La nebbia agli irti colli.....Novembre 2003 (1 Viewer)

Josè Arcadio Buèndia

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fo64

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Per Josè e gli appassionati di Elliott... e pure per tutti gli altri :) , un articolo pubblicato oggi sull'inserto di economia e finanza del Corriere della Sera, purtroppo nel sito da cui copio l'articolo non c'è il grafico "collegato" (che dicono di aver preso dal sito www.elliotwave.com) che è pubblicato sull'edizione cartacea.

Fo64
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Quelle strane convergenze parallele

Wall Street sta ripercorrendo lo stesso cammino fatto nell’87. Prima del grande crac

Questo Toro sembra avere ingoiato una molla. Ogni volta che si posa sulle quattro zampe e sembra fermarsi riparte con un balzo strabiliante. In otto mesi di galoppata s'è concesso pause brevissime. E oggi ha davanti alle corna il traguardo del Dow Jones a 10 mila punti, che scatenerà l’euforia mondiale.
Ma poi? Un curioso studio di analisi tecnica, elaborato da Elliotwave.com, mostra come negli ultimi otto mesi l’andamento dell’indice americano S&P 500 sia molto simile a quello del Dow Jones nel periodo che precedette il lunedì nero del 1987.
Contando i giorni (vedi grafico), l’indice delle blue chip americane ne impiegò 67 sedici anni fa per arrivare al picco massimo di agosto. A cui fece seguito una prima correzione. E poi, due mesi dopo, il crac che spedì all’inferno Wall Street e tutte le Borse del mondo.
Saranno solo strane coincidenze. Ma se continua così, la linea attuale dell’S&P 500 arriverà allo stesso livello di quell’agosto, (impiegandoci 67 giorni come allora) tra pochissimo, l’11 novembre 2003.
«Il Toro ha ingoiato non una molla ma un computer - sostiene Alan Newman, analista del gruppo americano Longboat, boutique di hedge funds -. Il suo comportamento è diretto dai calcolatori che oggi gestiscono il 41% del volume di contrattazioni a New York.
La tecnica si chiama Program Trading, ed è impiegata anche dai fondi d'investimento che, invece, dovrebbero essere più cauti. Questi fondi programmano i computer a comprare istantaneamente ogni azione che salga, senza perdere tempo in analisi della società. Risultato: crescono non i titoli delle migliori imprese, crescono i titoli che crescono».
In tal modo l'efficienza del mercato nel determinare i prezzi si deteriora.
«I fondi - aggiunge Newman - utilizzano sia il Program trading sia gli Exchange Traded Funds, singoli titoli che contengono tutti quelli di un indice o di un settore, per investire in fretta le somme un tempo tenute in liquidità. La concorrenza dei fondi indicizzati li obbliga a impegnare quasi tutto il capitale disponibile, perché altrimenti avrebbero una performance inferiore, quando la Borsa guadagna».
Ma quando il listino scenderà e il pubblico comincerà a riscattare quote, i gestori per fare fronte ai rimborsi dovranno subito vendere azioni, accelerandone la discesa, e non potranno comprare i titoli caduti a prezzi interessanti.
Insomma, dopo un Toro matto vedremo un Orso forsennato.
Berni Shaeffer, un altro analista, è fiducioso «nel breve termine», pur condividendo le riserve di Newman. «Gli indici - spiega - salgono così in fretta perché nel mercato ci sono alcune forti posizioni ribassiste (vendite allo scoperto, opzioni put, ndr) . Ogni salita obbliga i ribassisti massacrati a ricoprirsi o vendere i Put, e ciò provoca un'ulteriore salita, amplificata dal Program trading, la quale stronca altri ribassisti, e così via. Il rally continuerà finché nel mercato ci saranno Orsi, ma quando la specie si sarà estinta e la massa degli investitori brinderà, questo Toro incontrerà la morte». Un Dow a quota 10.000, dice, potrebbe creare proprio l'ambiente psicologico di massimo rischio.
A investitori ingenui l'eccezionale ritmo di sviluppo economico americano annunciato giovedì - 7,2% nel terzo trimestre - può sembrare una garanzia.
Ma questo livello era stato sfiorato alla fine del 1999, con un 7,1%, e il 14 gennaio a Wall Street era cominciato il Bear Market. Un'economia forte preannuncia rialzi dei tassi d'interesse, mentre solo i tassi ai minimi da 45 anni (e addirittura negativi, perché inferiori all'inflazione) hanno tenuto finora in aria la «bolla».
L'orgia di consumi che ha contribuito al balzo del terzo trimestre, ad esempio, è dovuta ad acquisti di beni con credito a tasso zero (e, per le automobili, con sconti sul prezzo), a riduzioni e rimborsi fiscali per 26 miliardi di dollari, al rifinanziamento dei mutui.
L'investitore più celebre, Warren Buffett, ha dichiarato pochi giorni fa: «Non c'è un titolo acquistabile, alle quotazioni d'oggi e con questo dollaro malato. Per la prima volta in vita mia compro valute estere».
E un altro guru di Wall Street, il leggendario John Templeton, ha consigliato agli americani: «Vendete le azioni, vendete le obbligazioni, vendete i dollari, vendete gli immobili. Nei prossimi mesi il dollaro calerà parecchio: allora i governi stranieri cesseranno di acquistate i nostri buoni del Tesoro, e i tassi Usa saliranno. Di conseguenza scenderanno i valori azionari e immobiliari. La gente taglierà i consumi, per rimborsare i debiti accumulati senza criterio in questi anni. Avremo una grave recessione, e gli eccessi di moneta stampata per scongiurare la recessione aggiungeranno la piaga dell'inflazione».

Renato Ferraro
 

alan1

Forumer storico
fo64 ha scritto:
Per Josè e gli appassionati di Elliott... e pure per tutti gli altri :) , un articolo pubblicato oggi sull'inserto di economia e finanza del Corriere della Sera, purtroppo nel sito da cui copio l'articolo non c'è il grafico "collegato" (che dicono di aver preso dal sito www.elliotwave.com) che è pubblicato sull'edizione cartacea.

Fo64
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Quelle strane convergenze parallele

Wall Street sta ripercorrendo lo stesso cammino fatto nell’87. Prima del grande crac

Questo Toro sembra avere ingoiato una molla. Ogni volta che si posa sulle quattro zampe e sembra fermarsi riparte con un balzo strabiliante. In otto mesi di galoppata s'è concesso pause brevissime. E oggi ha davanti alle corna il traguardo del Dow Jones a 10 mila punti, che scatenerà l’euforia mondiale.
Ma poi? Un curioso studio di analisi tecnica, elaborato da Elliotwave.com, mostra come negli ultimi otto mesi l’andamento dell’indice americano S&P 500 sia molto simile a quello del Dow Jones nel periodo che precedette il lunedì nero del 1987.
Contando i giorni (vedi grafico), l’indice delle blue chip americane ne impiegò 67 sedici anni fa per arrivare al picco massimo di agosto. A cui fece seguito una prima correzione. E poi, due mesi dopo, il crac che spedì all’inferno Wall Street e tutte le Borse del mondo.
Saranno solo strane coincidenze. Ma se continua così, la linea attuale dell’S&P 500 arriverà allo stesso livello di quell’agosto, (impiegandoci 67 giorni come allora) tra pochissimo, l’11 novembre 2003.
«Il Toro ha ingoiato non una molla ma un computer - sostiene Alan Newman, analista del gruppo americano Longboat, boutique di hedge funds -. Il suo comportamento è diretto dai calcolatori che oggi gestiscono il 41% del volume di contrattazioni a New York.
La tecnica si chiama Program Trading, ed è impiegata anche dai fondi d'investimento che, invece, dovrebbero essere più cauti. Questi fondi programmano i computer a comprare istantaneamente ogni azione che salga, senza perdere tempo in analisi della società. Risultato: crescono non i titoli delle migliori imprese, crescono i titoli che crescono».
In tal modo l'efficienza del mercato nel determinare i prezzi si deteriora.
«I fondi - aggiunge Newman - utilizzano sia il Program trading sia gli Exchange Traded Funds, singoli titoli che contengono tutti quelli di un indice o di un settore, per investire in fretta le somme un tempo tenute in liquidità. La concorrenza dei fondi indicizzati li obbliga a impegnare quasi tutto il capitale disponibile, perché altrimenti avrebbero una performance inferiore, quando la Borsa guadagna».
Ma quando il listino scenderà e il pubblico comincerà a riscattare quote, i gestori per fare fronte ai rimborsi dovranno subito vendere azioni, accelerandone la discesa, e non potranno comprare i titoli caduti a prezzi interessanti.
Insomma, dopo un Toro matto vedremo un Orso forsennato.
Berni Shaeffer, un altro analista, è fiducioso «nel breve termine», pur condividendo le riserve di Newman. «Gli indici - spiega - salgono così in fretta perché nel mercato ci sono alcune forti posizioni ribassiste (vendite allo scoperto, opzioni put, ndr) . Ogni salita obbliga i ribassisti massacrati a ricoprirsi o vendere i Put, e ciò provoca un'ulteriore salita, amplificata dal Program trading, la quale stronca altri ribassisti, e così via. Il rally continuerà finché nel mercato ci saranno Orsi, ma quando la specie si sarà estinta e la massa degli investitori brinderà, questo Toro incontrerà la morte». Un Dow a quota 10.000, dice, potrebbe creare proprio l'ambiente psicologico di massimo rischio.
A investitori ingenui l'eccezionale ritmo di sviluppo economico americano annunciato giovedì - 7,2% nel terzo trimestre - può sembrare una garanzia.
Ma questo livello era stato sfiorato alla fine del 1999, con un 7,1%, e il 14 gennaio a Wall Street era cominciato il Bear Market. Un'economia forte preannuncia rialzi dei tassi d'interesse, mentre solo i tassi ai minimi da 45 anni (e addirittura negativi, perché inferiori all'inflazione) hanno tenuto finora in aria la «bolla».
L'orgia di consumi che ha contribuito al balzo del terzo trimestre, ad esempio, è dovuta ad acquisti di beni con credito a tasso zero (e, per le automobili, con sconti sul prezzo), a riduzioni e rimborsi fiscali per 26 miliardi di dollari, al rifinanziamento dei mutui.
L'investitore più celebre, Warren Buffett, ha dichiarato pochi giorni fa: «Non c'è un titolo acquistabile, alle quotazioni d'oggi e con questo dollaro malato. Per la prima volta in vita mia compro valute estere».
E un altro guru di Wall Street, il leggendario John Templeton, ha consigliato agli americani: «Vendete le azioni, vendete le obbligazioni, vendete i dollari, vendete gli immobili. Nei prossimi mesi il dollaro calerà parecchio: allora i governi stranieri cesseranno di acquistate i nostri buoni del Tesoro, e i tassi Usa saliranno. Di conseguenza scenderanno i valori azionari e immobiliari. La gente taglierà i consumi, per rimborsare i debiti accumulati senza criterio in questi anni. Avremo una grave recessione, e gli eccessi di moneta stampata per scongiurare la recessione aggiungeranno la piaga dell'inflazione».

Renato Ferraro

Azz, questi sono molto peggio di me.
 

percefal

Utente Old Style
Segnalo anche quest'articolo apparso su Wallstreetitalia:

USA: UNA CRESCITA COL PUNTO INTERROGATIVO

di Alfonso Tuor
2 Novembre 2003 17:35 LUGANO

L?economia statunitense è cresciuta allo strabiliante ritmo del 7,2% nel terzo trimestre di quest?anno. Questo dato, nettamente superiore alle più rosee aspettative, suffraga le previsioni di istituti di ricerca, analisti finanziari ed economisti che danno ormai per certo che l?attuale ripresa dell?economia statunitense sfocerà in una crescita solida e duratura, talmente forte da riuscire a rilanciare anche la boccheggiante economia europea.

È quindi legittimo domandarsi se effettivamente l?attuale forte espansione dell?economia americana segni la fine della crisi prodotta dallo scoppio della grande bolla speculativa formatasi nei mercati finanziari negli anni Novanta oppure se gli squilibri dell?economia americana e di quella mondiale siano destinati a frenare la crescita e a rimettere in discussione l?ottimismo oggi prevalente.

Non vi è alcun dubbio che l?attuale ripresa è il frutto di una politica economica tesa a rilanciare l?economia ad ogni costo e che la forte crescita del secondo e del terzo trimestre sono in gran parte da addebitare al taglio delle tasse attuato dall?amministrazione Bush e più in particolare ai rimborsi fiscali incassati in questo periodo dalle famiglie americane.

Quindi, questo rimbalzo della crescita economica conferma la «potenza» degli impulsi della politica fiscale, che ultimamente erano stati messi in dubbio da molti economisti, ma non fornisce ancora la certezza che sia stato messo in moto un meccanismo economico in grado di sostenere nel tempo la crescita americana. Per essere più chiari, resta aperto il dilemma se oggi l?economia statunitense è assimilabile ad una economia «drogata» da potenti dosi di anfetamine, che quindi è destinata ad afflosciarsi non appena se ne esauriranno gli effetti, oppure se questa cura da cavallo ha messo in moto un processo virtuoso in grado di sostenersi nel tempo.

La risposta di martedì scorso della banca centrale statunitense non è rassicurante. Se si eccettua il giudizio di un mercato del lavoro che tende a stabilizzarsi e non più ad indebolirsi, la Federal Reserve ha chiaramente dichiarato che il «paziente USA» è ancora bisognoso di attente e forti cure, per cui non ha alcuna intenzione di muovere i tassi di interesse per un «considerevole periodo di tempo».

La Fed ha addirittura sorprendentemente ribadito che i pericoli di una caduta del livello dei prezzi, ossia di deflazione, restano ancora superiori a quelli di un loro aumento. Il giudizio di Alan Greenspan è stato interpretato come un ennesimo tentativo di influenzare l?evoluzione dei tassi a lungo termine che negli ultimi tempi si erano mossi al rialzo.

È innegabile che questo sia uno degli obiettivi della Fed, ma è altrettanto innegabile che la banca centrale americana vuole che il costo del denaro rimanga molto basso, poiché teme che l?economia americana non sia oggi in grado di sopportare un aumento dei tassi di interesse, che li riporterebbe unicamente a un livello normale in una fase di forte ripresa economica. E le preoccupazioni di Greenspan appaiono giustificate.

Un rialzo del costo del denaro potrebbe, da un canto, frenare la voglia di spendere delle famiglie americane, che sono in misura crescente fortemente indebitate, e potrebbe allungare ulteriormente il processo di risanamento dei bilanci di imprese, appesantite dalla permanenza di forti sovraccapacità produttive e in molti casi da alti livelli di indebitamento, e, quindi, di rinviare ulteriormente quegli investimenti aziendali che dopo anni di forte caduta hanno ripreso a salire solo ultimamente.

Ma c?è di più, la ripresa americana comporta inevitabilmente un aumento delle importazioni e quindi, un peggioramento del disavanzo commerciale statunitense. Questo disavanzo non è destinato ad essere alterato sostanzialmente dallo shopping di beni americani che attueranno nelle prossime settimane le aziende cinesi con lo scopo di allentare le tendenze protezionistiche statunitensi o da legislazioni, lesive degli accordi del WTO, come il «Buy America», che impone al Pentagono di comprare solo prodotti americani senza componenti provenienti dall?estero.

Tutto lascia intendere che vi è una ferma volontà politica di arrivare a tutti i costi all?appuntamento delle elezioni presidenziali dell?anno prossimo con una economia in crescita e, quindi, di utilizzare tutti i «cerotti» possibili per rinviare l?emergere di situazioni di crisi dovute agli squilibri interni ed esterni dell?economia statunitense.

Tra questi «cerotti» figurano anche la formazione di una nuova bolla speculativa nei mercati finanziari, che già oggi appaiono sopravvalutati, e l?uso della leva del tasso di cambio del dollaro. Vi è più di un motivo per dubitare del successo a medio termine di questa «scommessa».. Infatti qualsiasi evento non previsto può mettere all?improvviso in forse la volontà del resto del mondo di finanziare un paese che vanta un debito estero netto pari al 29% del suo Pil e un disavanzo della bilancia delle partite correnti superiore al 5%.

Per questi motivi, un aggiustamento è inevitabile e quindi l?unico interrogativo è quando e come si manifesterà. Quindi, il tasso di crescita registrato dall?economia statunitense nel terzo trimestre di quest?anno, che comunque sarà rivisto al ribasso, non fornisce alcuna certezza sulla sostenibilità nel tempo della crescita statunitense, poiché essa è alimentata sostanzialmente dal consumo di reddito futuro e di reddito straniero, come confermano la forte crescita del debito interno e di quello commerciale.

Tutto ciò dà maggior forza all?ipotesi che in realtà stiamo assistendo ad una riedizione dell?economia della bolla degli anni Novanta, in cui gli Stati Uniti sono disposti a creare nuove bolle per attutire gli effetti dello scoppio di quelle precedenti. In questo modo si guadagna solo tempo al prezzo però di un più pesante appuntamento con la realtà.


http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=186025
 

gisi

Forumer attivo
Come sostegno psicologico all'amico Arcadio, ribassista per vocazione :) posto questo grafico sul Vix, dove ci avvertono che quando sul mercato non c'è più paura occorre stare assai attenti - il guaio è che lo dicevano già due mesi fa e le borse hanno continuato a salire del tutto indifferenti alle nostre profezie - mi ricorda di quando Angelo Abbondio, gestore del Fondo Professionale, avvisò con tenacia ed insistenza, con un anno di anticipo, di scappare dal Giappone, che sarebbe scoppiata la bolla - in effetti scoppiò come sappiamo, ma dopo un anno, e salì nel frattempo di altri diecimila punti ...

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percefal

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WALL STREET

Mercati azionari: Warren Buffet preferisce restare liquido

di Luca Spoldi , 28.10.2003 08:00

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Warren Buffett vede poche occasioni di investimento al momento e preferisce mantenere elevata la liquidità del fondo gestito dalla sua holding finanziaria Berkshire Hathaway. Così il celebre gestore, intervistato la scorsa settimana dal settimanale britannico Barron?s, spiega che egli non trova particolarmente attraente, al momento attuale, né il mercato azionario, né quello obbligazionario o dei debiti ad alto rischio.

?Abbiamo più liquidità che idee? ammette il gestore, dall?alto dei suoi 24 miliardi di dollari di patrimonio gestito. Il gestore, che è anche l?amministratore delegato della Berkshire Hathaway, spiega a Barron?s che non trova particolarmente attraenti i rendimenti ottenibili attualmente da investimenti in azioni, obbligazioni o titoli ad elevato rischio di credito (i cosidetti ?titoli spazzatura? o ?junk bond?).

Il problema, spiega il gestore, è cosa fare a medio e lungo termine: dopo aver venduto titoli a lungo termine del Tesoro americano per 9 miliardi di dollari in estate, non sarebbe infatti particolarmente interessante ricomparli a questi livelli. Tra i rimpianti del gestore, semmai, vi è quello di non aver provveduto a liquidare anche gli investimenti in titoli azionari di grandi corporation a stelle e strisce come Coca Cola o Gillette allorchè, sul finire degli anni ?90, tali titoli erano ai loro massimi storici.

Una vendita peraltro resa difficile dal fatto che, sedendo egli all?epoca nei consigli di entrambe le società, avrebbe rischiato un ?cartellino rosso? per insider trading. Un altro peccato veniale, ammette Buffet, è stato non aver acquisito, qualche anno fa, le azioni di Wal-Mart Stores , ritenendoli sopravvalutati. Un errore di valutazione che ora Buffet stima in 8 miliardi di dollari di mancati guadagni, dato che dall?epoca Wal-Mart si è ulteriormente apprezzata in Borsa.

Quanto al prossimo futuro il gestore appare ancora fiducioso nei ritorni che saranno in grado di generare le posizioni assunte in compagnie assicurative del calibro di Geico e General Re, che costituiscono attualmente la parte preponderante del portafoglio azionario della Berkshire Hathaway. Una fiducia che non lo esime da fare i suoi complimenti ai concorrenti diretti delle sue controllate, Progressive e Mercury General , per i risultati ottenuti in questi ultimi trimestri.



http://www.trend-online.com/?stran=izbira&p=na&id=40126
 

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