LE LENTICCHIE PORTANO SOLDI SOLO SE SEI CRACCO E LE VENDI A 1500 EURO (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
giann090120.jpg
 

Val

Torniamo alla LIRA
Poveri noi per come siamo messi e non si tratta solo della figuraccia per il rifiuto di Fayez al-Sarraj di incontrare Giuseppe Conte,
perché si dice che anche Khalifa Haftar abbia accettato l’incontro solo per l’intercessione di Vladimir Putin, altrimenti chissà?

Poveri noi per tutto, dalla crisi economica a quella occupazionale, dalla confusione nel governo a quella della maggioranza,
dalle lotte fratricide nei grillini a quelle sui numeri in Parlamento, dalla mancanza di una linea di politica interna a quella internazionale.

Per questo esecutivo è come se Flavio Gioia non fosse mai nato, procede al buio, per stop and go, a zig zag, annunci e smentite,
appeso al filo delle regionali e dell’attesa di un big one che rovesci il tavolo.

Del resto basterebbe vedere quello che accade sulle concessioni autostradali,
oppure sulla follia della prescrizione entrata in vigore in un clima di guerra politica fra paure e minacce trasversali,
o ancora sui dossier Ilva e Alitalia fermi al punto di partenza.
Per non parlare del caso Gregoretti che comunque vada offrirà a Salvini un jolly elettorale,
perché se passasse l’autorizzazione a procedere trasformerebbe l’ex ministro in un perseguitato,
se fosse bocciata lo accrediterebbe di una vittoria clamorosa.

Ma se tutto ciò non fosse sufficiente c’è l’aggiunta delle bacchettate Bce sulla limitazione dei contanti,
della Corte dei Conti per l’eccesso di spesa pubblica e per le coperture,
sui timori per l’avvio di una finanziaria sadomaso, sui dubbi della Ue per l’ulteriore aumento del debito pubblico.

In mezzo a questo paradiso viene sempre più a galla il problema della Capitale, ridotta ad un campo di rifiuti,
di trascuratezza, di caos quotidiano sui trasporti, sui disservizi, sul decoro del verde e delle strade,
eppure la giunta Raggi pensa ad assumere, neanche i dipendenti comunali fossero pochi.

Dulcis in fundo nemmeno mancassero le questioni serie da affrontare, la maggioranza litiga su Sanremo,
crea e raddoppia i ministeri, si impantana in vertici notturni per fare a cazzotti, trasferisce i problemi al dopo e pensa a buggerarsi sulla legge elettorale.

Insomma una sabbia mobile e un teatrino pietoso dove il sospetto reciproco, la sfiducia incrociata, le fughe dai gruppi parlamentari
e l’incapacità di fare scelte, si somma alle crisi interne dei partiti iniziando dai grillini ridotti oramai ad un campo di battaglia di soldati in disfatta e ritirata.

Eppure Conte ostenta sicurezza,
Zingaretti annuncia accordi di legislatura,
Renzi assicura la tenuta della maggioranza,
Di Maio parla come fosse al sicuro dalla rivolta dei dissidenti,

per farla breve delle due l’una, o pensano che gli italiani siano cretini oppure giocano col futuro del Paese.

Ebbene quale che sia la verità, povera Italia in mano a questa alleanza, in mano ad un governo rabberciato,
in mano ad una maggioranza in disfacimento appesa al filo delle regionali, in mano a leader in lotta tra di loro,
eppure colmo dei colmi il pericolo sarebbe la vittoria del centrodestra.

Il pericolo sarebbe il voto democratico, l’alternanza di governo, la possibilità che gli italiani
scelgano una maggioranza chiara in grado di guidare il paese con un programma concordato,
il pericolo insomma sarebbe tutto ciò che fosse alternativo alla sinistra e al postcomunismo, roba da matti.


Ecco perché poveri noi, costretti nella stagione più difficile a subire un governo che non abbiamo scelto,
nel 2018 vinse la coalizione di centrodestra,
un Premier non votato che ha guidato due governi opposti,
una maggioranza che si detesta e che sta in piedi per lo stipendio anziché per risollevare il paese.

E allora non sarebbe giusto mettersi una mano sulla coscienza, farsi guidare una volta buona dal senso laico dell’amor patrio,
dal rifiuto del tirare a campare e dall’inciucio pur di governare?

Questo non è un appello, un ritornello demagogico, è un principio della democrazia, dite la vostra che ho detto la mia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
A quanto pare il Partito Democratico avrebbe deciso di non staccare la spina al Governo a trazione grillina
almeno fino alla scadenza elettorale del 27 gennaio, in cui si voterà in Emilia-Romagna.

Ma in realtà, a mio avviso, anche nell’ipotesi di una riconferma di Stefano Bonaccini alla guida di questa storica roccaforte rossa,
non credo possa cambiare molto sul piano degli equilibri politici nazionali.

Oramai siamo da tempo in quella che possiamo definire come alternanza obbligatoria,
la cui dinamica porta inevitabilmente chi è andato al potere raccontando favole a tornare velocemente all’opposizione
o, in subordine, a sparire del tutto, come sembra indicare la rapida traiettoria discendente del Movimento 5 Stelle.

In tal senso la parabola dei pentastellati, passati in breve dalle stelle di una avanzata elettorale senza precedenti alle stalle di una sostanziale irrilevanza nei consensi
– irrilevanza che i sondaggi probabilmente non definiscono abbastanza – rappresenta in qualche modo l’apoteosi di tale alternanza obbligatoria.

Nella fattispecie a giocare un ruolo decisivo nella vicenda è stato il fattore balle spaziali,
ossia un lungo elenco di soluzioni facili per problemi estremamente complessi,
che Beppe Grillo e i suoi politici per caso sono riusciti a far passare per verità rivelate, o quasi, presso una grossa parte dell’elettorato.

Tuttavia, proprio perché si trattava di balle allo stato puro, una volta giunti al redde rationem della prova del nove,
ovvero l’ingresso nella stanza dei bottoni, i grillini hanno completamente disatteso i miracoli promessi,
realizzando nel complesso una prova di governo ben peggiore di chi li aveva preceduti.


In questo senso, tornando allo spunto iniziale e tralasciando la irrisolta questione strategica di una alleanza tra due nemici giurati,
mesi addietro divisi anche sull’Europa, se l’intento di Nicola Zingaretti & company è quello di competere con il centrodestra a trazione leghista
con qualche speranza di vittoria, dovrebbero rompere il prima possibile con lo stesso M5S,
la cui imbarazzante incapacità e improvvisazione risulta oramai visibile a buona parte del corpo sociale.

Inoltre, l’esigenza di un necessario riposizionamento politico, che escluda completamente i grillini dall’orizzonte del Pd,
è resa ancor più evidente dall’essersi fatti dettare dai primi la linea di governo in tutto e per tutto,
accettando di chinare il capo persino sulla scandalosa legge sulla prescrizione.

Tant’è che persino sulla più che decennale questione dell’articolo 18, il cui superamento costituisce una sorta di fiore all’occhiello per l’ala più riformista dei dem,
il capetto politico Luigi Di Maio sta rilanciando la posta, proponendo un anacronistico ritorno al passato.

Ma oramai la frittata è fatta per Zingaretti e le sue truppe cammellate.

Non essere riusciti a piazzare neppure una sbiadita bandierina in una ancor più sbiadita esperienza di governo
li rende sempre più corresponsabili di quanto di brutto e di sbagliato, cioè parecchia roba, i suoi alleati a 5 Stelle stanno realizzando e realizzeranno in futuro.

In tal senso potranno pur vincere le elezioni in Emilia-Romagna, il che è tutto ancora da vedere,
tuttavia l’immagine di ruota di scorta di un non partito francamente impresentabile gli resterà attaccata come la pece anche dopo il fatidico 27 gennaio.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Prelevato e “interrogato” dai suoi.

Continua il giallo sulla presunta scomparsa di Fayez al Sarraj.

Secondo indiscrezioni raccolte da Ofcs.report, il premier libico sarebbe rientrato a Tripoli
dopo aver ricevuto la chiamata dei gruppi che lo sostengono in Libia, parte integrante dei Fratelli Musulmani.

Una volta atterrato all’aeroporto di Mitiga, Sarraj sarebbe stato prelevato e “interrogato”
per capire se avesse stabilito un accordo con il generale Haftar in merito ad un incontro a Roma.

Se questa fosse la reale versione dei fatti, dunque, Sarraj sarebbe stato messo a cuccia dalla Turchia
e dai gruppi che in Libia lo sostengono e che lo hanno condotto verso l’accordo con Ankara.


Per ore, ieri sera, la notizia del rapimento (o dell’arresto) di Sarraj ha tenuto banco sui social media e non solo.

Il capo del governo libico voluto dall’Onu, infatti, dopo la visita a Bruxelles sarebbe dovuto atterrare a Roma
per incontrare il premier Giuseppe Conte. Ma qualcosa, all’ultimo momento, non è andato come previsto.
Sarraj fa sapere che non si fermerà in Italia e farà immediatamente rientro a Tripoli dove ad attenderlo,
se la notizia fosse confermata, avrebbe trovato le milizie che lo sostengono.
Dopo qualche ora di “conversazione”, tesa a scongiurare che il premier potesse aver avuto in mente “strani giochetti”
per accordarsi in qualche modo con Khalifa Haftar, lo avrebbero liberato non senza avvertirlo che certi colpi di testa non sono graditi a Erdogan.
E ricordandogli, soprattutto, che “non conta nulla e non può prendere decisioni in autonomia”.

Dopo qualche ora dalla notizia della sparizione di Sarraj, fatta circolare da account Twitter vicini ad Haftar,
arrivano le prime smentite su un presunto rapimento del premier.

Tutte, però, appaiono da subito poco convincenti perché a parlare non è mai Sarraj.

Le dichiarazioni, infatti, sono affidate a soggetti che fanno parte del suo governo che sostengono si trovi a Tripoli, tranquillo e in buona salute.

Probabilmente le smentite sono state diffuse solo quando Sarraj è stato “liberato” dai suoi.

Sarraj, infatti, al momento è sotto scacco dei Fratelli Musulmani che insieme ad Ankara intendono prendere il totale controllo della Libia.
Una possibilità che rischia di costare cara allo stesso Sarraj, ma anche al presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Qualcuno pensava che i dementi fossero solo a sinistra e nei 5stalle ?
No, no. Ci sono anche nel pseudo centro-destra. Nei seguaci della carfagna. Poverina
E poveri noi. La "democrazia" non esiste più.

Senatore Massimo Mallegni come mai avete ritirato le firme?
Siamo stati fra i primi firmatari, perché eravamo convinti che un referendum fosse necessario su una riforma costituzionale, che i cittadini si dovessero esprimere.

E perché avete cambiato idea?
Qualcuno pensa che sei/otto mesi per un referendum potrebbero essere utili per tornare a votare con il vecchio sistema, e questo non ci sta bene.
Oggi abbiamo preso una decisione importante, impedire a qualcuno di farsi prendere dalla tentazione di andare a votare senza ridurre prima il numero dei parlamentari.


Ma chi vuole approfittarsi del referendum?
Pensi a come sono messi i Cinque Stelle. Ci sono ampi settori del Parlamento che temono la riforma e vorrebbero tornare a votare con il vecchio sistema, sia nella maggioranza che nell’opposizione.

E ora che succede?
Se non saranno raggiunte le firme e quindi dal 12 di gennaio la modifica costituzionale sarà definitiva, dalla prossima consultazione elettorale gli italiani eleggeranno 300 «poltrone» in meno.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Quattro senatori si sfilano

E slitta il deposito in Cassazione delle firme per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari.

L’appuntamento fissato per questa mattina è stato rinviato.

Dovevano essere 64, la soglia minima per richiedere il referendum confermativo.
Ovvero un quinto deli eletti del Senato come recita l’articolo 138 della Costituzione.
Ne erano state raccolte 66. E invece all’ultimo i conti sono saltati.

«Alcuni, credo 4, hanno ritirato la firma. Ma altri hanno chiesto di aggiungersi», piega Andrea Cangini di Fi tra i promotori della raccolta.
«Per questo ci è sembrato corretto riaprire i termini della raccolta firme e chiedere un nuovo appuntamento in Cassazione».

Il termine per il deposito in Cassazione è il 12 gennaio.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Tutto potevo pensare, meno che di tornare a scrivere su Sanremo!

Non lo vedo, ormai neppure ricordo da quanti anni, ma quello che ho letto mi ha convinto che almeno due parole ci sono ancora da dire.
Infurierebbero polemiche sui social (quell’invenzione che, grazie a Dio, come un boomerang si sta ritorcendo contro chi pensava di utilizzarla per condizionare la gente),
perché dopo aver annunciato che non sarebbe stata più invitata la Jebreal, avrebbero invitato, niente di meno che … Rita Pavone!

Incredibile! Una cantante!!! A Sanremo! Ma dico, siamo impazziti?!
Potevano invitare, che so, un odontotecnico!

Almeno uno che a breve, vista l’aria che tira, ho la sensazione dovrà trovarsi un’occupazione, ce l’hanno pure a portata di mano.
Anche se, sempre da quel che si dice, sembra che quel mestiere non lo abbia mai fatto.
E poi dovrebbe pensarla, più o meno, come la Jebreal, per cui sarebbe perfetto.

Del resto, se hanno invitato lei, difesa a spada tratta dai soliti noti perché, dopo esser stata invitata, sarebbe stata “epurata”,
che dovrebbe avere in fatto di canzoni competenze tecniche analoghe alle mie, e quindi vicine allo zero,
potrebbero invitare lui, che almeno un fratello che fa l’attore ce l’ha.

Capisco che l’odontotecnico, sempre garbato, gentile ed educato, e con molti meno capelli della Jebreal,
non farebbe la stessa figura che può far lei quando parte con i suoi monologhi pieni di insulti verso gli italiani
(che se non condividono quel che dice lei sono sessisti, fascisti, razzisti e non so che altro), ma la differenza in fondo potrebbe pure passare inosservata.

E capisco pure lei, l’epurata, che immagino sarà ormai in crisi di astinenza da insulto visto che, vivendo negli Usa,
credo sia costretta a contenersi, vista la poca propensione degli americani a tollerarli … gli insulti.

Comunque stia pure tranquilla, ha rimediato senza dire una parola tanti autonominati difensori,
di cui molti che ricordano gli appartenenti a una setta … quella degli adoratori del nulla, odiatori in s.p.e.
(per chi non ha presto servizio militare: servizio permanente effettivo), quelli che poi accusano gli altri di essere odiatori, che non sarà lasciata sola.

Certo però, polemizzare perché viene invitata una cantante?!?!

Che stupido che sono..non perché è una cantante … solo…perché è “sovranista” … (oddio, ma che è una malattia … sarà mica contagiosa?).

Io non so chi, ma mi sto convincendo che quell’idea di abolire i manicomi, dimenticando di abolire i matti, non sia stata proprio una bella pensata.

E però, se non deve esserci una cantante, mi domando, perché deve esserci quella che interrompe gli altri mentre parlano, che insulta, che alza la voce?

Forse solo perchè … è dei “loro”? Può anche darsi, ma a Sanremo … e a parlare di che?

Escludendo la musica leggera, e magari anche quella classica, di che può parlare?
Di fisica nucleare, di filologia romanza, di esegesi delle fonti del diritto?
O magari cimentarsi in uno dei suoi monologhi, per sparare a palle incatenate contro quello che,
per questi ossessionati, sarebbe colpevole di tutti i mali del mondo: riscaldamento globale e scioglimento dei ghiacciai compresi!?

Non so proprio come finirà questa storia, e cioè se quell’arrogante maleducata sarà presente o no,
se la Pavone ci sarà o no, ma so di sicuro che, grazie al salvifico telecomando, io non ci sarò!


Voi fate pure quello che vi pare.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Limitazioni all’utilizzo del denaro contante: lotta all’evasione fiscale o regalo alle banche?

Di oggi la notizia, apparsa su quasi tutti i giornali, che la BCE ha bacchettato il governo italiano
sulle limitazioni all’utilizzo del denaro contante poste in essere dal governo Conte bis.

Tra qualche mese, infatti, l’attuale limite di 2.999,99 euro scenderà a 1.999,99 euro, per poi tornare – in linea con quanto fece il governo Monti – a 999,99 euro.

Un mio breve video su facebook in cui dimostro, con un esempio elementare,
come i “Ladri di democrazia” attualmente al governo (Pd-M5S) – con la scusa della lotta all’evasione fiscale –
mortificano cittadini e imprese per regalare soldi alle banche. I vostri soldi.

IL VIDEO E' STATO BANNATO.
 

Val

Torniamo alla LIRA
“Plutarco? Chi era costui?”, si chiederanno molti politici nostrani, come Don Abbondio con Carneade mentre leggeva un panegirico in onore di San Carlo.

Quanti di essi avranno letto i suoi Consigli ai politici?

Eppure nessuno scrittore è stato, in ogni tempo, così profondo e attuale come lui,
considerato uno dei più grandi maestri di saggezza, il simbolo per eccellenza della virtù.

Tutti ne hanno subìto l’influsso. E l’hanno amato anche gli scrittori cristiani, da Clemente di Alessandria a Basilio di Cesarea,
riscontrando in lui una sorprendente affinità di pensiero e di sentimenti, e per questo alcuni hanno ritenuto che avesse letto il Vangelo, diffondendone il messaggio nei suoi scritti.

Per Plutarco l’attività politica deve fondarsi non su una infatuazione, dettata da vanagloria o spirito di rivalità,
né sulla mancanza di altre occupazioni, ma su una scelta chiara e sicura derivante dal giudizio e dalla ragione.

Si tratta di una vocazione, come quella religiosa o artistica.

Molti, invece, prendono la politica come uno svago, simili a coloro che, non avendo niente di utile da fare in casa,
passano la maggior parte del tempo in piazza, anche senza un motivo.

Inoltre, poiché non hanno le idee chiare e stabili, coi loro continui ripensamenti finiscono per screditare l’attività politica,
mentre chi si è dato alla politica dietro un preciso e convinto ragionamento, ritenendola la più nobile delle attività e la più adatta alla sua naturale inclinazione,
non si pentirà mai di quella scelta e non andrà incontro a pentimenti o turbamenti di sorta.

Vi sono anche di quelli che, smaniosi di popolarità e ammalati di protagonismo, affrontano gli avversari in pubblici dibattiti come se fossero attori di teatro,
diventando così schiavi di coloro a cui credono di comandare e indisponendo quelli che vorrebbero compiacere.

La politica è l’espressione più alta della dialettica, che è propria dell’uomo e che costituisce la vera creazione di Dio:
tutte le cose materiali, infatti, Dio le ha tratte dalla sua essenza stessa, l’energia nel suo stato sottile e invisibile che ci circonda
(e dunque sono “cose di ordinaria amministrazione”), non “dal nulla”, come sostiene la Chiesa, interpretando erroneamente il “creò” con cui inizia la Genesi,
perché il nulla non esiste poiché Dio è tutto e dovunque non c’è che Lui.

Ma figurarsi se i nostri politici s’interessano di queste cose.

Ebbene, la base per una buona e retta politica, come dice Plutarco, è la filosofia,
cioè lo studio degli aspetti fondamentali della vita, che attraverso l’analisi e la riflessione porta alla conoscenza dei princìpi e delle regole universali della realtà.

L’attività politica che sia volta a soddisfare le aspirazioni più alte e più nobili dei cittadini non può prescindere da tale preparazione,
ma non risulta, da come parlano, che almeno alcuni dei nostri politici abbiano studiato la filosofia,
e se l’hanno studiata ai tempi della scuola poi l’hanno messa da parte, magari proprio perché convinti che la politica non abbia niente a che vedere con la filosofia.

Grande è il peso che può avere su chi governa la parola di un filosofo, il quale nella sua speculazione,
che abbraccia la vita intera in tutte le sue forme e manifestazioni, medita pure sulla politica, anche se non necessariamente la pratica.

Se oggi in molti casi la politica è diventata un’attività autonoma e lucrosa, uno strumento per l’acquisto e il mantenimento del potere,
con tanto di tornaconto personale e di spregiudicatezza, ciò è dovuto al fatto che i politici, salvo rare eccezioni, non hanno una base filosofica,
indispensabile per una politica corretta ed efficace.

In Italia nemmeno i capi di Stato si adoperano per conciliare gli animi, anzi, spesso, lungi dal favorirlo, inaspriscono il dialogo,
che dovrebbe essere pacato e all’insegna del rispetto reciproco, delle opinioni e della persona,
che è la base di una vera democrazia, la premessa per una politica sana e costruttiva.

Filosofia significa visione ampia e profonda delle cose, significa equilibrio, serenità e obiettività di giudizio, rispetto delle idee altrui,
nella convinzione che, come ho accennato più sopra, la vita umana è un gioco dialettico, in cui le contrapposizioni sono necessarie alla conoscenza e al progresso della vita stessa.

Anche la morale è legata alla politica (André Malraux diceva che “non si fa politica con la morale, ma senza morale non se ne fa abbastanza”).

A questo proposito Plutarco cita l’esempio del tribuno della plebe Livio Druso, il quale, essendosi un artigiano offerto, per cinque soli talenti,
di orientare e disporre diversamente quelle parti della sua abitazione che erano esposte alla vista dei vicini, rispose:
“Anzi, te ne darò dieci, se renderai trasparente tutta la mia casa, in modo che tutti i cittadini possano vedere come vivo!”.

Per Plutarco la politica non è disgiunta nemmeno dalla religione, intesa in senso lato, quale visione della vita e del mondo sotto un profilo sacro,
perché il politico “è al servizio di Dio per il bene e la salvezza degli uomini, e per la conservazione di tutto ciò che di bello e di buono ci viene elargito da Lui”.

Ci sono dei valori che solo da una dimensione più alta possono ricevere il crisma di una validità universale e assoluta,
altrimenti si cade in un relativismo soggettivistico pericoloso in cui la vita e il mondo intero non hanno alcun senso.

Tali valori sono la patria, la famiglia, la virtù, l’amore per il bene, l’altruismo, la fratellanza.

Del resto anticamente i princìpi fondamentali della politica derivavano dalla teologia.

La politica, infatti, ha o deve avere tra i suoi scopi non solo il benessere materiale dei cittadini ma anche la loro elevazione ad una visione più alta.
Senza un modello, senza un punto di riferimento, eterno e universale, senza l’immagine o solo la speranza di un Dio, tutto crolla.

Fra i governanti e i politici in generale, dice ancora Plutarco, non mancano gli uomini incolti,
i quali cercano di sottolineare il peso e la dignità della carica che rivestono facendo la voce grossa,
assumendo uno sguardo severo, un atteggiamento scontroso e di superiorità.

Solo la filosofia può salvare il politico incolto, il quale per esser tale è più pericoloso di quello colto,
perché non ragiona, perché se arriva al potere è più facile che si monti la testa e faccia cose che “non deve fare”.

L’ignoranza, infatti, una volta salita al potere, si fa arrogante, presuntuosa, al punto da ritenersi – lei che non ha nemmeno uno straccio di diploma –
superiore e più vicina alla verità di chi invece ha una laurea, e magari due o tre (ma anche fra i laureati la presunzione ha molti discepoli, ed è maggiormente riprovevole).

Il vero uomo colto non fa pesare il proprio sapere, non si considera unico depositario della verità, non insulta chi la pensa diversamente da lui,
non dice “Sta’ zitto tu che non capisci niente”, “Io con te non ci parlo”, e così via.

Questa è una forma di incultura che manifesta non solo un evidente disprezzo nei confronti degli avversari ma una intolleranza delle regole democratiche.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Oggi il consumo è orientato solo in maniera residuale dai reali bisogni che possono essere soddisfatti con i beni e i servizi.

Infatti non acquistiamo un maglione per coprirci, ma vogliamo un certo tipo di maglione per le caratteristiche materiali
(colore, taglio, tessuto, ecc…) e, soprattutto immateriali (valore del brand, dimensioni simboliche a esso associate, ecc…)
che esso incorpora e che, quando lo mettiamo racconta che persona siamo o vorremmo essere.

Questo nostro atteggiamento rivela la presenza nel cuore dei processi di acquisto delle storie e dell’identità narrativa.

Il consumo post-moderno si caratterizza per un consumo di beni acquistati per la loro dimensione segnica e simbolica,
come elementi portatori di contenuti narrativi che ci permettono di raccontare chi siamo a noi stessi (costruzione identitaria)
e agli altri (rappresentazione del sé); cioè il consumo post-moderno è un consumo di storie acquistate per il contributo
che danno ai processi identitari di ognuno di noi. In questo contesto le aziende sono diventate i principali produttori di contenuti simbolici
di cui si nutrono le persone trovandoli cristallizzati in brand, prodotti e servizi. Contenuti che sono veicolati a livello narrativo
mediante i diversi canali in cui si declina la comunicazione aziendale: tutte le forme dell’advertising classico dell’interruzione
(dagli spot televisivi, alle affissioni, agli annunci radiofonici) sono composte prevalentemente da storie costruite per attirare l’attenzione,
emozionare e lasciare nella memoria degli spettatori tracce del brand e del prodotto/servizio promosso.
La capacità che hanno le storie di sospendere l’incredulità di chi le fruisce è la base di tutta la comunicazione seduttiva di consumo.
Il detersivo che ci racconta che “più bianco non si può” o la crema antirughe che promette risultati entro trenta giorni
fondano il loro potere comunicativo sulla disposizione di ognuno di noi a sospendere il dubbio accettando il patto funzionale che ci viene proposto.

Noi, sappiamo perfettamente che quelle promesse sono false, ma ci piacciono e ci fa comodo crederci.

Le storie che le aziende producono per essere percepite come buone storie devono riferirsi a un canovaccio transculturale definibile Storia Canonica (o mono-mito).

Analizziamo la struttura di una buona storia.

Ogni storia, nella forma elementare, si compone di cinque elementi (struttura pentadica):

  • un attore (eroe) inquieto e alla ricerca di qualcosa che è una ricerca di sé stesso e del proprio posto nel mondo;

  • un’azione (impresa) che l’attore deve compiere dal cui sviluppo originano le vicende narrate;

  • un contesto, costituito dallo scenario spazio-temporale in cui le vicende si collocano;

  • uno scopo (tesoro da conquistare) che è il motore motivazionale della storia, l’obiettivo a cui il protagonista tende e per il quale si mette in azione;

  • uno strumento (oggetto magico) di cui il protagonista si dota per raggiungere il proprio scopo.
Oltre a questi elementi citati, la Storia Canonica ne prevede altri dalle cui interazioni prendono vita tutte le storie possibili.
Tra questi elementi, le storie di consumo possono contenere:
uno o più nemici (oppositori), contro il quale il protagonista lotta per raggiungere il proprio scopo;
uno o più aiutanti su cui può contare per difendersi dagli avversari e procedere nel proprio percorso; u
na sfida, esterna o interiore, che molto spesso intercetta alcuni snodi problematici e irrisolti del protagonista;
un mentore che aiuta l’eroe istruendolo o facendogli dei doni.

Andrea Fontana ha declinato i principali elementi costitutivi della Storia Canonica in narrazioni di consumo; analizziamole:

  • Attore/Eroe: la narrazione di consumo deve intercettare la dinamica della nostra vita in cui ci troviamo e ci deve proporre un viaggio di auto-riconoscimento mediante i prodotti e i servizi.

  • Azione/Impresa: il destino da realizzare non è altro che la promessa reale e ipotetica che il prodotto o servizio fa al cliente-consumatore-eroe nel suo viaggio (diminuirà la cellulite, il mal di testa passerà, sarà più forte e performante, andrà più veloce, ecc…).

  • Sfida: è importante conoscere bene il pubblico per sfidarlo sul suo tallone D’Achille: vuoi davvero dimagrire? Vuoi davvero essere più bella? Vuoi davvero andare più forte? Allori parti con me in questo viaggio. Sono riservate a noi sorprese inestimabili.

  • Mentore: nelle storie di consumo è il brand che si dimostra in grado di aiutare l’eroe a raggiungere i propri scopi mediante i propri prodotti, connotati come oggetti magici in grado di sconfiggere qualsiasi avversario: dalle macchie più resistenti alle rughe, dal cattivo odore del sudore al rischio di restare senza connessione.

  • Avversario: in una narrazione commerciale è importante mettere qualche antagonista che ostacola l’eroe: lo stress, la noia, il partner, ecc…). Si può inserire tutto ciò che si vuole, ma più oppositori ci sono, più forte sarà l’effetto di riconoscimento tra il cliente e il prodotto/servizio/azienda.

  • Conflitto/Trauma: tutti i prodotti e servizi devono essere progettati e raccontati per curare, far evadere o salvare gli eroi-consumatori dai propri traumi e conflitti d’esistenza.

  • Scopo/Tesori: la promessa che un prodotto o servizio fa deve diventare la risorsa di vita e prosperità che l’eroe deve raggiungere e avere per compiersi e autorealizzarsi.

  • Oggetti magici: il prodotto o servizio è un oggetto magico che dà potere a chi lo ha.

  • Aiutanti: l’impresa o l’organizzazione che fornisce il prodotto/servizio aiuta sempre l’eroe-consumatore-cliente.

  • Nozze finali: la visione della promessa compiuta. Cosa accadrà quando mettendo questa crema la cellulite sarà scomparsa?
Tenendo presente questi elementi costitutivi della Storia Canonica declinati in narrazione di consumo, per esempio,
nel classico spot sul dentifricio, si possono riconoscere le seguenti figure:

  • l’eroe: il protagonista della storia che ha il problema delle gengive sensibili;

  • l’avversario: la placca che attacca lo smalto e infetta le gengive;

  • l’azione: riuscire a sconfiggere la placca per avere di nuovo gengive forti e sane;

  • il tesoro: sentirsi di nuovo a proprio agio con gli altri, conquistare il partner;

  • il mentore: l’azienda, rappresentata dallo scienziato, che realizza potenti pozioni magiche,

  • lo stumento-oggetto magico: il dentifricio che contiene sostanze dagli effetti portentosi sulla placca (prodotto reclamizzato);

  • le nozze finali: l’eroe che esce sorridente con la ragazza per una serata galante.
Dato che il consumatore trae soddisfazione dalle storie che accompagnano un bene o un servizio,
il marketing non deve semplicemente convincerlo a comprare un prodotto, ma lo deve immergerlo in un universo narrativo e coinvolgerlo in una storia credibile.
 

Users who are viewing this thread

Alto