LA PRIGIONE PIU' DIFFICILE DA CUI EVADERE E' LA PROPRIO MENTE (1 Viewer)

Val

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Prospettiva di fusione con MPS ?

A distanza di quasi 2 mesi dalla fine del lockdown, mentre tutte le produzioni sono ripartite
e la gran parte della concorrenza ha ripreso a pieno l'attività, BancoBPM non riapre circa 250 filiali sul territorio nazionale,
chiuse apparentemente per l'emergenza covid.

Tra queste 128 sono in Lombardia e ben 14 nel lecchese.

In quattro di questi comuni, poi - come sottolineato da Davide Riccardi, segretario generale della Fisac Cgil Lecco -
lo sportello del BancoBPM è l'unico presente in paese, con un rapporto di radicamente al territorio dunque importante e disagi non indifferenti per i correntisti.

"Questa situazione sta determinando una forte concentrazione di personale e clientela nelle filiali aperte limitrofe a quelle chiuse, carichi di lavoro insostenibili,
disservizi e conseguenti forti tensioni con la clientela, che sono già purtroppo sfociate in aggressioni verbali, fisiche e danneggiamenti al patrimonio.
Numerosissime le istanze pervenute da singoli clienti, associazioni, istituzioni locali che chiedono la riapertura delle filiali del proprio territorio.
La forte concentrazione degli sportelli chiusi in territori poco colpiti dal virus, la presenza di numerose filiali con grandi spazi interni,
la comune piccola dimensione commerciale degli sportelli, ci fanno però pensare che queste chiusure poco o nulla abbiano a che fare
con la tutela della salute di personale e clientela. Nessun impegno alla completa riapertura da parte dell' Azienda se non per fine anno,
una prospettiva commerciale davvero poco credibile. Tutto questo mentre l'AD Castagna dichiara che il Piano Industriale presentato a marzo è di fatto sospeso
e che le filiali in chiusura saranno di più delle 200 precedentemente dichiarate. Quello che possiamo leggere nelle scelte di BancoBPM
e dalle dichiarazioni stampa dell'AD Castagna è soltanto una pervicace ricerca della riduzione dei costi,
un progressivo abbandono del modello di banca del territorio verso un modello più automatizzato di servizio a distanza,
senza peraltro vedere traccia di adeguati investimenti tecnologici. La prospettiva occupazionale e di sostegno alle economie locali
del terzo gruppo bancario nazionale ne uscirebbe fortemente compromessa"

"Per questo le OO.SS. delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo BancoBPM chiedono con forza l'immediata e totale riapertura di tutti gli sportelli,
sostengono tutte le istanze di clienti e istituzioni per mettersi totalmente al servizio del paese, impegnando tutte le capacità produttive e commerciali,
senza lasciare indietro nessuno, a partire dai territori più svantaggiati, soprattutto in questo momento di particolare bisogno di credito di imprese e privati".
 

Val

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Val

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Ancora lui .......


Nessuno dei casi di polmonite registrati tra ottobre e gennaio in Veneto, 3mila, “ha evidenziato la presenza del coronavirus”.

A dirlo è Andrea Crisanti, professore di Microbiologia e microbiologia clinica a Padova e consulente dei pm di Bergamo che indagano sulla gestione dell’emergenza coronavirus.


La relazione è firmata dal direttore generale Massimo Giupponi.


Però, specifica il dg, “la semplice analisi della scheda di dimissione ospedaliera non consente di poter ascrivere tale diagnosi a casi di infezione misconosciuta da Sars Cov-2.”


Il che significa che era necessario il tampone oppure l'autopsia........eh già signor professore.
 

Val

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Le ripercussioni dello shock esogeno Covid-19 sono evidenti e declinabili in due diverse forme.

Da un lato il virus ha ovviamente messo sotto pressione i conti pubblici,
costringendo ad un improvviso incremento del debito pubblico per fronteggiare nel breve periodo i danni all’economia.

Dall’altro lato, dalla cosiddetta fase 2 in poi, l’epidemia ha costretto ad un ripensamento dei sistemi gestionali ed organizzativi di istituzioni pubbliche e private.

Distanziamento sociale, sanificazioni e salvaguardia della salute dei cittadini hanno imposto costi indiretti di riorganizzazione degli orari e degli spazi di lavoro.

L’istruzione pubblica è da questo punto di vista emblematica.


Le difficoltà economiche causate dal Covid hanno infatti avuto un impatto diretto sul settore paritario dell’istruzione.

Secondo le stime, circa un terzo degli istituti paritari è destinato a scomparire
a causa del peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie italiane dovuto ai mesi di lockdown.

Andando più nello specifico, si stima che un terzo degli studenti attualmente iscritti alle scuole paritarie (circa 260mila studenti)
non potranno proseguire e dovranno iscriversi nelle scuole statali.

La naturale conseguenza sarà un aumento della diseguaglianza nell’accesso ad un’istruzione di qualità:
le scuole paritarie che resteranno aperte post-Covid aumenteranno ancor più l’ammontare delle proprie rette
impedendo l’accesso ad una fascia di popolazione che oggi può invece permetterselo.

I ricchi potranno scegliere tra scuola pubblica o paritaria, i meno abbienti no.


Il secondo effetto Covid sull’istruzione italiana è indiretto ed è stato portato alla luce dalla stessa Ministra Azzolina nelle linee guida recentemente pubblicate:
il distanziamento sociale di un metro impone che il 15% degli studenti debba essere ricollocato fisicamente al di fuori degli istituti scolastici oggi esistenti.


Conseguenza dei due problemi sopra riportati è un aumento dei costi che lo Stato si troverà a fronteggiare.

Il 30% degli studenti paritari che migreranno verso la scuola pubblica è pari a 260.042, di conseguenza il costo per le casse dello Stato sarà pari a 1.595.000.000 Euro
a cui va sommata una stima del 20% per i costi aggiuntivi legati alla necessità di trovare nuovi luoghi fisici in cui collocare gli studenti.

E’ una stima non puntuale ma di natura prudenziale.

Il totale sarà pari a 1.874.171.099.

A tale cifra va ovviamente sottratto l’ammontare che lo Stato oggi spende per questo 30% di studenti paritari
e che, nel caso di migrazione verso la pubblica, smetterebbe di versare (circa 195 milioni).

Per affrontare il problema è stato proposto un emendamento al decreto Rilancio per chiedere la detraibilità integrale
del costo delle rette versate alle scuole pubbliche paritarie dalle famiglie nei mesi di sospensione della didattica in presenza (tetto massimo 5.500 euro).


I costi legati al ricollocamento del 15% degli studenti causato dalle regole sul distanziamento saranno molto rilevanti.

Su un totale di 7.599.259 studenti delle scuole pubbliche i ragazzi interessati saranno 1.139.889.

L’aumento dei costi risiede nella necessità di trovare nuovi spazi fisici, nuove scuole e nuovi edifici
(definiti sempre come costi che non possono essere assorbiti e quantificati approssimativamente al 20% del costo medio per studente)
ma anche nella duplicazione di alcuni dei costi fissi che già entrano nel costo medio per studente.

A titolo di esempio, saranno necessari nuovi insegnanti e nuovi contratti con fornitori pur mantenendo i precedenti.

Andrebbero inoltre tenuti in considerazione anche i costi sociali legati ad un ricollocamento del 15% degli studenti,
molti dei quali si troverebbero ad affrontare nuove condizioni di studio nel pieno del proprio percorso scolastico.


Il finanziamento dell’istruzione pubblica può essere considerato una voce fondamentale all’interno dei bilanci pubblici delle democrazie avanzate.

Nel 2018 l’Ocse stimava al 4,6% del Pil tale spesa nei paesi dell’Unione Europea e al 4% nel nostro paese.

I continui risultati scadenti degli studenti italiani nei test PISA hanno sollevato il tema dello scarso impegno dei governi
che si sono succeduti negli ultimi decenni nel considerare l’istruzione una priorità.

Nell’ultimo test Invalsi del 2018 i ragazzi italiani hanno ottenuto punteggi sotto la media europea nelle tre aree analizzate: lettura matematica e scienza.

In quest’ultima, in particolare, il gap con la media Ue è stato di circa 30 punti (468 vs 489).

E’ evidente che l’Italia investa meno in istruzione rispetto a paesi a noi comparabili, soprattutto se tenuto conto del livello di spesa pubblica totale:
la spesa in istruzione ha costituito l’8,2% del totale del nostro deficit nel 2018, percentuale più bassa tra i 27 paesi dell’Ue.

L’Italia quindi spende poco, sì, ma spende anche male.

Il finanziamento alle scuole - tramite la famiglia - trova fondamento non nel sostegno diretto a “imprese private”,
ma nel fatto che lo Stato ha riconosciuto costituzionalmente e con la L. 62/2000 il diritto dei genitori
alla scelta educativa in una pluralità di offerta formativa pubblica e garantita, che può essere, come per la Sanità, a gestione statale o non statale.

Infatti “pubblico” non è sinonimo di “statale”.

E’ lo stesso Ocse ad indicare i due principi cardine verso cui l’Italia deve orientare future riforme scolastiche: equità e qualità.

E’ stato già sottolineato come i finanziamenti per gli istituti paritari costituiscano solo una minima parte del totale,
a fronte di una quota consistente di studenti iscritti (si veda focus Ibl).



La tabella sottostante riporta i risultati.


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Incentivare la concorrenza tra scuole sotto l’occhio vigile dello Stato lascerebbe immutato il diritto di accesso all’istruzione
ma aumenterebbe notevolmente il diritto alla libertà di scelta della singola famiglia.


Una soluzione per il milione di studenti di scuola pubblica che necessita una nuova collocazione e nuovi spazi fisici
consiste proprio nel permettere che tali studenti abbiano la possibilità di migrare verso le paritarie,
garantendo così l’inserimento in contesti già funzionanti e votati all’istruzione e minimizzando i costi sociali.

Le scuole paritarie si sono infatti già rese disponibili ad accogliere gli studenti in esubero nelle scuole pubbliche (vedere nota congiunta Usmi e Cism).

Il meccanismo attraverso il quale permettere questa migrazione è il modello Pisapia-Castelli, che risale a quanto accaduto nel 2013 a Milano:
date le lunghe liste d’attesa presso gli asili comunali, il sindaco Pisapia comprese che conveniva a tutti dare 2 mila euro di quota capitaria alle famiglie,
le quali liberamente avrebbero da allora potuto scegliere la scuola paritaria in grado di accogliere i loro bambini.

In questo modo le liste d’attesa furono eliminate con soddisfazione di tutti:
le mamme tornarono al lavoro,
i cittadini videro ben speso il denaro proveniente dalle tasse,
il Comune risparmiò.

La soluzione potrebbe quindi essere quella di affidare una quota capitaria alle famiglie che ne fanno richiesta
e permettere loro di iscrivere il proprio figlio ad una scuola paritaria.

In questo modo verrebbero aiutati anche gli istituti paritari che, come abbiamo visto, vedranno un inevitabile calo della domanda.

L’ammontare della quota capitaria potrebbe essere stabilito proprio in funzione del costo standard di sostenibilità.

Lo Stato, in questo modo, a fronte di una spesa media di circa 5500 euro per studente che ne fa richiesta,
e di 752 euro di costo medio per studente di scuola paritaria, risparmierebbe i circa 6006 euro di costo medio per studente pubblico
e la spesa necessaria alla costruzione/riqualificazione di edifici scolastici (quantificata approssimativamente al 20% delle costo medio).

Il voucher potrebbe quindi presentarsi come soluzione di breve periodo per i problemi sorti in seguito al Covid
e getterebbe le basi per future riforme di più ampio raggio verso un maggiore utilizzo del costo standard di sostenibilità.
 

Val

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C’è una registrazione che circola da giorni.

La voce captata è di un giudice della Corte di Cassazione.

Non uno qualsiasi ma il relatore al processo che ha condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione Silvio Berlusconi per il reato di frode fiscale.

Il magistrato in questione è il dottor Amedeo Franco, scomparso di recente.

La confessione, oggetto della registrazione corsara, risale a poco dopo la sentenza di condanna,
pronunciata dall’Alta corte l’1 agosto 2013 a carico del leader di Forza Italia.

A raccoglierla è nientemeno che l’imputato medesimo: Silvio Berlusconi.

Le frasi udite inquietano.

Il dottor Franco parla di sentenza pilotata dall’alto,
di un Berlusconi portato di fatto davanti a un plotone d’esecuzione per subire un verdetto già scritto;
di una porcheria mai vista in anni di onorata carriera nella giurisdizione.

La testimonianza informale, resa dal giudice del processo a cose fatte, restituisce l’immagine di un uomo tormentato,
desideroso di alleggerirsi la coscienza da un peso insopportabile attraverso una sorta di autodafé autoassolutorio.


Certo, resta il dubbio del perché il povero giudice Franco non abbia pensato prima alla questione di coscienza,
magari mettendo a verbale in Camera di Consiglio la contrarietà a quella che riteneva un’ingiusta condanna,
ma abbia atteso la fine del processo per dirsi angustiato dall’esito del processo stesso.

La “levata siriaca” della sua probità sopra la linea dell’orizzonte delle nefandezze umane avrebbe brillato di più intenso splendore.
Ma tant’è.

In Italia, Paese di grande teatro e buona musica, niente di più facile che il dramma finisca in melodramma.

E lo strano caso di coscienza del dottor Franco non fa eccezione.

Ad ascoltarlo sembra di viaggiare tra i tormenti di un Fëdor Dostoevskij e la profondità descrittiva delle pulsioni umane di un Gabriel García Márquez.

Se fosse stato quest’ultimo a dare il titolo alla ricostruzione del backstage del processo a Berlusconi fornita dal magistrato,
l’avrebbe chiamata: “Cronaca di una condanna annunciata”.

Di fronte alla clamorosa rivelazione è stato ovvio che il circo mediatico si allertasse.

Nessuno stupore, quindi, che qualche commentatore si sia unito al coro che ha gridato allo scandalo.

Purtroppo, però, a noi la vicenda non ha procurato il medesimo sussulto morale.

Per dirla tutta, pensiamo che il vero scandalo sia che ci si scandalizzi oggi per qualcosa che era evidente già al verificarsi degli avvenimenti in discussione.

Che Berlusconi fosse stato fatto fuori politicamente da una sentenza giudiziaria non ci voleva la confessione di Franco a spiegarlo.

È storia vecchia quanto il mondo quella del ricorso a mezzi non convenzionali per abbattere il nemico politico.

Oggi i media si accaniscono sulle parole di una gola profonda che fa una chiamata in correità degli esecutori di un complotto ma che nulla dice dei mandanti.

Che non sono quei tre sfigati del Partito democratico che si presentarono in televisione, guidati dall’allora segretario del partito Pierluigi Bersani,
a comunicare che avrebbero completato l’opera espellendo il leader di Forza Italia dalla vita delle istituzioni repubblicane
grazie a una forzatura interpretativa di una norma inetta (la cosiddetta legge Severino).

Per riscrivere una trama che abbia un minimo di senso si deve partire dall’estate del 2010,
quando è maturato nei mandanti il convincimento che il premier italiano stesse crescendo troppo sulla scena internazionale e cominciasse a dare fastidio.

Ritorniamo con la mente a quel momento che segnò l’apoteosi di Berlusconi e allo stesso tempo fu l’incipit della sua rovina politica:
la visita a Roma del leader libico Mu’ammar Gheddafi.


Nel 2011 si è combinata la tempesta perfetta.

Due elementi l’hanno propiziata:

la presenza al Quirinale di Giorgio Napolitano, il comunista che negli anni del suo mandato ha fatto di tutto per destrutturare la destra
neutralizzando il suo leader e il tragico errore di Berlusconi di assecondare la guerra contro Gheddafi piuttosto che impedirla mettendosi di traverso.
Persa la Libia, l’estate del 2011 è stata la stagione dello spread
dietro cui la signora Angela Merkel si è parata per giustificare la sua discesa in campo a “normalizzare” la situazione politica italiana.

L’autunno della nostra sovranità mutilata, aperto da quei sorrisi provocatori scambiati tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy,
si è concluso con la caduta di Berlusconi e la sua sostituzione con un uomo fidato dei poteri forti europei: Mario Monti.

Ancora una volta i disegni per mettere sotto scacco l’Italia sono stati possibili perché dall’interno hanno operato le quinte colonne:
la sinistra, alcuni ambienti industriali filofrancesi e tedeschi nonché il grande circo dei media di regime.


E poi, la centrale di manovra al Quirinale.

Ma non ci si sarebbe accontentati di una momentanea uscita di scena del vecchio leone di Arcore
perché a tutti era nota la sua capacità di conquistare il consenso popolare.

Occorreva assestargli un colpo che lo stroncasse nell’animo per metterlo definitivamente fuori combattimento.

Quale migliore veleno di una sentenza penale infamante?

Berlusconi evasore e pregiudicato.

La gente, nelle intenzioni dei complottisti, lo avrebbe preso a uova marce se lo avesse incontrato per strada.

Per di più che in quel momento prendeva piede la formazione degli esagitati del comico Beppe Grillo.

Sarebbero stati loro, con dosi industriali di becero moralismo giustizialista, a fare buona guardia al condannato Berlusconi.

Ma hanno fatto male i conti, non hanno tenuto in debita considerazione la capacità di Berlusconi di sapersi fare, come dice lui, concavo e convesso.

Il vecchio leone si è messo alla cappa aspettando che la tempesta passasse.

Poi, un passo alla volta, si è rimesso in pista e, per paradosso, oggi si ritrova a gareggiare con la maglia dell’uomo della Provvidenza
anche per quella sinistra che nove anni orsono lo voleva morto.

Le parole del giudice pentito non aggiungono nulla alla vicenda più di quanto già si sappia.


In compenso, servono a tenere desta l’attenzione su quella magistratura autoreferenziale
che ha operato per sostituirsi nel governo effettivo delle istituzioni a una politica spaventata e succube.

Oggi potrebbe essere quella magistratura a finire sul banco degli imputati.

Non saranno le non esaltanti ammissioni del giudice Franco a riabilitare la figura politica di Berlusconi
e ad accertare il vulnus democratico che affligge la Repubblica dal lontano 1992.

I fatti e la Storia si incaricheranno di rimettere le cose al loro posto.

Tuttavia, riabilitazione non significa colpo di spugna sugli errori politici commessi dalla vittima.

Alcune scelte sbagliate del leader di Forza Italia hanno favorito i piani della sua defenestrazione.

Il partito azzurro chiede una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla vicenda.

Fa bene a farlo, ma servirà a qualcosa?

Di certo servirà allo sveglio di cervello Matteo Renzi che ha colto al volo l’opportunità della Commissione d’inchiesta
per tenere per il collo gli alleati di Governo e la stessa magistratura.

Si desidera invece ottenere un risultato concreto immediato che vada oltre il solito polverone della propaganda?

Si affidi il commento della registrazione corsara al giudice Luca Palamara che, ad occhio,
sembra avere una gran voglia di trascinare nel fango il sistema di cui è stato parte attiva fino a qualche tempo fa.

Allora sì che ne vedremo e sentiremo delle belle.

Altro che processo kafkiano.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Certo che Luca Palamara ne sa una più del diavolo.

Del resto, come dice Woody Allen, chi la sa lunga è malvagio nel profondo del cuore.

E il diavolo, è noto, conosce un sacco di cose.


A proposito di sapere... Palamara dice, sa “pezzi importanti” della storia che riguarda Silvio Berlusconi
e, aggiunge, sa (pure) che il trojan, il micidiale strumento di intercettazione, è “nelle mani di persone che non sappiamo”
e “ in alcuni momenti della giornata è perfettamente funzionante, in altri no”.


Cominciamo da Berlusconi.

Se questo fosse un Paese civile, tutti (anche chi, come me, non votava per Forza Italia) esigerebbero di conoscerli quei “pezzi importanti”.

È una questione di democrazia, visto che Berlusconi era il capo di un partito che rappresentava almeno il 20 per cento del corpo elettorale.

Se non si tratta di un messaggio trasversale lanciato da un uomo in difficoltà, la vicenda deve essere chiarita.


Insomma: io pretendo di sapere.


Il trojan.

Palamara ha scoperto l’acqua calda.

Benvenuto nel club.

Da anni ripeto che questo strumento di intercettazione è pericoloso e illiberale.

In Germania lo possono usare soltanto nei casi in cui è a rischio la Repubblica Federale.

Qui lo vorremmo distribuire come si fa con le mascherine chirurgiche e utilizzarlo per indagare anche sulle guide in stato di ebbrezza.


Non basta.

Palamara – uno che “sa” – dice che “è nelle mani di persone che non sappiamo”.

Perfetto.

Ora è tutto chiaro: sappiamo anche noi, adesso.


Sappiamo che avevamo ragione.

Sappiamo che il trojan – guarda caso – funziona in alcuni momenti della giornata e in altri no.

C’è una manina “ che non sappiamo” che attacca e stacca.

Avanti così .


Il tema di oggi è il “sapere”.

Visto quante cose sappiamo?


Ora, però, sarebbe il momento di “fare”.

Chiarezza, prima di tutto.

Chiarezza per il bene della democrazia.

Utopia la democrazia ?
 

Val

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Nessuno è pronto a scommettere cinquanta centesimi sulla possibilità che il Governo Conte arrivi a settembre
per incominciare a trattare con l’Europa le condizioni per ottenere i finanziamenti ed i contributi indispensabili per la ripresa dell’economia nazionale previsti dal Recovery act.


Le cronache politiche quotidiane rivelano contrasti crescenti tra le diverse componenti della maggioranza su questioni di grande importanza,
dal Mes alla Tav, dal condono edilizio alle misure per il rilancio delle grandi opere senza il tappo del Codice degli appalti
e delle norme che paralizzano i funzionari della Pubblica amministrazione.

E chiunque abbia un minimo di esperienza delle vicende politiche si rende conto che ognuna di tali questioni può diventare facilmente la buccia di banana
destinata a provocare una caduta rovinosa della coalizione giallorossa.

Con la conseguenza che non si sa chi potrebbe portare avanti la trattativa con l’Europa e questa incertezza
si va trasformando nell’unico fattore di tenuta di una maggioranza altrimenti destinata ad esplodere rovinosamente.


In queste condizioni non ci si può stupire o scandalizzare se i partners europei siano guardinghi, perplessi e preoccupati per la trattativa con l’Italia sui fondi europei.

Come fidarsi di un Paese il cui Governo vive solo grazie alla paura di cadere e non poter arrivare vivo
al momento in cui si dovrà discutere su fondi ritenuti indispensabili per strappare il Paese alla recessione provocata dall’epidemia del coronavirus?


Non sarà facile uscire da questo buco nero in cui le contraddizioni della maggioranza hanno infilato il Governo Conte.

La strada più diretta sembrerebbe quella di ridare la parola al corpo elettorale e metterlo in condizione di scegliere un Governo solido
e pienamente legittimato ad assumere gli impegni che verranno inevitabilmente chiesti dall’Europa.

Ma anche in questo caso sarà necessario risolvere prima le contraddizioni politiche che minano i due principali partiti della coalizione e che provocano tanta deleteria precarietà.


Molti osservatori tendono a stabilire che queste contraddizioni siano tutte frutto dell’inesperienza e dell’improvvisazione del Movimento Cinque Stelle.

La verità, invece, è che anche e soprattutto il Partito Democratico pare dominato da dilemmi ed incertezze di grande portata.

Che non riguardano solo la fiducia personale nei confronti di Conte, ma anche e soprattutto le scelte strategiche di fondo
che un partito non può non compiere se vuole continuare ad avere un qualche ruolo sulla scena politica nazionale.


Non più tardi di ieri, ad esempio, mentre un intellettuale della sinistra più radicale come Marco Revelli
ha lanciato al Pd la proposta di rendere stabile ed irreversibile l’alleanza con il M5S annunciando fin da ora
che appoggerà la ricandidatura della Appendino e della Raggi a sindache di Torino e Roma,

un esponente qualificato dello stesso Pd come Carlo Calenda ha esposto la proposta opposta di dare vita
ad un fronte repubblicano tra Pd e Forza Italia per rompere l’unità dello schieramento di centrodestra
e creare le basi per una qualche alternativa all’attuale coalizione governativa.



Ma come conciliare tesi così opposte con l’esigenza di dare stabilità a qualsiasi Governo in vista della trattativa di settembre con la Ue?

Il mistero è fitto.

Per sciogliere dilemmi del genere i partiti tradizionali delle Prima Repubblica ricorrevano a congressi seriamente preparati.

Quelli di adesso sembrano più propensi ad infilarsi in qualche programma televisivo tipo “Scherzi a parte”!
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ed il berlusca cosa fa ? Forte del suo 6/8 per cento e della ritrovata felicità
(facciamolo senatore a vita per compensare la sua destituzione)

Forza Italia sarebbe pronta a entrare al governo con una nuova maggioranza, differente da quella attuale.
 

Val

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FI 60
IV 17
PD 35
SVP 8
Misto 22
Senatori Vita 2

fanno 144 voti........dove trova la maggioranza ???????
 

Val

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“In autunno valuteremo il ritorno del Patto Stabilità”.

Queste le parole del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles.


Questo scrive l’agenzia Vista ripresa dal Corriere dell’Umbria.


Bambini, la ricreazione è finita !!

Dovete tornare alla dura austerità di bilancio.

GIUSEPPI IN ULTIMA FILA!

Basta cazzeggiare, TORNA A SPREMERE GLI ITALIANI!!!

Se no il preside Frau Merkel si arrabbia.


Seriamente, ma credete ancora alle sparate di Conte sulla ripresa?

Questo autunno, massimo la prossima primavera, torneremo ad essere spremuti come dei limoni.
 

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