LA SCARPA CHE STA BENE AD UNA PERSONA STA STRETTA AD UN'ALTRA: NON C'E' UNA RICETTA DI VITA (1 Viewer)

aquilarealeatapple

Forumer attivo
Sono immagini che siamo abituati a vedere negli action-movie modello Fast and furious,
dove auto a folle velocità sfrecciano per le superstrade americane evitando frontali e tamponamenti a ritmo adrenalinico.

Quanto registrato con stupore e un pizzico di panico è accaduto a Roma, dove un uomo ubriaco al volante
ha perso il controllo della sua auto ed è finito lungo la scalinata di Trinità dei Monti, che sfocia su Piazza di Spagna.

L’episodio è avvenuto questa mattina. Alla guida della Peugeot 206 un ragazzo italiano di 27 anni.
Il ragazzo, risultato positivo all’alcol test con un valore superiore a 1.5, è stato denunciato.

Gli agenti hanno proceduto quindi al ritiro della patente e al sequestro del mezzo. tanta paura e, per fortuna,
almeno in questo caso, niente acrobazie letali né per il conducente, né per altri, innocenti passanti…

non sono d'accordo con le attuali norme delle forze dell'ordine vigenti : sequestrare l'auto significa appropriazione indebita e come tale andrebbero denunciate le forze dell'ordine per abuso di potere dato da posizione dominante .
Inoltre l'assicurazione non pagherebbe nemmeno un centesimo in caso di provocazione di decessi da parte dell'automobilista ubriaco . Ciò non toglie che la revoca della patente sia giusta e dovuta , il problema è il sequestro , non c'è motivazione del sequestro del mezzo . Un blocco della circolazione applicando strumenti alle ruote è meglio indicato . Inoltre , se deve esserci pena pecuniaria , sia questa versata in caso di riesame della patente e riammissione alla circolazione non prima di 5 anni e non alle forze dell'ordine , bensì ad un'associazione vittime della strada . Non ci deve essere peculato assieme allo svolgere il proprio lavoro di tutori della sicurezza stradale , rimuovere gli automobilisti non idonei non deve comportare il furto bensì , la sicurezza .
Non mi verrete a raccontare che le attuali forze dell'ordine devono vivere con le sanzioni e le multe ed essi sono abbandonati a loro stessi dalla struttura e dall'amministrazione politica attualmente vigente , vero ? Perchè , se così fosse , sarebbe davvero triste ..
 
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Val

Torniamo alla LIRA
Buondì. A livello di informazione televisiva stiamo messi male male.
Ieri, un noto esponente pd, dopo aver ripetuto lo spot giornaliero del governo incapace,
è arrivato ad accusare l'attuale governo per l'introduzione della fatturazione elettronica fra aziende.

Poverino. Probalbilmente era in missione il giorno che il governo gentiloni approvava questa norma.

Come anticipato, la legge di bilancio 2018, in luogo del previgente regime opzionale, ha previsto nell'ambito dei rapporti fra privati (B2B)
l'obbligo di emettere soltanto fatture elettroniche attraverso il Sistema di Interscambio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti
o stabiliti nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, dal 1° gennaio 2019
 

Val

Torniamo alla LIRA
La realtà è ben diversa.
Ma quella iniziativa che sembrerebbe logica, ma che nessuno applica - perchè il "nero" piace a tutti -
è legata alla "detraibilità delle fatture" da parte della persona fisica.
Chi fa il "nero" non emette la fattura. Pirloni. Evade prima. Ahahahahahahah

Ho pensato di scrivere questo articolo perché spesso molti clienti mi chiedono perché il Governo precedente
ha voluto fortemente l’introduzione della fatturazione elettronica fra privati dal 2019
e perché anche il Governo attuale (salvo proroghe o stravolgimenti all’ultimo) sembra che stia portando avanti la stessa linea.

Ci sono due motivazioni principali a spiegazione e in particolare sulla seconda ci soffermeremo ampiamente.

La prima riguarda lo sviluppo tecnologico, la digitalizzazione dei procedimenti, l’archiviazione elettronica dei documenti
con risparmio di carta ai fini ecologici, l’efficienza nei sistemi di raccolta ed elaborazione dei dati, la velocità nelle operazioni, ecc…;
anche la Comunità Europea sta legiferando e portando avanti da anni questo processo e diversi Paesi si stanno adeguando.

La stessa Comunità Europea prevede la fatturazione elettronica solo per gli appalti pubblici e per i rapporti con la Pubblica Amministrazione (B2G),
obbligo che i principali Paesi hanno introdotto (fra cui Germania, Francia, Spagna),
ma non tutti sanno che la fatturazione elettronica fra privati (B2B) è considerata opzionale e non obbligatoria.


Quindi l’Italia per poterla introdurre dal 2019 ha dovuto chiedere una deroga all’Unione Europea!

Ma perché tutta questa urgenza visto che gli altri paesi Europei la considerano ancora un’opzione
e non obbligatoria (ad eccezione del Portogallo unico paese ad avere già introdotto la B2B) ?

Qui veniamo alla seconda spiegazione che a mio modo di vedere è quella principale:
la legge di bilancio del 2018 (quella emanata lo scorso anno nel 2017) ha posto degli obbiettivi in termini di gettito legati all’introduzione della fattura elettronica fra privati.
L’Italia è considerata uno dei maggiori paesi Europei dove c’è la più grossa differenza fra l’iva stimata e l’iva raccolta,
quindi introducendo questo nuovo sistema si cerca di diminuire principalmente questo “gap”.
Politiche fiscali “aggressive” in questo senso erano già state avviate anche nella legge di bilancio precedente (quella del 2017)
con l’introduzione delle liquidazioni periodiche iva (LIPE) e lo spesometro trimestrale.


Se parliamo di efficienza del provvedimento in termini di recupero dell’evasione abbiamo l’esempio di dei paesi dell’America Latina e del Portogallo
dove l’introduzione della fatturazione elettronica fra privati ha effettivamente portato buoni risultati.

Dobbiamo però considerare che l’Italia è un’economica molto più complessa, molto più varia,
con una presenza quasi totalitaria di medie piccole imprese quindi l’efficacia effettiva del provvedimento è tutta da valutare anche perché,
come è stato detto a più riprese, spesso l’evasione riguarda la non emissione della fattura e non il fatto che sia cartacea o elettronica.

Una cosa però è certa: questa digitalizzazione “forzata” porterà nuovi ingenti costi di adeguamento tecnologico
soprattutto per le piccole imprese che già vivono un periodo storico non esaltante e spesso basato non al profitto
ma sulla mera sopravvivenza (come abbiamo già visto in alcuni miei precedenti articoli).

Auspichiamo che il nuovo governo possa “tutelare” queste categorie nel modo migliore possibile semplificando
e magari prevedendo inizialmente un sistema a doppio binario, senza sanzioni e l’esenzione iniziale se il fatturato non supera euro 100.000,00 annui;
inoltre è necessario rendere la redazione e l’invio della fattura elettronica meno complicato del sistema attuale
e predisporre una procedura semplice e gratuita tramite software efficaci per l’invio senza la necessità per gli operatori ed imprese
di rivolgersi a terzi e sostenere altri costi (oltre a quelli che già sono in essere per assolvere gli adempimenti fiscali e burocratici nel corso dell’anno).
 

Val

Torniamo alla LIRA
E termino con un ohi ohi ohi

C’è un risvolto della contesa tra Macron ed i gilet gialli che tocca da vicino l’Italia,
e che si inserisce in un’altra contesa: quella tra il governo M5s-Lega e l’Europa sul deficit.

Lunedì 10 dicembre, in un discorso alla nazione, il presidente francese ha fatto mea culpa ed ha annunciato alcune concessioni al movimento
che, da settimane, sta portando avanti anche in maniera violenta una serie di rivendicazioni in tema di diritti e sicurezza sociale.


Macron, nello specifico, ha dichiarato di essere pronto ad aumentare di 100 euro il salario minimo,
che oggi ammonta a 1.184 euro netti mensili, a defiscalizzare le ore di straordinari
e i premi pagati dalle imprese ai lavoratori a fine anno, nonché a tagliare le tasse per le pensioni sotto i 2mila euro.

Si tratta di misure che, nel complesso, potrebbero costare fino a 10 miliardi.
Se così fosse, come scrive il giornale economico Les Echos, il deficit della Francia potrebbe arrivare al 3,5 per cento del Pil,
sforando così il tetto del 3 per cento imposto dall’Europa.

Macron, nei mesi scorsi, aveva già annunciato di voler portare il rapporto deficit/Pil al 2,8.
Una mossa che era stata cavalcata da Di Maio e Salvini in ottica anti-Bruxelles.

“Se lo fa lui – era il ragionamento dei due vicepremier – perché non possiamo farlo anche noi?”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La verità, la canta anche Vasco.

Non è la prima volta che accade. Anzi.

Ormai si può considerare una triste abitudine della stampa italiana che, davanti alle espressioni
“fondamentalista islamico”
, “terrorismo islamico” perde improvvisamente lo slancio, comincia a balbettare e alla fine lascia cadere l’aggettivo.

Fondamentalista, radicalizzato, terrorista.

Queste parole, senza aggettivi, evitano il problema (fondamentalismo islamico) per evitare problemi col politicamente corretto.

E la prima pagina è fatta. Incomprensibile ma è fatta.

Nel caso dell’assassino che ieri sera, a Strasburgo, in Francia, ha sparato sulla folla del mercatino di Natale, il fatto che sia islamico è parte integrante della notizia.
Ma il lettore non deve sapere. Il terrorismo è terrorismo. Niente da aggiungere. A meno che l’assassino sia bianco e cristiano. Allora specificare è lecito, perfino doveroso.

Oggi ci diranno che il killer di Strasburgo era legato alla criminalità comune ma ci sarà un motivo se era schedato come fondamentalista islamico potenzialmente pericoloso.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Lo sanno tutti. Ma nessuno opera. Anzi.

La nuova architettura mediatica dello Stato islamico è composta dai tre canali Idra: Amaq News Agency, Islamic State ed Al-Naba.
Ogni canale Idra ha un diverso pubblico di riferimento ed una differente finestra temporale di azione.
Tutte le produzioni dello Stato islamico sono dirette da Central Media Diwan

Amaq News Agency è il principale strumento di propaganda dello Stato islamico:
Inizialmente non era inquadrata nell’architettura mediatica dello Stato islamico.

Creata nell’agosto del 2014 come agenzia di stampa con aggiornamenti ed inviati dal fronte, nasce per contrastare le "false" informazioni dell’Occidente.
Il suo ruolo si è poi evoluto gradualmente fino a trasformarsi nel principale organo di propaganda dello Stato islamico.

Amaq rappresenta una fonte di informazione controllata e calibrata, ma che non possiede la legittimità del canale ufficiale Islamic state o Is.
Per intenderci. Amaq News Agency opera come se fosse un organo di stampa non ufficiale, ma controllato dal governo,
cioè lo Stato islamico, che a sua volta gestisce altri canali.

Ad esempio è il canale Is che sovrintende e coordina tutti i notiziari diffusi quotidianamente da Al Bayan, stazione radio ufficiale dello Stato islamico.

Amaq è ritenuta la CNN dello Stato islamico.
E’ online da più di quattro anni con flusso di notizie aggiornate in tempo reale provenienti dalle varie province dello Stato islamico.
Ogni aggiornamento su Amaq è inviato per email anche agli abbonati che oscillano mediamente tra i 1700 ed i 2200 account.
Anche in questo istante Amaq News Agency continua a diffondere comunicati, video ed informazioni sulla rete.


Originarimanente al-Naba, prodotto da Central Media Diwan, nasceva per la massima diffusione
e l'immediata lettura sul campo per le forze di guerriglia per un approccio certamente diverso
da quello adottato per Inspire, Rumiya o Dabiq, intesi come veri e propri manuali di guerra.

Mutati contesti operativi impongono una diversa letteratura di supporto.

Fino al 140° numero di al-Naba, lo Stato islamico non ha adattato la sua letteratura di riferimento al contesto, preferendo sospendere la produzione delle sue principali opere.
Tuttavia proprio il 141° numero rappresenta il punto di svolta per una metamorfosi editoriale necessaria. Al-Naba
si è trasformato gradualmente in uno strumento ibrido con al suo interno i contributi e gli autori di Rumiya.
Sarebbe opportuno rilevare, non considerando la letteratura parallela pubblicata su canali riservati,
che al-Naba resta l’unica produzione dello Stato islamico diffusa sulla rete con regolarità.

Scritta fin dal primo numero in arabo e mai tradotta, l’opera ha un preciso scopo:
rivendicare ogni attentato nel globo, dando visibilità, credito e profondità digitale alle operazioni che non ottengono rilevanza sui media occidentali.
Oltre alle necessità operative contestuali, lo Stato Islamico ha l’esigenza di rispondere ad al Qaeda,
a sua volta ritornata con prepotenza e capacità sulla rete con opere molto raffinate ed incisive.

Lo Stato islamico si è reso conto dell'inefficacia dei Media Operative (i simpatizzanti), orfani di una costante linea strategica di riferimento
come ad esempio avvenuto durante il Ramadan o i Mondiali di Russia. Al-Naba opera come vetrina promozionale
per i video della serie Inside the Caliphate e Harvest of the Soldiers e per le produzioni diffuse da Al-Furqan Media.
I ritardi delle uscite di al-Naba coincidono esattamente con la diffusione sulla rete di un nuovo video.

Quando non disponibili (ritardo massimo di 10 giorni), le uscite di al-Naba sono praticamente calendarizzate: nella notte tra giovedì e venerdì di ogni settimana.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La surreale vicenda che sta circondando il caso del deficit francese dopo l’annuncio televisivo di Emmanuel Macron
di nuove misure, in larga parte cosmetiche, destinate a venire incontro alle rivendicazioni dei gilet gialli
la dice lunga sul caso dell’ipocrisia regnante nei palazzi dell’Unione europea.

Ipocrisia che non solo si accompagna all’assenza di qualunque tentativo di correzione dei limiti intrinseci del costrutto comunitario,
ma rappresenta un fattore di distanziamento di Bruxelles dalle istanze di centinaia di milioni di abitanti del continente.

Il ministro per i Conti pubblici Gèrald Darmanin ha precisato che il deficit di Parigi toccherà la quota del 3,4% del Pil, sfondando il tetto dei parametri di Maastricht.

Da Bruxelles hanno ostentato tranquillità. “Bisogna tenere a mente che nel caso dell’Italia abbiamo un documento programmatico di bilancio,
mentre in quello della Francia abbiamo un discorso. E che cosa possiamo fare davanti ad un discorso?”,
hanno fatto trapelare fonti comunitarie citate dall’Huffington Post, che poi fa il paragone con le dichiarazioni irritate
e minacciose dei commissari Moscovici e Dombrovskis dopo l’annuncio del governo italiano di voler portare il deficit al 2,4% del Pil, esplicitato il 27 settembre scorso.


“Nessun documento ufficiale è stato ancora inviato a Bruxelles ma il giorno dopo i Commissari Ue mostrano una loquacità che oggi sembra andata perduta”, prosegue l’Huffington.

“Rispettare le regole non è per noi, ma è per loro, perché quando un Paese si indebita, si impoverisce”, avvertiva Pierre Moscovici.

“Quando siamo indebitati siamo inchiodati, non possiamo agire. Fare rilancio economico quando uno è indebitato si ritorce sempre contro chi lo fa, ed è sempre il popolo che paga alla fine”.

Un doppiopesismo sconcertante.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Non c’è dubbio che anche da parte di certi esponenti del governo italiano si sia, a più riprese, trasceso nelle dichiarazioni contro Bruxelles.

Ma i vari Moscovici, Juncker, Dombrovskis non hanno fatto mancare dichiarazioni controverse e polemiche che,
pronunciate in più occasioni a borse aperte, hanno contribuito a destabilizzare i mercati.

Il governo Cinque Stelle-Lega può non piacere, ed è legittimo criticare i contenuti di una manovra finanziaria ancora incompleta:
ma l’atteggiamento punitivo ostentato dagli euroburocrati in più occasioni è risultato straordinariamente privo di ragionevolezza.

Secondo Moscovici, la sua Francia “può superare il limite del 3%.
Macron ha sentito la sofferenza dei francesi, queste misure sono essenziali e urgenti per ridare potere d’acquisto ai francesi”,

ma per l’Italia nessuna strada è ammessa se non quella di una nuova austerità fiscale. L’ipocrisia galoppa.

L’ipocrisia delle strutture comunitarie è stata anche fatta notare, nel contesto dell’opposizione al governo Conte,
dall’associazione Patria e Costituzione, legata al deputato di Sinistra Italiana Stefano Fassina, favorevole al mantenimento al 2,4% del deficit.

In un post su Facebook, infatti, l’associazione ha preso nettamente posizione:

“Per misure prodotte per dare risposta ad una piazza infuriata (e giustificata) si può allargare la borsa,
senza costringere Macron a ridurre da qualche altra parte (ad esempio revocando i regali al grande capitale).
Invece per l’Italia per misure prodotte per dare risposta ad un chiarissimo mandato elettorale ricevuto, invece,
bisogna stare nei limiti insuperabili e avere saldi zero (per ogni euro in più un euro tolto da qualche altra misura).
Un’altra prova della distruzione della democrazia che il progetto europeo prevede scientemente”.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ma non c’è solo il nodo del deficit italiano. Il nuovo fronte riguarda le banche tedesche.

Nella giornata del 10 dicembre le azioni di Deutsche Bank, colosso in pieno affanno, hanno chiuso a 7,52 euro per azione
con una capitalizzazione di borsa di circa 15,5 miliardi di euro (a fronte di oltre 1500 miliardi di asset).

Deutsche Bank, che affonda sotto i colpi di una gestione scriteriata e di un fardello di decine di trilioni di derivati, molti dei quali tossici,
è ora monitorata con interesse dal governo tedesco, che ha allo studio una sua fusione con un altro colosso creditizio, Commerzbank.

Come riporta Bloomberg, più volte il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha paventato l’ipotesi di una fusione, sottolineando la necessità di un sistema creditizio stabile.
Lo Stato tedesco, che con il 15% delle quote è il maggiore azionista di Commerzbank,
potrebbe essere il regista di una fusione da compiersi o attraverso un acquisto o per mezzo della costituzione di una holding comune.
La seconda ipotesi è assecondata dal fatto che numerosi fondi come Cerberus Capitali hanno acquistato quote di partecipazione in entrambi gli istituti.

La Germania, dunque, si muove per costruire un colosso nazionale del credito che rimarrebbe in ogni caso pieno zeppo dei titoli tossici,
dei derivati instabili e dei crediti deteriorati che rischiano di fungere da detonatore per una nuova crisi finanziaria.
Non risultano, sino ad ora, allarmi della Vigilanza bancaria Ue su un rischio di questo genere.

E come sul caso deficit, sembrano lontani i giorni degli allarmi quotidiani lanciati su Monte dei Paschi e gli altri istituti italiani in difficoltà.

Lo stesso ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nel dicembre 2016 rinfacciò alla vigilanza la sua postura filotedesca
e il fatto di aver imposto a Mps un aumento di capitale gigantesco di 8,8 miliardi di euro,
senza spiegare bene perché soltanto pochi mesi prima era stata chiesta una ricapitalizzazione più modesta, attorno a 5 miliardi di euro.

E sono ancora d’attualità le parole scritte ai tempi da Panorama:
“Per i vigilanti di Francoforte è più importante mettere sotto torchio le banche piene di sofferenze come Mps,
piuttosto che quelle che hanno invece in pancia una montagna di derivati.
È il caso di Deutsche Bank che, tra l’altro, è anche nel mirino di una lunga sfilza di multe e cause legali”.


L’ipocrisia è una norma nell’Unione di oggi, ma è anche la misura della rilevanza degli Stati nel continente.

Francia e Germania, il cui asse nel continente è palese, sono riuscite a permettersela, l’Italia no.

E per questo motivo dobbiamo ringraziare una narrazione politica e mediatica impostata a un europeismo acritico che,
martellando per anni, ha condotto le classi dirigenti italiane a ritenere che il migliore interesse di Roma nell’Ue
fosse rinunciare a qualunque prerogativa e ad accodarsi al carro del vincitore,
nel caso quello tedesco da cui derivano numerose delle nostre problematiche odierne.

Con la conseguente irrilevanza di cui oggi scontiamo le conseguenze.
 

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