LA LIBERTA' ECONOMICA E' LA CONDIZIONE NECESSARIA DELLA LIBERTA' POLITICA (L.Einaudi) (1 Viewer)

DANY1969

Forumer storico
Buongiorno my family :-o:)
Che ve devo dì... mi sembra di vivere un incubo (tipo quando, alla sera, mi capita di mangiare la bagna cauda con i peperoni :-o:help::D). Arrivano i Maya :help:... torna Silvio :wall:... la Canalis ha un nuovo toy boy :d:... Per favore, qualcuno venga a svegliarmi :-x
Ho bisogno di rilassarmi... si vede :-?:eek::d::d:
 

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olly®

DIO E'DONNA!!!
Buongiorno my family :-o:)
Che ve devo dì... mi sembra di vivere un incubo (tipo quando, alla sera, mi capita di mangiare la bagna cauda con i peperoni :-o:help::D). Arrivano i Maya :help:... torna Silvio :wall:... la Canalis ha un nuovo toy boy :d:... Per favore, qualcuno venga a svegliarmi :-x
Ho bisogno di rilassarmi... si vede :-?:eek::d::d:





E'così che va fatta una voleè....le difficoltà vanno affrontate,a viso aperto e sotto il sole!!!:D:D:D
 

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Val

Torniamo alla LIRA
Quel “vedremo cosa faranno i mercati" di Napolitano, domenica sera, di per sè faceva scattare in automatico la mano verso le parti intime.
Ma scaramanzia a parte, già sembrava nascondere anche un certo compiacimento del Colle nei confronti degli effetti nefasti del ritorno del Puzzone: come a dire, caro Berlusconi, ora te la fanno vedere loro, i mercati “aperti", ti rimettono in riga loro a colpi di Bot in fronte.
E in effetti sta andando così, stamattina, è già quasi un “lunedì nero", anche se qualcosa non torna.

Ma se è tutta colpa della spina staccata a Monti dal Cavaliere, come mai un mese fa, esattamente lunedì 12 novembre, nel primo compleanno del governo Monti, lo spread s'impennava fino a 363 in poche ore mentre il Puzzone era a Malindi a fare il bunga bunga con Briatore?

Mah, vabbè, coincidenze.
Intanto però in Italia sta andando in scena il festival dei Gufi, di quelli che un po' gli fa piacere che lo spread salga, giusto per poter dire, è colpa di quello.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’economia è una disciplina della scienza sociale molto complessa e articolata, questo lo abbiamo ribadito più volte. Più ti addentri nei suoi meandri e più ti accorgi che è piena di snodi, maglie, matasse, connessioni, correlazioni spesso difficili da districare e dipanare con chiarezza ed efficacia. Per questo motivo, per affrontare meglio l’analisi, gli economisti lavorano quasi sempre utilizzando dei modelli che consentono di semplificare i comportamenti individuali e accorpare le grandezze aggregate(consumi, investimenti, spesa, offerta, domanda, inflazione etc). I modelli hanno la stessa importanza e funzione delle carte geografiche per un esploratore, perché servono ad indicare una rotta, un percorso: maggiore è la scala del modello, il grado di dettaglio e maggiore sarà la visione complessiva di tutte le strade percorribili. Ogni economista inoltre enfatizza nel modello la caratteristica che vuole di più evidenziare, così come i cartografi fanno mappe politiche, geografiche, morfologiche, toponomastiche, stradari, a seconda di quelli che sono gli usi richiesti dai fruitori. Tuttavia, quando gli economisti cercano di costruire modelli basandosi su modelli precedenti e non direttamente sulla realtà avviene il fenomeno di distorsione, di corto circuito e di inarrestabile alterazione dei risultati ottenuti che ben conosciamo: finisce la fase di utile e interessante descrizione dei processi reali e inizia quella della modellizzazione del modello, della mistificazione.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Le mappe economiche basate su modellizzazioni successive portano quasi sempre fuori strada, sia perché partono spesso da premesse iniziali sbagliate, sia perché le direzioni, diramazioni, destinazioni di arrivo hanno davvero pochi riscontri con ciò che accade intanto nella realtà o si evince dai dati sperimentali. In un precedente articolo, abbiamo visto per esempio come la correlazione che molti esploratori sprovveduti (definiti come dei veri e propri automi che ripetono meccanicamente sempre gli stessi concetti senza mai prendersi la briga di ragionare prima di parlare) fanno fra svalutazione e inflazione è nella maggior parte dei casi infondata e trova davvero pochi agganci con i dati sperimentali della realtà. Senza dubbio possiamo dire che entrambe queste grandezze influiscono a definire il “prezzo” o il valore di una certa moneta, ma partendo da presupposti diversi: l’inflazione misura il valore interno della moneta tramite il potere di acquisto, la svalutazione (o rivalutazione) serve invece a quantificare il valore esterno della moneta tramite il tasso di cambio (esiste poi una terza variabile, il tasso di interesse, che identifica il valore intertemporale di una moneta). Basterebbe già riflettere a fondo su queste definizioni per capire che fra svalutazione e inflazione c’è in mezzo un oceano di elementi, fattori, variabili, caratteristiche produttive di un certo sistema paese che impediscono la postulata e quanto mai assurda relazione diretta di causa effetto fra svalutazione e inflazione. Ma per capire meglio quanto già detto e dimostrato, ricorriamo ad un semplice esempio.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Immaginiamo di trovarci all’interno dell’azienda italiana X che produce un certo prodotto Y. Senza addentrarci troppo nelle caratteristiche produttive dell’azienda, ipotizziamo che la struttura dei costi all’interno dell’azienda sia quella descritta dalla tabella sotto, dove viene fatta una prima importante distinzione fra i costi variabili, che cambiano in base alla quantità di beni prodotti, e costi fissi di struttura, che non cambiano al variare della quantità di produzione ma soltanto quando l’azienda effettua degli investimenti per aumentare o diminuire l’insieme dei suoi fattori produttivi (capitale e lavoro). Immaginiamo adesso che l’Italia decida di uscire dalla zona euro e di ritornare alla lira, che come abbiamo già dimostrato con l’applicazione della teoria della parità relativa del potere d’acquisto dovrebbe subire una svalutazione complessiva del 20% circa rispetto all’euro. Cosa cambierà effettivamente all’interno dell’azienda, nella struttura dei costi e dei profitti? Vediamolo utilizzando dei numeri volutamente semplificati.

Immaginiamo che l’azienda X produca a regime 100 prodotti X in un anno con un costo di produzione complessivo pari a 100 distribuito nella seguente maniera: 20 da imputare alle materie prime, 20 al costo del personale e 10 a tutte le altre voci di costo. Il costo unitario per prodotto è uguale ad 1 e ipotizzando unrendimento atteso da parte dell’imprenditore pari al 10%, il prezzo di vendita del bene sarà di 1,1, con unmargine operativo lordo pari a 10 (l’utile netto si ricava dopo il pagamento delle imposte, che per il momento consideriamo ininfluenti in quanto fattore esogeno e non endogeno alla produzione). La svalutazione della liraprovocherà evidentemente per l’azienda un aumento di prezzo soltanto per quella parte di costi riferita ai beni e servizi importati dall’estero, che ragionando per assurdo potranno essere i seguenti: materie prime,lavorazioni esterne e acquisto servizi produttivi. Ripetiamo che stiamo ragionando per assurdo, immaginando che l’azienda importi tutte le materie prime, appalti le lavorazioni esterne e acquisti i servizi produttivi, come per esempio l’energia, dall’estero. Nella realtà sappiamo che non è così, perché nessuna azienda italiana avrà mai una così forte dipendenza dall’estero, potendo acquistare parte delle materie prime e dei servizi anche in suolo nazionale. Facendo però questa approssimazione per eccesso, avremo che il costo delle materie prime sarà aumentato da 20 a 24 (+20% di svalutazione), il costo delle lavorazioni esterne da 10 a 12, il costo dei servizi produttivi da 10 a 12. Il costo complessivo per produrre la stessa quantità 100 di beni Y sarà adesso pari a 108. Immaginando che l’imprenditore voglia ricavare dalla vendita lo stesso rendimento del 10%, avremo che il valore del fatturato sarà pari a 118,8 e il prezzo unitario di vendita sarà salito a 1,188. L’incremento di prezzo unitario risulterà quindi di 0,088, ovvero l’8% in più rispetto al prezzo iniziale di 1,1. Ciò significa che anche in presenza di ipotesi forti l’effetto della svalutazione monetaria della lira del 20% non si è tradotto in un aumento del 20% dei prezzi come postulano gli automi scriteriati, provocando appunto un’inflazione del 20% (almeno su quello specifico bene prodotto), ma già in condizioni tanto estreme ed assurde la correlazione si è praticamente più che dimezzata.
 

Val

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Capite bene che se invece ragioniamo su ipotesi più realistiche, l’aumento previsto dei prezzi interni dei beni e servizi prodotti in Italia, causato da una svalutazione del 20%, sarà molto inferiore all’8%. Inoltre l’imprenditore potrebbe rispondere all’aumento dei costi delle materie prime, lavorazioni esterne e servizi produttivi acquistati all’estero, rimodulando la stessa struttura dei costi dell’azienda (per esempio potrebbe decidere di acquistare parte delle materie prime e dei servizi da aziende italiane, subendo un aumento dei costi molto inferiore rispetto al 20%, come dimostrato prima) oppure diminuendo il rendimento atteso del suo investimento dal 10% all’8% o al 7%. In aggiunta a queste modifiche interne all’azienda, l’uscita dall’Italia dalla zona euro potrebbe comportare deicambiamenti istituzionali importanti, come il recupero della sovranità monetaria e la possibilità per lo Stato Italiano di diminuire discrezionalmente il livello insostenibile di tassazione che grava sulle piccole e medie imprese italiane (che oggi arriva a sfiorare cifre impressionanti del 65% della tassazione complessiva in rapporto al reddito imponibile), consentendo all’imprenditore di mantenere invariato il ritorno economico del suo investimento.
 

Val

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Ma c’è anche un altro fattore da considerare: la svalutazione della lira dovrebbe ragionevolmente comportare unaumento delle vendite e delle esportazioni grazie al recupero della competitività di prezzo delle aziende italiane rispetto a quelle estere e ad un miglioramento della domanda interna. Immaginando un aumento delle vendite del 10%, avremo che l’azienda X adesso produrrà 110 prodotti Y al costo complessivo di 113,8 (la componente di costi fissi di struttura non cambia ed è pari a 50, mentre aumenta la componente dei costi variabili fino a 63,8) e con il rendimento previsto del 10%, avremo che il valore del fatturato sarà di 125,18 e un prezzo unitario fissato dall’imprenditore di 1,138 (stiamo volutamente semplificando e ipotizzando che le condizioni di mercato consentano all’imprenditore di fissare liberamente il prezzo e il rendimento desiderato, ma sappiamo bene che non sempre è così e bisogna tenere conto del comportamento delle aziende concorrenti). Ovvero in questo caso l’incremento marginale di prezzo rispetto all’iniziale 1,1 sarà di 0,038 e avrà un impatto ancora minore pari al 3,45%, perché entrano in gioco i meccanismi di efficienza delle cosiddette economie di scala(più produco, meno incidenza avranno i costi fissi di struttura sui costi unitari del prodotto).
 

Val

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Questa descrizione serve quindi a smontare definitivamente il collegamento diretto fra svalutazione e inflazione, perché è evidente che chi la suggerisce non abbia mai lavorato in un’azienda o analizzato seriamente la struttura dei costi di produzione riportata sul conto economico di un normale bilancio d’esercizio: i soliti automi lobotomizzati insomma, che cercano di spaventare la gente con le paure e le superstizioni di medievale memoria. Se l’ignoranza non è spesso una colpa, la malafede è invece sempre un’aggravante e la conoscenza, o quantomeno la ricerca di conoscenza, chiarezza, consapevolezza, rimane ancora oggi l’unica via da seguire per liberarsi dalle catene dell’oscurantismo imperante. L’inflazione, fuori da essere un mostro diabolico da esorcizzare con strani rituali, è un semplice fenomeno economico che risiede molto di più tra le maglie della cosiddetta economia reale, nei processi microeconomici interni alle aziende, dalle dinamiche di domanda e offerta di un certo bene fino ai contratti del mercato del lavoro, rispetto alle grandi manovre macroeconomiche e monetarie messe a punto per esempio da una Banca Centrale, che come abbiamo detto più volte, stante l’attuale organizzazione del sistema bancario e finanziario, può incidere solo in modo indiretto e molto limitato sui livelli di inflazione desiderati. Prima arriviamo a metabolizzare meglio questi concetti e prima usciremo fuori sani e salvi dai pantani.
 

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