«liberi da WTO» (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Vendesi Occidente stupido
Maurizio Blondet
12/12/2007

Abu Dhabi, attraverso il suo fondo Adia, ha comprato quasi il 5% della banca più grossa d’Occidente, Citibank: a prezzo da liquidazione, visto che le azioni di Citi, devastata dalle perdite sub-prime, sono ai minimi storici.
Ha persino ringraziato il suo salvatore arabo, che per la sua iniezione ricostituente di 7,5 miliardi di dollari s’è fatto dare non azioni, ma obbligazioni convertibili, che fruttano interesse sia che Citi vada bene, sia che vada male.

Singapore, attraverso il suo fondo Temasek, ha cominciato a comprare dal 2006 un 11,5% della proprietà della Standard Chartered Bank, ed ha approfittato di ogni successiva caduta dei corsi azionari per avanzare: ora della banca possiede il 17,2%.
Temasek ha anche il 2% della Barclays, mentre la Cina, attraverso la sua Developmnet Bank, s’è aggiudicata il 3,1% della banca inglese oggi in rovina.

L’altro fondo di Singapore si chiama GIC, ed ha «salvato» la svizzera UBS, la banca che gestisce le ricchezze dei super-miliardari meno visibili, con una iniezione di 9 miliardi di dollari.

E così fan tutti.

Dubai, attraverso vari fondi controllati dall’emiro, s’è comprato il 28% della Borsa di Londra (London Stock Exchange), il 20% del NASDAQ, il 68% della Thomas Cook India; e inoltre il 2,2% di Deutsche Bank, il 3% di HSBC, il 3,5% di Euronext, il 10% di Perella Weinberg Partners.

I cinesi stanno comprando a man bassa in USA ed in Europa, dove i prezzi sono bassi a causa dello scoppio della bolla più cretina e criminale del mondo.
Questi tempi di restrizione del credito e recessione sono tempi ideali per chi ha denaro liquido, che può comprare ciò che viene liquidato.
E quelli, di soldi ne hanno anche troppi: sono i «fondi sovrani» dei Paesi asiatici e petroliferi, esportatori, creati apposta per gestire le riserve che si accumulano (1).

Il fondo Adia di Abu Dhabi ha in pancia 875 miliardi di dollari.
Il fondo Temasek di Singapore dispone di 160 miliardi e l’altro, GIC, ne ha da spendere 100.
Uno solo dei fondi della Cina, il CIC, dispone di 200 miliardi.
Tutti insieme, i fondi sovrani hanno da spendere 2.500 miliardi di dollari, cifra che vedono aumentare ogni anno di un migliaio di miliardi: nel 2015, se esisterà ancora il mondo come lo conosciamo, ne avranno a disposizione 12 mila miliardi.
E ci comprano.

Il capo della Qatar Investment Autority, il fondo sovrano di quell’emirato, che siede su 60 miliardi di dollari, ammette che è diventato «irresistibile», dopo il crack immobiliare USA che deprime tutti i prezzi, andare a scegliere a metà prezzo i migliori gioielli dell’economia americana.
«Ci sono opportunità eccezionali per i fondi sovrani, che possono agire rapidamente e in modo riservato», dice il tizio, che si chiama Kenneth Shen, anglo-cinese: «Stiamo pascolando nel settore delle istituzioni finanziarie»: banche, borse, «asset managers», fondi speculativi disperati - e fino a ieri la punta d’eccellenza dell’economia USA - si consegnano in massa ai compratori liquidi esteri.

Così, il trionfo dell’ideologia occidentale terminale, la globalizzazione competitiva e la divisione internazionale del lavoro, finisce come doveva prevedibilmente finire: che i maghi del guadagno senza produzione, la finanza pura, diventano proprietà dei produttori-esportatori di merci reali.
A pezzi e a bocconi, l’Occidente (che si credeva più furbo) finisce sotto il dominio di sovrani stranieri: sovrani nel senso proprio.
Quelli non sono fondi speculativi privati, bensì riserve di Stato.
Di Stati altrui.
Che diventati padroni, vorranno (giustamente) comandare.

La Germania sta varando in fretta qualche legge che possa fermare alle frontiere questi fondi impedendo loro di mettere le mani, almeno, sulle «tecnologie strategiche» che sono il patrimonio nazionale, nonché sul settore energetico: leggi soprattutto dirette verso Cina e Russia, l’altro Stato che è pieno di dollari sovrani.

L’Unione Europea sta pensando a qualcosa di più burocratico e contorto: ha minacciato un regolamento che vieterebbe a fondi sovrani di utilizzare basi in uno Stato europeo per lanciarsi in acquisti da fallimenti nel resto del mercato comune.
Ma ha solo minacciato, e poi soprasseduto: la base amica europea da cui i raider partono è ovviamente Londra (dove la Borsa, come abbiamo visto, è già in mano a Dubai per il 20%), e la lobby britannica si oppone con successo: salvare il dogma liberista, prima di tutto.

I fondi sovrani agiscono secondo una stretta razionalità, anch’essa prevedibile: siccome i dollari in cui affogano perdono valore, se ne liberano andando a comprare in America qualunque cosa, proprio come un compratore privato farebbe in tempi d’inflazione.
Così, dollari che dormivano nelle casseforti tornano in circolo in massa, potenziando l’effetto inflattivo.
L’effetto, cioè, già pericolosamente innescato dalla Federal Reserve abbassando i tassi d’interesse, su disperata richiesta degli speculatori americani.

A questo proposito James Turk, della newsletter «Free Market Gold & Money Report», evoca il circolo vizioso che portò alla super-inflazione tedesca degli anni ‘20.
«Le richieste degli investitori USA alla Federal Reserve di abbassare i tassi d’interesse non sono diversi dalle richieste rivolte alla Reichsbank di stampare più moneta onde compensare ciò che era perduto a causa dell’inflazione. Il dollaro è diretto verso lo stesso sbocco cui si diresse il Reichsmark. La domanda calante erode il potere d’acquisto della valuta, e la Banca Centrale risponde creando ancor più unità di moneta – ‘stampando marchi’ nel caso della Reichsbank e ‘iniettando liquidità’ nel caso della FED: il che è esattamente la stessa cosa» .
I miliardi di dollari delle riserve sovrane estere che entrano in America a comprare di tutto moltiplicano e accelerano potentemente la leva inflazionistica.


Anzi, l’inflazione sta già producendo i suoi effetti, come vediamo dai rincari che ci svuotano le tasche (il globalismo prometteva un infinito ribasso): su tutte le merci che non escono dalle fabbriche, dove l’aumentata produzione industriale può contenere o mascherare l’effetto.
Quali merci?
Quelle dei campi e degli allevamenti, quelle delle miniere, la terra agricola, il petrolio, il cibo insomma.
Difatti materie prime e alimenti rincarano.
Di fatto, grazie al mercato unico senza barriere, la Cina sta esportando la sua inflazione mentre compera e si appropria dei cespiti occidentali.
Che dire?

èsize=18]La Reichsbank degli anni ‘20 aveva almeno la scusa della mancanza d’esperienza: una spirale
iper-inflazionistica non s’era mai vista prima nella storia.
Un giorno si riderà di un Occidente liberista che ripetè lo stesso errore per cieca fede nei dogmi del mercato e della finanza senza controllo, e si vendette allo straniero.
Né si vede segno di resipiscenza.[/size]

La Victorinox, che dal 1891 fornisce all’esercito svizzero il famoso coltello rosso dalle infinite lame, s’è vista portare via quella commessa storica: per ingiunzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (il celebre WTO, il poliziotto del liberismo), l’armata elvetica ha dovuto fare un’offerta per l’attrezzo nuovo (dovrà avere anche una porta USB…) sul mercato mondiale, in libera competizione sul prezzo: ovviamente, quattro fabbriche cinesi che producono la copia esatta si sono messe in gara per aggiudicarsi la commessa, e quasi sicuramente vinceranno.
Se si fosse rifiutata, la Svizzera sarebbe stata condannata a pagare una multa miliardaria.
E’ vietato preferire la propria fabbrica nazionale, anche se la Victorinox ha 920 dipendenti che saranno presto a spasso, se è un’azienda familiare, se il prestigio del coltellino svizzero sta nel fatto di essere, appunto, di qualità svizzera (3).
E non è il solo caso.

Il comune elvetico di Stein am Rhein, nel cantone di Sciaffusa, ha espresso l’intenzione di restaurare il suo castello di Hoheklingen, che risale al dodicesimo secolo.
Siccome il progetto ha un costo elevato (23 milioni di franchi), il WTO ha sancito che per una simile cifra occorreva lanciare un’asta internazionale.
Il comune si è ribellato: ha voluto che il restauro fosse eseguito da aziende locali, perché pagano le imposte localmente, creano posti di lavoro locali, e sono lì se ci sarà bisogno di altri lavori sul castello.
«Non intendo rispettare direttive assurde che non valgono per piccoli paesi e cittadine», ha detto il sindaco, che si chiama Hostettman; ed ha dichiarato il paesello che amministra «zona libera dal WTO».

Una cosa un po’ più seria della scritta «comune denuclearizzato» che sindaci italiani di villaggi che nessuno pensa di nuclearizzare fanno apporre all’entrata dei loro paesotti.

Infatti, il sindaco Hostettman, col sostegno della popolazione, ha pagato la multa (lieve, grazie ad un tribunale svizzero ragionevole) ed ha fatto restaurare il castello dalle imprese locali.
Ed è interessante sapere che ben 70 comuni svizzeri si sono dichiarati «liberi da WTO», fra cui Zurigo e Ginevra.

L’esempio pare essere contagioso, perché centinaia di altre città europee l’hanno seguito: fra cui spicca Vienna.
La storia ricorderà forse questi sindaci come coloro che salvarono l’Occidente dalla sua stupidità suicida?

Sicuramente, non saranno sindaci italiani.

Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2486&parametro=
 

tontolina

Forumer storico
Banche Centrali salvano i criminali

Banche Centrali salvano i criminali
Maurizio Blondet
13/12/2007


«Un assalto coordinato contro la restrizione del credito», trionfa il Financial Times (1) a commento della decisione di cinque Banche Centrali - la FED, la BCE, la Bank of England, la Banca Centrale elvetica e quella canadese - di gettare altri 100 miliardi di dollari nelle tasche vuote delle banche.
Il tono usato è quello del rullo di tamburi: arrivano i nostri, vinceremo!
Ma è un tono troppo alto, che cela a malapena il dubbio opposto: anche stavolta non funzionerà.

Sono quattro mesi che le banche private, benchè ricevano o possano chiedere soldi dalle Banche Centrali, continuano a non prestarsi il denaro fra loro: il delinquente non si fida più del delinquente vicino, sapendo bene cosa ha fatto e cosa ha perduto, perché l'ha fatto anche lui.
In tutti i quattro mesi, le banche prestatrici hanno rifiutato alle debitrici di rinnovare i crediti a breve mentre venivano a scadenza, costringendo le debitrici a cercare altre fonti di liquidità: poco manca che le banche si rivolgano agli usurai.
Solo noi depositanti non sappiamo bene quanto è grande il buco, e se i nostri depositi stanno per scomparirvi.

La propaganda stridula inneggia alla coordinazione delle cinque Banche Centrali: ecco la quadrata legione che scende in campo, l'invincibile armada, chi può dubitare?
Ma la vera novità non sono tanto i nuovi miliardi gettati nell'arena, bensì altri elementi.

Primo: la Federal Reserve, da ieri, consente alle banche americane di andare al suo sportello a chiedere quel denaro «in forma anonima».
Perché nei quattro mesi precedenti, benchè la FED avesse spalancato quello sportello, le banche non ci sono andate.
Hanno troppa paura di far capire fino a che punto sono nei guai: le file di depositanti davanti alla Northern Rock che correvano a ritirare i depositi hanno messo i brividi a tutte.
Ora, come è tipico di criminali, possono arraffare denaro a viso mascherato.

Secondo: specialmente la Banca d'Inghilterra, ormai, per prestare alle banche accetta come «garanzia» o collaterale le più losche obbligazioni strutturate, i più tossici pacchetti di debiti «garantiti», si fa per dire, da mutui e carte di credito.
Sono titoli che non hanno oggi alcun valore, perché nessuno è disposto a comprarli nemmeno a un decimo del loro prezzo di carico.
Basti dire che le «commercial paper» americane hanno perso 400 miliardi di dollari di presunto valore in 17 settimane.

La Bank of England adesso accetta questi nulla fatti di insolvenze come fossero i gioielli di famiglia, e per di più fa sapere, chiede un tasso d'interesse inferiore a quello del 6,5% precedente.
Quel tasso mirava a punire, moralisticamente, le banche che si erano messe nei guai per irresponsabilità.
Ora si rinuncia anche alla morale: prendete, prendete, basta che continuiate ad esistere.

Uno si potrebbe chiedere perché questa manica larga non venga usata per salvare i debitori ultimi, quelli col mutuo a tasso variabile: che sarebbero ben contenti di pagare un 5%, e dopotutto hanno da offrire un collaterale più solido, la casa.
Un credito agevolato a loro, che consentirebbe loro di continuare a servire il loro debito, ridarebbe un qualche valore anche ai prodotti derivati e strutturati confezionati coi loro debiti.
Perché no?
Domanda ingenua.

Le Banche Centrali sono fatte dai banchieri, pagate dai banchieri privati, e composte da banchieri privati.
E l'ideologia del banchiere è questa: mai e poi mai mostrare alla gente che i suoi debiti possono essere condonati.
La gente deve continuare a pagare, mai sperare in una liberazione dal tasso d'interesse.
I condoni, i giubilei, i regali, sono riservati alle banche che hanno causato la rovina prestando ad insolventi e rifilando le insolvenze ad altri, per lo più ignari.
In questi intervento congiunto, una menzione di disonore speciale spetta alla nostra Banca Centrale Europea.


Dura, ha lasciato rincarare l'euro fino a strangolare l'economia europea.
Oggi apre la borsa per ordine della FED.
Il fatto è che nei mesi scorsi, allo sportello di prestiti d'emergenza aperto dalla FED, mentre le banche americane non ci andavano per paura di farsi vedere, si sono affollate soprattutto le banche europee, perché là era più facile avere i soldi, in dollari.
Ora, «gli europei si comportano come semplici filiali della FED», dice Neil MacKinnon, analista strategico di un fondo, l'Ecu Hedge Fund Group, riferendosi anche alla Banca Centrale svizzera (2).
Non è una novità, ma solo una conferma.

Pecore idiote, prive di ogni strategia e forse anche di comprensione della tragedia, seguono il montone-capo.
Dove?
Nell'abisso dell'inflazione, che Trichet (governatore nostro) si riteneva in obbligo di contrastare fino a ieri, al prezzo di milioni di disoccupati in più in Europa.
A Francoforte guardano con crescente irritazione al fatto che le banche inglesi sono state le prime ad affollarsi a chiedere soldi alla BCE, ora che ha allargato la manica: dicono che gli inglesi hanno la botte piena e la moglie ubriaca, sono «europei» quando serve a loro.
Di solito praticanti e predicatori del «libero mercato» selvaggio, contrastano tutte le proposte di regolamentazione dell'avventurismo speculativo, e poi si godono l'intervento pubblico della BCE.

Fatto singolare, è proprio questa la critica che su questa azione congiunta e disperata della Banche Centrali rivolge Martin Wolf, il condirettore del Financial Times: questo intervento non metterà in discussione il dogma liberista? (3)
«Gli elicotteri hanno cominciato a spargere denaro», ironizza Martin Wolf con allusione al proposito di Ben Bernanke, il capo della FED, che si dichiara da sempre pronto ad iniettare liquidità alle banche gettando dollari dall'elicottero.

«Ma funzionerà? Se il problema che travolge i mercati è di liquidità (ossia di panico) anziché di insolvenza, e se le Banche Centrali riescono a far credere di offrire liquidità alle istituzioni solventi senza limiti,… i sintomi della paura possono sparire», esordisce Wolf.
«Ma questi sono 'se' importanti. Ci sono buoni motivi per ritenere che parte della paura è causato da preoccupazioni di insolvenza… D'accordo, le Banche Centrali - o più precisamente i ministeri del Tesoro che stanno dietro ad esse - possono eliminare anche l'insolvenza [coi soldi dei contribuenti!] comprando pezzi di carta di ogni tipo, buoni e cattivi [ciò che sta facendo specialmente la Banl of England]. Ma questo sarà un salvataggio pubblico [di speculatori privati] di cui non si vede il termine, probabilmente molto costoso e certamente impopolare».
Martin Wolf finisce con una tirata a questa «grossissima operazione di salvataggio dei banchieri incompetenti».
Sì, con questa operazione possono «rimettere in moto i mercati», e forse «salvare le economie dalla recessione» (non proprio).
«Ma non finirà qui la storia: più è grosso il salvataggio che le banche private oggi accettano, più strette saranno le regolamentazioni che dovranno accettare in futuro».
Capito?

Per il guru del Financial Times, gran sacerdote del liberismo ideologico, il problema è che le banche e gli speculatori (ormai sono la stessa cosa) rischiano di vedersi imporre qualche regola dal potere pubblico.
Ed è questo che non bisogna permettere: le avventure, le usure e le truffe devono restare libere e senza controllo.
Invece proprio di questo c'è bisogno.

Conosco un piccolo imprenditore locale (fabbrica salumi) che, ritenendosi troppo esposto ed avendo 20 mila euro liquidi, è andato a chiudere un suo fido di pari importo con Banca Intesa (notate la modestia delle cifre, nel mondo reale).
Il bancario gli ha detto che comunque, dovrà pagare un interesse del 12%.
Ma per chi rientra, ha chiesto l'imprenditore, l'interesse non è dell'8%?
Risposta: «E' dell'8% per coloro a cui 'noi' chiediamo di rientrare, quando intimiamo noi la chiusura del fido. Siccome a chiedere la chiusura è lei spontaneamente, vuol dire che è un buon cliente: dunque paghi il 12%».
Gli usurai riescono a praticare l'usura anche a rovescio, a chi smette di indebitarsi.
Ma non basta.

Un minuto dopo, il bancario ha proposto all'imprenditore un «ottimo investimento»: un prodotto strutturato raffinatissimo, «che può rendere centinaia di migliaia di euro».
Confezionato con debiti raccolti… nello Sri Lanka.
Non m'interessa, ha risposto il micro imprenditore.
E di fronte alle insistenze del bancario («Costa solo 25 mila euro»), ha replicato: «Non ho soldi. Ve ne ho appena dati 20 mila per chiudere il fido…».
E l'altro: «Ma i 25 mila euro glieli prestiamo noi!».
Ecco com'è.

Anche di questi tempi, anche con questi chiari di luna, quando le banche si rifiutano i prestiti a vicenda, quando rifiutano credito alle imprese o chiedono tassi d'interesse usurari sui mutui, hanno però abbastanza liquidità da prestar soldi per rifilare un titolo di debito di Sri Lanka, un pacchetto in cui non si sa cosa c'è dentro, un genere di cose che ha già rovinato imprenditori e artigiani che andavano bene o benino, perché queste «cose» si rivelano invariabilmente perdite a leva, dieci volte il loro valore d'acquisto.
E' qui che occorre la regolamentazione.

Impedire alle banche di vendere a credito i loro veleni e le loro truffe: comminando pene gravi, per giunta.
Costringendole a rifondere i truffati.
Il piccolo imprenditore si rallegrava con se stesso dello scampato pericolo.
«Se fossi andato a chiedere un fido, anziché a chiuderlo, mi avrebbero imposto di comprare il prodotto Sri Lanka come condizione per concedermi il prestito», dice.
E' appunto ciò che continuano a fare le banche: ed è un delitto, un patto leonino, un contratto invalido perché imposto col ricatto.
Le Banche Centrali stanno salvando questi delinquenti, acciocchè continuino a delinquere, e a saccheggiare l'economia reale, uccidendola.
Le Banche Centrali non regoleranno nulla, perché i banchieri privati che le posseggono non vogliono.
Come salvarsi?

Facendo ciò che ha fatto il piccolo imprenditore: ritirarsi dai loro «servizi».
Per chi ha depositi attivi, si tratta di ritirare i contanti, e metterli in cassetta di sicurezza.
I delinquenti non si fidano tra loro, perché dovremmo fidarci noi?

Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2495&parametro=
 

tontolina

Forumer storico
La Cina giocatore d’azzardo intrepido

Bernanke ha un vero amico: Pechino
Maurizio Blondet
14/12/2007

C’è ancora un grosso compratore convinto di fare buoni affari accumulando dollari.
Uno che continua a comprare a man bassa Buoni del Tesoro in dollari e persino i più loschi «prodotti strutturati» con mutui in dollari.

Questo compratore, che sostiene gli USA dalla bancarotta (o almeno ci prova), è la Cina.
Secondo i dati del Tesoro USA, la Cina (esclusa Hong Kong) deteneva, a luglio 2006, 700 miliardi di dollari in titoli del debito americano a lungo termine.
Di questi, 107 miliardi erano «agency bonds», ossia pacchetti formati da mutui «garantiti» (più o meno) da qualche entità pubblica statunitense.
La Cina ha comprato titoli a lungo termine per 2,5 miliardi di dollari a luglio 2007, ne ha comprati ancora 2,7 miliardi ad agosto quando è scoppiata la bolla dei sub-prime, e addirittura 8 miliardi a settembre, quando le colossali dimensioni del crack subprime erano ormai note a tutti.
Il comportamento appare anche più strano se si tiene conto che nel 2002 la Cina acquistò non più di 100 milioni di questi titoli fatti di mutui.

Nel 2006, ne aveva 107 miliardi: un aumento del mille per cento.
Più la crisi subprime avanzava, più rapidamente Pechino comprava.
A questo accumulo di debito USA va aggiunto quello di Hong Kong: la città aveva, a giugno 2006, 13,4 miliardi di titoli USA, di cui oltre 5 miliardi in mutui confezionati.
L’esposizione della Cina al rischio dei mutui americani è a questo punto enorme.
Perché Pechino ha continuato ad accrescere questa esposizione in modo così continuo e accelerato?
La Cina tace su questa questione, e ciò aggiunge mistero a mistero: come un giocatore d’azzardo intrepido, il colosso asiatico punta sempre più alto su una roulette che tutti stanno abbandonando.
Lasciando gli astanti a chiedersi: quanto ha già perso il giocatore, e quanto è disposto a perdere e a rischiare ancora?


Forse, Pechino non ha altra scelta che questo gioco forte: è necessario per mantenere bassa la sua valuta rispetto al dollaro, mentre sta accumulando troppi dollari con le sue esportazioni.
Un diluvio di dollari, per investire i quali non ci sono mercati abbastanza grossi tranne quello immenso del debito USA.

Pare che dall’Europa siano venuti inviti a Pechino a non provocare una ulteriore pressione al rialzo sull’euro, acquistando euro contro dollari: il gigante è troppo grosso, appena si muova crea tempeste, appena investe in un mercato lo fa apprezzare in modo insostenibile.
D’altra parte, l’America continua ad importare dalla Cina ad un ritmo elevato, per cui la Cina continua ad accumulare dollari su dollari; se diversificasse parte di quella montagna in euro o altra valuta, l’effetto sarebbe di provocare un ribasso del dollaro e dei titoli in dollari di cui ha piena la cassaforte di Stato.



Nella politica americana, le voci che chiedono misure protezionistiche contro l’alluvione di merci cinesi diverrebbero più forti e ascoltate.
Mantenere il tasso di cambio attuale fra dollaro e Renminbi - tutto a favore della Cina, che tiene la sua divisa svalutata per accrescere la sua competitività - diverrebbe politicamente difficile.
Più accumula dollari, più per la Cina cresce l’incentivo a sostenere il dollaro, anche comprando titoli dubbi.
Dopotutto, quelli danno pur sempre un interesse piuttosto alto.
Se se ne liberasse troppo visibilmente, la Cina ne farebbe cadere i corsi, svalutando ancor più le sue riserve.

Pechino non può permettersi di perdere il suo più grosso cliente, anche se è il più indebitato: i contraccolpi sull’occupazione sarebbero drammatici, tanto più che già adesso il costo del lavoro sta rapidamente crescendo.

Per garantire la pace sociale, il governo cinese ha varato una legge sui contratti di lavoro che entrerà in vigore da gennaio: essa, per la prima volta, definisce i diritti dei lavoratori riguardo a straordinari, pensioni, licenziamenti, e persino a rappresentanze sindacali.
Se non resta lettera morta, questo insieme di regole rincarerà la manodopera cinese del 20-30%.

Già diversi investitori di Taiwan ritengono che il costo sia ormai troppo alto, e se ne stanno andando, specie quelli che avevano impiantato piccole imprese.

Insomma, secondo ogni evidenza Pechino sta accettando perdite crescenti per scongiurare perdite ancora maggiori, al punto da gettare i dollari guadagnati con l’export, in buona parte, per sostenere il mercato immobiliare USA.

E tace, perché non sa cos’altro fare, non avendo per ora altre opzioni più desiderabili.
Spera di guadagnare tempo.

Pechino è condannata ad aiutare Washington, il venditore planetario a finanziare il cliente globale. USA e Cina sono legate, improbabili amanti, dallo stesso nodo: ma non è un nodo d’amore, bensì scorsoio.

Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2496&parametro=
 

Users who are viewing this thread

Alto