Claire
ἰοίην
Ma può colpire anche nel ruolo di genitore/genitrice?
Questo termine si usa per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Il ruolo di mamma o di papà ha un'elevatissima implicazione relazionale....
Alcuni Autori identificano il burn-out con lo stress lavorativo specifico delle helping professions , le professioni dell’aiuto che comprendono figure come medici, psicologi, infermieri, insegnanti, assistenti sociali ecc…
Anche qui, ci siamo...
E' una sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali.
Le cause del fenomeno più frequenti sono: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o inadeguata retribuzione, l’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica, lo svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle proprie aspettative oltre all’insufficiente autonomia decisionale e a sovraccarichi di lavoro.
La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori sociosanitari, sia fra loro sia verso terzi.
Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale.
Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.
L’insorgenza della sindrome negli operatori sanitari segue generalmente quattro fasi:
Le conseguenze di tutto ciò sono, come precedentemente detto, molto gravi e si possono schematizzare in tre livelli:
Tra i possibili modi per prevenire e contrastare il burn out troviamo:
Applicabili in famiglia?
Son distrutta.
Ci fosse una quinta fase della sindrome, io sarei a quella
Questo termine si usa per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Il ruolo di mamma o di papà ha un'elevatissima implicazione relazionale....
Alcuni Autori identificano il burn-out con lo stress lavorativo specifico delle helping professions , le professioni dell’aiuto che comprendono figure come medici, psicologi, infermieri, insegnanti, assistenti sociali ecc…
Anche qui, ci siamo...
E' una sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali.
Le cause del fenomeno più frequenti sono: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o inadeguata retribuzione, l’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica, lo svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle proprie aspettative oltre all’insufficiente autonomia decisionale e a sovraccarichi di lavoro.
La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori sociosanitari, sia fra loro sia verso terzi.
Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale.
- L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri.
- La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura.
- La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro.
Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.
L’insorgenza della sindrome negli operatori sanitari segue generalmente quattro fasi:
- la prima fase (entusiasmo idealistico) è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale, ovvero motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggior prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri); tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora. C’è in tutto questo quasi una difficoltà a leggere in modo adeguato il dato di “realtà”: infatti, esiste una logica secondo la quale il venire a capo di una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione, ma essenzialmente dalle proprie capacità e dai propri sforzi; se dunque il problema non viene risolto, ciò sta a significare che non si è stati all’altezza…
- Nella seconda fase (stagnazione) l’operatore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. I risultati del forte impegno iniziale sono via via sempre più inconsistenti. Si passa così da un superinvestimento iniziale a un graduale disimpegno dove il sentimento di profonda delusione avanza determinando nell’operatore una chiusura verso l’ambiente di lavoro ed i colleghi.
- La fase più critica del burn-out è la terza (frustrazione). Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell’utenza. Il vissuto dell’operatore è un vissuto di perdita, di svuotamento, di crisi di emozioni creative e di valori considerati fondamentali fino a quel momento. Come fattori di frustrazione aggiuntivi intervengono lo scarso apprezzamento sia da parte dei superiori sia da parte degli utenti, nonché la convinzione di una inadeguata formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o verso gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate, frequenti assenze per malattia).
- Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dalla empatia all’apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria morte professionale.
Le conseguenze di tutto ciò sono, come precedentemente detto, molto gravi e si possono schematizzare in tre livelli:
- il livello degli operatori che pagano il burn-out in termini personali, anche attraverso gravi somatizzazioni, ma soprattutto attraverso dispersione di risorse, frustrazioni e sottoutilizzazioni di potenziali;
- il livello degli utenti, per i quali un contatto con gli operatori sociali in burn-out risulta frustrante, inefficace e dannoso;
- il livello della comunità in generale che vede svanire forti investimenti nei servizi sociali.
Tra i possibili modi per prevenire e contrastare il burn out troviamo:
- Limitare il numero di pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato periodo.
- Distribuire tra i membri dello staff i compiti più difficili e meno gratificanti ed esigere dallo staff che lavori in più di un ruolo e programma.
- Pianificare ogni giorno in modo che le attività gratificanti e quelle non gratificanti siano alternate.
- Strutturare i ruoli in modo da permettere agli operatori di prendersi “periodi di riposo” quando è necessario.
- Utilizzare personale ausiliario (e volontari) per fornire allo staff ordinario possibilità di riposo.
- Incoraggiare gli operatori a prendersi frequenti vacanze, anche con un breve preavviso se necessario.
- Limitare il numero di ore di lavoro di ogni membro dello staff.
- Non incoraggiare il lavoro part-time.
- Dare ad ogni membro dello staff la possibilità di creare nuovi programmi.
- Costituire varie fasi di carriera per tutto lo staff.
Applicabili in famiglia?
Son distrutta.
Ci fosse una quinta fase della sindrome, io sarei a quella