Immaginiamo di trovarci all’interno
dell’azienda italiana X che produce un certo
prodotto Y. Senza addentrarci troppo nelle caratteristiche produttive dell’azienda, ipotizziamo che la
struttura dei costi all’interno dell’azienda sia quella descritta dalla tabella sotto, dove viene fatta una prima importante distinzione fra i
costi variabili, che cambiano in base alla quantità di beni prodotti, e
costi fissi di struttura, che non cambiano al variare della quantità di produzione ma soltanto quando l’azienda effettua degli investimenti per aumentare o diminuire l’insieme dei suoi fattori produttivi (capitale e lavoro). Immaginiamo adesso che l’Italia decida di uscire dalla zona euro e di ritornare alla lira, che come abbiamo già dimostrato con l’applicazione della
teoria della parità relativa del potere d’acquisto dovrebbe subire una svalutazione complessiva del
20% circa rispetto all’euro. Cosa cambierà effettivamente all’interno dell’azienda, nella struttura dei costi e dei profitti? Vediamolo utilizzando dei numeri volutamente semplificati.

Immaginiamo che l’azienda X produca a regime 100 prodotti X in un anno con un
costo di produzione complessivo pari a 100 distribuito nella seguente maniera: 20 da imputare alle
materie prime, 20 al
costo del personale e 10 a tutte le altre voci di costo. Il
costo unitario per prodotto è uguale ad 1 e ipotizzando un
rendimento atteso da parte dell’imprenditore pari al 10%, il prezzo di vendita del bene sarà di 1,1, con un
margine operativo lordo pari a 10 (
l’utile netto si ricava dopo il pagamento delle imposte, che per il momento consideriamo ininfluenti in quanto fattore esogeno e non endogeno alla produzione). La
svalutazione della liraprovocherà evidentemente per l’azienda un
aumento di prezzo soltanto per quella parte di costi riferita ai
beni e servizi importati dall’estero, che
ragionando per assurdo potranno essere i seguenti:
materie prime,
lavorazioni esterne e
acquisto servizi produttivi. Ripetiamo che stiamo ragionando per assurdo, immaginando che l’azienda importi tutte le materie prime, appalti le lavorazioni esterne e acquisti i servizi produttivi, come per esempio l’energia, dall’estero. Nella realtà sappiamo che non è così, perché nessuna azienda italiana avrà mai una così forte dipendenza dall’estero, potendo acquistare parte delle materie prime e dei servizi anche in suolo nazionale. Facendo però questa approssimazione per eccesso, avremo che il costo delle materie prime sarà aumentato da 20 a 24 (+20% di svalutazione), il costo delle lavorazioni esterne da 10 a 12, il costo dei servizi produttivi da 10 a 12. Il costo complessivo per produrre la stessa quantità 100 di beni Y sarà adesso pari a 108. Immaginando che l’imprenditore voglia ricavare dalla vendita lo stesso rendimento del 10%, avremo che il valore del fatturato sarà pari a 118,8 e il prezzo unitario di vendita sarà salito a 1,188.
L’incremento di prezzo unitario risulterà quindi di 0,088, ovvero l’
8% in più rispetto al prezzo iniziale di 1,1. Ciò significa che anche in presenza di ipotesi forti l’effetto della svalutazione monetaria della lira del 20% non si è tradotto in un aumento del 20% dei prezzi come postulano gli automi scriteriati, provocando appunto un’inflazione del 20% (almeno su quello specifico bene prodotto), ma già in condizioni tanto estreme ed assurde la
correlazione si è praticamente più che dimezzata.