearne una di diversa natura. Il saccheggio, durante l’intervento, dei vasti arsenali di armi del colonnello ha alimentato la guerra civile siriana, rafforzato gruppi terroristici e criminali dalla Nigeria al Sinai, e destabilizzato il Mali. Un crescente traffico di esseri umani ha indotto 250mila rifugiati a spingersi verso Nord e attraversare il Mediterraneo, e centinaia sono morti annegati”. A ciò deve essere aggiunto anche il dilagare dello Stato islamico in Libia.

Passa un mese e la Clinton e Jibril si incontrano nuovamente. Questa volta a Roma. Un incontro lunghissimo: oltre un’ora. Jibril spinge per l’intervento e dipinge un futuro radioso per la Libia: elezioni, libertà di stampa e di pensiero. La Clinton ne è entusiasta. Mai profezia fu più sbagliata.

Il volto nuovo della Libia è tumefatto da mille ferite, proprio come quello del colonnello Gheddafi, brutalmente ucciso nell’ottobre del 2011. L’ira dei ribelli è tutta rivolta contro di lui: calci, pugni e botte. “Venimmo, vedemmo ed è morto”, queste le parole – secondo il New York Times, pronunciate dalla Clinton, che subito organizzò la sua marcia trionfale in Libia.
 

tontolina

Forumer storico
Con le milizie anti-Isis verso Sirte
«Usa e Francia in guerra tra loro»
Proteste a Misurata: «L’Occidente vuole spartirsi la torta libica», «Raid troppo limitati»
Ma i miliziani che combattono al fronte chiedon
o aiuto a tutti, «italiani inclusi»

Difficile fare le cose giuste nella Libia prostrata, destabilizzata e litigiosa del dopo Gheddafi. Qualsiasi posizione si prenda, qualsivoglia azione alla ricerca del consenso per la pacificazione nazionale si metta in pratica, ci sarà sempre una parte cospicua delle infinite tribù e fazioni in cui è diviso il Paese che per motivi diversi si opporrà nel modo più determinato.

Le proteste di Misurata
Ne è la riprova la visita a Misurata, cinque giorni dopo l’inizio dei bombardamenti americani contro Isis asserragliato 240 chilometri più a est nella sua roccaforte di Sirte. A rigor di logica, verrebbe da pensare che proprio qui gli applausi alla scelta di Barack Obama dovrebbero essere più fragorosi. Passi che si opponga con durezza Khalifa Haftar, l’uomo forte di Tobruk grande nemico del premier Fayez Serraj, che da Tripoli si propone come il leader dell’unificazione con il sostegno delle Nazioni Unite. Ed è scontato non la gradiscono gli ex pro-Gheddafi o i fondamentalisti islamici. Ma come si spiegano i sentimenti anti-americani raccolti così numerosi tra diversi capi di quelle stesse milizie locali che più di tutte sono impegnate nella lotta contro Isis a Sirte?



Gli alleati di Serraj
«Sappiamo bene che il Califfato è il prodotto originario della politica Usa in Iraq. E noi oggi ne paghiamo le conseguenze anche in Libia. Sono mesi che ci dissanguiamo a Sirte. Adesso Obama decide di intervenire per motivi di politica interna in vista delle elezioni americane. E comunque i suoi bombardamenti sono limitati, poca roba, pochi attacchi mirati. Una media di due o tre raid ogni 24 ore, dove vengono sparati non più di una quindicina tra missili e bombe alla volta», sostiene il 42enne Anwar Sawan, uno dei leader della resistenza della città contro le truppe di Gheddafi nel 2011, che oggi coordina le milizie municipali dal suo quartier generale-abitazione presso le dune sabbiose che dominano il porto di Misurata.

Sawan incarna lo spirito conservatore islamico della regione a metà strada tra la molto più laica Tripolitania e la religiosissima Cirenaica. In pochi anni la società locale si è radicalmente trasformata: da centro commerciale aperto al mondo e in competizione con Tripoli ad un luogo molto più chiuso, quasi immobile, dove pochissime donne lavorano, non si vedono quasi più nei luoghi pubblici e le rare sono coperte dal velo integrale. Lui e i suoi uomini hanno letteralmente salvato Serraj quando, appena dopo il suo controverso approdo al porto militare di Tripoli alla fine del marzo scorso, sembrava potesse venire ributtato a mare da un momento all’altro. Ma il prezzo per il premier è stato alto: lasciando più spazio e potere alle milizie di Misurata si è giocato la fedeltà di molte tra quelle di Tripoli, Zintan, del Fezzan e di quelle a Bengasi e Tobruk che potevano scegliere di stare dalla sua parte.


Le manifestazioni in piazza
E tuttavia anche questo non è bastato. «Serraj è un burattino degli americani. Ora si è messo nelle loro mani. Il grave è che la comunità occidentale è divisa.
Gli americani stanno con Tripoli

e i francesi con Tobruk.
Si fanno la guerra tra loro per la divisione della torta libica.
Voi italiani fareste bene a stare ben defilati», ci diceva ieri sera rabbiosa Naja Abdallah, un’attivista legata al fronte delle forze religiose di Bengasi e Tripoli venuta alla piccola manifestazione «contro Serraj, contro Haftar e contro gli americani» che si è tenuta a «Piazza dei Martiri» nel centro di Misurata. Forse trecento dimostranti e la presenza discreta delle milizie per evitare che crescesse troppo.

Pareri meno ideologici e molto più concreti arrivano invece dai miliziani che stanno sul fronte di Sirte. «Chi critica i raid americani non rischia la vita, non ha visto i nostri morire o le ferite orribili della guerra. Ben vengano quei raid e di chiunque altro voglia aiutarci. Voi italiani inclusi», sostiene il 36anne Hassan Mohammed, leader della misuratina «Brigata Mujaheeed», da oltre un anno impegnata nella guerra contro Isis. «Se gli americani continuano con i raid, Isis verrà sconfitto entro un mese. Se cessano, saranno necessari almeno cinque mesi con le nostre forze attuali. Se smettono, ma ci passano armi e munizioni, forse poco più di due».

A suo dire il grande aiuto fornito dagli americani si fonda su due qualità: accuratezza e potenza delle bombe. «Sparano con grande perizia. Sono precisi al millimetro. I loro missili sono molto più potenti dei nostri. Noi non sfondiamo neppure i tetti delle case. Loro distruggono i palazzi sino agli scantinati».

5 agosto 2016 (modifica il 6 agosto 2016 | 11:07)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Con le milizie anti-Isis verso Sirte «Usa e Francia in guerra tra loro»
 

tontolina

Forumer storico
Libia, Michele Marsiglia: le aziende non si avvicinino al territorio!
La Redazione | Articolo pubblicato il 07/08/2016 10:00:53
Energia, Marsiglia (Pres. FederPetroli Italia) ad H2OIL: "In Libia situazione critica per aziende italiane, colpevole silenzio del Governo e di Eni"


"Il Governo italiano è colpevole di una mancata comunicazione sulla situazione libica. Abbiamo chiesto a più riprese di inserire in calendario audizioni per affrontare il tema, ma oggi così come in passato non riceviamo risposte in merito. Ci sono cose più importanti delle Olimpiadi in Brasile, come invece affermato dal Premier Renzi". E' questo il duro j'accuse di Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia, che intervistato da H2Oil chiede al Governo maggiore chiarezza sulla reale situazione internazionale dopo i bombardamenti americani su Sirte che, secondo quanto dichiarato dal Presidente Barack Obama, dureranno almeno un mese.

Una situazione altamente instabile che danneggia tutte quelle aziende che operano nel settore dell'oil e gas in Libia. "Per noi la situazione è critica - ha proseguito Marsiglia - le assicurazioni hanno immediatamente innalzato le polizze, abbiamo criticità con le lettere di credito delle banche e sulle prenotazioni per i moli dove devono attraccare le navi. Una situazione drammatica per le aziende e come FederPetroli in questo momento consigliamo di non avvicinarsi al territorio libico. Non sappiamo quanto dureranno i raid, ma soprattutto ci allarma il silenzio di un'azienda come ENI che ha in Libia circa il 25% del suo business, ma che ha interrotto ogni tipo di comunicazione sulla reale situazione nel Paese. Purtroppo la Libia è divisa e dei tre governi in carica uno solo è riconosciuto dagli USA e dalla comunità internazionale, il che rende tutto più difficile. Di fatto siamo tagliati fuori da ogni tipo di comunicazione, una situazione che alla lunga non è più sostenibile e crea un clima di incertezza per le nostre aziende".

Il Presidente di FederPetroli Italia, tornando poi a parlare della situazione del centro oli di Viggiano (Potenza), non risparmia un'altra stoccata ad ENI: "Mi chiedo per quale motivo lo stabilimento sia stato chiuso per tutti questi mesi, quando si poteva andare avanti almeno con parte della produzione. Rimaniamo perplessi dal comportamento di Eni". E' intanto di oggi la notiza che i pm di Potenza, Francesco Basentini e Laura Triassi, che coordinano l'inchiesta sulle estrazioni petrolifere in Basilicata, hanno dato parere favorevole al dissequestro del Centro Oli dell'Eni, in base alle verifiche effettuate nelle ultime settimane dai consulenti della Procura. Nel centro oli di Viggiano, fino al 31 marzo scorso - quando l'inchiesta portò al sequestro di alcune strutture - venivano trattati circa 75 mila barili di petrolio al giorno. Ora potrà riprendere l'attività. H2OIL


Ti potrebbe interessare anche


Qualcuno ha combinato qualcosa ad Eagle Ford
Petrolio. Libia in difficoltà

- See more at: Libia, Michele Marsiglia: le aziende non si avvicinino al territorio! - Materie Prime - Commoditiestrading
 

Users who are viewing this thread

Alto