LA VITA E' COME IL CARRELLO DEL SUPERMERCATO. TU PENSI DI AVERGLI DATO UNA DIREZIONE, MA LUI VA DOVE CAVOLO GLI PARE (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Arrivano altri sondaggi, è c’è poco da ridere per Pd e Movimento 5 Stelle.

Mentre sono al governo a vivacchiare, con l’Italia che rischia di morire di fame,
le persone nei territori mandano un chiaro messaggio ai due partiti di maggioranza.

I dati degli ultimi sondaggi certificano lo sprofondare di Nicola Zingaretti e di Virginia Raggi,
sono i due amministratori meno amati d’Italia.

L’indagine svolta per testare il gradimento dei governatori di Regione piomba sui partiti già al lavoro per le elezioni amministrative di settembre.

Secondo la rilevazione di Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore i quattro presidenti più graditi appartengono al centrodestra.




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A guidare la classifica è il leghista Luca Zaia presidente del Veneto: il 70% dei suoi corregionali lo rivoterebbe oggi.

Seguono Massimiliano Fedriga del Friuli Venezia Giulia (59,8%) e Donatella Tesei dell’Umbria (57,5%), sempre della Lega,

e Jole Santelli di Forza Italia in Calabria: 57,5% anche per lei.

In calo in Lombardia il consenso per il leghista Attilio Fontana, che paga duramente la gestione dell’emergenza Covid e scende dal 49,7 al 45,3%.



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I sondaggi raccontano poi di un Michele Emiliano in caduta libera in Puglia: consenso a picco dal 47,1 al 40%.

Ancora peggio Nicola Zingaretti, ultimo nella classifica dei governatori di Regione secondo il sondaggio dell’istituto di Antonio Noto:
solo il 30% degli elettori del Lazio ha fiducia nel suo presidente, anche segretario del Pd.

Questa doppia carica, dunque, fa acqua da tutte le parti.
Visto che la Regione Lazio è ingolfata e il Pd è di nuovo allo sbando con faide interne e incapacità di governare il Paese.

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Il miglior incremento lo registra il governatore della Liguria Giovanni Toti, il quale passa dal 34,4 al 48%.

Per il capitolo sindaci, cadono le stelle del Movimento 5 Stelle:

Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino precipitano, rispettivamente, al penultimo posto
(con un calo di 29 punti rispetto al 67,2% del giorno di elezione) e al 97mo (-10,9).
 

Val

Torniamo alla LIRA
Adesso è ufficiale: gli Stati Uniti escono dall’Organizzazione mondiale della sanità.

La lettera di notifica è stata inviata dall’amministrazione Trump al segretario generale delle Nazioni Unite.

L’uscita dall’organismo Onu però sarà effettiva il 6 luglio del 2021, perché c’è l’obbligo di preavviso di un anno.

Nel frattempo gli Stati Uniti dovranno onorare tutti gli impegni per l’anno in corso, compresi gli obblighi finanziari.

A maggio infatti il presidente Usa aveva detto all’organismo Onu che avrebbe avuto 30 giorni di tempo per dimostrare di “non essere un burattino della Cina”
rispetto alla gestione della pandemia di coronavirus.

Ebbene, secondo Trump, l’Oms resta colpevole. Da qui la decisione di uscire dall’Organizzazione.


La decisione dell’amministrazione Trump è stata notificata anche al Congresso. Lo riferisce la Cnn.

Ad annunciarlo su Twitter anche il senatore dem Robert Menendez.
“Il Congresso ha ricevuto la notifica che il presidente ha ufficialmente ritirato gli Stati Uniti dall’Oms in piena pandemia”, ha scritto.


A maggio Trump aveva denunciato “i ripetuti passi falsi” dell’Oms e del suo direttore generale
nella risposta alla pandemia, che “sono stati estremamente gravosi per il mondo”.

“Molte vite avrebbero potuto essere salvate”, era l’accusa del capo della Casa Bianca.

Trump aveva fatto presente tutti gli errori commessi dall’inizio della crisi in Cina, “le pressioni” di Pechino sull’Oms
e le dichiarazioni dell’organizzazione, “inaccurate o fuorvianti”.

Poi l’ultimatum: “L’unico modo di procedere per l’Oms è se può dimostrare indipendenza dalla Cina“.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Mi chiedo come possano votare questo burattino .......è palese, basta rileggere la sua storia.


Lo sfidante di Trump alle presidenziali del 3 novembre, Joe Biden, coglie l’occasione per annunciare che se sarà eletto presidente gli Usa rientreranno nell’Oms.

“Gli americani sono più sicuri quando l’America è impegnata nel rafforzamento della salute a livello globale”
ha commentato il candidato dem alla Casa Bianca.

“Nel mio primo giorno da presidente, gli Stati Uniti si uniranno di nuovo all’Oms e ripristineremo la nostra leadership a livello mondiale”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
È ufficiale: Iliad sbarca nella telefonia fissa in Italia.

Il gruppo che punta anche su tariffe a basso costo ha infatti siglato un accordo con Open Fiber,
con l’operatore Tlc che utilizzerà la rete interamente in fibra ottica Ftth (Fiber to the Home).


Iliad è presente in Italia con una base utenti oltre i 5 milioni e mezzo, parte di un gruppo con più di 25 milioni di clienti tra fisso e mobile in Europa.

L’accordo comprende l’intero perimetro del piano che Open Fiber sta realizzando con investimento diretto in 271 città.


Iliad “ha da sempre espresso interesse verso il segmento della rete fissa in Italia, in ottica di convergenza tra fisso e mobile,
per offrire anche in questo segmento un servizio trasparente, semplice e di alta qualità”, spiega il gruppo Tlc.

“La collaborazione con Iliad, che ha scelto Open Fiber per il suo ingresso nel mercato fisso, è una conferma della validità del nostro modello neutrale”
commenta Elisabetta Ripa, amministratore delegato di Open Fiber.

“In meno di tre anni siamo diventati leader in Italia e in Europa nelle reti in fibra di nuova generazione
e l’infrastruttura di riferimento per tutti i principali player della digitalizzazione, contribuendo a colmare il divario digitale che l’Italia
ancora sconta rispetto alla media europea a causa di decenni di mancati investimenti nella rete fissa”, conclude Ripa.


“La domanda crescente di connettività degli ultimi mesi ci ha spinto ad accelerare i tempi per l’ingresso nel segmento del fisso
e la partnership con Open Fiber costituisce il primo passo in questa direzione”, aggiunge Benedetto Levi, amministratore delegato di Iliad.

Lo sbarco, per quanto annunciato da tempo, ha portato a qualche vendita sulla ‘concorrente’ Tim in Piazza Affari.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Tre operatori telefonici hanno incamerato cifre esorbitanti addebitando agli utenti servizi, peraltro, quasi inutili, comunque mai richiesti.

È inquietante leggere titoli trionfalistici su inchieste che spuntano con gravissimo ritardo e su cui indagare è banale,
dal momento che chiunque si accorge del raggiro, basta leggere i conti.

Chiamando i call center e riuscendo a risalire all’operatore giusto si può ottenere un importante consiglio:
controllate i servizi, chiamate e fatevi depennare quelli che non gradite.

Sarebbe come se inviassero regolarmente a chiunque, astemi compresi, casse di vino trattenendo in automatico il pagamento dalla carta di credito.

Silenzio-assenso, dunque, ma tutto unilaterale, aziende concorrenti fra loro, ma complici nelle truffe di massa.

I metodi sono tanti, vanno dalla tecnologia “machine to machine”, comunicazione dati esclusivamente fra computer,
a pagine web semplicemente aperte, senza aver cliccato su alcuna opzione.

Diversi milioni di euro sequestrati dalla Guardia di Finanza, dirigenti e tecnici indagati.

Ma più avanti vedremo se tutto questo esploderà e se lo Stato italiano piccolo piccolo riuscirà a contrastare i nuovi padroni di terra ed etere,
i cui guadagni, leciti e illeciti, sono tali da comprare tutto e tutti.

Ci si chiede, poi, se e quanti utenti abbiano segnalato questa palese violazione e perché sia passato tanto tempo, con tante truffe, tanti soldi dagli utenti a questi colossi violenti.


Violenti perché hanno, insieme con E-commerce e con le grandi organizzazioni commerciali, distrutto prima il rapporto umano,
poi, di fatto, i diritti fondamentali, con la complicità di associazioni dei consumatori che spesso fingono di tutelare e vivono di marchette.

Senza telefono e, soprattutto, senza Internet, nel terzo millennio, non si vive.

Da qui lo smodato potere contrattuale delle compagnie.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ma i miraggi degli affari, il finto sconto perpetuo che, come un camaleonte, cambia colore e nome, ma resta sempre lo stesso,
inducono ad acquisti compulsivi e affannosi, mettendo una paura di aumenti che non ci saranno mai.

Ogni anno si buttano milioni di biglietti aerei low cost, come pure milioni di oggetti che rispondevano alle descrizioni,
ma non all’uso miracoloso descritto dai dimostratori televisivi e multimediali.

Massimo guadagno, scenografie adeguate, minime spese.

Per risolvere il problema dei costi del personale molte aziende, usano persino il politically correct operando, invece, all’esatto contrario.

Esempio, libreria impegnata a sinistra con caffè interno.

Salotti, poltrone, nessun cartello che induca al self service.

Se si chiede perché non arriva nessuno si viene trattati con sufficienza al confine col disprezzo:
libreria democratica per auto-definizione, che però non assume ragazzi disoccupati e non fa nessuno sconto self-service agli avventori consapevoli e impegnati.

E nemmeno agli altri malcapitati.

Uno dei principali specchietti per allodole è il finto lusso.

Chi sogna attraverso i film e guadagna ventimila all’anno, non sfugge a griffe indispensabili, con prezzi “da”,
preposizione che quintuplica in automatico la cifra, e agli sconti “fino a”, normalmente un quinto della cifra sparata nei cartelli, e che si riferisce a uno o due capi inguardabili.


Nel turismo l’ultima trovata è la Dream room o peggio la Surprise hotel room.

Per raccontare di aver dormito in un quattro stelle, nel primo caso, si ottiene un congruo sconto se si è disposti a farsi cambiare stanza ogni giorno.

Comunque, raramente più grande di dodici metri quadri.

Lo sconto si alza se si accetta addirittura il cambio di albergo, sempre ogni giorno.

Insomma, mezza vacanza a fare e disfare valigie, ma questa genialata è venduta come esperienza eccitante.

Sempre diversa.

Ma il lusso non ha corpo, e non può essere definito.

È sempre più raro, ed è nell’anima, nell’aria.

Sceglie qualcuno, qualcun altro, no.

E chi non è scelto, mai lo troverà su internet, che è anch’esso nell’aria, ma è troppo pesante.

La parola lusso dovrebbe essere protetta da copyright, di proprietà di una stella che la concede raramente.

L’illusione è gratis.

Pagare l’illusione, però, costa tanto.

Si sfoglia Booking.com, oppure Expedia, Trip Advisor. Voyage privé, Secret Escapes.

Le stelle degli alberghi non sono imparentate con la stella del lusso, quella vera.

Si clicca su cinque, poi si ammettono anche le quattro, solo se Hotel de Charme oppure Schloss hotel.

Il fascino dei Boutique hotel è invece quello degli oggetti bene infiocchettati, ma a sorpresa.

L’illusione del lusso inizia con un esame attento delle dotazioni.

E se vogliamo una botta di vita possiamo sognare un lusso a prezzi spesso dettati dai luoghi alla moda, non dalla sostanza.

Meravigliosi gli elenchi di Booking.com.

Per un hotel da quattromila euro a notte si specifica che il bagno è “privato”:
vera gioia, con due mesi dello stipendio di un funzionario si può, per una sola notte, addirittura far pipì senza code nei corridoi dietro vestaglie che scaldano prostate ansiose.

È talvolta indecifrabile la linea con cui sono gestite le indicazioni fornite dagli hotel aderenti.

In molti casi si segnala la presenza di carta igienica, forse per rassicurare i lettori online che non comprano più quotidiani.

In altri, ci si limita a sottolineare la fornitura di prodotti da bagno, “in omaggio”.

Il cliente dovrebbe, a questo punto, definire donazione la propria retta giornaliera a tre zeri, tentando persino di dedurla dalle tasse.

Sono presentate come omaggi le monodosi di shampoo e bagnoschiuma, l’impalpabile wi-fi, talvolta la colazione.

Ovviamente le offerte sono lampo e imperdibili.

Ogni giorno dell’anno.

Il mercato del finto lusso rovescia il rapporto cliente-fornitore, attribuendo tutto il potere contrattuale a chi propone e non a chi deve accettare.

Sul web la trappola è logica e raffinata.

La generazione Z, quella nata dal 2000 in poi, ha con l’e-commerce lo stesso approccio delle donne degli anni 50 con la bottega all’angolo.

I Millennials, dal 1980 in poi, hanno l’elasticità di adeguarsi.

I Boomers, quelli del dopo-guerra, si dividono fra tecno-resistenti e analogici digitalizzati.

Ma con tanta fatica.

Questi ultimi, spesso un po’ facoltosi, raramente ammettono di non essere aggiornati,
e accettano passivamente regole vessatorie che i ragazzi sono molto più bravi a dribblare.

Quello che i Boomers tentano di fare è contattare una voce umana.

Ma non riusciranno quasi mai.

Quelli più tosti cercheranno di minimizzare il proprio gap tecnologico e in questo sforzo subiranno passivamente le imposizioni:
accettare diventerà un miraggio, non una forca caudina.

Difficile, quasi impossibile, nella maggior parte dei casi, il dialogo con i mastodonti.

Rari call center, per giunta, non sempre raggiungibili.

L’opzione rifiuto dell’operatore che non risponde dall’Italia o dall’Europa è sciocca e, comunque, sconsigliabile.

Ma la frustrazione massima è la mail no-reply: il mostro può tutto, il cliente, ormai acquisito e incatenato, non può rispondere,
deve accontentarsi delle Faq, acronimo anglosassone che prevede tutte le domande che l’azienda accetta di ricevere, ovviamente mai quella che le vorremmo rivolgere.


Ci sono poi le opzioni, argomenti inutili e vacuamente filosofici, mentre noi volevamo segnalare che il device non funziona.

Device, mai apparecchio, congegno, o altro italianismo desueto.

L’Italia piombata nel terzo mondo culturale, ma che continua a pagare, e tanto, in valuta occidentale pregiata,
si deve accontentare non solo di istruzioni, ma anche di descrizioni degli oggetti tradotte automaticamente dal cinese o dall’inglese.

L’erosione di una lingua passa anche per queste viuzze commerciali, strette, ma capillari.

Così iniziamo a trovare gente che ripete pedissequamente quello che vede stampato sul “device”:
e “gioca il brano”, così il traduttore liquida il “play” di un lettore mp3.

Ed è noioso elencare tutto il resto.

A distanza di decenni si conferma drammaticamente la civiltà delle battaglie liberali,
di Giovanni Malagodi in particolare, a favore della piccola e media impresa contro i mastodonti.
 

Val

Torniamo alla LIRA
È sconfortante leggere il Piano Nazionale di Riforma approvato dal Consiglio dei ministri il 7 luglio scorso,
insieme all’approvazione “salvo intese” del decreto semplificazione.

Strombazzato ai quattro venti come fosse un nuovo piano Roosevelt,
decisivo per fronteggiare la grande depressione economica che attanaglia il Paese,
in realtà è un concentrato di “aria fritta”, di proposte trite e ritrite,
ripescate dai mille programmi degli ultimi trent’anni di storia patria, prive di concretezza e reale sostanza.

Un profluvio di parole, insomma.


Mi attengo fedelmente alla bozza del piano.

Le linee guida dell’azione di governo per i prossimi anni sono tre:

modernizzazione del Paese;

transizione ecologica;

inclusione sociale, territoriale e parità di genere.


Cosa farà il Governo per raggiungere questi risultati, già in sé, com’è lampante, rivoluzionari?

Udite udite:

rilancerà gli investimenti, concentrandosi sullo sviluppo delle reti di telecomunicazione e di trasporto, sulla green economy,
sulla protezione dell’ambiente,
sulla digitalizzazione della Pubblica amministrazione e dell’istruzione;
sull’aumento delle spese per l’istruzione, la ricerca e lo sviluppo;
sulla promozione dell’innovazione,
sull’aumento degli investimenti nell’economia reale per il rilancio di importanti filiere e settori produttivi,
come il settore sanitario, l’auto e la componentistica, il turismo e lo spettacolo, l’edilizia, la produzione di energia, la siderurgia.


E poi, niente po’ po’ di meno:

punterà a rafforzare la competitività dell’economia e a migliorare l’equità, l’inclusione e la sostenibilità ambientale;
a rendere l’amministrazione della giustizia più moderna e efficiente;
a garantire una maggiore inclusione e più alti livelli di conseguimento educativo.


Il meglio, però, deve ancora arrivare.

Rullo di tamburi:

il Governo varerà una riforma tributaria che migliori l’equità e l’efficienza nelle imposte dirette e in quelle indirette;
che riduca le aliquote e aumenti la propensione delle imprese a investire, a creare reddito e occupazione; c
he combatta l’evasione e renda efficace la riscossione dei tributi, puntando su chi ha un patrimonio aggregabile e soldi sul conto corrente, lasciando perdere chi non ha né l’uno, né l’altro.


Ovviamente, tutte queste riforme saranno portate avanti al grido di “onestà, onestà”, senza condoni e scorciatoie varie.

Ci mancherebbe altro!


Una semplice, banale domanda, nel solco della franchezza intellettuale che si è scelta come metro di ragionamento fin dall’inizio di questo editoriale:

nel periodo storico più drammatico degli ultimi settant’anni, si può definire adeguato un piano di rilancio fatto di ovvietà,
di proposte prive di gambe e sostanza concreta, come quello di cui si sta parlando?

È credibile una classe dirigente che pensa di convincere i partners europei a finanziare l’Italia con soldi a fondo perduto
senza presentare loro un solo progetto immediatamente spendibile sul versante della ristrutturazione dell’economia,
uno straccio di progetto di reale revisione della spesa pubblica, un programma di effettivo ammodernamento dell’apparato statale?

Le cancellerie internazionali, i mercati finanziari, gli imprenditori esteri, possono davvero considerare
all’altezza dell’attuale tornante storico una classe dirigente che scrive un programma come fosse un manifesto elettorale
o meglio un libro dei sogni, composto della stessa loro sostanza, ossia di onirici pensieri?



Il mio Maestro, Franco Batistoni Ferrara, grande studioso, già magistrato e poi ordinario nell’Università di Pisa,
insignito dell’Ordine del Cherubino, mi ha tra l’altro insegnato una cosa semplice, ma di grande saggezza,
che ripropongo affinché ne possano far tesoro, se ritengono, pure i politici, gli scrivani e i copisti dei palazzi romani.

Vedi, mi diceva, anche le pagine di un quaderno o di un libro possono avvampare di vergogna,
possono arrossire proprio come le guance di un cristiano avvampano di santa vergogna.
E sai quando questo accade? Quando l’inchiostro che vi cade sopra è intriso di sfrontatezza canzonatoria verso chi poserà la mente su quelle pagine.



Ciambellani, reggete lo strascico!
Ordinò il re scopertosi ormai nudo.
E loro ubbidirono, “reggendo lo strascico che non c’era per niente”, perché il re era nudo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Non che prima la loro demagogia da quattro soldi fosse accettabile nell’ambito di un dibattito civile,
nell’estenuante e autodistruttiva fase di una pandemia che in molti stanno cavalcando con totale cinismo,
i cantori del nuovismo a 5 stelle sembrano particolarmente distinguersi.

Tra questi mi sembra doveroso segnalare Andrea Scanzi, il quale, ospite del salotto televisivo di Bianca Berlinguer, in onda su Rai 3,
ha pronunciato una durissima requisitoria contro Matteo Salvini, auspicando nei suoi confronti sanzioni esemplari.

Tutto questo perché il leader della Lega, secondo Scanzi, da almeno due mesi non starebbe adottando in pubblico quelle,
a suo avviso, basilari norme di sicurezza contro il Covid-19: il distanziamento e l’uso rigoroso della mascherina.


Ovviamente questo ennesimo Torquemada di una informazione sdraiata in massa sulle posizioni governative, in premessa della sua intemerata,
ha esaltato il modo con cui l’Italia ha affrontato l’emergenza sanitaria, ponendo il Paese all’avanguardia nel mondo,
sebbene egli sembra ignaro del fatto che le stime economiche elaborate dai principali istituti nazionali ed esteri
siano abbastanza agghiaccianti per un sistema già traballante di suo.

Tant’è che secondo la Commissione europea l’Italia subirà il calo peggiore di PIL tra tutti i Paese dell’Unione;
ma per Scanzi ciò che conta primariamente è che Salvini, di cui non sono certamente un tifoso,
segua pedissequamente le norme e i protocolli stabiliti dal comitato di salute pubblica al potere
per fermare una pandemia che nei numeri e nei fatti non è più un problema clinico da parecchio tempo.


Norme e protocolli che proprio per questo attualmente appaiono assurdi, ma che purtroppo, ahinoi,
rappresentano una enorme zavorra per una rapida ripresa delle attività di questa disgraziatissima nazione.


Io non so se Salvini condivida in tutto o in parte la visione aperturista di quella minoranza, tra cui il sottoscritto,
che si batte per una immediata uscita da una emergenza sanitaria che non c’è,
visto che in tutto il Paese ci sono meno di 900 persone ricoverate e di queste una settantina in terapia intensiva.

Tuttavia quella sua disinvoltura nel tirarsi giù la mascherina all’aperto e stringere qualche mano in pubblico,
che hanno portato Torquemada-Scanzi a ventilare l’applicazione di sanzioni penali, in questa fase non può che essere valutata positivamente,
nel senso di un ragionevole allentamento di una tensione basata su un terrore che sta letteralmente facendo morire d’inedia l’Italia.

Ciò soprattutto alla luce di quello che alcuni autorevoli esperti, i quali da mesi lavorano a stretto contatto coi malati, ci stanno segnalando da tempo.


Ossia che l’interazione tra il virus e l’uomo, così come sempre accaduto, è velocemente mutata in senso benigno.

Naturalmente per il partito unico del terrore sanitario, di cui fanno parte molti professionisti dell’informazione
saliti da tempo sul carro dei grillini, questo rappresenta una vera sciagura.


Avendone fatto, come in tante altre questioni, un motivo di confronto politico, trovandosi a corto di altri argomenti
dopo il disastro compiuto dai loro beniamini di lotta e di governo, costoro sembrano letteralmente terrorizzati
dalla prospettiva di ritrovarsi senza Coronavirus alla fine dell’estate.

Anche perché, di fronte al cataclisma economico che ci aspetta a settembre, sarà abbastanza arduo
spiegare ai milioni di inferociti cittadini rimasti in braghe di tela che la colpa è tutta del capo dell’opposizione che si fa i selfie senza mascherina.

La vedo molto dura per Scanzi & company.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il reddito di cittadinanza è davvero un incentivo a trovare lavoro?
È una forma di sostegno economico o voto di scambio?
Se non è efficace come possiamo trovare la soluzione migliore?


E dunque ci risiamo, complice la nostra scarsa vena comunicativa accoppiata alla scadente empatia sui social,
siamo a ricalcare i passi attorno al tema del COSIDDETTO (scritto tutto in grande) reddito di cittadinanza (RDC).

E ripetiamo, ricalcare, poiché si perdono, visto il numero, le volte che ne abbiamo scritto ormai in ogni dove.

La questione del lavoro in Italia e in Europa
In Italia manca il lavoro.

Il reddito di cittadinanza è studiato per essere un palliativo nella speranza che un po’ di ossigeno
(la maggior parte sprecato, leggetevi gli articoli in fondo) giunga all’economia in attesa che la BCE intervenisse in modo massiccio e perenne sulle emissioni di Titoli pubblici.
La pacchia del reddito di cittadinanza

Secondo questo quotidiano online il reddito di cittadinanza sarebbe una pacchia.

È davvero così? La condivisione di questo articolo sulla nostra pagina ha fatto scoppiare la polemica.
fonte: Live Sicilia
Peccato che sia arrivato il covid

Cosa ci avrebbe fatto poi la banda dei diplomati nella stanza dei bottoni, con quei prestiti è facile intuirlo.

È scritto nero su bianco anche nei disegni legge che mettono in vigore il reddito di cittadinanza:
“Chi non accetterà lavori degradanti (gli unici rimasti in Italia per la quasi totalità dei disoccupati) non avrà più un soldo.”


È scritto proprio così.

Solo che il grillino da una parte e il disoccupato dall’altra sanno benissimo che, non essendoci lavoro per tutti,
manco a far finta, il patto elettorale rimarrà in vigore fino a quando le casse dello Stato reggeranno. Appunto.

Cosa alquanto improbabile sul lungo termine:
Per la corte dei conti il reddito di cittadinanza è un fallimento

fonte: Qui finanza

È questo è il primo pezzo di realtà (che messo sull’altro piatto della bilancia, quello dei diritti, pesa una bella cifra)
che l’italiano occulta deliberatamente dai suoi pensieri.

Poi ce n’è un secondo:
È l'ora delle scelte, chi deve sopravvivere?

È l’ora delle scelte, chi deve sopravvivere?
fonte: Huffington post

Che è un altro bel carico da novanta.

Il laureato
Ma c’è il laureato. In Italia c’è sempre il laureato. C’era negli anni Settanta, c’era negli anni Ottanta e poi via via fino ad oggi, c’è sempre stato il laureato.

In Italia è una forma di vita mitologica, sempre accodato al concorso pubblico di turno,
sempre in attesa che dall’alto gli venga calato il vestito su misura, perché mammà e papà l’hanno cresciuto con questa mentalità.

Ovviamente non facciamo riferimento a tutti i laureati, ma soltanto a questa particolare specie, particolarmente attiva e lacrimante sui social.

Il laureato è quello che proprio nel momento in cui s’è laureato è sparito il lavoro.
Il lavoro per lui. Il lavoro per cui s’era laureato. Perbacco!

Il nostro laureato (quello che usiamo a mo’ di personaggio per accennare ad un certo atteggiamento)
è un laureato che siccome è laureato non può sporcarsi le mani. Questo nell’immaginario collettivo.

Beh in verità oggi ne abbiamo una versione aggiornata ai tempi di reddito di cittadinanza.

Negli anni infatti il laureato è diventato meno schizzinoso, lo diciamo senza ironia.

Il laureato trova quantomeno inopportuno per non dire umiliante andare a lavorare per 600€ al mese.

A laureà ma infatti chi ti obbliga?
Meglio 600€ di reddito di cittadinanza.

Che per il laureato (che qui dipingiamo come prototipo, un personaggio adatto ad incernare un certo atteggiamento supino, senza voler generalizzare) non è umiliante…
Il laureato

È del tutto evidente che al laureato non interessa valorizzare la sua laurea e le sue esperienze all’estero o le tre lingue.

Non contempla neanche lontanamente l’idea di crearsi un lavoro con quello che sa e magari guadagnare molto.

Al laureato interessa il contratto a tempo indeterminato sotto padrone.

Purché il padrone sia qualcun altro.

Mettersi in proprio e dare lavoro ad altri come lui?

Ma scherziamo?

Quì la dignità non centra, PUNTO.

Semplicemente la creazione di un mondo migliore viene sempre delegata a qualcun altro.

Vedo grillini e disoccupati che si lamentano

Tu prova a dirgli (dando per scontato che sia almeno temporaneamente per non crepare di fame) di aprirsi la partita iva e fondi una azienda.

Il laureato ti risponderà che “eh, allora la soluzione è che tutti si aprano la partita iva, vile schiavista”.

No, laureato, potrebbe darsi che – se sai fare il tuo lavoro – temporaneamente, invece di startene sui social a perdere le giornate
tu, con il CV che ti ritrovi, le potresti passare a lavorare in proprio al costo orario che deciti tu!

Baby, significa che se nessuno lo fa, dovresti essere tu ad assumere qualcun altro con pieni diritti ed uno stipendio pieno.

Significa, caro laureato, che se sei tu ad aprire una azienda potrai assumere TU delle persone che non possono mettersi in proprio.

Eh già! Perché non è che chi vorresti che assumesse te, è protetto dal Signore più di te. Anzi.

La potenza difuoco, il cerino lasciato in mano agli imprenditori
Del resto lo Stato che soldi ha messo in gioco?

Conte non aveva dato l’ultimatum alla UE?

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E veniamo alla tanto annunciata potenza di fuoco:


Potenza di fuoco


E il confronto con i nostri principali concorrenti o mercati di riferimento a marzo:

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fonte: Pagella politica

E questa la realtà che ci siamo ritrovati a fine maggio (soldi veri sono quelli colorati di azzurro scuro):
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Quindi, se lo Stato non ci mette i soldi, ma solo garanzie sui prestiti che i privati dovranno chiedere alle banche per restare in piedi,
se i modesti “aiuti”, cioè i prestiti dalla Ue non arriveranno prima del 2012 e verranno spalmati sul bilancio di ben 6 anni,
a chi se non agli imprenditori lo Stato ha lasciato il cerino in mano?


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Quando la qualità dei politici è questa e lo Stato non c’è più, chi viene chiamato a salvare la baracca?

E tu, o laureato, volti le spalle alla potenza di fuoco che continui a magnificare in ogni dove?

Perché per cosa credi che serva se non per creare nuovi posti di lavoro a spese del privato?

Perché non ne approfitti per crearne un po’ anche tu?

E beh, certo, non pretenderemo che sia il laureato a chiedere un prestito alla banca garantito dallo Stato…

Per lui è normale che a rischiare il culo siano gli altri.

E invece no. CLICK!

L’avete sentita? È appena scattata la trappola. Il pollo laureato è spacciato!


La trappola
Si è appena materializzato l’obiettivo del controllo totale del capitale sulle masse.

Dividendo tra l’altro i poveri dai poveri: reddito di cittadinanza a te sì, a te no!

Per chi si avvicinasse alle teorie della MMT questa sarebbe una delle primissime lezioni che riceverebbe.

Ovvero: come il potere ti mette nel sacco offrendoti quella che all’apparenza è una opportunità e invece è un compromesso al ribasso.

von Hayek


“La necessità di qualche forma di soluzione in una società industriale (assistenza pubblica) è fuori di dubbio
– anche solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti dai gesti di disperazione dei bisognosi”.

Von Hayek – Individualism and Economic Order (Individualismo e ordine economico).

Karl Polanyi


E da lì non ti schiodi più.

Prova ne sia la crisi del lavoro che da ormai quindici anni è sempre più drammatica.

Non ci risolleveremo mai.

Scacco matto alla lotta di classe,
via libera alla lotta per i diritti di pura cosmesi.
 

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