LA VITA NON E' TROVARE SE STESSI. LA VITA E' CREARE SE STESSI (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Finalmente, dopo un lungo tragitto in aeroporto, la riforma della giustizia tributaria pare essere in pista di lancio.

In astratto, in disparte ormai la Corte dei Conti, i velivoli parrebbero essere ancora tanti:
l’ultraleggero della giustizia amministrativa
e l’aeroflot appesantito della giustizia ordinaria.

Ma questi sono pur sempre veri e propri Cavalieri dell’Apocalisse, che vorrebbero distruggere la giurisdizione tributaria speciale,
anche se, con essa, probabilmente, distruggerebbero loro stessi.

Non foss’altro perché la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa sono, allo stato, “edifici” più o meno “collabenti”,
non in grado di reggere l’immane valanga del contenzioso tributario.

Ha suscitato scalpore in questi giorni l’invio da parte del Presidente della Corte dei Conti, dott. Angelo Buscema,
al Presidente del Consiglio dei Ministri, prof. Giuseppe Conte, di una lettera, resa pubblica dall’ufficio di gabinetto della stessa Corte, con la quale,
“nel solco del dibattito che si sta sviluppando intorno alla riforma della giustizia tributaria” e sulla base della
“risoluzione approvata dal Consiglio di presidenza nell’adunanza dell’8-9 ottobre 2019”, si rappresenta l’offerta del proprio contributo “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”.

Non a pochi è sembrato davvero strano che, per risolvere i problemi (della riforma) della giustizia tributaria,
si debba (e si possa) ricorrere ad un “giudice”, che si autoqualifica preposto “a salvaguardia degli interessi dell’Erario”
(e del “Fisco”, come aggiuntivamente vien detto nella Risoluzione assembleare), e cioè di uno dei due soggetti, in conflitto,
come tale, per ciò solo, intrinsecamente inidoneo a svolgere il ruolo di giudice, che dovrebbe, come dice l’art. 111 Cost.,
essere dotato degli imprescindibili requisiti di “imparzialità” e di “terzietà” che connotano la sua funzione
e lo rendono unicamente finalizzato a salvaguardare siffatti valori di imparzialità e di terzietà e non gli interessi di una delle due parti contendenti.
 

Val

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 44737 depositata il giorno 5 novembre 2019,
ha chiarito che per provare l’effettiva sussistenza e consumazione, del reato di omesso versamento delle imposte a seguito di indebita compensazione,
è necessario accertare l’illecito impiego dei crediti dai modelli F24 relativi all’anno oggetto di verifica.

Ciò in quanto, detto modello è l’unico strumento imposto per effettuare le compensazioni.


L’amministratore delegato di una società era ritenuto responsabile del reato di indebita compensazione, in violazione dell’art. 10 quater del DLgs 74/2000.

Nei suoi confronti, pertanto, a conclusione delle indagini preliminari il Giudice dell’Udienza preliminare su specifica richiesta del PM disponeva il rinvio a giudizio.

La difesa impugnava la condanna, innanzi ai giudici della Corte di Appello, rappresentando che non era stata fornita alcuna prova in merito all’effettiva consumazione del reato.

Il giudice del gravame, però, confermava la condanna, sulla base delle prove fornite dalla Pubblica Accusa,
consistenti nelle dichiarazioni relative agli anni di imposta oggetto dell’indagine, ritenendole quindi sufficienti ai fini probatori, per la compiuta realizzazione del reato.
Avverso detta sentenza, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione.
 

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È punito con la reclusione da 3 a 7 anni (e non più da 1 anno e 6 mesi a 6 anni) chiunque,
al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi,
occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione,
in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Il decreto fiscale 2020, collegato alla legge di Bilancio, ha aumentato la pena detentiva per chi si macchia del reato di occultamento e distruzione di scritture contabili.

Ma quando si concretizza il reato?

Il delitto di occultamento e distruzione di scritture contabili esclude la sussistenza del reato in presenza di una condotta meramente omissiva.

In pratica, il reato si concretizza solo se si occulta o si distrugge la contabilità, non potendo sussistere nel momento in cui le scritture contabili non esistono.

Alla luce delle modifiche che sono intervenute con il decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019),
sembra opportuno riassumere alcuni principi, dettati dalla Suprema Corte, in merito a questo reato.
 

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Alcuni degli adempimenti contenuti nel decreto fiscale 2020 sono particolarmente farraginosi e, di fatto, sostanzialmente impraticabili.

È quanto hanno sottolineato ADC e ANC nel corso dell’audizione sul decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio, dinanzi alla Commissione Finanze della Camera.

Le associazioni hanno evidenziato anche le criticità connesse alle diverse misure in materia di compensazioni.

Nel complesso, si tratta di misure poco efficaci nel contrastare l’economia sommersa,
in grado invece di complicare ulteriormente il sistema fisco, ostacolando, in alcuni casi, i cittadini contribuenti e le imprese.

Si è svolta il 4 novembre 2019 dinanzi alla Commissione Finanze della Camera l’audizione delle associazioni ADC e ANC,
rappresentate da Maria Pia Nucera e Marco Cuchel, sul decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio 2020.

Le due associazioni hanno evidenziato la particolare farraginosità di alcuni degli adempimenti contenuti nel testo normativo e, di fatto, la loro sostanziale impraticabilità.

Per ADC e ANC è determinante che si riesca a gestire proficuamente l’immensa mole di dati in possesso della pubblica amministrazione,
quale risorsa preziosa nel contrasto all’evasione attraverso strumenti che ne permettano la condivisione.

Le associazioni hanno rappresentato le criticità connesse ad alcune disposizioni del decreto:

- accollo del debito d’imposta altrui e divieto di compensazione
Nonostante l’accollo tributario sia legittimato dallo Statuto del Contribuente, l’attuazione di questa norma significherebbe annullarne i benefici.
La proposta è di salvaguardare gli accolli infragruppo e subordinare le compensazioni alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi e IVA.

- contrasto alle indebite compensazioni
La norma limita eccessivamente lo strumento della compensazione dei crediti, il cui utilizzo trova ragione anche nella lentezza con la quale
l’Amministrazione Finanziaria eroga direttamente le somme a credito dei contribuenti.
Oltremodo penalizzati i professionisti che, subendo le ritenute sul fatturato e non sul reddito, sono spesso detentori di un credito IRPEF
utilizzato proprio in compensazione con altri debiti tributari. Inoltre, il regime sanzionatorio previsto dal decreto fiscale non è rispettoso del principio di proporzionalità.

- ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell’illecita somministrazione di manodopera
Sebbene la finalità della lotta all’evasione sia pienamente condivisibile, questa norma pone a carico non solo delle imprese appaltanti
ma di numerosi altri soggetti l’obbligo di versamento delle ritenute fiscali operate sulle paghe dei lavoratori dipendenti delle appaltatrici e delle sub-appaltatrici.
Il meccanismo previsto dalla disposizione è complesso e farraginoso, con comunicazioni incrociate
che rendono improponibile la norma per il carico di lavoro che determina e le conseguenti responsabilità.

- utilizzo dei file delle fatture elettroniche
La norma consente all’Agenzia delle Entrate di memorizzare e utilizzare i dati contenuti nei file XML delle fatture elettroniche,
compreso il “corpo fattura” con tutti i dati analisti i delle transazioni.
La disposizione contravviene al provvedimento del Garante della Privacy del 20 dicembre 2018
e pertanto si pone un problema di credibilità e di fiducia tra il cittadino e le istituzioni.

Nel complesso, secondo ADC e ANC, le diverse misure fiscali del D.L. n. 124/2019 sono poco efficaci
nel contrastare l’economia sommersa e sono invece in grado di complicare ulteriormente il sistema fisco,
ostacolando, in alcuni casi, i cittadini contribuenti e le imprese.
 

Val

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«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.»
L'articolo 21 è l'articolo della Costituzione italiana dedicato alla libertà di manifestazione del pensiero.


C’è dell’altro da dire sulla faccenda della Commissione Segre e sull’ossessione tutta post-moderna per il tema dell’odio.

Hanno istituito una sorta di burokratura di saggi destinata a fare tutto e niente, quindi qualsiasi cosa,
per combattere questa presunta emergenza sociale, e civile.

L’odio, ormai, è sulla bocca di tutti; persino gli avvocati, tramite il loro giornale di riferimento (“Il Dubbio”), ne hanno fatto, l’anno scorso, una questione da prima pagina

. Per non parlare delle suffragette del politicamente corretto, le quali mettono immancabilmente l’odio in cima alla classifica dei loro argomenti preferiti:
di prassi, subito dopo la lotta alle discriminazioni di genere e subito prima del catastrofismo climatico.

Dunque, bisognerà pur chiedersi perché dilaga, in ogni redazione, da qualsiasi pulpito, dai seggi più “elevati”,
questa passionaccia per l’odio, anzi per la guerra all’odio.

Il che costituisce, per inciso, un paradosso mica da ridere: si può odiare l’odio? A quanto pare sì. Non solo si può, si deve.

Dobbiamo diventare tutti cittadini sott’odio perché così ha deciso la Matrice,
vale a dire quel corto circuito tra interessi finanziari, sistema massmediatico e propaggini politiche
cui è devoluto il compito di focalizzare i nostri pensieri, orientare le nostre decisioni,
determinare le nostre azioni e, infine, controllare ogni nostro movimento: fisiologico o cerebrale che sia.


L’odio – pardon, la lotta all’odio – fa tanto gola in alto loco per una serie di ragioni.

Intanto, è uno straordinario specchietto per le allodole: distrae, cioè, le masse dalle vere battaglie
su cui dovrebbero concentrarsi le masse; e cioè la lotta non all’odio,
ma alla dilagante ingiustizia sociale e alla evaporazione progressiva delle libertà individuali, sociali, civili, politiche.

L’odio, poi, è un argomento sufficientemente generico e magmatico da poter essere usato per colpire i dissidenti.

Una volta deciso che l’odio va combattuto, è sufficiente riempire questo vaghissimo vocabolo di concretissimi contenuti
per ottenere la censura (nel migliore dei casi) o addirittura la persecuzione (nei peggiori) e financo la morte (civile, se non fisica) degli odiatori.

In altri termini, basterà dire che un certo tipo di riflessioni, di considerazioni, di iniziative controcorrente e anti-sistema è “odioso” per metterlo al bando senza passare dal via.

Questo spiega anche il motivo per cui il Sistema ha bisogno come il pane di un “Castello kafkiano” di “Uffici preposti”
per stabilire – di volta in volta e a seconda della bisogna del contingente momento storico – chi è un “hater” e chi no.

Capite bene che il sottilissimo filo della “effettiva” libertà di espressione e manifestazione del pensiero
(quella del celebre motto pseudo voltairiano: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”) va a farsi benedire del tutto

L’uso strumentale, a fini ri-educativi del popolo, di Sentimento e Virtù è una delle strategie preferite di ogni regime totalitario.

Regoliamoci di conseguenza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La prossima fusione fra FCA e PSA segnerà la fine non dell’industria automobilistica italiana, ma degli impianti produttivi nel nostro paese.

Perchè, parliamoci chiaro e definitivo, dopo questa operazione, lasciato tutto a PSA,
non rimarrà NULLA della produzione e probabilmente neppure dei marchi auto italiani.

I motivi sono banali:

  • si fondono marchi di tre paesi in cui due, USA e Francia, che difendono fortemente i propri impianti industriali con politiche e tramite partecipazioni industriali strategiche.
  • Lo stato italiano se ne è disinteressato completamente, in mano a politici, di tutte le parti, incapaci, nel 2009,
  • di capire quanto fosse danno per il sistema industriale italiano la scelta della creazione di Fiat con Chrysler;
  • il valore di mercato di FCA è pari a 20 miliardi di dollari, ma una banca d’affari valutò i marchi Jeep Dodge a 23 miliardi.
  • Quindi il valore della parte italiana , Fiat Alfa Romeo, Maserati (Lancia è già stata ammazzata) è pari a meno 3 miliardi;
  • si è trattata non di una fusione, ma di un’incorporazione di FCA in PSA, tanto che il CEO del gruppo sarà quello di PSA e la sede operativa a Parigi.
  • PSA ha pagato e caro (vale, al netto del superdividendo FCA, 7 miliardi in più dell’azienda olando-americana) FCA e l’ha pagata cara perchè interessa il mercato nord americano.
  • Al contrario c’è un surplus di offerta in Europa, e potete immaginare chi chiuderà gli impianti.
Quindi tutto l’apparato industriale italiano se ne va a quel paese.

La cosa divertente è vedere i sindacati, quasi felici di questa situazione.

Mi chiedo cosa farà ad esempio Bentivogli della CISL che fino a ieri, anzi a oggi, appoggiava le decisione della FCA ed ora parla già di “Inevitabili sovrapposizioni”.

Chissà se i suoi tesserati, quando inizieranno a restare a casa, la prenderanno così bene, e rideranno quando prendeva in giro la FIAT degli anni 90.

Per superare il problema ci vuole un disegno strategico ed un governo stabile.

Se no tanto vale chiudere ILVA e settore auto, subito. Sarebbe più serio.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Secondo un articolo dell’Opinione delle Libertà il governo sa benissimo che sia Ilva a Taranto sia Whirpool a Napoli chiuderanno,
ma l’unica preoccupazione che ha sono di ordine pubblico: 50 mila disoccupati in più, secondo gli 007,
sarebbero una fonte non controllabile di disagio sociale che potrebbero portare a disordini,
occupazione e caos proprio quando dovrebbero esservi delle elezioni politiche.

Una situazione esplosiva che rischia di realizzarsi e contro la quale il governo non saprebbe come opporsi..

Un informatore interno al MISE avrebbe affermato che il governo ha come unico obiettivo fare in modo che i licenziamenti Ilva
non avvengano in contemporanea con quelli Whirpool , per non causare questa situazione di guerra,
ma che si tratta solo di un rinvio dell’inevitabile perchè, come già affermato anche da Carlo Calenda,
la chiusura di questi impianti ed i licenziamenti di massa sono inevitabili, al massimo di poco procastinabili.

Il sindaco di Avellino, Domenico Biancardi, ha parlato di gruppi di rivolta autorganizzati dopo che la Whirpool aveva deciso i licenziamenti.

Il problema è che il governo, sempre secondo l’articolo, non potrebbe intervenire perchè bloccato dalle normative europee
che lo considererebbero un aiuto di stato diretto e quindi impedito, il tutto per far si che la produzione d’acciaio diventi un’esclusiva della Germania e del Nord Europa.

Noi, sinceramente, riteniamo che le ricadute negative delle attuali politiche di governo non siano tanto di ordine pubblico, ma economico e di prospettive.

Come si può permettere la demolizione del paese tramite la distruzione del’industria automobilistica, come avverrà con la fusione PSA-FCA?

Come si può permettere quindi che l’industria siderurgica diventi un surplus, dato che non c’è più domanda di acciai per il settore auto?

Non è un problema di sud e di nord, ma un problema di un governo senza prospettive e senza nessuna reale capacità,
una sorta di commissario liquidatore dell’Italia. Con le forze politiche che lo sostengono non può che essere diversamente.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La notizia del giorno è che in seguito alle minacce via web e allo striscione di Forza Nuova
esposto nel corso di un appuntamento pubblico a cui partecipava a Milano,
il prefetto Renato Saccone ha deciso di assegnare la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre.

Questa decisione, che è stata presa durante il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza tenutosi ieri,
è scaturita, come dicevamo, da uno striscione esposto da Forza Nuova.

Per non lasciare nulla al caso, le indagini sono state affidate a dei veri professionisti, e cioè al Dipartimento dell’Antiterrorismo.

La Senatrice a Vita è da tempo sotto i riflettori per alcune sue posizioni,
e l’apice è stato toccato in occasione della contestata votazione sull’istituzione della Commissione contro l’Odio,
che porta il suo nome, dove il centrodestra si è astenuto. Si è parlato di insulti, circa duecento al giorno,
e le persone per bene sanno che l’imbecillità di certa gente, oltre a lasciare il tempo che trova e ad essere fine a sé stessa,
non ha colore politico ed è una miscela di imbecillità, ignoranza e violenza, potenzialmente pericolosa che deve essere stroncata dalla legge con tolleranza zero.


Se il Prefetto ha deciso per la scorta avrà avuto i suoi buoni motivi, ma sarebbe utile capire perché questa decisione arriva solo ora,
dopo la votazione, e non era stata presa prima visto che la Commissione dell’Odio è stata pensata e votata proprio alla luce degli insulti reiterati
che la Senatrice Segre stava ricevendo e aveva ricevuto già da parecchio tempo.

Sarebbe utile capirlo anche per chiarire la situazione prima che il sospetto, anche legittimo, che questa decisione possa essere stata condizionata da pressioni politiche,
diventi un’onda anomala e motivo di ulteriori scontri, sia in Parlamento che fra la gente comune.

Questo perché strillare in Prima Pagina la pessima notizia della scorta all’indomani dell’astensione del centrodestra
potrebbe unire sia in maniera subliminale sia apertamente, qualcuno già lo fa, le due vicende e dà la sensazione che una sia la conseguenza dell’altra.
Cosa non vera.

Non c’è dubbio che ci siano stati insulti, lo striscione di Forza Nuova non è che un esempio che quella stessa miscela di imbecillità di cui parlavo prima,
arrivi da una larga parte dell’estrema destra, ma siamo sicuri che tutti gli insulti ricevuti dalla Senatrice arrivino da un’unica sorgente?

Per par conditio e per onestà intellettuale sarebbe il caso, al fine di non strumentalizzare politicamente una decisione del prefetto,
di rendere pubblica la percentuale di insulti che sono arrivati anche dall’estrema sinistra.

Questo per dimostrare che i partiti che si sono astenuti durante la votazione non hanno nulla a che fare con questa mancanza
nei confronti delle regole della democrazia e del buon senso, per arginare il fango che in queste ore troppa stampa,
partendo dalla decisione sulla scorta sta gettando a badilate contro l’avversario politico esasperando ulteriormente gli animi,
e anche per dimostrare che la mamma degli imbecilli è sempre incinta e li fa di tutti i colori, sia Rossi che Neri.

Rimanendo nel campo della violenza, che può assumere diverse connotazioni, sarebbe stato bello che lo stesso rilievo
e la stessa levata di scudi fosse stata riservata anche alla notizia, a quanto mi risulta riportata solo da Il Giornale, spero di sbagliare,
che in Turchia siano stati messi all’indice giornali, libri e politici italiani in una pubblicazione finanziata con fondi dell’Unione europea.

La stessa Europa, una volta resasi conto che quanto pubblicato altro non era che una sorta di lista di proscrizione delle idee
e dei personaggi scomodi al regime di Erdogan, si è nascosta dietro a un laconico:
“I contenuti sono di esclusiva responsabilità degli autori delle relazioni nazionali e non riflettono necessariamente le opinioni dell’Unione Europea
e del Ministero degli Affari Esteri – Direttorato degli Affari europei”. M

a anche se il Ministero è quello turco sul documento ci sono però anche i loghi di un programma di dialogo euro-turco.
Ponzio Pilato sarebbe stato meno bravo a lavarsi le mani.

Il voluminoso rapporto del Seta, Fondazione con sede ad Ankara con stretti rapporti con il governo guidato da Recep Erdogan,
in oltre 840 pagine passa in rassegna 34 Paesi, analizzando la situazione politica, mediatica e giuridica.

Praticamente il dittatore turco si permette di fare le pulci ai governi di altre 34 nazioni che sicuramente hanno più a cuore dell’odierna Turchia
la libertà in tutte le sue forme e il rispetto di tutte le minoranze, ma non è tutto, perché nel mirino dello studio ci sono anche i media occidentali.

Ad esempio è sintomatica la definizione: “articoli aggressivi della tradizionale stampa di destra” e vengono citati tra gli altri
Il Giornale, La Verità, Il Tempo, Il Foglio e Libero, e anche i nomi di alcuni giornalisti.

Siamo sicuri che dopo questa pubblicazione le sedi di questi giornali non abbiano bisogno di protezione?

Di Charlie Hedbo ne abbiamo già avuto uno e non abbiamo bisogno di altre repliche e Dio non voglia che i nomi dei giornalisti citati chiaramente
su questa pubblicazione non diventino obbiettivi del terrorismo organizzato o dei lupi solitari, quelli che poi, ad attentato portato a termine,
vengono sempre riconosciuti come malati di mente.

Saranno ora necessarie altre scorte?

La domanda sorge spontanea e c’è da chiedersi inoltre: perché la stampa italiana in blocco non è intervenuta?

Senza girarci troppo intorno, che mondo è quello che quando i giornalisti, cioè i portavoce delle notizie e delle idee,
vengono in qualche modo messi nel mirino da un governo straniero, e non da lupi da tastiera come nel caso della Senatrice Segre, quasi si ignora il pericolo potenziale?

A qualcuno andrà bene se malauguratamente qualcuna di queste voci fosse zittita per sempre?

Io lo chiedo oggi ricordando che, nel caso, le condoglianze o la partecipazione di chi oggi è capace di strillare a corrente alternata non saranno accettate.
 

Val

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Mentre mi trovavo negli Emirati, ho appreso con stupore che un mio libro viene citato in un report sull'islamofobia in Europa e in Italia.
Si intitola " I nemici di Oriana".

La Fallaci, l'islam e il politicamente corretto (Melville) ed è uscito nel 2016.

È stato presentato in festival notissimi e di fronte a persone di ogni tipo. Saranno stati tutti quanti islamofobi?

Il libro ha venduto quasi ottomila copie (vere). Nessun lettore si è lamentato. Saranno ottomila islamofobi?

I nemici del titolo, come evidente anche a una sbrigativa lettura, non sono i musulmani
ma i fanatici del politicamente corretto e gli italiani, privi di rabbia e di orgoglio.

Questo dice la Fallaci nel suo articolo post 11 settembre, così famoso che molti hanno ritenuto superfluo leggerlo e capire cosa fosse.

La Rabbia e l'Orgoglio è una predica rivolta agli italiani, inserita in una precisa tradizione,
che prevede un certo linguaggio e una certa tecnica oratoria.

Il testo andrebbe recitato da un immaginario pulpito, cosa che la Fallaci faceva sempre per verificare la bontà della Trilogia.

Ho scritto I nemici di Oriana perché La Rabbia e l'Orgoglio ha dato vita in Italia alla prima
e per ora unica polemica di portata nazionale (e non solo) sul politicamente corretto più che sull'islam.

L'ho scritto anche perché ho assistito allo spettacolo in prima fila, lavorando con la Fallaci per quasi tre anni.

Naturalmente il libro espone le critiche della Fallaci (e di tantissimi altri intellettuali anche di cultura araba) all'islam.

Io faccio la cronaca e mi consento solo una incursione nel finale, sul socialismo umanitario (non sull'islam),
finale che è stato pubblicato anche sui giornali con una sola conseguenza: l'offerta (declinata) di tirarne fuori un pamphlet.

E l'offerta non era di un editore d'area ma di un colosso generalista. Quindi?

Quindi, si legge nel report, l'autore del libro, cioè io, «si sofferma sulla retorica della famosa reporter contro la minaccia della islamizzazione
nei confronti della società italiana ed europea e contro il presunto buonismo (liberalismo piagnucoloso) come aggiunta a questa potenziale minaccia».

E allora? Allora è un libro ispirato da «espliciti sentimenti anti islamici». Ecce islamofobo!
Cinque righe di analisi (si fa per dire) sono state sufficienti ad affibbiare un marchio infamante al libro e quindi a me.

Da tempo intrattengo rapporti di lavoro e soprattutto di amicizia con una parte piccola ma significativa del gigantesco mondo culturale islamico.

Sono appena tornato da Sharjah, unico giornalista italiano presente alla più importante Fiera mondiale del libro in lingua araba.

Siamo dunque al ridicolo: intellettuali e istituzioni arabe intrattengono rapporti cordiali, stabili e rispettosi proprio con me, l'autore di un libro «islamofobo»!

Alla Fiera ho partecipato all'incontro con Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura: spero non sia troppo sgradito ai turchi che commissionano il report.

Pamuk, uno scrittore destinato all'immortalità, è stato perseguitato dai nazionalisti, agli albori dell'ascesa di Erdogan,
per le sue opinioni sul genocidio degli Armeni e la repressione dei Curdi. Ecco chi impartisce lezioni di tolleranza.

A Sharjah ho seguito i pannelli di discussione sulla riforma dell'islam.

Ho ascoltato dibattere con parole molto chiare il rapporto tra islam e islam politico.

Da noi quelle parole non si possono dire senza finire nella lista dei cattivoni.

Mi viene un dubbio atroce: che perfino gli islamici siano islamofobi?

Chiederò comunque spiegazioni a committenti e finanziatori del report, che pensano di cavarsela
con un avviso in cui scaricano addosso agli autori la responsabilità legale di ciò che pubblicano.
Avete capito bene: pubblicano roba da cui si dissociano in partenza per evitare grane. È una barzelletta. Brutta.

Vorrei soprattutto spiegazioni dall'Unione europea che finanzia simili pastoni diffamatori nei confronti di cittadini europei.
Chissà che questo incidente non sia l'occasione per stabilire se in Italia esiste ancora differenza tra diritto di critica e «fobia».
 

Val

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Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
 

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