LA VITA E' COME IL CARRELLO DEL SUPERMERCATO. TU PENSI DI AVERGLI DATO UNA DIREZIONE, MA LUI VA DOVE CAVOLO GLI PARE (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
A volte succede di essere stanchi.

Dopo un po’, anche i megafoni si stancano.

Anche i veggenti, o anche i solo i testimoni oculari.

Va così: è in arrivo un cataclisma, e i pochi che lo sanno in anticipo – magari perché ne sono coinvolti, in modo diretto o indiretto – si guardano bene dal dirlo.

Qualche outsider se ne accorge, o almeno sospetta che stia avvenendo qualcosa di strano, e così comincia ad annunciarlo ad alta voce.

Gli allarmi dell’outsider non è detto che siano precisi e attendibili, è sempre possibile prendere cantonate.

Subito, però, la platea si divide.

I detentori ufficiali della verità tacciono la notizia.

La maggioranza ignora l’outsider o lo considera un pazzo, un esibizionista, non immaginando che l’outsider
è il primo a sperare in cuor suo di essersi sbagliato: se ha parlato, l’ha fatto d’istinto;
il suo non era nemmeno altruismo, era solo un riflesso di conservazione della specie, la necessità fisiologica di condividere una certa preoccupazione per un possibile pericolo.

A quel punto, quando ormai i ruoli sono definiti, i detentori della parola ufficiale cominciano a menzionarlo, l’outsider,
con un atteggiamento di sufficienza irridente: a che punto siamo arrivati, se ci sono in giro squilibrati di questa fatta?

A loro volta, gli outsider fanno squadra: fondano gruppi, partiti, case editrici.

Scrivono libri, tengono conferenze.

Qualcuno di loro comincia a essere quasi idolatrato, presentato come il possessore di una verità definitiva.

La nuova religione piace, e merita che vi si investa in modo professionale.

Alcuni outsider, ormai famosissimi, utilizzano con sapienza una tecnica sopraffina: le sparano grosse,
le loro affermazioni iperboliche, avendo però cura di associarle sempre a notizie effettive, utili a supportare la credibilità dell’iperbole;
quando poi l’iperbole sarà inevitabilmente smascherata, insieme a quella crollerà anche la parte scomoda del messaggio, quella veritiera.

Funziona talmente, il profilo escatologico della religione, che sono gli stessi detentori ufficiali della parola pubblica a utilizzare lo schema cultuale,
arrivando a proporre semplici minorenni, surreali e spaesate, come illuminate baby-sacerdotesse del futuro:
i destini del mondo, appesi all’indice puntato della piccina vaticinante, ultimissima versione dell’outsider di prima classe,
non più manipolato, ma direttamente fabbricato dai detentori della parola, i gran maestri dell’illusionismo.

E’ in queste condizioni che, appunto, un giorno il cataclisma lungamente annunciato irrompe sulla faccia della Terra, manifestando la sua devastante potenza.

Se la cronologia della catastrofe è dipesa anche dall’incessante opera degli outsider, dall’effetto a lungo termine delle loro preoccupanti affermazioni, non lo si saprà mai.

Qualcuno l’ha lasciata deflagrare, l’apocalisse, temendo che il suo gioco stesse per essere scoperto?

La cosiddetta emergenza, in altre parole, è un espediente infernale per rubare il tempo e impedire che maturasse una certa consapevolezza
dei meccanismi collaudati del grande squilibrio planetario, sempre rappresentato come infelice circostanza fisiologica, non dolosa ma solo colposa?

Se la domanda risuonasse in un tribunale, la verità giudiziaria – per emergere – avrebbe bisogno di prove incontrovertibili,
o almeno di qualche confessione convincente e ben argomentata.

L’imputato che si alza e ammette, di fronte alla corte: ebbene sì, sono stato io, l’ho fatto con questi miei complici;
la nostra storia conferma che ne siamo capacissimi, e la nostra motivazione è facilmente comprensibile.

Uno spettacolo solo teorico, naturalmente, al quale difficilmente qualcuno assisterà.

Lo spettacolo che invece va in scena è di tutt’altro tenore, sempre fantapolitico ma purtroppo reale.

I prigionieri della caverna, in larga maggioranza, si accaniscono con l’outsider accusandolo innanzitutto di essere evaso.

Nella caverna, intanto, la situazione è ulteriormente precipitata: i coatti devono sottostare a misure coercitive prima impensabili, e prepararsi a subire esperimenti inimmaginabili.

E’ per il vostro bene, sottolinea la voce dagli altoparlanti: e guai a chi disobbedisce.

Ogni caverna ha i suoi gestori formali, e i suoi formali oppositori.

Sicché, ai coatti accade di dividersi anche su quelli: c’è chi approva il gestore della cattività, qualunque disposizione imponga,
solo perché appare in disaccordo con il suo oppositore – solo virtuale, beninteso - perché nessun oppositore mette davvero in discussione la caverna,
cioè l’esistenza di una dimensione di sostanziale cattività, spacciata per normalità.

Questo, in ultima analisi, aumenta la solitudine dell’outsider: gli si rinfaccia un’insopportabile presunzione,
come se si divertisse a recitare il ruolo del grillo parlante e ne traesse alimento per la sua autostima, addirittura per il suo successo sociale.

C’è outsider e outsider, naturalmente: è molto variabile, il grado di attendibilità dei presunti rivelatori.

Per loro parla la storia personale: se hanno alle spalle anni di attività, si potrà facilmente verificare quale sia stato, nel tempo, l’esito delle loro previsioni.
 

Val

Torniamo alla LIRA
È finito il momento del teatrino delle parole. Per essere credibili in Europa occorre prima fare e poi chiedere cosa fare.
Mentre si discute ogni giorno decine di aziende chiudono e centinaia di persone perdono il lavoro. Le risorse vanno liberate ora.
Servono investimenti e liquidità. Diversamente la crisi italiana sarà irreversibile.
La sopravvivenza del sistema Europa dipende dalla tenuta sociale ed economica di tutte le sue Nazioni
”.


Questi sono alcuni passaggi di una intervista al quotidiano La Stampa della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati.

Cioè la seconda carica dello Stato ha stigmatizzato una situazione davvero preoccupante legata al vuoto propositivo anche del secondo Governo Conte.

Ripeto, per la presidente del Senato siamo in presenza di un “teatrino delle parole”.


Il giorno dopo tale denuncia formale ho cercato in tutti i giornali, ho letto tutti i vari comunicati stampa
sicuro di trovare dichiarazioni o del segretario del Partito Democratico o del responsabile attuale del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi,
in cui si prendevano le distanze da simili dichiarazioni.

Pensavo cioè che il segretario Nicola Zingaretti avrebbe rivendicato invece il ruolo concreto e operativo del Governo Conte appoggiato dal suo partito,
oppure immaginavo la reazione di Crimi o di Luigi Di Maio o dello stesso Giuseppe Conte in cui avrebbero ribadito la serie di innumerevoli provvedimenti presi proprio nell’ultimo anno.

Oppure qualcuno come l’ex onorevole Alessandro Di Battista criticare l’ingerenza della presidente del Senato,
cioè di un organismo istituzionale super partes, nella attuazione dei programmi di Governo.

Invece nulla.

Addirittura con grande mia meraviglia ho trovato un lungo articolo a firma del segretario del Pd Nicola Zingaretti sul Corriere della Sera in cui dichiarava:

Il Governo non può più tergiversare sul Mes, sul tavolo risorse mai viste. No alla danza immobile delle parole.
La danza immobile delle parole, degli slogan, delle furbizie lasciamoli alle destre
”.


Cioè Zingaretti usa quasi la stessa frase della presidente Casellati; in fondo il teatrino delle parole e la danza immobile delle parole sono la stessa cosa,
sono la stessa immagine di una compagine di governo inesistente, sono l’anticamera di una crisi socioeconomica irreversibile.


Ora mi chiedo e gradirei tanto che i lettori dei miei blog si ponessero la stessa domanda:

può il nostro Paese subire ancora questa assurda assenza di “concretezza”, questa imperdonabile assenza di coscienza dello Stato,
questa preoccupante superficialità ed irresponsabilità di chi è preposto alla gestione della cosa pubblica?


Ma ancora più grave è, a mio avviso, l’assenza di presa di posizione dei partiti di Governo di fronte alle denunce della presidente del Senato.

In realtà Zingaretti ha dovuto ammettere che la denuncia della senatrice Casellati era giusta.

Ma di fronte ad una simile constatazione, di fronte alla verifica dettagliata della incapacità dei provvedimenti varati dal Governo,
o perché i “Decreti attuativi” sono ancora da definire o perché la copertura finanziaria annunciata è solo parziale,
di diventare operativi ed incidere davvero sul tessuto socio economico può il nostro Paese rimanere impassibile?

Mi chiedo, cioè, se non sia possibile cambiare questa compagine, se non sia possibile di fronte alla ammissione di una simile prolungata atarassia,

ammettere che ancora una volta il presidente Conte ha arricchito il suo album di fallimenti strategici, di ulteriori esempi di incapacità gestionale, di concretezza funzionale.


Faccio un esempio banale: basterebbe chiamare presso la Presidenza del Consiglio per una settimana
responsabili dell’Anas e delle Ferrovie dello Stato e affidare subito i lavori di opere già approvate e già assegnate per un valore globale di circa 14 miliardi di euro.

Si, una settimana vera e concreta e non sprecata come quella degli “Stati generali”;
poi subito dopo un’altra settimana con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
per capire perché siano fermi gli interventi previsti dai Programmi Operativi Nazionali (Pon)
coperti parzialmente dal Fondo di Coesione e Sviluppo della Unione europea e, attraverso un provvedimento adeguato,
consentirne lo sblocco delle varie opere entro 30 giorni; una azione del genere attiverebbe risorse subito per ulteriori 7 miliardi di euro.


Analoga azione andrebbe fatta per le dighe, per l’edilizia scolastica, per l’housing sociale, per le reti metropolitane.


Purtroppo anche le mie rimarranno “parole”; mi dispiace per il Paese perché, come dice la presidente Casellati,
“mentre si discute ogni giorno decine di aziende chiudono e centinaia di persone perdono il lavoro”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il “Fatto” di Marco Travaglio e Antonio Padellaro è un giornale di fenomeni.

Perché è pieno di giornalisti che scrivono senza prima leggere.

Ovviamente non può avvenire che si possa scrivere senza aver prima imparato a leggere.

Più semplicemente è che i fenomeni scrivono quasi sempre per partito preso, cioè per pregiudizio,
e non hanno bisogno di informarsi preventivamente delle idee e delle posizioni espresse da chi hanno assunto come bersaglio di turno.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ne hanno già ideati una trentina, sulle più disparate materie: parliamo dei bonus.

Cioè sconti, incentivi fiscali o erogazioni.

È questa una politica economica?

No, è l’abito di Arlecchino.

Servo di due padroni.

La Manovra di rilancio del Paese si perde in un lancio di coriandoli.

Invece di adottare scelte economiche di fondo, questo governo non fa che aumentare a dismisura micromisure solo per aumentare il consenso (scarso) di cui gode.

Una cascata di bonus: madamina, il catalogo è questo.

Per chi acquista mobili c’è il bonus mobili.

In casa ci sono bonus e sconti di ogni genere, dalle ristrutturazioni, alle finestre, alle tende, alle facciate.

Per arrivare ai condizionatori, agli impianti di riscaldamento, allo scaldabagno, alle piastrelle.

Bonus e superbonus!

Quello per intenderci che ti finanzia direttamente attraverso una banca.

La famiglia non spende un euro, pensa a tutto la Finanziaria.

Se la casa ha il giardino, ecco spuntare un altro bonus.

Anche la scelta della tivù può godere di un bonus rispettando le linee Isee.

Per non dire dei singoli elettrodomestici.

La Tassa rifiuti è esosa? Ecco il relativo bonus!

Ma anche il gas e l’acqua godono del bonus, se la famiglia è in difficoltà.

Ed anche per l’elettricità.

O per l’animale domestico.

In famiglia si può godere
del bonus famiglia (incentivi vari),
quello matrimonio (relativo al lavoro),
del bonus asilo nido e
se arriva la cicogna del bonus bebè e
dopo il bonus latte se va acquistato.

Prima, del bonus mamma domani.

Oppure per colf e badanti.

Oppure il bonus nonni.

A scuola, è il regno dei saldi fiscali si va dal bonus studenti (o bonus cultura)
a quello docenti per la didattica a distanza.

Per arrivare al bonus libri scolastici
o al bonus musica per i ragazzi.

Per i trasporti, ideato apposito bonus dagli enti locali.

Per monopattini o auto nuove, scattano altri bonus.

Sul lavoro, c’è bonus donne disoccupate e quello assunzioni.

Oppure quello sulla busta paga di 80 euro, ideato da Matteo Renzi.
Immancabilmente proseguito dall’attuale governo (100 euro).

Se c’è stato un sisma con relativi danni, ai terremotati non può mancare il relativo bonus.

In vacanza, scatta il bonus, ed anche alle terme.

Manca quello funerali, ma ci si sta pensando.

Quanto costano tutti questi bonus?

Si può stimare venticinque miliardi complessivi.

In realtà altro non sono che il tentativo, grottesco, di garantire la progressività costituzionale delle imposte
in un sistema ormai oppresso da assurde tasse e gabelle.

Ora il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri promette riforme fiscali, ma questi bonus
altro non sono che sconti fiscali o erogazioni a favorire particolari soggetti o comportamenti.

Un abito di Arlecchino, servo di due padroni: il governo e lo Stato tassa e spendi.

È la “politica del Grande Elemosiniere”, che non ha alcun interesse a riformare seriamente il fisco.

A partire dalla necessaria riforma delle riscossione esosa ma colabrodo.


Basti pensare che lo Stato deve ormai rinunciare ad incassare 400 miliardi di imposte e sanzioni dovute, ma non riscosse per svariati motivi,
non ultima la scarsa attenzione alle truffe carosello e la girandola di nuove imprese che nascono e muoiono in un biennio senza versare un soldo di tasse.


Per non dire dello statuto dei diritti del contribuente, che è bellamente ignorato da tutti i governi,
ansiosi di incassare gabelle invertendo l’onere della prova ed addossandolo al povero contribuente.

Sistema questo tipicamente staliniano: sta al contribuente provare a difendersi da richieste prepotenti ed assurde del fisco,
anche quando generate da errori informatici come nel caso delle cartelle pazze.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Per la sicurezza della nostra salute il Governo giallorosso e le Regioni hanno limitato alcune delle libertà personali.

L’obiettivo, evidente, era quella di ridurre la diffusione della pandemia di Covid-19.

L’indice delle libertà valuta sinteticamente l’impatto di tali provvedimenti misurando la tempestività (o la lentezza)
con cui si sta ripristinando il pieno esercizio dei diritti più fortemente limitati e compromessi dalle misure di contenimento e gestione della pandemia, in particolare.

Se è vero che (su una scala da 0 a 40), il punteggio assegnato alle nostre libertà e diritti
è tornato a crescere da 20 – valutazione assegnata all’inizio della fase 2 – fino a 31,
va comunque segnalato che un totale recupero ancora non c’è per nessuno di quelli analizzati,
ad eccezione del diritto al lavoro (inteso come diritto ad esercitare il proprio lavoro per gli occupati).

Il diritto che più fatica ad essere ristabilito è quello all’istruzione, non solo per il ritardo con cui si è deciso quando si potrà tornare in classe,
ma anche per le incertezze tuttora forti circa gli investimenti e le condizioni di rientro.

I diritti più dinamici risultano invece quello la libertà di movimento e il diritto di riunione, ancora fortemente limitati all’inizio della fase 2,
e poi sostanzialmente ripristinati, con alcuni oneri che non ne impediscono tuttavia l’esercizio.


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Val

Torniamo alla LIRA
Andate a lavorare in ufficio. Altro che prendere lo stipendio intero per il 50% del lavoro.


C’era una volta l’impiegato pubblico.

Non è l’inizio ma potrebbe essere questo l’epilogo della storia che apre il Forum Pa, l
a tradizionale kermesse sulla macchina statale, arrivata quest’anno alla sua trentunesima edizione.


Lo studio presentato per l’occasione, stavolta tutta in digitale, rileva che tra poco, dai ministeri alla scuola,
i pensionati supereranno gli attivi.


L’invecchiamento della forza lavoro e il mancato ricambio generazionale sono fenomeni conosciuti anche in altri settori dell’economa e non solo.

Nella P.a., però, assumono proporzioni sempre più eclatanti. Tutto è nei numeri.


Oggi a fronte di 3,2 milioni di dipendenti in carica ne abbiamo 3 milioni a riposo.

D’altra parte sono oltre mezzo milione coloro che hanno superato i 62 anni, praticamente uno su sei.

E ce ne sono altri duecentomila, quasi, che hanno raggiunto i 38 anni di anzianità.

La somma tra anagrafe e carriera ha visto andare in pensione circa novantamila persone l’anno scorso.

Altrettante lo faranno quest’anno, almeno stando alla stima.

Le assunzioni continuano invece a latitare.

Colpa del blocco del turnover, imposto dalla legge, fino a novembre del 2019.

Solo pochi mesi dopo l’Italia ha dovuto affrontare l’emergenza Covid-19.

Per ovvie esigenze si è di nuovo intervenuti per decreto bloccando i concorsi.

Il conto dei posti messi a bando tra l’autunno scorso e questa primavera si ferma ad appena 22mila,
se si esclude il comparto dell’istruzione per cui vigono altre regole.

E da quando la P.a. si accorge di avere la necessità di assumere qualcuno a quando ciò si traduce in realtà passano “quattro anni”.

Nel frattempo il mondo cambia.

Sempre con le cifre, lo studio sembra ribattere a quanti sostengono che l’Italia di impiegati pubblici ne abbia tuttora troppi.

Considerando il rapporto fra il numero di dipendenti P.a. e il totale dei residenti,
il dato italiano è il meno elevato” rispetto a quello dei Paesi con cui si è abituati a fare confronti, dalla Francia al Regno Unito.


La ministra della P.a., Fabiana Dadone, però ricorda che con il dl Rilancio si cambia passo.

Procedure digitalizzate e più snelle consentiranno un rimpiazzo veloce, la rassicurazione.

Non solo.

Cambia anche l’idealtipo del dipendente pubblico.

La Pubblica amministrazione è a caccia di “talenti”, spiega Dadone.

Da strappare ad aziende private e Paesi stranieri.

Per questo nelle prove compariranno anche ‘quiz situazionali’, già spuntano i primi bandi di questo genere.

L’obiettivo è arrivare a misurare competenze che vadano oltre le nozioni, come la capacità di fare squadra e reagire a condizioni di stress.

Per una P.a., Dadone lo scandisce, che non sia più percepita “come l’ultima spiaggia per chi vuole trovare un posto che duri tutta la vita”.


“Lasciare in smart working fino a dicembre i lavoratori del pubblico impiego mi sembra irrispettoso verso gli altri lavoratori, quelli del privato e gli autonomi”.


I sindacati invece insistono su assunzioni straordinarie.
 

Val

Torniamo alla LIRA
“I politici sono nella maggior parte degli incompetenti, altrimenti non si spiegherebbe perché
in uno stesso partito vi siano diverse correnti, addirittura contrapposte fra loro.
Quante correnti c'erano nella Democrazia cristiana, soprannominata la Balena bianca ? ”.


“Oggi ci siamo ridotti alle sardine, che non sono né carne né pesce”.


“Possiamo dirlo per una buona parte dei politici nostrani”.


“Roba vecchia! Nel 1972 Giuseppe Longo in Arroganza del progresso, impotenza del potere,
deplorava l’inerzia della maggioranza parlamentare, dovuta all’accesso indiscriminato alla politica
che ha accresciuto il deterioramento delle classi di governo, moltiplicato gli errori dei partiti e delle classi dirigenti.

Oriana Fallaci ne La rabbia e l’orgoglio ha scritto: L’Italia è un Paese diviso, fazioso, avvelenato dalle sue meschinerie tribali!
Ci si odia anche all’interno del proprio partito, e con lo stesso simbolo, perdio!
I politici pensano agl’interessi personali, anelano alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, si tradiscono e si fanno i dispetti,
si sputtanano, si accusano a vicenda. Sanno solo incollare il sedere alla poltrona.

E Veneziani in un articolo concludeva: Quel che vali conta solo rispetto al tuo partito. In un Paese così non vorrei viverci. Che schifo vivere in un Paese come questo
!”.


“I significati della parola politica e gli aggettivi che si possono attribuirle sono piuttosto numerosi:
politica è anche la tattica o la strategia che si può attuare in ogni campo, anche in quello commerciale, come la politica dei prezzi, per esempio, e nello sport.

La Politica con la P maiuscola può essere forte, energica, saggia, accorta, lungimirante, debole, imbelle, stolta, cieca,
sbagliata, rinunciataria, progressista, reazionaria, conservatrice, pulita, sporca, parolaia o propagandistica, corrotta,
prudente, timida e addirittura diabolica, poiché dipende dal carattere dei governanti e soprattutto del capo, del Governo o dello Stato.

Si può dire che non c’è un sostantivo a cui si possano aggiungere tanti aggettivi quanti alla Politica.

Poi in senso spregiativo ci sono la politichetta, la politicuccia e la politicaccia. Insomma, dalla Politica ci si può aspettare di tutto e di più”.


Mazzini definiva la politica una religione civile: religione, infatti, dal latino re-ligare (legare con qualcosa) è un legame, che non ci lega solo a Dio:
c’è, o cera una volta, la religione della patria, della famiglia, dell’onore, del dovere. Ebbene per Mazzini, il creatore della trinità Dio-Patria-Famiglia,
la Politica svolgeva il ruolo della fede. Per lui l’opera dell’uomo nel mondo terreno era una collaborazione con Dio,
un progetto politico che muoveva da un imperativo religioso, per cui la vittoria e la sconfitta si alternavano necessariamente al raggiungimento di un fine più alto”.


“Anche i papi hanno fatto e fanno politica.
Il più politico è stato Wojtyla, Giovanni Paolo II, sul quale, fra gli altri, è uscito un libro intitolato proprio Il politico di Dio, di David Willey,
che lo definisce uno statista di levatura mondiale, che si colloca sullo stesso piano dei presidenti Bush e Gorbaciov.
Più di cinquanta pellegrinaggi all’estero lo hanno portato in oltre cento paesi in ogni continente del mondo”.


“Oggi purtroppo la politica da sereno gioco dialettico si è trasformata in un barbaro gioco al massacro,
mirante alla eliminazione, anche fisica, dell’avversario, come se Destra e Sinistra non fossero entrambe indispensabili alla dialettica e quindi alla politica stessa”.


“Ner modo de pensà c’è un gran divario:

mi padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato in Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi chè er più anziano
è socialista rivoluzzionario;

io invece so monarchico, ar contrario

de Ludovico chè repubblicano.


Pe via de sti princìpi benedetti
famo lira de Dio! Ma appena mamma
ce dice che so cotti li spaghetti
semo tutti d’accordo ner programma”.


(Trilussa, La politica)
 

Val

Torniamo alla LIRA
Bello grasso come un porcello. Chissà che stipendio si prende........

Promesse, rassicurazioni, sorrisi larghissimi per scacciare via ogni nube.

Intorno al Mes va ormai avanti da mesi un balletto insistito con protagonisti vari ma identico copione:
convincere, con parole dolci e toni accomodanti, che dietro il Fondo Salva-Stati non si nascondano pericolose trappole della Troika.

Già il fatto che sia necessario sottolinearlo a ogni occasione dovrebbe far riflettere, ma tant’è.

Col passare delle settimane nel ruolo di grande assolutore del Meccanismo Europeo di Stabilità
abbiamo visto alternarsi esponenti del Pd, di Italia Viva e di Forza Italia, economisti e analisti,
con il premier Conte passato, come prevedibile, da un secco “no” a un ben più accomodante “vedremo”.

Ultimo in ordine cronologico a spendersi affinché l’Italia acceda alla liquidità del fondo è stato Nicola Giammarioli, segretario generale e numero due dello stesso Mes.

Tutto facile, insomma, tutto bello.

Il Mes è un’occasione d’oro per il nostro Paese e tirarsi indietro per qualche vago sospetto sarebbe una follia.

Ma le cose stanno davvero così?

A prestare un orecchio a certi esperti, assolutamente no.

La Verità ha ricordato in queste ore le analisi effettuate dagli economisti Steinkamp e Wasterman
dell’università tedesca di Osnabruck che già nel 2013 rilevavano come “la quota di debito pubblico detenuto da creditori privilegiati”, come appunto il Mes,
fosse aumentata durante la crisi del debito sovrano in Europa.

Sottolineando “una stretta relazione tra l’aumento dei prestiti privilegiati e gli interessi pagati dai Paesi in crisi”.

E se pensate che si tratti soltanto di un parere in mezzo a tanti, magari anche un po’ fazioso,
sappiate che anche l’agenzia di rating Standard and Poor’s aveva espresso in passato simili preoccupazioni.

Nel 2011 scriveva ad esempio che un eventuale accesso al Mes del Portogallo
“conferma le nostre aspettative in merito alla possibile ristrutturazione del debito e al fatto che questo sarà subordinato al Mes”.

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Per Standard & Poor’s si trattava, nell’occasione, di fattori pregiudizievoli che avrebbero potuto portare a un abbassamento del rating.

Parliamo di un passato non troppo remoto che però ora Bruxelles e i suoi fedelissimi tentano di spazzare via di colpo, nascondendone del tutto l’esistenza.

D’altronde, nonostante gli sforzi di Giammarioli per rassicurarci, l’articolo 14.6 del trattato istitutivo recita:

“Dopo che un membro del Mes abbia già ottenuto fondi una prima volta, il consiglio di amministrazione decide di comune accordo […]
se la linea di credito è ancora adeguata o se sia necessaria un’altra forma di assistenza finanziaria”.


Mes, Commissione Ue e Bce hanno dunque la facoltà di cambiare le regole a partita in corso.

Ma se pensate che questa eventualità possa prendere corpo siete, ovviamente, solo dei malpensanti.

Parola del Mes stesso.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Per salvare dalla chiusura le attività commerciali del centro storico della città,
la Francia si prepara a nazionalizzare 10.000 piccoi negozi di vicinato e botteghe artigiane.

Saranno rilevati gli esercizi in difficoltà finanziaria per poi essere riaffittati a canoni iper-agevolati a chiunque voglia farsene carico garantendo la continuità dell’esercizio.



Un vero e proprio intervento pubblico per sostenere il commercio al dettaglio,
messo a dura prova dalle chiusure imposte mesi fa dal movimento dei Gilet gialli,
dallo stop imposto alle attività a causa dello scoppio pandemico e dallo tsunami dell’e-commerce.

Una volta dato il via libera alla “Caisse des dépots, l’istituto finanziario pubblico francese affiderà a una serie di società immobiliari,
costituite a livello locale, il compito di individuare gli esercizi che necessitano e meritano l’intervento pubblico anti-crac, per poi procedere all’acquisizione con soldi pubblici”.


Ad oggi, nel centro risulta sfitto ben il 12% delle vetrine, percentuale che cresce nei paesi più piccoli.

Va aggiunto che la misura salva-negozi è in realtà parte di un più ampio ventaglio di interventi da parte dello Stato per sostenere l’economia reale
(sospensione di oneri contributivi e aiuti a fondo perduto per gli affitti) e di iniziative promosse dalle varie amministrazioni locali
impegnate a frenare il fenomeno di svuotamento del centro.

Inoltre, nelle scorse settimane, l’Unione nazionale dei commercianti – che rappresenta oltre 450mila punti vendita –
ha chiesto al governo di imporre una moratoria di almeno due anni alla costruzione di nuovi magazzini di Amazon e Alibaba.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Una querelle che si trascina ormai dal 2017 e che, come sempre in questi casi,
vede le vittime costrette ad attendere che sia fatta giustizia, sempre con estrema lentezza e altrettanta fatica.

Gli interessati non sono proprio in numero ridotto: 12 milioni di italiani, quelli che attendono il rimborso per le bollette a 28 giorni
che gli operatori telefonici avevano applicato indisturbati fino all’arrivo dell’Agcom,
che aveva imposto l’altolà all’ennesimo tentativo di approfittarsi degli utenti, ignari di essere costretti a versare molto più del dovuto.


Un meccanismo semplice quanto efficace: calcolando le bollette su 28 giorni e non sul mese intero,
gli operatori erano in grado sostanzialmente di far pagare ai clienti 13 mensilità al posto delle canoniche 12.

Un escamotage che inizialmente era nato nel mondo della telefonia fissa ma si era poi presto spostato anche su quella mobile, vista la convenienza.

Nonostante lo stop arrivato dalle autorità di vigilanza, però, alcune aziende avevano continuato a portare avanti il sistema truffaldino per qualche mese,
spingendo così le associazioni dei consumatori a chiedere che venissero rimborsati i clienti costretti a un ulteriore salasso anche dopo l’intervento dell’Agcom.


Il presidente di Federconsumatori Emilio Viafora ha spiegato che “si tratta di piccole somme per gli utenti, 40-50 euro,
ma per i gestori, soprattutto per chi ha tanti clienti come Tim, Wind Tre e Vodafone la cifra è importante”.

Per prolungare i tempi, i gestori hanno presentato una cascata di ricorsi sia al Tar che al Consiglio di Stato,
con quest’ultimo che si è già espresso in passato sull’obbligatorietà di rimborsi gli utenti
e che tornerà a pronunciarsi in questi giorni sull’ennesimo ricorso contro la delibera dell’Agcom.

Una vicenda che si trascina tristemente ormai da anni e che rischia di non vedere mai una fine vera e propria.

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Il Codacons, piccato dai tentativi delle compagnie telefoniche di sottrarsi ai loro obblighi,
nel frattempo ha deciso di rivolgersi alla procura della Repubblica denunciando i gestori
e ha chiesto al Consiglio di Stato che questi ultimi siano obbligati a pagare anche per ogni giorno di ritardo nell’elargizione degli indennizzi agli utenti.

Soltanto una parte dei clienti, infatti, ha ottenuto un rimborso (sotto forma di credito telefonico).

Chi nel frattempo ha cambiato operatore, però, fatica a fare valere le proprie ragioni.

In ballo ci sono la bellezza di 350 milioni di euro.

Che gli italiani, purtroppo, rischiano di non vedere mai.
 

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