L'arte serve ancora? A che cosa? (1 Viewer)

vecchio frank

could be worse...
Quale ruolo ha l'arte nella società contemporanea?

Se lo è chiesto Il Giornale dell'Arte nel numero di settembre, aprendo un sondaggio al quale si può rispondere anche online sul loro sito:

Il Giornale dell'Arte

Sarebbe bello se ognuno di noi partecipasse e riportasse poi qui le proprie scelte.

Io ho risposto:

- Manifestazione di talento creativo
- Crescita culturale

(sono possibili più opzioni).
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Io ho risposto che oggi l'arte serve come evasione. Goldin sta riproponendo l'ennesima mostra sugli impressionisti, e sarà un successo. La gente ci va per sonnecchiare e sognare un poco.
Gli artisti creano con lo stesso impegno che ci mettono i cani a pisciare su tutti i pali per marcare un territorio. Non hanno molto da dire, i cani. Neanche gli artisti, ma è bello credersi tali e produrre merce.
Non che io sia d'accordo, ma penso le cose stiano così.
 

Cris70

... a prescindere
Aspettando che riprendano i voli x Roma
(ma è successo qualcosa stanotte?), ho risposto:
Crescita culturale
Evasione dalla realtà quotidiana

Credo infatti che, a prescindere se l'offerta sia qualitativamente valida o meno, l'arte sia ancora il migliore strumento per veicolare e diffondere cultura.
Essendo nel mio caso anche terapeutica, ho aggiunto l'evasione dal quotidiano e in tal caso non necessito di vedere sempre capolavori e storia dell'arte. Mi accontento anche di una modesta bottega artigiana o di bere una birra con un giovane street artist che nessuno conosce.
 

Umbisam

Fraudsters' Hunter
l'arte è vita ... invita a pensare, riflettere, crescere, ricordare, evadere, sognare, memorizzare, immortalare, curare, ferire, denunciare .... e potrei continuare ... l'arte è un'intangibile indefinibile in poche (o tante) righe ... la sua virtù migliore è essere infinita
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Riapro e amplio un poco il 3d in occasione di un articolo di Beba Marsano sul Corriere del 4 marzo 2018. Titolo: Istantanee di desiderio., sottotitolo COLLEZIONISTI, DIETRO L'OSSESSIONE LA RICERCA DI UN'IDENTITA' NASCOSTA..
Si parla del rapporto tra inconscio ed opera d'arte (convegno a Milano 9, 10 e 12 marzo). La motivazione oscura del collezionismo viene vista come "una pulsione che non si esaurisce semplicemente nella brama di possesso del bello ma può essere spia di una patologia" dice Chiara Agagiù, critica d'arte. La ricerca inesausta di una cosa che non si andrà mai a trovare: "L'Unità Originaria, la Madre" - sto citando. Come risultato una insoddisfazione perenne. Da ciò, il collezionismo sarebbe una forma di compensazione (dice Mimmo Pesare, docente di psicologia), potendo anche risultare come una grande occasione terapeutica. L'ex manager Ettore Molinario conferma dicendo che "in ogni singolo pezzo di cui mi circondo ci sono tracce simboliche di me". Di più, cita la frase di uno psicanalista al paziente (lui stesso): Cosa vuole che sia qualche milione di lire per comprarsi un pezzo di sè?
Mi fermo qui, perché l'articolo continua abbastanza banalmente dichiarando che il rivedere immagini "vecchie" ha il potere di far risorgere ciò che in quel preciso momento eravamo - manca la madeleine e poi siamo a posto.

Diciamo quindi che importante è lo spunto: perché si colleziona? e la risposta iniziale sarebbe che si ricomprano aspetti del sé. Dimenticando, purtroppo, la specificità della dimensione estetica, e quindi fermandosi all'aspetto del collezionismo più semplice (figurine, monete, che so io). Con tutto il rispetto per questi collezionisti (per i quali Freud evocò il periodo "anale" dello sviluppo, quando il bambino la fa nel vaso e però vorrebbe in qualche modo riappropriarsene, v. denaro sterco del diavolo) ritengo che nel cercare arte vi possano essere altri aspetti.
Poiché non intendo affatto esaurire l'argomento ora,, mi limito ad osservare che tutto quello di cui ci circondiamo nella casa tende ad essere un supporto per l'espressione e l'espansione dell'io, pertanto se un qualunque oggetto si guasta, o ci viene rubato, soffriamo molto più per la limitazione che cade sul nostro io che per il danno patrimoniale in sé. E' dunque evidente che anche gli oggetti d'arte supportano l'espandersi del nostro io, così come con il tempo alcuni di questi oggetti perdono la loro funzione di sostegno e ristoro per acquistarne una di limitazione ed oppressione - ed è questo il momento in cui vogliamo "cambiare", per esempio vendendo la litografia di Gentilini o regalando il mobile da cucina del nonno.

A differenza delle figurine dei calciatori o anche delle monete antiche, la collezione ( o raccolta) di quadri non entra solo nell'ambito degli interessi storici, o anche personali, ma ci porta a incontrare/scontrarci con altre personalità proprio sul piano della soddisfazione estetica. Naturalmente tutti conosciamo il collezionista di oggetti, per esempio penne, che in effetti diviene sensibile agli aspetti estetici, spesso superbi, degli oggetti amati, e ce li decanta sino allo scassamarronismo più esasperato. Si converrà, tuttavia, che in questi casi l'estetica è fattore assai marginale, mentre nell'arte visiva è quasi l'unico.

Che cosa si possa recuperare di sé attraverso l'esperienza estetico-artistica è quindi la domanda.
 
Ultima modifica:

Loryred

Forumer storico
I temi proposti in realtà sono due, funzione/rapporto con l'arte e funzione/ruolo del collezionismo.

Che l'arte serva direi più che mai, in primis direi per non dimenticare la parte migliore di noi, elevare lo sguardo dal proprio ombelico, coltivare la possibilità di esprimerci e comprendere il nostro tempo. Alla fine anche nelle condizioni peggiori e più disumani, mi vengono in mente i disegni di Dachau di Music diventa un modo per sentirsi vivi ed aspirare alla bellezza, la garanzia di una sopravvivenza al di là di tutto.

Quest'ultimo aspetto credo abbia anche molto a che fare anche col collezionismo. Pur non riconoscendomi nella categoria del collezionista, almento finora, che chiaramente presenta una gradazione dal piacere semplice ed immediato fino al rapporto patologico/maniacale con l'oggetto ritengo si tratti principalmente di una proiezione/rappresentazione di sè e di come si vuole essere percepiti dagli altri.
Sono convinta anche della connessione con la dimensione psicologica e caratteriale individuale, per quanto mi rigurada la predilezione per un certo rigore geometrico e ragionato coniugato con la delicatezza, la poesia ed il colore, il mix della mia componente emotiva controllata da una "rassicurante" razionalità.
A conferma mi ritrovo ad es. anche "altrove" in una maggiore sintonia e affinita sia intellettuale che di visione con persone nelle cui scelte/preferenze mi riconosco, anche al di là del semplice gusto estetico o artistico.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Molti avranno avuto l'esperienza di camminare "cercando di stare" nei segni trovati al suolo (pietre, liste di marmo), o di sperimentare comunque una certa attenzione ai segnali dell'ambiente, anche verticale - alberi, pali, colonne - in rapporto, continuando l'esempio, con i propri passi. Chi non l'avesse mai provato, avrà pero probabilmente almeno visto un bambino che cercava di non pestare mai la giunzione tra due pietroni del lastricato, o viceversa di camminare sopra a tutti questi, non mancandone uno. Pare solo un gioco, ma è chiaro che non è solo ciò, se ci "assale" una simile mania anche da adulti - salvo, per i più, il distaccarsene subito, naturalmente. Credo che questa attitudine dimostri una volontà di difendere l'integrità del proprio io, in qualche modo minacciato da fantasmagoriche aggressioni dell'ambiente. Qui c'è una riga, qui un'altra: e io non le calpesto, so elevarmi sino a questa capacità. Però lo faccio anche "contro" quella costrizione, puramente simbolica, peraltro. Un poco come nei giochi di guerra.

Bene, che c'entra?

Pensiamo a un bambino che vuole completare la sua raccolta di figurine (parlo del passato, di quelle vecchie: del presente, non avendo figli, non saprei). Quale angoscia, quale febbrile ricerca una volta giunto a pochi passi dal traguardo. Non conta più, allora, ciò che si ha, ma ciò che manca! E questo avviene perché l'identità del ragazzo viene da lui collegata con l'integrità della collezione, cioè con la completezza. L'adulto vive qualcosa del genere in occasione di un graffio alla carrozzeria dell'auto: si perde la completezza di qualcosa (di un'identità). La stessa cosa, l'identità, viene messa alla prova nel giochino di "calpestare tutte le righe" - o non calpestarle.
Questi esempi riguardano qualcosa di "chiuso", limitato: la collezione di 200 figurine, la superficie della macchina. Ma con l'arte ci troviamo sull'altro versante, quello opposto, quello della costruzione "aperta". Mi spiego. Normalmente la produzione artistica disponibile è sterminata. Praticamente nessuno può possedere "tutto" di qualcosa, nemmeno di un solo artista (a parte che ... sai che noia - che significa che inconsciamente non accettiamo di identificarci in un solo autore, comprendiamo che in questo ci sarebbe qualcosa di malato, unidirezionale, mentre la vita necessita di varietà). Non potendo possedere tutto, ogni acquisto che si aggiunge alla collezione sarà come un mattoncino che contribuisce a creare la figura immateriale di un proprio io in perpetua evoluzione.
L'album di figurine terminato è il raggiungimento di qualcosa, come lo scudetto per una squadra, la vittoria in torneo per un tennista, il superamento di un esame. Qualcosa che finisce, e dunque ha a che fare da una parte con il concetto di morte, dall'altra con il concetto di felicità (si dice felice viaggio, per intendere che sarà compiuto bene: la felicità in senso stretto si prova solo nel portare a termine qualcosa - non fisicamente, ma psicologicamente, se ogni sera porto avanti con soddisfazione un lavoro vado a dormire felice - e però quando lo termino sarà un altro tipo di felicità che si aggiunge). L'operazione ebbe un esito felice: significa che è finita bene. Una scelta felice: un buon risultato. ecc.
Il collezionista deve trovare una qualche completezza, una fine: certamente lo soddisfa ogni passo in sé, visite a mostre, rivedere un'opera propria. Ma questo ha a che fare con la soddisfazione del giorno, non con la felicità. Peraltro, il collezionista sa di non poter terminare la raccolta. Fuor di metafora, egli non completerà mai la creazione del suo io/immagine. Dovrà dunque, o porsi dei limiti artificialmente scelti (es. solo francobolli di un paese, o di un periodo) oppure avere l'atteggiamento psicologico del lavoratore, dell'artigiano che ogni sera va a dormire soddisfatto. Se non lo fa è condannato al tormento dell'infelicità. Non può, alla lettera, avere un "tutto", per la natura stessa dell'arte. Pertanto il suo lavoro sarà creare un'opera/collezione aperta, un io in continuo divenire. Soddisfazioni magari molte, felicità, se non se la inventa in proprio, mai.
Un personaggio valido dell'altro forum si è dato come metodo, come autolimitazione, la regola di non prendere che una sola opera di ogni autore che gli interessa, e che sia un'opera di alto livello. In tal modo ha trovato un escamotage assai funzionale che gli permette di raggiungere ogni volta, ad ogni acquisto, la felicità che deriva da qualcosa di compiuto. Lo scrivente, peraltro, ha fatto una scelta differente, rinunciando ai piaceri del possesso definitivo e spostando l'aspetto narcisistico dell'acquisto dal possesso al gusto della ricerca. In pratica, istituzionalizzando l'opera aperta (strategia che ha il grosso limite di rendere il cercatore dipendente dalla situazione).

Comunque, nemmeno lo scrivente si considera un vero "collezionista". Conosco invece una coppia in cui lui è appassionato di fotografia, lei di ballo. La loro casa è strapiena di riviste e foto sul ballo, ed ogni volta cercano, comprano e mettono via con le stesse modalità con cui tutti ogni giorno mangiamo: tensione della fame, pranzo, soddisfazione della pancia piena e distensione. Chiaro che mangiare, per il fatto che deve inevitabilmente ripetersi, non può dare la soddisfazione della felicità, solo ripetuto piacere, al massimo. Ora, chi mangia (tutti) non può davvero definirsi collezionista di cibo. Anche per l'importante particolare che egli distrugge il suo oggetto per sempre, mentre il collezionista presta grande attenzione alla conservazione e all'integrità dell'oggetto. Perché la collezione è "per sempre", anche se poi si scambia o si vende: ma non si distrugge mai.
 
Ultima modifica:

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
La citazione "per sempre" nel post precedente non è casuale. Ogni collezionista si confronta con una dura impari lotta contro l'eternità, contro il tempo che passa. La sua ottica è nel tempo infinita, i suoi strumenti, invece, e lui stesso sono condannati alla caducità terrena. Certo egli li conserverà con la massima cura, e venderli gli apparirà come una forma simbolica di assassinio (di una parte di sé stessi). In certo senso cerca di illudersi che vi sarà una continuità, qualcuno prenderà in mano la sua raccolta e ne avrà cura. Ma nell'intimo teme che la sua collezione si disperda, e in questo fatto vede (e vede bene) l'immagine stessa del proprio morire.
Naturalmente molti si salvano ragionando e migliorando il proprio senso del reale, nella sua inevitabilità. Ma. emotivamente, il tarlo continua quasi sempre a rodere.
Il collezionista ricco potrà allora costruire una casa per il futuro della sua collezione. Il meno agiato, invece, non ha a disposizione questo escamotage

Tutto questo vale per l'aspetto materiale di ogni collezione L'arte ha, se dio vuole, un elemento immateriale che almeno dà di per sé un senso, se non di eternità, di spiritualità che si prolunga nel tempo. Si potrebbe dire che il collezionista, in quanto riesce a distaccarsi dalla materialità dei suoi quadri, si avvicina maggiormente al rango di divinità. Il collezionista che cede non per bisogno ma per libera scelta prende posizione nei pressi di Giove. E' più libero.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Qui andrebbe precisato che essere libero significa avere maggiori possibilità di scelta. Quando compro, cedo il denaro al venditore, il quale con esso può fare mille cose, ha grande possibilità di scelta, diviene più libero. Io che compro, beh, occorre vedere: se l'oggetto è per me soprattutto un consumo, tipo sapone, cibo, e allora cedendo denaro ho perduto un po' di libertà (di scelta). Però posso anche considerare quanto l'oggetto acquistato possa ampliare le mie facoltà (un telefono, un'auto, uno strumento per fare qualcosa) e allora cedendo denaro ho sì diminuito le mie facoltà di scelta in acquisto, ma le mie possibilità di agire sono aumentate, la libertà è passata dal teorico al concreto. Dal "potrei fare" sono passato al "ora posso fare di più".
In questo senso il collezionista sa bene quali opere restino nel tempo elementi essenziali del suo costruirsi una storia / immagine personale, e quando invece un'opera perda questo status e possa venire ceduta.
 

mantegna

Forumer attivo
Qui andrebbe precisato che essere libero significa avere maggiori possibilità di scelta. Quando compro, cedo il denaro al venditore, il quale con esso può fare mille cose, ha grande possibilità di scelta, diviene più libero. Io che compro, beh, occorre vedere: se l'oggetto è per me soprattutto un consumo, tipo sapone, cibo, e allora cedendo denaro ho perduto un po' di libertà (di scelta). Però posso anche considerare quanto l'oggetto acquistato possa ampliare le mie facoltà (un telefono, un'auto, uno strumento per fare qualcosa) e allora cedendo denaro ho sì diminuito le mie facoltà di scelta in acquisto, ma le mie possibilità di agire sono aumentate, la libertà è passata dal teorico al concreto. Dal "potrei fare" sono passato al "ora posso fare di più".
In questo senso il collezionista sa bene quali opere restino nel tempo elementi essenziali del suo costruirsi una storia / immagine personale, e quando invece un'opera perda questo status e possa venire ceduta.

Sono soffocato dalla roba, ne ho troppa, limita la mia libertà, nei prossimi anni dovrò vendere di tutto un po'. Anche l'arte concorre a riempirmi gli spazi fino alla nausea, nei prossimi anni mi disferò di tutto perchè la vera libertà sta nel non possedere nulla, nel non avere nulla che ti vincoli e ti impegni in un mandato che finisce per condizionare la vita.
Questa è la conclusione a cui sono arrivato, l'istinto di possedere, con una scusa o l'altra, porta solo a cataste di cose che svuotano di significato gli oggetti stessi e la nostra vita.
L'arte espande il nostro io? Solo una illusione. Il collezionismo può a buona ragione essere considerato una forma di malattia mentale, riempirsi di roba per sublimare l'impotenza a realizzare quello di cui avremmo veramente bisogno trovando in questo modo parziale sollievo.
Altro discorso è invece l'interesse culturale per l'arte che può riempirci la vita con contenuti che ci mantengono legati alla nostra dimensione, alla realtà esterna. Se l'arte fosse solo evasione non si capisce come potrebbe sopravvivere di fronte a competitors che stanno diventando molto più forti, cinema televisione sport videogiochi social networks. Un futuro lo vedo proprio in questo, arte come aiuto allo studio del mondo a cui apparteniamo.
Futuro del collezionismo razionalmente legato solo allo status symbol, soddisfacente l'illusione di essere di più, una ricerca come giustificazione del proprio status e nel poter dire di essere anche più intelligenti degli altri.
Personalmente non ho bisogno di questo tipo di stupefacenti.

:jack:
 
Ultima modifica:

Users who are viewing this thread

Alto