LA VITA NON E' TROVARE SE STESSI. LA VITA E' CREARE SE STESSI (1 Viewer)

DANY1969

Forumer storico
(George Bernard Shaw)
Buona settimana a tutti :)
Oggi foto d'archivio:(... concludo il viaggio in Groenlandia di mio fratello :)

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Val

Torniamo alla LIRA
Buongiorno. Buon Novembre a tutti.
Oggi cominciamo a mettere l'euro nel mirino.

Molto spesso si pensa che le critiche alla Moneta Unica vengano esclusivamente da economisti Keynesiani,
fautori del deficit e della spesa pubblica che vedono nella moneta unica e nelle sue regole rigide un impedimento alle politiche espansive classiche di quella scuola economica.

Eppure anche dall’altro lato del pensiero economico vi era un grande, anzi un enorme, scetticismo circa il successo della Moneta Unica.

Nel 2001 Milton Friedman fu intervistato da La Stampa su questo tema, e grazie a Paride Lupo siamo riusciti a recuperare l’intervista di cui vogliamo condividere con voi un estratto e commentarlo



Professor Friedman, quasi tutti gli economisti americani erano scettici sull’euro all’inizio. Parecchi hanno cambiato idea. Perché lei no?

«Perché non è mai avvenuto nella storia che un’unica banca centrale dettasse la politica monetaria per molti Paesi differenti.
Ci sono state unioni monetarie, o adesioni di vari Paesi a un’unica moneta, ma ognuno poteva tirarsene fuori quando voleva.
Ora invece in Europa avete chiuso la porta d’uscita e avete gettato via la chiave».


Prevede che avremo guai?

«Vi auguro che io mi stia sbagliando un’altra volta. Il guaio è che l’euro è un progetto politico delle élites, imposto dall’alto alla popolazione.
Avreste dovuto fare dei referendum. L’hanno fatto solo la Francia, dove il sì ha prevalso di strettissima misura, e la Danimarca che ha detto no».


«Vedrete: l’Inghilterra non aderirà e se lo farà commetterà un errore C’è poca flessibilità»

In una certa misura la gente si attende che su questa materia le decisioni vengano dall’alto.
Nei sondaggi gli inglesi continuano a dare una maggioranza di no all’euro; ma quando si domanda se tra dieci anni avranno l’euro rispondono sì»


«Credo che la Gran Bretagna non aderirà. E se lo farà sbaglierà»

Lei dice che l’unione monetaria è un progetto tutto politico; e di ogni intrusione della politica nell’economia lei diffida.
Ma gli ambienti economici sono in genere molto favorevoli».


«E’ in parte un’illusione. Le grandi imprese sono favorevoli, e questo risulta il fattore più visibile. Le piccole imprese non credo».

Dove potrà rompersi il meccanismo?

«Ci saranno fasi in cui alcuni dei Paesi membri avranno bisogno di un tipo di politica monetaria e altri del tipo opposto».

Come vedete il Premio Nobile Friedman aveva identificato con precisione il punto debole essenziale dell’Euro,
il fatto che non permette politiche monetarie diverse per economie diverse.
Inoltre perfino lui vedeva l’Euro come un progetto elitario ed imposto dall’alto, senza base popolare, come, effettivamente, si è rivelato essere.

Quale sistema di riequilibrio prevedeva Friedman?



Quali rimedi suggerisce per evitare che finisca male?

«Occorrerebbe rendere flessibili prezzi e salari. Non mi pare che sia facile».

Ridurre i salari? No di certo.

«All’aggiustamento possono contribuire i movimenti dei capitali, resi più fluidi dalla creazione di un unico mercato finanziario. Ma non basta a garantire una stabilità di lungo periodo».

Friedman aveva correttamente previsto la deflazione salariale, esattamente quello che è successo in diversi paesi europei, soprattutto in Italia,
dopo l’introduzione della moneta unica. Un fatto che era facilmente prevedibile come unico elemento di riequilibrio per gli squilibri interni all’area.

Friedman previde che la durata dell’euro sarebbe stata di 10 anni.
Superficialmente sembrerebbe che aveva torto, ma in realtà ha avuto ragione se consideriamo che la scadenza del decennio coincise con la crisi del 2011.
La sopravvivenza successiva dell’euro è stata principalmente dovuta alla politica “Innovativa” di Draghi,
qualcosa che l’economista americano non poteva prevedere.
Però Draghi non c’è più e non sappiamo quanto i suoi strumenti sia flessibili.

Il futuro è una grande incertezza.
 

Val

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L'area euro è in declino irreversibile, anche l'indice eurocoin della banca d'Italia che delinea il quadro congiunturale
a settembre è a 0,13 da 0,16 del mese precedente, ai minimi del 2014.
Ormai solo il ripristino della sovranità monetaria riporterà alla crescita perfino la Germania,
che ha bisogno di grandi investimenti e può farli con un nuovo potente supermarco.

E diceva pure che l'italia è un evergreen grazie all'evasione fiscale sopratutto nella piccola-media impresa.

[in realtà ha avuto ragione se consideriamo che la scadenza del decennio coincise con la crisi del 2011.]
Crisi conseguente alla crisi usa del 2008.

In realtà il mondo stava già cambiando dal 2000 da quando i paesi del secondo mondo (cina e europa dell'est)
e terzo mondo (il sudestasiatico) hanno iniziato a mangiarsi enorme fette dei nostri capitali sia tramite delocalizzazione industriale sia servizi informatici.
 

Val

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Non capita tutti i giorni leggere un Governatore di una Banca Centrale europea affermare che “L’Euro è stato un errore”.

Eppure è capitato proprio questo, ed il tutto è stato scritto in un articolo comparso sul Financial Times ad opera del governatore della Banca Centrale ungherese.

Le parole sono chiare e precise:

We rarely admit the real roots of the ill-advised decision to create the common currency: it was a French snare.
As Germany unified, François Mitterrand, then French president, feared growing German power and believed convincing the country
to give up its Deutschemark would be enough to avoid a German Europe. The chancellor of the time, Helmut Kohl,
gave in and considered the euro the ultimate price for a unified Germany. They were both wrong.
We now have a European Germany, not a German Europe, and the euro was unable to prevent the emergence of another strong German power.


Raramente ammettiamo le vere radici della mal consigliata decisione di creare la moneta comune: è stato un tranello francese.
Con l’unificazione della Germania François Mitterrand, il presidente francese, temeva il crescente potere tedesco
e credeva che il convincerla a lasciare il Marco Tedesco sarebbe stato sufficiente ad evitare un’Europa tedesca.
Il cancelliere di quel momento, Helmut Kohl, accettò considerando l’euro il prezzo finale per una Germania unificata.
Sbagliarono entrambi. Ora abbiamo una Germania europea, non una Europa tedesca,
e l’euro non è stato in grado di prevenire la nascita di un altro strapotere tedesco.


Alla fine però, secondo l’articolo, l’euro è stato anche dannoso per la Germania.

Grazie ad una valuta artificialmente svalutata grazie ai paesi del Sud Europa, per la Germania è stato facile affermarsi con un export strabordante,
ma così facendo non ha investito in infrastrutture, non ha investito in tecnologie, ha mancato la rivoluzione digitale e si trova ora in crisi.

La soluzione? Rompere la gabbia e prevedere un meccanismo automatico per l’uscita di un paese dall’euro.

Rendere l’Euro una moneta omogenea per paesi omogenei.

Sembra una soluzione ovvia, quindi non è affrontabile dai paesi europei.
 

Val

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L' Euro non e' stato un errore.

E' stato un disegno (franco crucco) ben preciso, per sottomettere le nazioni europee.

Questo si capisce subito dal fatto che nei trattati non esiste una via d' uscita. Senso unico ,solo l' entrata.

La commissione Werner incaricata per il piano della moneta comune ha scritto nel suo rapporto(1971)
che l'incompletezza dell'unione monetaria (lo si sapeva gia'), e' considerata una virtu'.

La moneta comune funzionera' da lievito, per l' unione politica.

Hanno posto i cavalli di fronte al carro per raggiungere l' unione politica. Con altri metodi sarebbe stato impossibile.

L' establishment politico sud europeo preferisce SVENDERE la propria nazione, che opporsi a questo piano.

Ecco perche' sopravvive.
 

Val

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Hanno raggiunto il top.
Un governo serio, in un paese serio, si dimetterebbe.

ArcelorMittal ha inviato ai commissari straordinari dell'Ilva una notifica, in cui viene resa nota la volontà di rescindere l'accordo
per per l'affitto e il successivo acquisto condizionato dei rami d'azienda di Ilva Spa e di altre controllate.


L'accordo era stato chiuso il 31 ottobre del 2018.

ArcelorMittal si era impegnata a realizzare investimenti ambientali per 1,1 miliardi, industriali per 1,2 miliardi
e a pagare l'ex Ilva 1,8 milioni di euro, una volta terminato il periodo d'affitto, iniziato il primo novembre dello scorso anno e che avrebbe dovuto durare per 18 mesi.

L'ex Ilva dà lavoro a 10.700 operai, di cui 8.200 a Taranto dove, attualmente, 1.276 sono in cassa integrazione per 13 settimane (dal 30 settembre), per crisi di mercato.

Nella lettera in cui l'azienda comunica il recesso, si chiarische che il contratto per l'affitto e il successivo acquisto di alcuni rami di Ilva Spa
e di alcune sue aziende controllate prevede che "nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto
in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l'attuazione del piano industriale, la Società ha il diritto contrattuale di recedere dallo stesso Contratto".

Secondo ArcelorMittal,
"il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso".

L'azienda ha chiesto ai commissari straordinari dell'Ilva di "assumere la responsabilità delle operazioni e dei dipendenti entro 30 giorni" dal ricevimento del comunicato di rinuncia.
 

Val

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Inoltre, ArcelorMittal contesta anche l’operato dei giudici di Taranto,
"che obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2".

Lo spegnimento renderebbe però impossibile per la società attuare il suo piano industriale.

"Altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà della Società- si legge ancora nella lettera di ArcelorMittal -
hanno contribuito a causare una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente
e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto".

Immediate le reazioni politiche:

"Il ritiro di Arcelor Mittal dall'Ilva rappresenta un colpo mortale all'industria dell'acciaio italiano.
L'obiettivo strategico del Movimento Cinque Stelle di trasformare Taranto in un cimitero industriale è stato quindi centrato,
e quanto sta accadendo è un'autentica vergogna nazionale, una tragedia per l'occupazione e per lo sviluppo".

"Se il governo tasse, sbarchi e manette farà scappare anche i proprietari di Ilva, mettendo a rischio il lavoro di decine di migliaia di operai
e il futuro industriale del Paese, sarà un disastro e le dimissioni sarebbero l'unica risposta possibile".
 

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