L'Europa Nazista ci distruggerà (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Malachia Paperoga 5 giorni fa 4 Commenti
L’UE: uno strumento dei forti per sfruttare i deboli.
Il parlamentare britannico ed ex sindaco di Londra Boris Johnson ha pubblicato sul suo account facebook un bellissimo appello agli inglesi, affinché rifiutino la UE e quello che ormai rappresenta. Questo organo remoto e opaco è diventato uno strumento nelle mani di una ricca élite per poter mantenere e aumentare i propri privilegi e la propria ricchezza a spese della maggioranza degli europei. Per sostenere le aziende britanniche sane, la scelta giusta è quella di uscire da questo meccanismo alla prima occasione.

Di Boris Johnson, 16 maggio 2016



Alla conferenza del partito Tory dell’anno scorso ho attirato l’attenzione su di una statistica preoccupante sul modo in cui sta cambiando la nostra società . È la proporzione tra lo stipendio medio dei top manager del FTSE100 e quello del suo dipendente medio – ribadisco, medio – in azienda. Questa proporzione sembra in fase di esplosione a un ritmo straordinario, inspiegabile e francamente sospetto.

Platone diceva che nessuno dovrebbe guadagnare più di cinque volte di chiunque altro. Be’, Platone si sarebbe stupito dalla crescita della disuguaglianza aziendale odierna. Nel 1980 la proporzione era 1 a 25. Nel 1998 era salita a 47. Dopo 10 anni di Tony Blair e Peter Mandelson – e del loro atteggiamento “intensamente rilassato” nei confronti degli “schifosamente ricchi” – i massimi dirigenti delle grandi aziende britanniche guadagnavano 120 volte la retribuzione media dei dipendenti di basso livello. Lo scorso anno la proporzione è arrivata a 130.

Quest’anno – stappando una bottiglia di champagne – i pezzi grossi hanno sfondato la barriera magica di 150. Il CEO medio del FTSE100 si porta a casa 150 volte lo stipendio del suo dipendente medio – e in alcuni casi molto di più. Non usiamo mezzi termini: queste persone guadagnano così tanti più soldi degli altri nella stessa società, che volano su jet privati e costruiscono piscine sotterranee, mentre molti dei loro dipendenti non possono nemmeno permettersi di acquistare alcun tipo di casa. C’è un signore là fuori che guadagna 810 volte la media dei suoi dipendenti.

Cosa sta succedendo? È solo avidità, o favori reciproci dei comitati di remunerazione? Non c’è dubbio che ci racconteranno, come sempre, che questi sono “i prezzi di mercato”. Ma ho notato un’altra cosa di questi uomini del FTSE100 (e ho paura che siano quasi sempre uomini): che sono sempre felicissimi di sfilare per Downing Street e dichiarare la loro eterna devozione verso l’UE. Firmano entusiasticamente lettere ai giornali, spiegando come sia fondamentale che restiamo nell’UE. Credono che l’UE faccia bene al loro business.

Ma come, esattamente? Il mercato unico è un microcosmo di bassa crescita. E’ cronicamente affetto da un elevato tasso di disoccupazione. I paesi dell’UE sono gli ultimi della fila in quanto a crescita tra i paesi dell’OCSE; ed è incredibile che ci siano 27 Paesi extracomunitari che hanno goduto di una crescita più veloce delle esportazioni di merci verso l’UE della Gran Bretagna, a partire dall’avvio del mercato unico nel 1992, mentre 20 Paesi hanno fatto meglio di noi nell’esportazione di servizi. Far parte dell’UE non è poi così conveniente per le aziende britanniche.

Perciò che cosa piace dell’UE a questi pezzi grossi? Sostanzialmente due cose. A loro piace l’immigrazione incontrollata, perché aiuta a mantenere bassi i salari dei lavori meno qualificati, e quindi aiuta a controllare i costi, e quindi ad assicurarsi che vi sia ancora più grasso da spartirsi per quelli che comandano. Un rifornimento costante di solerti lavoratori immigrati significa non doversi preoccupare più di tanto delle competenze o delle aspirazioni o della fiducia in sé stessi dei giovani che crescono nel loro Paese. E in quanto clienti di Learjets e frequentatori di salotti esclusivi, essi non sono solitamente esposti alle tipiche pressioni causate dall’immigrazione su larga scala, come quelle sull’intrattenimento, sulla scuola o sugli alloggi.

Ma poi c’è una ragione ancor più sottile – il fatto che l’intero sistema di regole UE è così lontano dai cittadini e opaco che i pezzi grossi possono volgerlo a loro vantaggio, al fine di mantenere le loro posizioni oligarchiche e, tenendo lontana la competizione, spingere la propria busta paga ancora più in alto.

Nel loro ottimo libro “Perché le Nazioni falliscono”, Daron Acemoglu e James A. Robinson spiegano come istituzioni politiche trasparenti siano essenziali per l’innovazione e la crescita economica. Distinguono tra le società “inclusive”, dove le persone si sentono coinvolte nelle loro democrazie ed economie, e società “esclusive”, dove il sistema è sempre più manipolato da una élite per proprio esclusivo vantaggio. L’UE sta cominciando ad assumere alcune caratteristiche delle società “esclusive”. E’ dominata da un gruppo di pochi politici internazionali, lobbisti e affaristi.

Queste persone si conoscono a vicenda. Essendo parti di grandi aziende, possono permettersi di assumere qualcuno per seguire le complesse regole che vengono da Bruxelles. Possono fissare appuntamenti coi responsabili delle Commissioni. Possono perfino incontrarli alle conferenze o agli eventi – il più famoso di questi è Davos. In questo senso, hanno un immenso vantaggio rispetto alla maggioranza delle aziende del Paese.

La maggior parte delle aziende (e in effetti la maggior parte degli inglesi) non hanno alcuna idea di chi lavori per la Commissione, o di come mettersi in contatto con queste persone, e non saprebbero distinguere i loro euro-parlamentari da dei marziani. Solo il 6% delle aziende britanniche in realtà esportano in UE, e ciò nonostante il 100% di esse deve sottostare al 100% delle leggi UE, che si tratti di aziende piccole o grandi – un peso normativo che costa circa 600 milioni di sterline alla settimana.

La scorsa settimana ho visitato la Reid Steel, un’azienda britannica di successo a Christchurch, nel Dorset. Esportano acciaio per costruire ponti in Sudan, alberghi alle Mauritius, hangar di aerei in Mongolia. L’unica cosa che li frena, dicono, sono le regole UE – generate attraverso un incomprensibile processo che coinvolge i lobbisti di grosso calibro, le grosse multinazionali e i governi di paesi stranieri. Non vedono l’ora di uscire dall’UE, e hanno ragione. Pensano che le altre nazioni UE stringerebbero rapidamente nuovi trattati commerciali. E che le aziende britanniche, liberate dalle catene europee, finirebbero per esportare in Europa di più anziché meno di quanto facciano ora.

Naturalmente, i pezzi grossi del FTSE100 firmeranno per poter rimanere in UE: a livello personale stanno diventando sempre più ricchi – sfruttando manodopera immigrata per le loro aziende e manipolando le regole UE a vantaggio dei grandi attori, gli unici a poterle comprendere – mentre i meno fortunati hanno invece visto una diminuzione in termini reali delle loro retribuzioni. Questa è una delle ragioni per le quali la UE ha una bassa innovazione, bassa produttività e bassa crescita. Se volete sostenere gli imprenditori, i faticatori, gli innovatori, i lavoratori, le imprese dinamiche e fiorenti dell’Inghilterra – allora votate per uscire dalla UE il 23 giugno, e date a questi parassiti il calcio nel sedere che si meritano.
 

tontolina

Forumer storico
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tontolina

Forumer storico
La morte clinica dell’Europa
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New York City, 4 marzo 2016

Documento markedas very confidential

numero di protocollo: 4203XXX

Da: Derek William Morgan, Central Board The XXX XXX, Inc.

A: Executive Board Of International Monetary Fund

Oggetto: Crisi Europea

Segnali molteplici indicano come la nuova crisi rischi di compromettere irrimediabilmente le fondamenta del progetto di unione europea. La congiuntura impone, pertanto, una riflessione approfondita in merito a una potenziale alterazione degli equilibri geopolitici insieme a un drastico ripensamento delle politiche con cui abbiamo garantito – e continuiamo a garantire – l’egemonia americana sul vecchio mondo nel nuovo secolo.

Esponenti istituzionali, vertici governativi, prestigiosi organi di stampa e un pericoloso sentire comune formano un coro compatto nel sottolineare il pericolo di un crash europeo nel breve-medio periodo. Il corso degli eventi sta subendo una brusca accelerazione, mentre perfino «Le Monde» certifica il pericolo incombente annunciando «la morte clinica dell’Europa».

Lo smottamento si sviluppa intorno a tre temi:
pressione dei flussi migratori;
limiti delle politiche monetarie espansive dettate – nell’arco degli ultimi dodici mesi – dai vertici della BCE;
emersione di forze politiche alternative al piano centrista, lungo un arco di posizioni che va dalla sinistra estrema al blocco nazional-sovranista come dimostrano Polonia, Spagna, Portogallo e Irlanda.


Nel formarsi di un simile scenario non è possibile ignorare le responsabilità del nostro Dipartimento di Stato, a Washington, e le pressioni del comparto militare-industriale. L’alleanza con la Repubblica di Turchia, cruciale tassello di stabilizzazione nel quadrante orientale del Mediterraneo, ha lasciato mano libera ad Ankara nella gestione dei flussi di migranti. Così la nuova porta per l’Europa si è spalancata a Sudest, creando una pressione in costante aumento sulla frontiera greca e sui Balcani. Il risultato è coinciso con l’isolamento del governo di Atene, col blocco delle frontiere dalla Macedonia all’Austria e con la messa in discussione di Schengen.

Un ulteriore elemento da considerare è la situazione sul fronte mediorientale e nell’area arabica. La sospensione dell’embargo contro l’Iran ha rimesso in gioco una forza capace d’incidere sul prezzo del greggio accentuando la spirale deflattiva che risucchia l’Europa. Inoltre, sempre sul terreno della “guerra energetica” stiamo misurando le conseguenze della nostra scommessa sullo shale gas, vero e proprio spauracchio che ha determinato una reazione dei produttori di petrolio con ulteriore abbassamento della quotazione al barile.

Nemmeno sulla frontiera dell’innovazione siamo esenti da un’azione dubbia sotto il profilo del mantenimento dello status quo. La sharing economy che stiamo imponendo a livello globale aggrava la tendenza deflattiva e aumenta – al contempo – il tasso di disoccupazione. Grandi corporation muovono volumi di capitali capaci di alterare gli assetti di interi Paesi.

E oggi la forza di queste companies transnazionali si manifesta in tutta evidenza.

Il nostro ruolo di potenza mondiale non deve farci indulgere nella staticità, nell’inerzia o nella pigra adesione a un collaudato modello di supremazia.

Il disordine controllato che abbiamo imposto all’Europa, approfittando della dialettica tra gli Stati, e all’insegna dell’antico divide et impera, sta travalicando i limiti di un’instabilità funzionale. L’unità debole rischia di tradursi in una brusca disarticolazione sotto la spinta di forze nuove che operano in un contesto inedito.

Nei principali Paesi europei, i referenti politici di comprovata fedeltà atlantica sono in crisi di consenso. L’Europa può cedere al caos, mentre tramonta la “governabilità” come modello centrista impostato sull’austerity e sulla paura. Il mancato accordo tra popolari e socialisti a Madrid per la composizione del nuovo esecutivo è forse il segnale più preoccupante di questa tendenza.

Dalla penisola iberica alla Polonia, da Dublino all’Ungheria, emergono soggetti che – sulle ali estreme dello schieramento – scelgono di sostenere rivendicazioni universali di equità e convivenza o, all’inverso, chiusure nazionaliste e identitarie. Di conseguenza è legittimo presagire la fine prossima del modello politico incardinato sulle grandi coalizioni e sulla terzietà: quello che alcuni hanno chiamato «estremismo di centro», piano inclinato lungo il quale sono scivolati – fino a convergere – conservatori e socialisti.

Già da tempo la grande pacificazione sociale, proclamata nell’ottica dell’interesse generale e alimentata dalla paura, sta mostrando cedimenti sistemici.

In Europa, l’attuale quadro è segnato da accentuati squilibri che possono essere ricondotti alla moneta unica. Non crediamo di eccedere in allarmismo indicando gli effetti potenzialmente devastanti dell’attuale fase.

A partire dal 2008, la gestione del great crash ha approfondito le differenze tra i Paesi sovra-capitalizzati e quelli sotto-capitalizzati, tra potenze continentali e periferia gravata da bilanci pubblici in fibrillazione. Al vertice di questa piramide si colloca la Germania di cui analisti e interpreti rilevano – non del tutto indebitamente secondo chi scrive – l’ingordigia predatoria. La volontà di potenza teutonica ha finito per alterare le linee di forza all’interno dell’Unione. La posizione di Berlino rispetto alla gestione dei titoli di Stato è quasi un preludio alla fine della moneta unica.
A oggi dobbiamo registrare l’inefficacia delle pressioni internazionali e degli strumenti di deterrenza che abbiamo provato a dispiegare da questa parte dell’Atlantico con il caso Volkswagen e le avvisaglie di guerra commerciale contro Berlino.

Nel recente passato, inoltre, è stato affidato alla BCE e alle politiche monetarie espansive un ruolo di stabilizzazione dello scenario. Tuttavia, a un anno esatto dal varo del Quantitative easing europeo dobbiamo valutarne gli effetti con sguardo obiettivo, riscontrandone la portata limitata e il beneficio relativo. Come previsto da diversi analisti, l’immissione di circa ottocento miliardi di euro volti all’acquisto di titoli di Stato e altri asset non ha sostenuto la domanda, riattivato i consumi, contenuto la deflazione. Il fondamentalismo ordo-liberista tedesco e il vincolo stringente sui parametri non ha permesso di accompagnare il QE con un’adeguata politica di spesa pubblica che avrebbe richiesto politiche fiscali diverse.

L’Europa insegna come la moneta da sola non basti ad attivare processi anti-ciclici. L’unico risultato apprezzabile, al momento, riguarda la messa in sicurezza dei bilanci bancari attraverso un massiccio acquisto di titoli di Stato.

L’estensore di questa informativa confidenziale e gli interessi compositi di cui è garante si sono fatti assertori in passato di un modello chiuso di espansione monetaria, basato su un preciso indirizzo dei flussi. In questo atteggiamento hanno prevalso fissità di sguardo e scarsa duttilità tattica.

Oggi è necessario assumere piena consapevolezza della cesura che si sta consumando in Europa. A una discontinuità netta nel quadro di riferimento deve corrispondere una discontinuità altrettanto netta sul terreno degli strumenti di controllo.

È il momento d’imprimere uno scarto, di consumare un vero e proprio salto di paradigma per ridefinire le condizioni di stabilità. Per queste ragioni individuiamo in una radicale estensione delle politiche monetarie il passaggio decisivo al fine di costruire rinnovate condizioni di equilibrio: all’altezza della fase e in grado di disinnescare le piattaforme rivendicative delle forze anti-sistema.

È tempo che la moneta circoli oltre corsi e solchi già tracciati. È il momento di attuare una grande operazione di sostegno della domanda finanziando direttamente i consumatori. Non solo i grandi processi di trasformazione esigono la combinazione di spregiudicatezza e visionarietà. Anche i grandi piani di controllo necessitano della stessa miscela. Non è nel déjà-vu ordo-liberista che possiamo trovare risposte conformi a nuove domande, bensì in parole d’ordine da rubare agli avversari e rideclinare secondo le nostre esigenze.

Ciò che i reduci del pensiero critico chiamano “QE delle moltitudini”, noi lo chiameremo helicopter money. Ribattezzare per controllare. I nomi e il linguaggio come essenza della realtà.

Se alcuni vorrebbero legare questo intervento alla sfera dei diritti di cittadinanza, noi lo ancoreremo all’imperativo del consumo. Sul tavolo europeo non si gioca soltanto una partita europea, bensì la possibilità d’invertire la tendenza indicata come «stagnazione secolare».

Non si rovescia un simile quadro con il semplice salvataggio del sistema bancario. La radicalità non va lasciata alla controparte. Fuori dall’equilibrio centrista servono risposte radicali. Uno shock monetario di massa, che attivi uno tsunami di consumi, è la risposta radicale che consigliamo di mettere in campo.

Berlino non comprende che “ordine” non è sinonimo di “controllo” se per ordine si intende la fede in dogmi immodificabili.

Non c’è stato ordine nel montare della crisi ellenica e neppure nella sua presunta soluzione. E non c’è ordine nel mantra tedesco che celebra il surplus commerciale.

Ordo-liberismo o neo-liberismo sono parole vuote.

Esiste una sola teoria economica: quella che combatte il declino del tasso di profitto: qui, ora e per sempre.

L’efficacia dell’azione si misura solo e soltanto sulla capacità di generare dall’interno anticorpi al fine di contrastare il male endemico che affligge quel meta-organismo globale chiamato “capitalismo”.

Una sola consapevolezza valga da assunto inderogabile: non esiste cura definitiva.

In fede,

Derek W. Morgan
 

tontolina

Forumer storico
giu 16
Incredibili britannici! Rinasce l’Europa dei popoli e ora può cambiare davvero tutto
Incredibili britannici! Rinasce l’Europa dei popoli e ora può cambiare davvero tutto – il Blog di Marcello Foa


E ora cambia, davvero, tutto. La decisione degli elettori britannici di lasciare l’Unione europea è storica innanzitutto per il contesto elettorale in cui è maturata. Tutto, ma proprio tutto, lasciava presagire una vittoria del fronte europeista, soprattutto dopo l’uccisione della deputata Joe Cox, che aveva cambiato la dinamica e il clima della campagna elettorale a sette giorni dal voto. L’ondata del cordoglio è stata enorme. E infatti i sondaggi, i mercati, gli scommettitori davano il sì praticamente scontato.

Ci voleva un miracolo per ricambiare il corso della campagna elettorale. E miracolo c’è stato. Forse quel miracolo ha un nome e un volto. Quello della Regina Elisabetta. O meglio del quotidiano popolare più influente del mondo, il Sun, che mercoledì ha fatto lo scoop, lasciando intendere che Sua Maestà era favorevole all’uscita dalla Ue, rivitalizzando così le corde di un patriottismo che si pensava fosse diventato marginale e che invece vibra ancora nel cuore del popolo.

La tempra di un Paese ha prevalso sull’emozione e sul cordoglio. La Gran Bretagna fiera della propria autonomia, convinta della propria unicità, capace di scegliere da sola nei momenti topici della propria storia è risorta, dando ragione a Nigel Farage – un ex uomo d’affari che dal nulla ha creato un partito e trascinato un Paese a una svolta storica – e a Boris Johnson, il sindaco di Londra uscente, che non ha esitato a schierarsi contro l’establishment del proprio Paese, dando forza e autorevolezza al movimento anti-Ue.

Molti diranno che nei britannici ha prevalso la paura di un’immigrazione ed è innegabile che questo sia stato uno dei temi forti della campagna, ma non è stato un voto razzista ; semmai la prova che l’immigrazione è salutare e bene accetta se regolata, ma provoca comprensibili reazioni di rigetto quando diventa impetuosa e di massa. C’era di più, però, in questo referendum : c’era la volontà di difendere l’autenticità delle proprie istituzioni, della sovranità del voto popolare e dunque della propria democrazia. Di dire basta a un’Unione europea i cui meccanismi decisionali sono opachi, in cui il processo di integrazione viene portato avanti da un’élite transnazionale, vero potere dominante dell’Europa e non solo, tramite un processo caratterizzato da un persistente « deficit democratico », che li ha portati ad ignorare o ad aggirare la volontà dei popoli, ogni volta che si è opposta ai loro disegni. Talvolta persino a calpestare, come accadde un anno fa, quando la Troika costrinse Atene a rinnegare l’esito schiacciante di un referendum.

Lo stesso potrebbe avvenire oggi a Londra, considerato che il referendum era consultivo, ma sarebbe una scelta gravissima, al momento improbabile.

Ora si apre una fase di incertezza : i mercati la faranno pagare alla Gran Bretagna, e quell’establishment non si arrenderà facilmente. Vedremo. Quella di ieri è stata, però, una giornata davero storica. E’ la rivincita della sovranità nazionale. Per la prima volta un Paese ha dimostrato che il processo di unificazione europea non è ineluttabile, che dalla Ue si può uscire, rendendo concreta la possibilità che altri Paesi seguano l’esempio britannico. Un voto che costringerà l’Unione europea a gettare la maschera di fronte a un’Europa diversa, autentica, che molti pensavano defunta e che invece è forte e vitale, quella dei popoli. Alla faccia delle élite.
 

big_boom

Forumer storico
la risposta anti inghilterra dei media del regime e' ormai un chiaro segno della collusione a tutti i livelli
Ora si propone il REGREXIT e improvvisamente si fa una massiccia campagna pubblicitaria alle petizioni per l'ingresso di londra e della scozia nell'euro...
NON SI RISPETTA IN ALCUN MODO IL VOTO DI UNA NAZIONE
Ormai manca solo di dichiarare guerra alla Russia
signori e' nato il NAZISMO EUROPEO con fanatismi europeisti alla pari dei nazisti
ma il rischio e che se in USA vince Trump la nuova europa NAZIEUROPEA sara' isolata e noi italiani per la seconda volta soci di un ASSE fallimentare e contro i nostri interessi
 

tontolina

Forumer storico
«Era chiaro da tempo: è il momento di pensare l’impensabile»
«Perchè quelli come me hanno sbagliato tutto, Roby. E non vogliono capirlo». In questa risposta del Padre Massimo al figlio, risiede una metafora di speranza, l'unica possibile, quella del dialogo volto a costruire l'Europa che verrà, ma nel frattempo: «Padri contro figli. Vecchi contro giovani. I diritti degli uni contro l’invisibilità degli altri. Tutti ugualmente condannati a un gelo senza fine». I Diavoli, Guido Maria Brera (Rizzoli, 2013)
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«L’impensabile sta avvenendo. Si è avviata una doppia reazione a Brexit, finanziaria e politica. Ma la reazione finanziaria, almeno finora, è limitata. Mi preoccupa di più quella politica». Il Ministro Padoan commenta così dalle pagine del Corriere della Sera l’esito del referendum sulla Brexit. E aggiunge: «Dobbiamo pensare l’impensabile. C’è un cocktail di fattori che potrebbe portare a varie soluzioni, compresa un’ulteriore spinta alla disintegrazione. C’è un’insoddisfazione profonda su immigrazione, sicurezza, economia: l’occupazione e la crescita migliorano, ma non abbastanza. E c’è la tendenza a pensare che le soluzioni nazionali funzionino meglio di quelle europee».

Una volta che si manifesta, il social unrest (il disordine sociale) può innescare conseguenze a catena e generare gravi ripercussioni al di fuori della zona in cui si è verificata l’origine dei disordini. In una società globalizzata, il social unrest travalica frontiere e supera confini producendo esiti molteplici. In un sistema aperto e connesso, gli eventi possono causare un “effetto valanga” con ripercussioni planetarie, perfino quando questi eventi non vengono raccontati dai media.

«Tu non vedrai rivoluzioni, vedrai solo rivolte, barbarie e il social unrest. L’occidente si sta suicidando. Anzi, lo state uccidendo mentre passeggiate tranquilli sul ponte del Titanic. Quel denaro che continuate a stampare è falso anche se esce da una zecca, non vale un cazzo. Tra vent’anni un cinese o un indiano comprerà anche te» I Diavoli, Guido Maria Brera (Rizzoli, 2013)

Molti governi non sembrano in condizione di gestire le grandi sfide economiche di questo tempo. E così le prospettive di crescita globale rimangono ostaggio del debito e della crisi delle politiche dell’Unione Europea e degli Stati Uniti

Una volta che il Social Unrest (il disordine sociale) si manifesta può innescare ulteriori conseguenze e portare a rischi secondari al di fuori della zona in cui si è verificata l’origine dei disordini. In una società globalizzata, il Social Unrest può agire come innesco di ramificazioni transfrontaliere. Grandi o anche piccoli eventi locali possono causare “effetto valanga” in tutto il mondo, anche se tali eventi non vengano ripresi dai Media.

Parigi, un milione in piazza contro la legge sul lavoro (Leggi)

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Ripresa debole e disuguaglianze crescenti (leggi)

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tontolina

Forumer storico
Churchill mandò a fanqulo Hitler.
-il rialzo dei tasi Usa non ci sara' e la colpa non sara' data alla Yellen ma alla Brexit e tutti saranno felici e contenti
-Il mercato azionario che ieri si è comportato meglio in europa e' quello inglese.
-molti sono i commenti dei media che sostengono che i giovani sono pro europa . Non è assolutamente vero, solo che i media sono pagati dai poteri forti europei per farci credere questo nell'estremo tentativo di non farci propendere per la disgregazione dell'europa.
-se la grecia fosse uscita dall'euro ...oggi la sua economia e il suo futuro sarebbero piu' brillanti, sui giornali e nei media legiamo che l'economia inglese andra' in recessione e che le multinazionali usciranno da londra...in realta' la Brexit attirera' persone e aziende e la sterlina nel giro di poco diverra' bene rifugio. Boris Johnson è come Churchill quando mando' a fanculo Hitler. L'inghiltera è uscita dall'euro per evitare di venire travolta dal fallimento finanziario che arrivera' inesorabilmente nei prossimi mesi uccidendo i risparmi di milioni di europei dei paesi a rischio
- e per coloro che sono ottimisti: Greenspan: "This Is The Worst Period I Recall; There's Nothing Like It"

l'europa adesso fara' due cose:
1) intervento della solita banca centrale che avra' come unico risultato ALUNGARE IL BRODO
2) cercare di parlare di riforme europee per evitare il peggio..ma sara' solo prendere tempo..i parassiti di bruxelles al comando non sono capaci di fare le riforme.. e vogliono solo rimanere al potere.
- In Olanda e in Francia alcune forze politiche hanno chiesto il referendum..




i giornalisti tutti oggi sono i veri prezzolati dal sistema corrotto...mi sembra di assistere al controllo totale dei mezzi di comunicazione ai tempi di MUSSOLINI...se non eri un balilla e se non eri un fascista eri un nemico del popolo.
Oggi chi è antieuropeo è considerato nemico del popolo . IN REALTA' L'EUROPA STA UCCIDENDO LA LIBERTA', HA CAUSATO MIGLIAIA DI SUICIDI, CRISI PROFONDE DELL'UOMO, SOFFERENZE .....

 

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