LA VITA NON E' TROVARE SE STESSI. LA VITA E' CREARE SE STESSI (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Secondo la rilevazione di Alessandro Amadori per Affaritaliani.it sulle regionali in Emilia Romagna, si metterebbe molto male.

La regione “rossa” per eccellenza si appresterebbe dal 26 gennaio a diventare un’ex baluardo della sinistra.

Al
Pd potrebbe non bastare nemmeno l’alleanza con il M5s per tenere botta al centrodestra.

Secondo il sondaggista, infatti, se dem e grillini si presenteranno separati,
Lucia Borgonzoni, arriverà al 45% dei consensi contro il 41% di Stefano Bonaccini, con i 5 Stelle fermi al 12% e le briciole (il 2%) alle altre liste.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Personalmente sono solo in parte d'accordo su quanto riportato nell'articolo.

La privatizzazione telefonica è stata gestita erroneamente perchè lo Stato non ha mantenuto il controllo delle centraline.
E Telecom è stata data in mano a profittatori seriali - De Benedetti e compagnia successiva - sino a diventare straniera.
Lo stato avrebbe dovuto privatizzare solo "l'ultimo miglio", quello che dalla centralina posta in strada arriva all'abitazione del Cliente.

Come è invece avvenuto nell'energia e nel gas. Energia, dove la parte di struttura - linee + contatore - è rimasta in capo allo Stato :
Terna (che si occupa delle linee di fornitura dalla produzione alle centrali di distribuzione) ed
Enel Distribuzione, che dalle centrali su citate porta la corrente al contatore
e gli aumenti di cui si parla nell'articolo vanno a vantaggio solo di queste 2 aziende (statali) che naturalmente hanno costosi consigli di amministrazione e quant'altro.
In questo caso avrebbero dovuto accorpare le 2 società pubbliche.

Nel gas, linee e contatore fanno capo ad Aziende di Distribuzione che sono sì private, ma che non cedono i diritti di controllo degli stessi.
Sopra di loro abbiamo chi - nella pratica - gestisce gli acquisti di gas.

La privatizzazione ha in questo casi demandato la parte finale - contratto di fornitura - ad Aziende private che operano ancora
in un regime di concorrenza ed offrono tariffe allineate. Basti pensare che 10 anni fa pagavamo l'energia ad Enel Servizio Elettrico
circo 180 millesimi al Kwh. Oggi la paghiamo max. 80 millesimi. E l'incidenza di questo costo sul costo finale della bolletta
è di circa il 45%, quando 10 anni fa era del 75%.
Il problema reale è che i costi sono aumentati in maniera indiscriminata ed in regime di monopolio, solo per favorire Terna ed Enel Distriubuxzione, monopolisti del servizio.
Il gas risente maggiormente di prezzi imposti dai fornitori esteri.
Ma - ad esempio - Enel Energia può offrire un prezzo di 22 centesimi al metro oppure 35 centesimi al metro cubo, a seconda della tipologia di offerta......
.....e ti offrono sempre quella di 35 centesimi...........

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Da almeno 30 anni in Italia non passa giorno senza che qualche “esperto” ci ricordi, in TV, alla radio o sui giornali, della necessità di “fare le riforme”.

Una delle “riforme” fondamentali, secondo il pensiero unico che domina i mezzi di informazione, è la privatizzazione dei servizi pubblici,
in quanto ciò che è pubblico è ritenuto per definizione inefficiente e produttivo.

Peraltro raramente sui mezzi di informazione ci ricordano che l’Italia è fra i paesi in Europa che più di tutti ha privatizzato i servizi pubblici, con conseguenze non sempre positive per noi cittadini.

Durante i governi del dopoguerra, fino agli anni 1980, i servizi pubblici erano tutti gestiti dallo Stato: i trasporti, la rete stradale, le telecomunicazioni, l’energia, l’acqua, la sanità, le poste, la scuola.

Era sentire comune, in parte basato su fatti reali e in parte basato sulla narrativa più o meno oggettiva fornita dai mezzi di informazione,
che vi fosse una scarsa produttività delle aziende pubbliche. Questo sia dal punto di vista della qualità dei servizi,
ma soprattutto per una presunta scarsa efficienza di una parte dei lavoratori pubblici.

Non intendiamo in questa sede indagare sul fondamento di questa rappresentazione.
Diciamo che era, ed è tutt’oggi, un sentire comune che le cose andassero in quel modo.

Insieme a lavoratori pubblici professionali, competenti ed efficienti nel proprio lavoro, infatti, c’erano anche persone che potremmo definire “poco motivate”
a lavorare in modo efficiente, intente a ridurre al minimo la fatica lavorativa per portare a casa senza problemi lo stipendio mensile.
Un classico esempio era quando si assisteva per strada ad un intervento di riparazione stradale con 4 persone per fare il lavoro di 2.
In quei casi, peraltro, la responsabilità era anche dei dirigenti incapaci di organizzare correttamente le squadre operative.

In questo fenomeno grave è stata la responsabilità storica dei sindacati, i quali si sono dimostrati molto attenti a difendere il “posto di lavoro sicuro”
(ovvero lo stipendio garantito e licenziamento quasi impossibile) nel settore pubblico e ma molto poco attenti
alla qualità dei servizi offerti ai cittadini ed all’efficienza nella produzione dei servizi richiesti.

In estrema sintesi: c’era una diffusa mancanza di responsabilità nei confronti dei cittadini utenti dei servizi, che peraltro riscontriamo ancora oggi in alcuni servizi rimasti pubblici.

C’era però anche un lato positivo della medaglia: una diffusione capillare dei servizi pubblici in quanto, per decisione politica,
si intendeva renderli universali, accessibili in tutto il territorio nazionale, a beneficio di tutti i cittadini e di tutte le imprese.
Grazie a questa decisione politica si svilupparono molte imprese che altrimenti non ne avrebbero avuto la possibilità per mancanza di infrastrutture adeguate.


L’epoca delle privatizzazioni

Ad un certo punto, all’inizio degli anni 1990, hanno iniziato a spiegarci che le imprese pubbliche erano inefficienti
e che la soluzione era la loro privatizzazione, la quale avrebbe consentito da un lato di ridurre il nostro debito pubblico
e dall’altro un aumento di efficienza nella fornitura di servizi pubblici.
Sulla base di questo convincimento, peraltro sostenuto dagli indirizzi di politica economica dei vari trattati europei sottoscritti dal nostro paese,
i vari governi che si sono succeduti hanno provveduto a mettere in atto la privatizzazione di diversi servizi pubblici:
trasporti aerei, marittimi, ferroviari; rete autostradale; telefonia, energia e in parte l’acqua e la sanità.

In generale le conseguenze per gli italiani sono state più negative che positive.

Alitalia, la compagnia aerea di bandiera, è andata incontro a diversi fallimenti (con salvataggi a carico della collettività),
senza mai dare prova di una visione strategica del trasporto aereo in Italia.
Tariffe eccessivamente costose nelle tratte in monopolio, ritiro dalle tratte in cui c’era troppa concorrenza.

La privatizzazione delle società di gestione degli aeroporti ha impedito di costituire un sistema aeroportuale nel paese,
dando vita ad una inutile competizione fra gli aeroporti in favore delle compagnie low-cost,
con la conseguenza della scomparsa di collegamenti aerei strategici a partire dagli scali “meno competitivi”, con danni per la popolazione e le imprese locali.

La privatizzazione dei trasporti marittimi ha portato a tariffe eccessive che scoraggiano i turismo, specie verso le isole.

La semi-privatizzazione delle ferrovie ha portato ad investire unicamente sui trasporti ad alta velocità,
trascurando il trasporto passeggeri locale ed il trasporto merci, poco redditizi.
Di conseguenza il traffico locale passeggeri oggi avviene in buona parte mediante automobili private,
mentre il trasporto merci avviene quasi totalmente su gomma, con tutte le conseguenze che sappiamo
sull’inquinamento delle nostre città ed aggravi sui costi dei trasporti, che in ultima istanza pagano sempre i consumatori.

La rete autostradale è in buona parte in mano ad un oligopolio di poche imprese che fanno alti profitti senza alcun rischio di impresa.
Le alte tariffe salgono sistematicamente più del tasso d’inflazione e pesano inutilmente sui costi dei trasporti, in particolare delle merci che viaggiano su gomma.

La privatizzazione di Telecom Italia ha di fatto bloccato gli investimenti per la rete della fibra ottica, con l’Italia che è fra gli ultimi posti in Europa per la potenzialità della rete di trasmissione dei dati.

La privatizzazione dell’energia ha dato vita ad un far west tariffario a carico degli utenti, unitamente ad un cartello che impone all’imbelle Autority sull’Energia sistematici aumenti tariffari.

Per fortuna, grazie ad un provvidenziale referendum, abbiamo frenato sulla privatizzazione dei servizi idrici,
mentre i continui tagli al sistema sanitario nazionale stanno obbligando molti italiani, quelli che se lo possono permettere,
a rivolgersi alla sanità privata, la quale naturalmente offre solamente le prestazioni economicamente convenienti, lasciando alla sanità pubblica le attività non remunerative.



Il privato non è efficiente per definizione

La realtà è che non è vero che il privato è efficiente per definizione.

Il privato fa i propri interessi economici, non di più e non di meno di questo.

Se la produzione di beni e servizi avviene, per le caratteristiche degli stessi, in una situazione di sana concorrenza
ed un règime di piena occupazione, allora il privato sarà incentivato ad essere efficiente per essere più competitivo dei concorrenti.

Ma se ci si trova con un alto tasso di disoccupazione e, magari, con una libera circolazione dei capitali,
allora la concorrenza la si farà riducendo gli stipendi dei lavoratori fino a esternalizzare all’estero una parte delle prestazioni
(come avviene, ad esempio, per le società che gestiscono i servizi voce e dati della telefonia), distruggendo posti di lavoro in Italia.

Se la competizione porta a ridurre i salari o a perdere dei posti di lavoro, il sistema non trarrà benefici dall’abbassamento delle tariffe.
Anzi, il bilancio complessivo sarà in perdita, in quanto aumenterà l’uscita di capitali verso l’estero per pagare i servizi esternalizzati.

Se, infine, i servizi privatizzati realizzando un regime di monopolio, il privato non avrà alcuno stimolo a rendere i servizi più efficienti.
Punterà a massimizzare i propri utili, alzando le tariffe, tagliando gli investimenti, investendo sulle attività più redditizie e trascurando quelle meno redditizie.
I maggiori utili verranno conseguiti scaricando sugli utenti (che non hanno alternative) sia le tariffe eccessive sia le inefficienze di produzione.



Il privato non ha una visione strategica d’insieme

Il principale limite dei servizi privatizzati è che le aziende operano unicamente nel proprio interesse,
cosa che può andare bene per un piccolo commerciante o un libero professionista,
ma non per chi eroga servizi essenziali per il funzionamento di un intero paese, con ripercussioni determinanti sullo sviluppo economico dell’intera nazione.

Facciamo l’esempio della rete delle telecomunicazioni.
Se Telecom Italia fosse rimasta pubblica, lo Stato avrebbe potuto valutare di investire sulla modernizzazione della rete tramite fibra ottica.
Lo si sarebbe fatto ben sapendo i vantaggi produttivi che l’intero paese ne avrebbe tratto, indipendentemente dagli utili a breve-medio termine per la società Telecom Italia.
Purtroppo Telecom Italia ha preferito non fare questi investimenti, non avendo nulla da guadagnarsi, come azienda, ma solo da perderci.
Il risultato è che l’Italia oggi si ritrova con un sistema di telecomunicazioni alquanto arretrato, con danni per l’intera economia.
Oltre a questo con il rischio che la rete delle telecomunicazioni, privatizzata, passi nelle mani di soggetti stranieri,
che potrebbero avere l’interesse a minare lo sviluppo economico del nostro paese proprio grazie al monopolio sulle telecomunicazioni.

Per quanto riguarda la telefonia mobile, oltre ai già descritti pesanti tagli sui costi del personale, necessari per abbassare le tariffe e competere con i concorrenti,
constatiamo che ben 3 diversi operatori hanno realizzato una loro rete di antenne per la copertura del territorio.
Ciascun operatore di telefonia mobile deve investire grandi cifre in pubblicità e deve garantire utili ad un proprio consiglio di amministrazione, con dirigenti profumatamente pagati.
Se ci fosse un’unica società, pubblica, avremmo dovuto pagare solo un terzo delle antenne oggi presenti
(riducendo fra l’altro anche l’inquinamento elettromagnetico), non ci sarebbe bisogno di buttare via denaro per la pubblicità e ci sarebbe un solo consiglio di amministrazione da pagare.
Molto probabilmente si potrebbero avere tariffe più basse di quelle odierne, con una migliore copertura del territorio e dando lavoro a dipendenti italiani ad uno stipendio dignitoso.

E che dire dela produzione di acciaio?
E’ possibile considerare la produzione di acciaio un “servizio pubblico di base” per le attività produttive industriali di tutto il paese?
Ha senso lasciare che la produzione di questa materia prima fondamentale dipenda dagli umori e dalle convenienze di gruppi industriali stranieri?

Potremmo continuare con esempi analoghi relativi ad altri servizi pubblici (non si può ovviamente analizzare a fondo le specificità di ogni settore privatizzato).
Ma logica d’insieme è chiara: il privato non opererà mai nell’interesse pubblico generale e non sarà mai più “responsabile”
nei confronti degli utenti di quanto fossero “poco responsabili” i lavoratori pubblici inefficienti dell’epoca precedente alle privatizzazioni.



Come avere dei servizi pubblici funzionali e strategici

Il modo migliore per avere una pianificazione dei servizi pubblici che tenga conto dell’interesse generale è che essi siano gestiti dalla mano pubblica,
l’unica che può avere una visione d’insieme sullo sviluppo del paese.
Senza la necessità di realizzare degli utili a breve termine, quanto piuttosto gli obiettivi richiesti dall’indirizzo politico.

E’ ovvio ed evidente che è anche fondamentale porre fine ai fenomeni di corruzione, così come al fenomeno
di assegnare degli incarichi gestionali in queste società sulla base della vicinanza al politico di turno, senza riguardo alcuno per le competenze tecniche richieste.

Tuttavia ci preme sottolineare come anche se ci fosse una gestione pubblica “mediocre e inefficiente”,
i danni non potrebbero mai essere superiori a quelli derivanti da una totale mancanza di pianificazione generale
che, inevitabilmente, si ha se i servizi sono affidati a delle aziende private con scopo di lucro.

Per quanto riguarda la qualità dei servizi, ciascuno con le proprie specificità, l’unico modo per renderli più efficienti e funzionali è adottare in modo sistematico il principio di responsabilità.

Ovvero chi fornisce i servizi pubblici deve realmente rispondere di ciò che fa ai propri “clienti”, che sono i cittadini, i quali sono i migliori giudici della qualità e dell’efficienza dei servizi.
Questo non è mai stato fatto in Italia, in quanto non è mai esistito una organizzazione sistematica
per raccogliere le valutazioni di merito dei cittadini sui servizi pubblici ricevuti né tantomeno per utilizzare queste informazioni
per attuare degli interventi di miglioramento degli stessi servizi, eventualmente andando a chiamare in causa anche il personale resosi responsabile dei disservizi.

Il licenziamento dei dipendenti o dei dirigenti pubblici responsabili dei disservizi non dovrebbe essere una eccezione, ma la norma,
in quanto i cittadini, che lavorano e pagano le tasse per stipendiare detti dipendenti pubblici, hanno il diritto di ricevere dei servizi di qualità.

E’ evidente a tutti che le privatizzazioni dei servizi pubblici non hanno per nulla garantito tutto questo ai cittadini:
né dei servizi di qualità, né la possibilità per i cittadini-utenti di far valere il proprio giudizio di merito sui servizi ricevuti.

Le società che offrono i servizi pubblici in monopolio o in oligopolio si disinteressano del gradimento dei cittadini per i servizi offerti
e fanno di tutto, addirittura, per ostacolare le comunicazioni con gli utenti. Propongono contratti vantaggiosi per il fornitore
e svantaggiosi per gli utenti, sfruttando il potere della disparità informativa.

Conosciamo tutti l’incubo di avere un problema da risolvere e trovarsi di fronte dei risponditori telefonici automatici
o dei call center che si trovano all’estero, che non sono in grado di fornire un supporto adeguato.

La fornitura di servizi potrà funzionare solo quando il parere dei cittadini diventerà determinante
e solo quando anche nel settore pubblico potranno essere licenziati coloro che non svolgono adeguatamente il proprio lavoro,
come già avviene nel settore privato, dove la non soddisfazione dei clienti è la più grave responsabilità a carico delle imprese e di coloro che ci lavorano.

Non si tratta di assumere atteggiamenti punitivi nei confronti dei dipendenti pubblici, ma di fare in modo che ciascun lavoratore sia responsabilizzato
nel dare il meglio di sé anche grazie a queste forme di controllo da parte dei cittadini-utenti.

In conclusione la ricetta che proponiamo per avere dei servizi pubblici sviluppati secondo una strategia di crescita economica dell’intero paese,
efficienti e di qualità in favore dei cittadini, è la rinazionalizzazione di tutti i servizi in cui non è possibile una sana concorrenza,
riportando il loro controllo sotto il governo politico e introducendo dei seri meccanismi di giudizio, da parte dei cittadini-utenti, sull’operato del personale pubblico.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Farei notare che l'inefficienza del pubblico spesso non è relativa ad altri fattori se non la dimensione:
qualsiasi struttura diventa progressivamente meno efficiente all'aumentare delle dimensioni,
superando una dimensione critica il controllo dell'organizzazione diventa prevalente sulle funzioni produttive.

Intrinsecamente è dimostrabile che un privato è più costoso di un pubblico a pari efficienza:

Pubblico: Ricavo - Spesa = 0
Privato: Ricavo - Spesa = Margine di Profitto

A livello accademico si applica la stessa logica per decidere se un servizio vale la pena esternalizzarlo,
il risultato paradossale è che spesso non conviene se non per ambiti particolari nei quali la complessità
o la regolamentazione sono preponderanti (smaltimento rifiuti, soprattutto se industriali, ricerche che richiedono supercomputer, manutenzioni non standard),
in alternativa l'esternalizzazione è un modo di delegare il controllo a terzi, a pagamento.

Il risultato paradossale è che a parità di complessità un privato è sempre meno EFFICACE di un pubblico
in quanto costretto alla ricerca di un Profitto, questo disincentiva scelte di lungo termine se prevedono un aumento delle spese correnti.

L'esempio più semplice è il disinteresse di tutte le aziende multinazionali per l'istruzione,
presupposto fondamentale per la produzione di dipendenti in grado di svolgere i loro compiti.......
guardando all'asia si può comprendere facilmente come le grandi potenze tecnologiche e commerciali (Cina, Corea e Giappone)
abbiano fondato su una scuola di qualità la loro potenza.
Negli esempi citati sono le scuole ed università pubbliche ad essere rinomate per i loro studenti,
molte scuole private vengono infatti considerate "asili per privilegiati" a cui non è necessario saper fare.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahahah ....contanti contanti contanti, oggi ho sentito una persona,
non posso pagare perchè il bancomat non prende......ahahahahah

Bancomat, Pos e carta di credito in tilt sabato 9 novembre in tutta Italia. Impossibile prelevare e pagare.

Segnalazioni arrivano anche dalla nostra provincia, specialmente da utenti che sono nei centri commerciali
o negli ipermercati per la spesa della settimana e si sono ritrovati alle casse con le tessere inutilizzabili,
come confermano molti dei nostri lettori sulle nostre pagine social.

Le cassiere hanno comunicato che si tratta di un problema a livello nazionale,
la cui origine per il momento non è stata chiarita.

Tra i primi a comunicare problematiche il Banco Bpm: «A causa di interventi tecnici le funzione relative a carte di pagamento non sono disponibili».

Tam tam sui social: secondo le prime informazioni a disposizioni, non è possibile effettuare prelievi con Bancomat e carte di credito dagli sportelli di tutti gli istituti.

Ma non solo: i pagamenti vengono respinti ai Pos degli esercizi commerciali.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ricchi, nullafacenti e schiavisti.

Per chiunque sospetti ormai da tempo che le grandi disfide tra destra e sinistra, sovranisti ed europeisti, cattivisti e buonisti
che ci vengono propinate a ogni ora del giorno dal rutilante mondo dei media siano in realtà solo una grande pagliacciata
e che tutt’altra sia la natura profonda del nostro paese, l’arrivo in libreria del nuovo saggio di Luca Ricolfi ne rappresenta la conferma più autorevole e plateale.

Il tema sviluppato dal sociologo, docente all’Università di Torino e presidente della Fondazione David Hume,
nel suo “La società signorile di massa” (La nave di Teseo, 272 pagine, 18 euro) è brutale e a prima vista sconvolgente.

Soprattutto da un punto di vista antropologico.

L’Italia è un paese che si regge su un esercito di nonni e di paraschiavi, un luogo amorfo e mellifluo che, avendo smesso di crescere ormai da decenni,
continua a fare sempre più debiti, ad erodere la ricchezza ereditata dalle generazioni precedenti, a succhiare risorse assistenziali allo Stato
e a sfruttare una massa informe (soprattutto straniera, ma non solo) di poveracci sottopagati e privi di rappresentanza e dignità.

La storia viene da lontano.
Già alla fine degli anni Sessanta il rapporto tra chi lavorava e chi non lavorava aveva iniziato a capovolgersi rispetto al periodo aureo della ricostruzione e del boom economico.
Ma il vero paradosso è che la maggior parte di chi non lavora non è affatto povero, anzi vive bene grazie a una rendita da pensione o da capitale
che gli permette di pagarsi la seconda auto, la seconda casa, le vacanze trendy, di riempire i ristoranti
(e forse allora Berlusconi quella volta non è che avesse poi così torto…) e di garantirsi tutto il resto dei consumi di massa.

E questo nonostante l’economia sia in stagnazione da tempo immemorabile, grazie appunto alla sterminata ricchezza privata degli italiani
e a una rete di rendite nella quale hanno un peso sproporzionato le pensioni di vecchiaia e i prepensionamenti,
i sussidi (ricordiamoci della catastrofe del reddito di cittadinanza), gli interessi, le eredità, soprattutto quelle immobiliari, le vincite da gioco e carrozzone al seguito.

Il saggio supporta con dati e grafici tutte queste tesi, che lo inducono a definire la società signorile di massa italiana come un unicum mondiale
nel quale si intrecciano in modo perverso alcuni fattori fondamentali.

Innanzitutto, la ricchezza reale delle famiglie accumulata dalle due generazioni che ci hanno preceduto.

Poi, la devastazione strutturale della scuola e dell’università, iniziata con la demagogia egualitarista del Sessantotto
e poi completata dalla demagogia occupazionale dei sindacati e dalla demagogia assistenziale dei governi - tutti! -
che ha prodotto intere classi di giovani prive delle competenze per entrare in un mercato del lavoro sempre più complesso e competitivo.

Inducendole quindi a scegliere la disoccupazione volontaria a carico di genitori e nonni - chi non può lavora o emigra -
e a rifiutare i lavori più duri e umili (e forse allora Padoa Schioppa e la Fornero quella volta non è che avessero poi così torto…) .

Infine, la formazione di una infrastruttura paraschiavistica che, dati alla mano, consta di circa tre milioni di persone (la maggior parte non italiane),
che svolgono i lavori che noi non facciamo più - rider della Gig economy, badanti, colf, muratori, facchini, stagionali e lavori di fatica in genere, dipendenti in nero, prostitute… -
e permettono così con il loro basso costo l’agio della mandria dei nullafacenti.

E questo - per favore! - non è un discorso di destra o sinistra, non è la solita pippa sociologica televisiva su questa politica che non capisce più il paese,
signora mia, e vive in una bolla e resta trincerata nel palazzo e bla bla bla. Qui esce un ritratto antropologico trasversale da paura,
anche perché nessuno di noi né dei nostri cari né dei nostri amici si è mai immaginato come un benestante lazzarone che sfrutta un esercito di schiavi senza volto e dignità.
E che non può assolutamente diminuire di numero e neppure conquistare condizioni di lavoro accettabili
perché altrimenti farebbe automaticamente crollare la possibilità dei tanti disoccupati agiati di vivere di rendita alle loro spalle.

E la cosa più preoccupante è che la maggior parte delle persone sembra non aver alcuna coscienza del problema,
preferisce rimuovere la prospettiva del declino e dell’implosione inevitabile di un paese strutturato in questo modo allucinante.

E la ragione è semplice.

Mentre i miliardari possono benissimo filosofeggiare sulla necessità della decrescita felice,
chi invece possiede una quota di benessere, anche se non maturata grazie al proprio lavoro e succhiata invece dalla rendita e dall’assistenza, non intende rinunciarci in alcun modo.

Ora, se questa lettura è corretta, potrete ben capire perché non esista leader di qualsiasi partito che affronti mai un discorso del genere.

E potrete capire ancora meglio come mai dopo tanto starnazzare e blaterare e concionare e trombonare prima delle elezioni
sulla rinascenza palingenetica che avverrà una volta conquistato il potere, quando arriva la finanziaria i provvedimenti sono sempre inesorabilmente gli stessi.

E cioè più debito, più tasse, più lotta all’evasione fiscale (e giù risate…) e la solita ridicola stangata su benzina, alcol, bolli e sigarette.

E se va a finire sempre così è perché questi qui sono tutti uguali.

Nessuno di questi qui ha la capacità e la volontà di scardinare il mostro scovato nei meandri da Ricolfi.

È quello che comanda. È quello che decide. È quello che dà i voti a chi garantisce che nulla cambi.

Perché nulla deve cambiare. E infatti nulla cambia, che governi questo o quello. Non cambia mai nulla, nella repubblica delle banane e dei mantenuti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ed ecco l'esempio dei mantenuti.

“L’odio verso Liliana Segre è responsabilità di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Liliana Segre è stata testimone dell’inferno,
ma continua ad avere negli occhi la luce di chi non ha rancore. A lei vogliamo somigliare e non a chi avvelena l’Italia con parole di intolleranza e odio”.

Questo il tweet delirante di Roberto Saviano.
Un tweet accompagnato da un video su Fanpage dove rincara la dose con le sue frasi zeppe di luoghi comuni e di veleno contro la destra.

Come spesso accade, le risposte più ficcanti sono arrivati dai Social,
«Il nientologo delle cazzate facili, cariche di odio. Anche questa volta non è riuscito a trattenersi dall’imputare colpe inesistenti ai suoi avversari politici»,
«Il problema vero è che tutti questi falsi presunti opinionisti (Rubio,Vauro,Oliviero Toscani, Saviano, Strada, ecc.)non dovrebbero essere invitati ai talk show in tv a sparare cazzate !!
Vanno completamente ignorati e non va data loro alcuna visibilità».

E a proposito di fomentatori di odio, «La commissione Segre potrebbe iniziare puntando i riflettori proprio su Saviano».
«Saviano è un odiatore seriale».

La realtà è che l’autore di Gomorra ormai vive di rendita. L’unico spazio di marketing è quello della sinistra rissaiola e inconcludente.
E in questo habitat, quando non è nel suo attico a New York, sguazza beatamente.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Mantenuto due.

La notizia del suo allontanamento da Discovery Channel non è ancora confermata.

Nessuno, del resto, ha smentito il blog postato dal noto critico Domique Antognoni sotto l’immagine di Chef Rubio:
«Il figuro nella foto – vi si legge -, aspirante cuoco, aspirante opinion leader, mancato cuoco e mancato opinion leader,
è stato amorevolmente accompagnato alla porta da Discovery Channel. So anche il nome del sostituto, però una notizia buona alla volta.
Oggi godiamoci questa. Cin cin. Comunque al suo posto ci va un vero e proprio chef. Auguriamo al figuro…».

Parole non proprio improntate a simpatia e che hanno incendiato il web scatenando una serie di commenti, in grandissima parte ostili nei confronti del cuoco.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Si ripete tutti gli anni, riuscendo sempre a sorprendere: stiamo parlando della transumanza.

Anche questa mattina un numeroso gregge di pecore, con asini e altri animali, attraversare la città per imboccare poi il ponte vecchio.

Ecco il passaggio in Corso Promessi Sposi, immortalato, attorno alle 7.45 da un lettore:

transumanza.jpg
 

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