LA VITA E' COME IL CARRELLO DEL SUPERMERCATO. TU PENSI DI AVERGLI DATO UNA DIREZIONE, MA LUI VA DOVE CAVOLO GLI PARE (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Il reddito di cittadinanza secondo ESF


1) IL RDC, PER ESSERE CHIAMATO TALE, ANDREBBE DATO A TUTTI I CITTADINI ITALIANI, NESSUNO ESCLUSO,
NELLE FORME E NEI TERMINI PIÙ ADEGUATI AL RISPETTO DEI PRINCIPI DI EQUITÀ E DI GIUSTIZIA PREVISTI DALLA COSTITUZIONE ITALIANA;

2) DEVE AVERE COME OBIETTIVI:
  • L’AGEVOLAZIONE DELL’ADATTAMENTO DEI CITTADINI AI CAMBIAMENTI GLOBALI TROPPO RAPIDI RISPETTO ALLE CAPACITÀ COGNITIVE DEI SINGOLI E DELLE MASSE
  • DIFENDERE CHI NON È OGGETTIVAMENTE ADATTABILE A DETTI MUTAMENTI
  • SOSTENERE LA TRANSIZIONE DI INTERE CLASSI PRODUTTIVE VERSO LA NUOVA FRONTIERA TECNOLOGICA IN ARRIVO;
3) DEVE ESSERE MOTORE DI EVOLUZIONE SPONTANEA O INDOTTA DEL SINGOLO, DELLE COMUNITÀ,
E PIÙ IN GENERALE DELLA COLLETTIVITÀ SIA IN TERMINI UMANI E SPIRITUALI, CHE MERAMENTE PRODUTTIVI;

4) ANDREBBE CORRISPOSTO SOLTANTO A CHI APRE (O HA GIÀ APERTO) UNA PARTITA IVA.

NOTA IMPORTANTE: per produzione, economia, industria, ecc. non intendiamo necessariamente i rispettivi valori attuali, anzi,
intendiamo valori diversi da quelli odierni, dove per esempio per produzione intendiamo la realizzazione di oggetti.

Per produzione ESF intende qualsiasi bene, servizio o altro – materiale o immateriale – recante con sé il valore di un miglioramento,
quindi un vantaggio sociale, economico, psicofisico, morale, materiale che il produttore cede alla comunità.

In una parola, PROGRESSO.
Il mondo è cambiato, non ti va bene?

Rimboccati le maniche e cambialo ancora


Questo ennesimo articolo sul tema si deve ai continui dibattiti con persone che o ci fanno o ci sono,
convinte del fatto che tutto debba essere loro offerto come dovuto tributo alla loro stessa esistenza.

Svegliatevi, il mondo è cambiato e non in chiave assistenzialista.

Del resto è su questo principio del travisamento del concetto di diritti che si fondano le più grandi conquiste egoistiche del mondo.
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Il diritto ai diritti è diventato il vero sport nazionale.

Peccato che a furia di scendere i piazza per i diritti più distanti dalle esigenze collegate alle crisi che si inanellano da decenni,
ci siamo accorti oggi che i diritti fondamentali non solo non ci sono più, ma non possono più essere garantiti dallo Stato.

E che senza la tutela dello Stato non esista nessun altro “avvocato del popolo” che possa sostituirla.

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Hanno marciato a fianco degli eroi di Mani pulite, contro il pentapartito, contro la castacriccacorruzione.

Contro lo Stato invasore e pervadente, dando per scontato che laddove c’era lo Stato ci fosse malaffare.

Hanno sghignazzato agli spettacoli di Grillo, che li avvertiva che lo Tsunami sarebbe arrivato.

Ma lo hanno fatto con gli occhi bendati, dormendo in piedi.

Ora che lo tsunami è arrivato si incazzano e battono cassa contro il lavoro malpagato alla faccia della laurea e a favore del RDC, che a detta loro, darebbe dignità al cittadino.

Reddito di cittadinanza o lavoro?
Reddito di cittadinanza o lavoro?


“600€ al mese sono un’umiliazione, quindi dateci 600€ al mese
in cambio del rifiuto delle vostre schifose offerte di lavoro, perché così è più dignitoso”


Sì ma le proposte di lavoro nel piano del reddito di cittadinanza sono uguali o peggiori di quelli rimasti sul mercato.

Quindi come la mettiamo?


Il punto insomma sembra essere il seguente: il RDC ha restituito dignità agli ultimi e finalmente ci rende liberi di rifiutare offerte di lavoro sconvenienti (MA VA’?).

Sei contro questa idea?

allora sei alla pari di Confindustria e soci, uno sporco schiavista.


È sempre la solita storia: la civiltà dei diritti (ma con le pezze al culo) non cita mai doveri e responsabilità.

Specie le responsabilità di aver contribuito a devastare i diritti basilari.

Hanno abbracciato la moneta unica, perché gli consente di comprare tutto ciò che il mercato offre anche se non hanno uno stipendio.

Si sono adagiati sull’idea che la globalizzazione gli avrebbe messo qualsiasi merce a portata di click.

Hanno chiesto meno Stato e più impresa perché si sentivano in catene.

Hanno tifato per le privatizzazioni, perché dicevano che erano uno spreco.

E tu in cambio di questa rivoluzione che cosa offri, il tuo CV?

Essì, perché sventolano il curriculum come se di per sé dovesse rappresentare un diritto acquisito.

E se il mercato del tuo CV non sa cosa farsene?

E se l’impresa è morta asfissiata dalle logice mercantili che regolano l’Europa?

Se l’impiego pubblico non c’è più perché il settore pubblico è sparito?

Con chi ti incazzi adesso che non c’è neanche uno Stato a cui tirare le pietre?

Ma poi il tuo CV è coerente con il mondo del futuro dove tutti hanno il diritto a tutto o è fermo al secolo scorso?

La tua laurea ricambia le attese professionali o è servita solo per farti la foto al giorno della tesi con mamma e papà
che ci tenevano tanto ad esibirti come trofeo con amici e parenti?

Insomma tu hai mercato (sai fare qualcosa di utile e fatto bene) o no?

Perché quello (con rare eccezioni) non lo decide lo Stato.
Lo decide il mercato. Ma da sempre.
Adesso perché l’acqua ti tocca le terga ti vai a vedere i film di Ken Loach?

Ti serve prendere coscienza? Adesso?

E per farne cosa, per piangere su facebook o per riprendere a lottare?
Ma stai a casa che è meglio!
Reddito di cittadinanza? Se apri la partita IVA
O altra posizione prevista dallo Stato che dia modo al cittadino di dimostrare la propria volontà di lavorare. Solo questo.

Se il reddito di cittadinanza fosse davvero concepito come leva per cercare/creare lavoro
non si vede perché non dovrebbe essere stato regolamentato a dovere.

Non per fare lo schiavo ma per poter dare alla comunità quello che sai fare e che serve alla collettività.

In ambienti M5S è arcinota la litania sul reddito universale in due assiomi che suonano pressappoco così:

1- “ad ogni cittadino spetta un minimo di sussitenza.
Se no, visto che in fabbrica ci vanno i robot e non gli operai (sì, ma come te la sogni tu, fra 40/50 anni, forse) chi le compra le merci prodotte?”


E chi ti dice che qualcuno te le voglia vendere e che invece non sia la scusa buona per far fuori qualche miliardo di ciuccia risorse
(leggi STIAMO ENTRANDO NELLA AMA-ZONE. TENETEVI PRONTI ALL’IMPATTO)?(ndr)

2- “e chi invece vorrà continuare a lavorare, guadagnerà molto di più”

Finché tutti gli altri non organizzeranno una nuova lotta di classe perché sarà per loro troppo umiliante poter spendere di meno dei ricchi, giusto?(ndr)

Bene, allora quale occasione migliore di questa sarebbe stata sperimentare un doppio binario con l’erogazione del RDC via p.iva per tutti,
con la possibilità di chi ha capacità ed energie, di mettersi in gioco?

Il principio è molto semplice: cosa sai fare?

Sai inventare, Progettare?

Suonare la chitarra?

Bene, con la tua partita iva potrai essere in regola per creare, suonare/insegnare, ecc.
Che strumentazioni ti servono?

Un laboratorio, uno studio?


Un’aula per tenere corsi?
Ti finanzio a fondo perduto dopo aver stabilito assieme il budget adatto.

Stabiliamo assieme anche la zona, perché è chiaro che se mi vieni a dire che vivi sul cucuzzolo della montaga tutto solo soletto
e ti vuoi aprire il negozio nel seminterrato o che ti devo portare la fibra ottica sul cucuzzolo, che mi costa tre miliardi, mica sono fesso.

Muovi il culo e scendi a valle.

Fino a lì ti vengo incontro.

A questo dovrebbe servire il navigator.


Non a prendere lo stipendio (circa 1700€ netti che manco un ingegnere elettronico…) più il sussidio di 600€ per le partite iva
(ma come, anche se sono stipendiati? Essì, perché non è mica vero che i diplomati nella stanza dei bottoni, cercano voti, nooooo!)
per starsene a casa perché c’è il covid!

Tutto a fondo perduto!

Io ti do anche il RDC per qualche tempo, per quanto? 1-2-3 anni?

Poi però devi saper camminare da solo.


Se no sticazzi vecchio mio!

Sarebbe stato tutto molto più semplice.


Non occorreva nemmeno tutta la trafila delle certificazioni via ISEE
per non essere neanche in grado di individuare mafiosi, ex brigatisti e malviventi a cui è finito in tasca il RDC (!1!!1!).

In mezzo a loro è pieno di rapporti di dipendenza sottopagata travestiti da collaborazioni professionali.

Figuriamoci se non è gente motivata e di buona volontà.

vincolo del 3% e patto di stabilità


Ma per farlo bisogna mettersi di traverso in Europa.

Occorre sbattersene del vincolo del 3% come hanno fatto Irlanda, Francia e Portogallo.

Dobbiamo dire all’Olanda: “bene, da voi arrivano 6 miliardi all’anno di soldi delle tasse eluse in Italia.
Sai come facciamo? che noi all’Europa da domani daremo 6 miliardi in meno di contributi europei.”.

Oppure uscire dall’euro.


Questi discorsi li avete sentiti fare ai protettori del reddito di cittadinanza?

No, se ne guardano bene di mettersi contro l’Europa.

Perché un minuto dopo ci sarebbe lo spread a disarcionarli dalla poltrona!


Conclusioni
Vedo molte persone che per anni hanno tifato contro lo Stato, affogare lamentandosi che non c’è più lo Stato.

Al laureato lo hanno scritto bello chiaro e tondo che se non accetterà lavori degradanti
(gli unici rimasti in Italia per la quasi totalità dei disoccupati) non avrà più un soldo.

Solo che gliel’hanno indorata con la PNL e non se n’è accorto che serviva a pigliare voti.

In attesa che lo Stato ci riporti tutti nei dorati anni settanta, dove lo stellone tricolore premiava tutti con ricchi premi e cotillons,
rimanete pure con i vostri CV in mano invece di ricostruire lo Stato, non per voi stessi, ma per quelli migliori di noi che verranno domani.

Eh già, dice il laureato a spasso, ma a me cosa viene in tasca?

Meglio la lenta agonia con conto finale lasciato alle future generazioni.

Non quello del debito pubblico, ma del reddito di sopravvivenza.

Essì, perché in fondo il reddito di cittadinanza è una trappola per topi che ha incanalato il dissenso e la rabbia.

A nostro avviso involontariamente da parte dei parlamentari del M5S, ma certamente da parte delle classi dominanti che hanno,
conoscenza, cultura, strumenti e mezzi per prevedere a lunghissimo termine come muoversi e soprattutto conosce benissimo la psicologia delle masse.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Molti investitori, alla ricerca di una base sicura, stanno attualmente scommettendo sull’oro mandandone il prezzo alle stelle,
con un interesse che sta sbarcando nel vecchio Continente .

Il prezzo del metallo prezioso ha superato la soglia di $ 1800 per oncia troy (31,1 grammi) mercoledì per la prima volta in nove anni.

L’ultima volta a settembre 2011 è stata a un livello simile: pochi giorni prima, il prezzo dell’oro aveva raggiunto il suo massimo storico di $ 1971,17.

Covid-19 e crisi economica hanno fatto crescere il valore del 37% dall’inizio dell’anno.


Prezzo oro in grammi


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Il calo temporaneo dei prezzi di martedì si è nuovamente dimostrato di breve durata
ed è stato usato come un’opportunità di acquisto ha affermato Carsten Fritsch, analista di materie prime presso Commerzbank .

Anche i tedeschi si stanno riscaldando sul tema che va a braccetto con la loro proverbiale avversione all’inflazione,
ancora più forte in un momento di QE iperattivo e di mercato azionario incerto.


Anche i prodotti finanziari espressi in oro come gli ETF stanno crescendo nell’ interesse dei tedeschi,
come dimostra la sicurezza Xetra-Gold di Deutsche Börse Commodities, che passa da un record di depositi d’oro fiduciario all’altro.

Solo martedì, secondo il servizio di informazione Bloomberg, i suoi depositi hanno ricevuto 12,5 tonnellate di metallo prezioso,
di cui 8 tonnellate nel SPDR Gold Trust, e gli afflussi sono stati complessivamente pari s 33 tonnellate dall’inizio di luglio.

In generale, a livello mondiale, i fondi di investimento in oro hanno ricevuto 104 tonnellate a giugno
e 734 tonnellate nella prima metà dell’anno.

Ciò significa che gli afflussi record nel 2009 sono già stati notevolmente superati.

Gli ETF sull’oro avevano anche acquisito più oro in sei mesi rispetto a tutte le banche centrali di tutto il mondo nel 2018 e nel 2019.

A spingere gli acquisti a livello record sono incertezza combinata all’alto livello di debito pubblico e privato raggiunto da tutti i paesi occidentali, Stati Uniti in testa.


Fino a quando potrà continuare questa crescita?

Difficile dirlo, perché viene a dipendere anche dalle politiche espansive delle banche centrali.

Non può esserci una crescita eterna senza una prospettiva, anche lontana,di economica.

Nello stesso tempo fino a che non saranno superati i timori inflazionistici l’oro non potrà che rimanere il re.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Prima era soltanto una tecnica.

Ora è un’arte.

Parliamo del rinvio del quale Giuseppe Conte ha maturato un’esperienza tale da elevarlo su una cattedra.

Nel decreto sullaSemplificazione” potremmo cominciare dalla chiusa che con quell’ineffabile “Salvo intese”
certifica che le intese non ci sono ancora e, dunque, resta la solita suspense in merito alla sua stesura finale
prima dell’invio al Quirinale e della conversione in legge in Parlamento,

trattandosi non del solito Dcpm, Decreto del presidente del Consiglio dei ministri e che, more solito, prima di essere varato, si è complicato di molto.

Dunque, il rinvio come ineluttabile opzione, si attaglia appropriatamente alla definizione di governo balneare di questo Conte 2
in cui la roboante titolazione di “Semplificazione” rischia di rovesciarsi nel suo opposto anche perché la sua logica è peggiorata
dalla ossessione elettorale che spinge gli alleati in tutt’altre direzioni (e desideri).



In realtà, la ragione più vera del decreto (al di là dell’ennesima conferenza stampa) era ed è l’incontro europeo di Conte per dire alla Ue
che il suo è il governo del nuovo che avanza e che in Italia sta cambiando tutto in virtù della vocazione riformista di una maggioranza che,
allo stato delle cose, ha prodotto un’infinità di parole delle quali è diventata vittima, insieme al paese.

La semplificazione predicata è minata alla base da una contraddizione di fondo che tenta, senza riuscirvi ovviamente,
di mascherare le tante, strabilianti promesse spergiurando sulle liberalizzazioni quando, invece,
il governo prosegue imperterrito sulla strada dell’interventismo dello Stato con le non irrilevanti pubblicizzazioni, vedi l’Alitalia, l’Ilva.


Il fatto è che le divisioni interne si fanno sempre più laceranti nella misura nella quale gli sforzi di Nicola Zingaretti,
che tutto desidera all’infuori di una crisi, puntano a ribaltare i rapporti di maggioranza con l’obiettivo di fare del M5s
una sorta di costola della sinistra mentre i pentastellati oppongono fiera resistenza per la conservazione del potere
con primi ministri, ministri, deputati e senatori consapevoli di una loro drastica riduzione nelle vicine e lontane elezioni.


E si spiegano di conseguenza certi sussulti di un M5s, in preda ad abbandoni e cambi di casacche,
per recuperare antiche parole d’ordine di un’opposizione erga omnes, come la battaglia antiTav
che, in ultima analisi riconfermano lo sfascio interno, lasciando il tempo che trovano.

Gli sforzi di mediazione di Conte saranno sempre più obbligati e tendenti al rinvio,
almeno fino a settembre-ottobre quando il responso elettorale regionale farà la differenza.

E addio a “Salvo intese”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Lo sapete che la EU sovvenziona, ed ha sovvenzionato, con abbondanza la Turchia di Erdogan?

Tutto questo non solo in correlazione al ricatto dei migranti, come accaduto con i 16 miliardi regalati dal 2015,
ma anche con i cosiddetti Fondi per la preparazione dell’entrata nella UE, quando, come poi si è verificato,
non c’è nessun desiderio di far accedere ankara alla UE.

Su questo tema è intervenuto Vincenzo Sofo, europarlamentare di ID, durante l’ultima plenaria.


Dal 2002 a oggi abbiamo regalato alla Turchia oltre 16 miliardi di euro per farla entrare in Europa
e per farle gestire al posto nostro il problema immigrazione.

Abbiamo permesso a Erdogan di tenerci sotto ricatto con la minaccia dei migranti nei Balcani.

Ora rischiamo la stessa sorte nel Mediterraneo, dove l’avanzata turca fomenta il caos
e le loro Ong indottrinano i popoli all’ideologia neo-ottomana”.


Lo ha dichiarato Vincenzo Sofo, europarlamentare della Lega, nel suo intervento durante la sessione plenaria del Parlamento Europeo.

L’Ue che tanti problemi si fa nell’aiutare economicamente l’Italia dovrebbe chiedersi a cosa sono serviti quei 16 miliardi:
non a far crescere il progetto europeo, ma a far crescere i progetti imperiali di Erdogan.

E’ suicida appaltare la gestione dei confini dell’Europa a chi vuole indebolirla,
cosi’ come e’ utopico sperare di stabilizzare il Mediterraneo con chi questo mare lo vuole conquistare”.

Secondo Sofo “la soluzione non e’ continuare a baciare i piedi alla Turchia,
ma rafforzare politicamente ed economicamente Francia, Spagna, Grecia e soprattutto l’Italia, con il suo Sud,
unici veri custodi della sicurezza e del futuro dell’Europa nel Mediterraneo.

Il Mediterraneo e’ il Mare Nostrum e’ a garantirgli prosperita’ non sara’ il progetto neo-ottomano bensi’ il progetto di un’Europa latin
a”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sei mesi fa Ernst & Young festeggiava la sua presenza secolare in Germania.

Ora passati i fumi dei festeggiamenti, i dipendenti di EY non hanno più nulla da celebrare.

La filiale tedesca della società globale di revisori è al centro dello scandalo Wirecard e rischia seriamente di lasciarci le penne.

EY ha controllato per anni i conti della società, ma si è resa conto solo a giugno di quest’anno dell’enorme buco di bilancio,
per cui la domanda sorge spontanea: che faceva prima?


Appare incredibile che una società di revisione non abbia controllato partite oggettivamente banali
come i saldi bancari, Cassa e banca sono i valori base , anche per la semplicità, di ogni procedure di revisione,
invece pare che ad EY si siano dimenticati dell’ABC non della fine finanza, ma della ragioneria .

Chiaramente ora tutta la forza lavoro di EY si aspetta delle pensanti ricadute negative di immagine,
ma il fatto di avere una immagine di superficiali pasticcioni potrebbe essere il male minore.

Huberth Barth, in CEO di EY, dalle ambizioni di dominio nel settore e che voleva stracciare i competitori di PwC rischia di dover rivedere i propri obiettivi verso la mera sopravvivenza.

Ora EY si troverà a fronteggiare una serie di impressionanti minacce legali.

Gli attacchi proverranno da due lati:

il primo è quello delle responsabilità di carattere pubblicistico,
cioè legati agli oneri informativi di controllo nei confronti delle autorità pubbliche,
che potranno pesantemente sanzionare la società con multe milionarie,
ma si tratta probabilmente del male minore.

Molto più minacciose sono le azioni per i danni da parte degli investitori e dei rappresentanti degli azionisti.

Lo studio legale Tilp di Tubinga, specializzato in diritto dei mercati dei capitali e che ha citato in giudizio Volkswagen,
Daimler e Deutsche Telekom per danni agli investitori, sta già raccogliendo interessati a procedere alle azioni legali.

Già oltre 30 mila possibili clienti si sono registrati sul sito dello studio legale
per valutare la possibilità di intraprendere un’azione contro EY, ed il titolare dello studio,
l’avvocato Andreas Tilp, si è detto certo di poter provare il comportamento doloso della società di revisione,
almeno in alcuni settori di sua competenza.

Dato che la somma del rimborso è proporzionale alla differenza fra il valore attuale delle azioni
e quello di acquisto si potrebbe arrivare facilmente ad un importo complessivo di danni ultra-miliardario.


Dato che Wirecard è insolvente e EY ben ricca, lo studio Tilp sta mettendo quest’ultima nel centro del mirino.

Le ricadute potrebbero essere pesantissime, nonostante EY sia anche il revisore di colossi da Lufthansa a Volkswagen a MTU.

La resposnabilità pecuniaria in germania è molto più ampia che in Italia, dove le filiali locali delle sociatà internazionali
rischiano di cavarsela con rimborsi di poche decine di milioni per i casi BPVI e Veneto Banca.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Stanno per infinocchiarci ancora......e dobbiamo stare zitti ?
Dovrà essere convertito in legge entro il 18 luglio 2020.
Dopo l’esame dei 35 emendamenti da parte della Commissione Bilancio, è arrivata l’approvazione del decreto rilancio alla Camera,
il 9 luglio con 278 voti favorevoli e 187 contrari, adesso l’iter di conversione in legge interessa il Senato,
dove il testo sarà blindato per arrivare all’approvazione di quanto previsto in prima lettura, senza nuove modifiche.
Poi la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Per quanto riguarda i tempi al Senato, stando al calendario dei lavori, il decreto rilancio arriverà da martedì 14 luglio 2020.




Lo stato di emergenza in Italia per l’emergenza Covid-19 è stato prorogato per altri 6 mesi, dal 31 Luglio 2020 al 31 Gennaio 2021.

Lo prevede l’articolo 16 dello schema del Decreto Rilancio fatto circolare da Palazzo Chigi.

La norma recita che “i termini di scadenza degli stati di emergenza dichiarati ai sensi dell’articolo 24,
del decreto legislativo 2 gennaio 2018 (Codice della protezione civile, ndr) sono prorogati per ulteriori sei mesi”.



Lo stato di emergenza per sei mesi era stato dichiarato dal governo il 31 Gennaio scorso,
quando in Italia c’erano i due pazienti ricoverati allo Spallanzani ma non era ancora Pandemia,
dichiarata invece l’11 Marzo dall’Organizzazione mondiale della Sanità.


Questa proroga, consente alla presidenza del Consiglio di poter decretare altri lockdown
e altre restrizioni come quelle finora imposte dal premier Conte sulla base delle valutazioni scientifiche delle task-force sanitarie.


Al comma 3 dell’articolo 24
, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, è previsto testualmente che
“La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.


Teoricamente, in base a ciò verrà valutato dai comitati tecnico-scientifici di Palazzo Chigi,
a fine gennaio 2021 il governo potrà prorogare lo stato di emergenza per altri sei mesi oppure per un altro anno.

Sulla proroga sono intervenuti alcuni giuristi che criticano la scelta del governo.

Francesco Clementi, professore di diritto pubblico all’università di Perugia, non nasconde che un elemento positivo c’è:
“il governo ha trasferito la delibera del consiglio dei ministri di gennaio in una norma di rango ordinario e questo è bene”.


Ma non mancano le note dolenti:

“Non mi convince il fatto che oggi, quando siamo solo a metà maggio, si proroga una scadenza che finisce al 31 luglio 2020 portandola fino al 31 gennaio 2021.
O il governo ha elementi così potenti, prepotenti e solidi che motivano la proroga, oppure questa scelta, fatta oggi così, non si spiega.
Il governo dovrebbe venire alle Camere invece e spiegare perché adesso – proprio adesso – chiede la proroga di sei mesi di una scadenza che cesserebbe a fine luglio”.


E ancora: “Il Governo spagnolo ad esempio sta contrattando con le opposizioni una proroga ben più breve. E lo fa pubblicamente, in Parlamento, spiegando le sue ragioni.
Perché il Governo italiano arriva, invece, così presto a chiedere nuovamente l’allungamento di uno strumento così potente?
Se ci sono ragioni, il governo le spieghi in Parlamento, anche perché ha due mesi di tempo per farlo. Eviterei di inserirlo in questo dl, insomma”.


Il dubbio è dietro l’angolo, spiega Clementi:

“Peraltro, a guardar bene, questo è già il secondo provvedimento che incorpora questa filosofia,
perché già nel dl elezioni in via di conversione, oggi al vaglio in Commissione, si prevede che il governo,
di fronte ad un ritorno dell’emergenza, possa prorogare la data delle elezioni amministrative, anche oltre l’autunno.
Anche qui non si spiega perché si mettono così tanto avanti le mani.
D’altronde, dubito che, di fronte ad un ritorno drammatico e prepotente del Covid,
non sia possibile fare in autunno un nuovo decreto per spostare le elezioni di concerto, aggiungo, con le Regioni.
E dunque: perché ora? Perché tutta questa fretta? ”.


Insomma
“Credo sia meglio che il Governo spieghi bene e adeguatamente in Parlamento le ragioni di tutta questa scelta.
Ogni ragione o informazione in merito – come stanno facendo altri governi di altre democrazie – è opportuno che le presenti in Parlamento.

L’uso dell’emergenza è per definizione “a tempo”.

E ogni proroga deve essere adeguatamente giustificata di fronte al Parlamento, altrimenti non mi sembra ragionevole né convincente.

È ben noto, peraltro, che non esiste un diritto speciale dell’emergenza legittimato nel nostro ordinamento:
una sorta di diritto parallelo e alternativo rispetto a quello esistente.

In fondo, anche di recente, non sono mancate in tal senso, come è noto, indicazioni chiare ed autorevoli”.


Anche Giovanni Guzzetta, professore di Diritto costituzionale all’Università di Roma Tor Vergata, innanzitutto ha dei dubbi

“sull’applicabilità di questo articolo allo stato di emergenza per il covid, in quanto il provvedimento
con cui il governo ha dichiarato lo stato di emergenza il 31 gennaio è già prorogabile.
Mentre l’articolo del dl rilancio si applica solo agli stati di emergenza non più prorogabili”.

Dunque “questa disposizione è del tutto incomprensibile e quando le norme sono incomprensibili c’è da sospettare qualunque possibilità”.


Per Guzzetta
“il codice della protezione civile già prevede la proroga di 12 mesi attraverso una deliberazione del consiglio dei ministri uguale a quella fatta il 31 gennaio”.

Si tratterebbe dunque di una “norma inutile” e l’unica congettura possibile è
“un segno di debolezza del governo perché la norma del consiglio dei ministri è ritenuta non sufficiente”.

“Noi siamo al paradosso che quando ci vuole il dpcm si usa il dl e quando c’è la norma che prevede l’atto amministrativo si fa il decreto legge”.


Quanto al decreto Covid che prevede la parlamentarizzazione dei dpcm, per Guzzetta si tratta
“una norma inutile e dannosa, la situazione resta la stessa, il parlamento dà solo un’opinione,
è una foglia di fico che tenta di legittimare un sistema che è in radice molto discutibile”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Una certezza ce l'ho. I vecchi bergamaschi. I fondatori della Banca Popolare di Bergamo
si stanno rivoltando nella tomba. E non avranno mai pace. Mai più.
La "loro" banca data in pasto a quelli della Comit. Una cosa inaudita.


Intesa Sanpaolo si pappa Ubi Banca: ecco fatti, numeri e commenti (qui le prime parole dell’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina).


I termini dell’Opa sono i seguenti: per ogni 10 azioni di Ubi portate in adesione all’Offerta
saranno corrisposte 17 azioni ordinarie di Intesa Sanpaolo di nuova emissione,
valorizzando quindi Ubi 4,86 miliardi: una cifra che corrisponde ad un premio del 27,6% sui valori di venerdì 14 febbraio.


IL CAPITOLO PERSONALE

Al termine dell’operazione tra Intesa Sanpaolo e Ubi banca le sinergie di costo sono previste derivare per circa 340 milioni dalle spese per il personale,
a seguito di uscite esclusivamente volontarie di circa 5.000 persone
– che includono le 1.000 richieste di adesione all’accordo sindacale di Intesa Sanpaolo del 29 maggio 2019
e le 300 persone previste nell’accordo sindacale di Ubi Banca del 14 gennaio 2020 -.

Prevista anche l’assunzioni di 2.500 giovani, nel rapporto di un’assunzione ogni due uscite volontarie.


IL NODO ANTITRUST

Per prevenire il sorgere di situazioni rilevanti ai fini antitrust, l’operazione include un accordo vincolante sottoscritto da Intesa Sanpaolo con Bper Banca,
che prevede la cessione di un ramo d’azienda costituito da un insieme di filiali del gruppo risultante dall’operazione (nell’ordine di 400-500 filiali)
e dai rispettivi dipendenti e rapporti con la clientela.

L’operazione include anche un accordo vincolante con UnipolSai Assicurazioni,
che prevede la cessione per un corrispettivo in denaro di attività assicurative afferenti al predetto ramo d’azienda.


LA NOTA DI BAZOLI

Giovanni Bazoli, nume tutelare di Ubi Banca e già ai vertici di Intesa Sanpaolo stamattina ha voluto far sapere
con un comunicato stampa che non era al corrente dell’operazione.

Un modo per esternare la sua critica/sorpresa? Si vedrà Ecco quello che ha messo per iscritto:

”Non intendo, almeno per il momento, dare alcun commento” sull’offerta di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca,
“se non per precisare che io ho conosciuto la decisione di Intesa Sanpaolo ieri sera, al momento della comunicazione ai mercati,
perché i responsabili della banca hanno ritenuto, credo correttamente, data la mia posizione e la mia storia,
di non coinvolgermi in alcun modo nella decisione”, ha scritto il presidente emerito di Intesa Sanpaolo.


IL REPORT DI GOLDMAN SACHS

“Un dividendo da 0,2 euro per azione nel 2020 sarebbe in linea con il consensus,
mentre un’analoga cifra nel 2021 sarebbe del 15% al di sopra delle previsioni”.

E’ quanto rilevano gli analisti di Goldman Sachs commentando l’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca.

Intesa, grazie al buon esito dell’operazione, prevede ‘un dividendo per azione pari a 0,2 euro a valere sul 2020 e superiore a 0,2 euro a valere sul 2021’.

Gli esperti della banca Usa al momento non hanno aggiornato le proprie valutazioni per tenere conto del deal
e si sono limitati a notare che l’annuncio di Intesa ‘segna il ritorno dell’M&A domestica in Italia’.


IL COMMENTO DI EQUITA SU UNIPOL

Unipol in rialzo a Piazza Affari dopo l’accordo con Intesa sulla bancassurance a valle dell’offerta della banca per l’acquisto di Ubi.
UnipolSai ha sottoscritto con Intesa un accordo per la successiva acquisizione delle compagnie assicurative
attualmente partecipate da Ubi (Bancassurance Popolari, Lombarda Vita e Aviva Vita).

“Dal comunicato stampa – sottolinea Equita – non emerge il prezzo dell’eventuale esborso e il perimetro dell’operazione,
per esempio se UnipolSai manterrà il controllo al 100% delle compagnie di bancassurance di Ubi
o ne cederà una quota e se le nuove compagnie acquisite agiranno solamente sulle nuove filiali di Bper acquisite da Ubi o su un perimetro differente”.

Per gli analisti, “l’operazione potrebbe avere senso dal punto di vista industriale sia per rafforzare la propria presenza sul canale vita
che per acquisire un nuovo canale bancassicurativo nella raccolta danni, permettendo una maggiore diversificazione rispetto al business Motor”.


IL RUOLO DI BPER

Per quanto riguarda l’aumento di capitale di Bper da 1 miliardi, Unipol e UunipolSai (entrambi azionisti con circa il 10% delle quote)
hanno comunicato il loro supporto al rafforzamento patrimoniale.


IL GIUDIZIO DEI SINDACATI

“L’offerta di Intesa Sanpaolo su Ubi ci ha colto di sorpresa, anche perché segue la presentazione del nuovo piano industriale del gruppo Ubi
che andava nella direzione di una crescita stand alone della banca.
Probabilmente, le dichiarazioni del presidente della Commissione di vigilanza della Bce, Andra Enria,
rafforzate recentemente al Forex dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco,
rappresentavano qualcosa di piu’ di una semplice analisi del settore”.

Così i segretari generali dei sindacati del credito commentano l’operazione annunciata da Intesa Sanpaolo.

“La fusione crea valore per gli azionisti? Probabilmente sì.
Crea valore per il Paese? Probabilmente sì,
considerato che nascerebbe un gruppo italiano di dimensioni europee – si legge in un comunicato congiunto –
Quello che ci preme di più però sono i riflessi che l’operazione potrebbe avere sui 110mila lavoratori interessati’.

‘La nostra attenzione su questo argomenti e’ massima – aggiungono i leader di Fabi, Fisac-Cgil, First-Cisl, Uilca e Unisin –
anche se le prime dichiarazioni del gruppo Intesa sono volte a rasserenare il clima e la storia del gruppo Ubi
e’ stata sempre improntata alla massima attenzione per il personale’.

‘Le nostre organizzazioni sindacali – concludono – vigileranno attentamente su tutte le dinamiche occupazionali,
organizzative e gestionali che riguarderanno le lavoratrici e i lavoratori. Valuteremo esclusivamente i fatti”.



IL POST DI BORZI (EX SOLE 24 ORE)

Critico il post di Nicola Borzi, già giornalista di finanza al Sole 24 Ore e ora collaboratore di Fatto Quotidiano e Vita, su Facebook ha scritto:

“I problemi di governance ma soprattutto patrimoniali di Ubi, con gli Npl coperti molto meno della media nazionale che sono già nel mirino di Bce ed Eba,
finiranno per essere lavati dalla solidità di Intesa Sanpaolo. Ubi, che pareva dover inglobare Mps, diviene preda.
Così né Intesa Sanpaolo né i bresciani-bergamaschi-cuneesi potranno più essere chiamati, volenti o nolenti, a gestire il disastro senese.
È una porta in faccia a Bankitalia e al Tesoro, ma pagata a caro prezzo. Certo, tra i guai di Ubi e il disastro del Monte è il prezzo minore”.

LA RICOSTRUZIONE DI SCOZZARI (BUSINESS INSIDER ITALIA)

“Probabilmente Intesa – ha scritto Carlotta Scozzari di Business Insider Italia – si è dovuta muovere velocemente, per evitare,
in questa nuova smania di Risiko che sembra essersi diffusa tra le banche italiane, di essere “bruciata” da qualcun altro,
per esempio dal Banco Bpm che ancora in un recente studio gli analisti di Goldman Sachs davano come promessa sposa di Ubi,
o che quest’ultima effettivamente muovesse su Mps.
O forse semplicemente perché fa ancora male lo smacco subito tre anni fa quando per una fuga di notizie Intesa non riuscì a mettere le mani sulle Generali”.

IL TWEET DI ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA)

Con il blitz by night su #Ubi si consolida l'asse finanziario made in Italy Messina-Nagel (anti Del Vecchio?) #IntesaSanpaolo#Mediobanca
In vista di futuri deal
— andrea montanari (@IlMontanari) February 18, 2020



IL TWEET DI FABIO BOLOGNINI

Manca ancora il 1° commento di consulente strategico che giudichi positivamente consolidare una leadership già ampia
in un settore con margini e crescita povere, in un mercato che non crescerà e produrrà ancora NPL per anni
Perché le ragioni forse sono altrove#IntesaUBI
— Fabio Bolognini (@Linkerbiz) February 18, 2020
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ma come è possibile che attorno al nome di un solo uomo possano aleggiare in maniera così concentrata vicende assurde che scadono nel ridicolo?

È possibile e anche semplice a farlo se il nome dell’uomo è Domenico Arcuri.

Recentissima è la notizia riguardante il commissario ‘speciale’ designato per occuparsi dell’emergenza Coronavirus e il suo stipendio.



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Stando a quanto riferito dal giornale la Repubblica,

“avrebbe percepito uno stipendio più alto del dovuto.
Per questo, assieme ad altri 14 tra membri del consiglio di amministrazione e manager della società controllata dal ministero dell’Economia,
ha ricevuto la richiesta di restituire la somma al pubblico erario entro i prossimi 10 giorni.”



Parliamo di una cifra notevole quantificata dalla procura della Corte dei Conti del Lazio:

“Giovedì mattina i finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma
hanno notificato al manager un atto di costituzione in mora da 1,9 milioni di euro”.



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Insomma, il nostro caro Arcuri non riesce proprio a smettere di far parlare di sé.

Che sia stato nominato dal premier Giuseppe Conte come commissario ‘speciale’ proprio per questo?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Se qualcuno nutriva ancora dubbi riguardo la determinazione del blocco dei cosiddetti “Paesi frugali”,
quello che oppongono i dogmi del rigorismo alla rapida solidarietà richiesta dalla situazione di crisi,
l’elezione del ministro delle finanze irlandese Paschal Donohoe come presidente dell’Eurogruppo ne è invece l’ennesima conferma.

Un nome scelto un po’ a sorpresa, dopo tre votazioni, grazie soprattutto al sostengo unanime del fronte del Nord capitanato da Olanda e Austria,
due degli Stati che più di tutti si sono recentemente battuti per correggere al ribasso il pacchetto di aiuti anti-coronavirus.




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L’elezione di Donohoe è un modo per riportare proprio l’Irlanda al suo posto nello scacchiere, quello dei rigoristi,
dopo che quest’ultima si era recentemente schierata con il fronte del Sud firmando la famosa lettera dei 9 Stati,
su iniziativa italiana, con la quale si proponeva di lanciare un’emissione di obbligazioni comuni per fronteggiare la crisi.

Un testo che poteva contare sull’appoggio di Macron ma non su quello della Merkel,
che solo più tardi avrebbe virato tendendo la mano, almeno a parole, ai Paesi più colpiti dall’emergenza.



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Una nomina che si inserisce all’interno di una partita più ampia.

Si era discusso, in questi giorni, di un ritorno al Patto di Stabilità, eventualità che però lo stesso Donohoe ha scartato, almeno per ora.

Senza affrontare direttamente il tema, il neo eletto presidente ha infatti rinviato l’ipotesi al 2022.

Niente paura, però:

quello che emerge dai continui incontri fra leader per trovare una quadra sul Recovery Fund,
è che gli aiuti europei saranno comunque condizionati da un piano di riforme,
senza il quale gli Stati non potranno avere accesso ai tanto sbandierati milioni provenienti da Bruxelles.


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L’ipotesi sulla quale si ragiona è che siano poi direttamente i governi e non la Commissione Europea a controllare la gestione delle risorse Ue.

Ma il traguardo è ancora lontano.

Il premier olandese Rutte, quello che invitava senza giri di parole l’Italia a “cavarsela da sola”,
ha cenato per l’ennesima volta con la Merkel, nel tentativo di trovare un’intesa.

Posizioni distanti, però, che non si sono ancora riavvicinate.

Si procede così, seguendo un copione ormai fisso:

incontri a quattrocchi, sorrisi smaglianti davanti alle telecamere e nessun accordo all’orizzonte.

E se qualcuno spera ancora nel pronto intervento dell’Ue in soccorso di aziende e lavoratori beh, peggio per lui.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La Grecia è già passata sotto il tritacarne eurotedesco.

Sa bene cosa vuol dire accettare gli “aiuti” dell’Europa e non intende ripetere lo stesso errore.

Da Bruxelles hanno condannato un Paese intero alla fame (e non è un modo di dire), e stavolta ci riprovano, come con l’Italia,
con questa balla del Recovery Fund, ma da Atene rispondono picche.


Ma attenzione, non si tratta di semplice voglia di rivalsa, dietro ci sono motivi tecnici e di convenienza
che in Grecia hanno imparato a capire bene, perché l’hanno vissuto sulla loro pelle.

Per questo è importante, anche per l’Italia, guardare al loro esempio e alle loro motivazioni per evitare che Conte e i suoi ci portino alla rovina.

Come spiega oggi (11 luglio) Antonio Grizzuti su La Verità,

“Atene sa perfettamente che gli strascichi dell’austerità non si risolvono nel semplice rispetto dei (durissimi) obiettivi di bilancio imposti dai creditori”.




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Uno dei disastrosi corollari della folle estate del 2015 fu il capitolo riguardante le privatizzazioni.

“Durante quelle concitate settimane – ricostruisce Grizzuti – una fronda piuttosto consistente del Bundestag
si oppose ferocemente alla concessione di nuovi aiuti al governo ellenico.
C’era bisogno, dunque, di un tributo di sangue ancora più significativo per convincere l’opinione pubblica tedesca.
Senza contare che l’esposizione delle banche teutoniche nei confronti del debito pubblico della Grecia non permetteva passi falsi di sorta.
Fu così che, per tranquillizzare Berlino, il premier Tsipras cedette al ricatto forse più umiliante, e cioè quello di svendere alcuni asset nazionali dal valore strategico”.



Ecco, dunque, come la Germania ha stretto il cappio attorno al collo di un Paese morente,
approfittando della carcassa per sciacallare le ultime briciole di una Grecia da sottomettere.

“In prima fila per accaparrarsi il bottino, ovviamente, non potevano mancare i tedeschi.
Già a dicembre del 2015, la tedesca Fraport chiudeva un accordo che, in cambio di appena 1,2 miliardi di euro,
le garantiva il controllo di 14 importanti aeroporti regionali – tra questi Rodi, Corfù, Kos, Santorini e Zakynthos – per ben 40 anni.
Potenzialmente, una miniera d’oro peri decenni a venire.
Basti pensare che solo questi cinque scali nel 2019 hanno movimentato più di 1.5 milioni di passeggeri”.


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Poi però è arrivato il Covid che ha colpito anche Fraport, la quale non ha mai versato i 22,9 milioni di euro di canone di concessione ad Atene.

Come riportato ieri da ItaliaOggi,

“oltre al prezzo di vendita stracciato, il contratto siglato tra Tsipras e la società tedesca di gestione degli aeroporti prevedeva un’altra postilla.
Ovvero: le perdite ‘causate da eventi di forza maggiore’ – e l’emorragia di passeggeri legata al Covid rientrerebbe tra queste – vanno ripianate dal governo greco.
E dunque, in ultima istanza, dai contribuenti ellenici”.


Oltre al danno, l’ennesima beffa.

Osserva giustamente Grizzuti:

“Più che di privatizzazione sarebbe forse corretto parlare di cannibalizzazione”.

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Questo è ciò che accade quando si accettano aiuti e condizioni di Bruxelles,
si arriva poi a consegnare le chiavi di casa ai creditori che oltre a portare alla perdita dell’autonomia finanziaria,
ti fanno piombare nel tuo Paese investitori senza scrupoli.

Ancora sicuri che sia tutto bello dietro alla patina di Mes e Recovery Fund?

Lo diciamo noi: no.

Consegnare l’Italia a Bruxelles è mettere un’ipoteca sul nostro futuro.
 

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