Intesa Sanpaolo (ISP) L A D R I occhio che sono solo dei L A D R I!!!!!!!!!!!!!!!! (1 Viewer)

inth€m

zunino 6 grande!
Parmalat S.P.A Parmalat: Nextra, Gip ammette patteggiamenti su aggiotaggio (RCO)


(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 18 giu - Il Gup di Milano Cesare Tacconi
ha ammesso oggi la richiesta di patteggiamento di Nextra Sgr (Banca Intesa). La
societa' di gestione del risparmio risarcira' i bondholder Parmalat per l'1% del
valore nominale dei bond prima del loro deprezzamento, paghera' una sanzione
amministrativa di 500 mila euro e subira' la confisca del profitto del reato per
un milione. I funzionari Marco Valsecchi, Antonio Cannizzaro, Marco Ratti e
Giovanni Landi sono stati condannati, come richiesto a fine marzo in accordo con
i Pm, a sei mesi di reclusione con pena sospesa. Si conclude cosi' la vicenda
che vedeva Nextra e i suoi funzionari accusati di aggiotaggio informativo
nell'ambito del crack Parmalat. Bea-rd
 

giuseppe.d'orta

Forumer storico
La "storica" emissione di bond Parmalat interamente sottoscritta da Nextra SGR è nota.

Ma i clienti continuano a metterci i soldi...
 

giuseppe.d'orta

Forumer storico
Tra l'altro, si sono fuse le due banche protagoniste delle due principali frodi registrate da fondi comuni. Nextra è quella del bond Parmalat mentre San Paolo è quella che aveva truccato proprio la gestione dei fondi comuni.

Ma i clienti continuano a metterci i soldi...
 

w_fib

Forumer storico
per nn parlare di fideuram... si accettano scommesse... una incipriata e via a 7-8 euri tranquillamente :( :( :(
 

tontolina

Forumer storico
giuseppe.d'orta ha scritto:
Tra l'altro, si sono fuse le due banche protagoniste delle due principali frodi registrate da fondi comuni. Nextra è quella del bond Parmalat mentre San Paolo è quella che aveva truccato proprio la gestione dei fondi comuni.

Ma i clienti continuano a metterci i soldi...

Gli analisti giudicano Intesa Sanpaolo
http://www.soldionline.it/a.pic1?EID=18643

di Mauro Introzzi 26-07-07
Analisti scatenati su Intesa Sanpaolo. Dopo l’ufficializzazione dell’operazione che porterà CR Firenze ad entrare a far parte della galassia dell’istituto guidato da Corrado Passera una decina di banche d’affari ha rivisto le proprie raccomandazioni...

Analisti scatenati su Intesa Sanpaolo. Dopo l'ufficializzazione dell'operazione che porterà CR Firenze ad entrare a far parte della galassia dell'istituto guidato da Corrado Passera una decina di banche d'affari ha rivisto le proprie raccomandazioni sul gruppo nato dall'integrazione tra la milanese Banca Intesa e la torinese Sanpaolo Imi.

La banca di Corrado Passera rileverà il 40,3% del capitale dell'istituto toscano. La contropartita dell'operazione è pari a 399 milioni di azioni Intesa Sanpaolo, pari al 3,3% del capitale della società. CariFirenze è così valutata 6,73 euro. In seguito Intesa Sanpaolo promuoverà un'Opa obbligatoria di tipo 'europeo' sul 41,1% del capitale della banca toscana.

Così le banche d'affari che hanno migliorato la propria raccomandazioni sono state due, Banca Leonardo e Dresdner. La prima ha portato il suo rating da 'hold' (mantenere) a 'buy' (acquistare), la seconda da 'hold' (mantenere) a 'add' (incrementare le posizioni). I target price sono rispettivamente a 6,24 e a 6,1 euro.

Controcorrente Cheuvreux, che ha ridotto il prezzo obiettivo da 6,5 a 5,8 Dollari per azione. Secondo gli esperti l'operazione, per Intesa Sanpaolo, è troppo dispendiosa. Così l'istituto transalpino ha tagliato anche le stime sugli utili per azione.

I rating, e i prezzi obiettivo, delle altre banche d'affari incorporano tutti delle visioni più positive. Deutsche Bank, Merrill Lynch e UBS hanno confermato i loro 'buy' (acquistare) con fair value di, rispettivamente, 6,1 euro, 6,7 euro e 6,4 euro.

'Outperform' (farà meglio del mercato), infine, è il giudizio di Credit Suisse (con prezzo obiettivo di 6,8 euro) e di Exane (con target price di 6,70 euro). West LB consiglia di incrementare le posizioni con un 'add', e un prezzo obiettivo di 6,4 euro, Lehman Brathers una raccomandazione 'overweight' (sovrappesare).


Di seguito un riepilogo dei rating:
SOCIETA' -- BANCA D'AFFARI-- GIUDIZIO---TARGET PRICE
Intesa Sanpaolo--Banca Leonardo--Buy--6.24 euro

Intesa Sanpaolo--Cheuvreux--n.d.--5.80 dollari

Intesa Sanpaolo--Credit Suisse--Outperform--6.80 euro

Intesa Sanpaolo--Deutsche Bank--Buy--6.10 euro

Intesa Sanpaolo--Dresdner--Add--6.10 euro

Intesa Sanpaolo--Exane--Outperform--6.70 euro

Intesa Sanpaolo--Lehman Brothers--Overweight--n.d.

Intesa Sanpaolo--Merrill Lynch--Buy--6.70 euro

Intesa Sanpaolo--UBS--Buy--6.40 euro

Intesa Sanpaolo--West LB--ADd--6.40 euro
 

tontolina

Forumer storico
Come sarà il nostro ‘29?
Maurizio Blondet
17/09/2007

Mercoledì scorso, nel disperato tentativo di trattenere i depositanti, la banca Northern Rock ha acquistato uno spazio pubblicitario in prima pagina del Daily Telegraph: «Offriamo il 6.30 per cento sui vostri conti correnti».
Molto conveniente, finalmente: erano 2,5 punti in più di quel che le banche inglesi davano ai depositanti ad agosto.
Pensate solo quanto danno le banche italiane per i nostri risparmi: tasso zero.
Ma il goloso tasso d'interesse non ha provocato la corsa dei risparmiatori a mettere il loro gruzzolo alla Northern.
Al contrario, la folla che chiedeva di ritirare i suoi soldi è cresciuta.
Ed ora anche le altre banche cominciano ad essere assediate dalla gente che rivuole i quattrini.
Finalmente, i grandi media scrivono che queste scene ricordano dal vicino il 1929.
Gli stessi media che ancora due settimane fa deridevano chi metteva in guardia dalla demenza speculativa, dal traffico mondiale di debiti e derivati sui debiti.
«Comprare», consigliava il Times il 27 luglio, a proposito delle azioni Northern Rock.
«Comprare», strillava il Telegraph lo stesso giorno.
Un noto commentatore del Financial Times, il 24 agosto, confessava per iscritto: «Ho comprato Northern Rock, incapace di resistere ad un prezzo di 645 pences, il che dà un prece-earning di 6 e un dividendo del 6,2 per cento».
Quei buoni consigli sono stati seguiti.
Il 25 agosto, tutti ad accaparrarsi le azioni così tentatrici.
Il volume di scambi a Londra aumentò del 50%, concentrato sui titoli bancari e trascinando in alto la Borsa.
Era un altro trionfo dell'economia liberista.
Basato, come gli altri, sulla menzogna deliberata e consapevole emessa dalla stampa più autorevole: i media che tengono il sacco ai ladri.

Oggi le golose azioni comprate a 645 pences ne valgono 400, e stanno scendendo a 350.
Adesso, un osservatore celeste, senza risparmi in banca, potrebbe osservare con oggettiva soddisfazione l'applicarsi automatico della legge del contrappasso: è geometricamente bello vedere banche assuefatte al «carry trade», ossia a prendere denaro in prestito in Giappone allo 0,1% con cui compravano ogni sorta di titoli che rendevano almeno il 5, offrire ai clienti il 6.30.
Un tasso altissimo, eppure alla Northern ancora conviene: altrimenti deve andare col cappello in mano alla Banca d'Inghilterra, che accetta come collaterale i suoi mutui impacchettati (che non valgono più nulla), ma al tasso punitivo del 6.75%.
O peggio, ricorrere al mercato interbancario, ossia farsi prestare dalle banche colleghe che - pescecani mangiano pescecani - chiedono il 6,80% per un prestito a tre mesi.
Ma alla Northern avrebbero chiesto di più: di fatto, la banca inguaiata non ha trovato alcun collega voglioso di soccorrerla, a nessun prezzo.

E' oggettivamente bello vedere che il Regno Unito è sempre avanti a tutti nel liberismo.
La teoria è nata lì, da Adam Smith, e da allora l'Inghilterra non ha fatto che imporla al mondo come la sola teoria scientifica: la dittatura della mano invisibile del mercato.
L'Inghilterra è stata la prima ad applicarla a sè con purezza ideologica, la prima a dare l'esempio.
E' stata la prima ad esultare perchè la dottrina, nella sua purezza assoluta, veniva estesa al mondo per ordine della World Trade Organization.
La più brava ad applicare integralmente il trucco del debito: i debiti dei cittadini britannici superano l'intero prodotto interno lordo del Paese, non ce n'è uno che sia in attivo, tutti devono qualcosa a qualcuno.
E' stata la prima a guadagnare in questa nuova economia: le attività speculative della City costituendo ormai il 30% del prodotto interno lordo (tutto il resto, tutta la popolazione, non faceva che fornire servizi alla City, essendo ogni industria scomparsa).
Un modello, l'Inghilterra.
La prima della classe in liberismo globale assoluto.
Ora, è la prima a subire gli effetti inevitabili della teoria, sotto la forma classica di assalto agli sportelli.
La prima ad entrare nel nuovo '29.
Un osservatore paradisiaco - che non ha bisogno di mangiare, nè di lavorare per vivere - potrebbe osservare con oggettiva soddisfazione come il liberismo finanziario senza confini ci sta rovinando tutti, per la geometrica legge del karma.
Perchè se le banche tra loro si prestano al 6.8%, figurarsi a quanto presteranno alle imprese col fido aperto, alle famiglie che hanno contratto il mutuo: all'8%, al 10%?
Come sempre, i pescecani usurari, quando sono alle strette, non si fanno alcuno scrupolo di rovinare l'economia produttiva, portare al fallimento le imprese e alla insolvenza i consumatori, e con ciò di accelerare la propria fine: il pescecane è il più idiota dei predatori.
O meglio, la metafora giusta sarebbe quella del cancro: quando finalmente vince sull'organismo che ha invaso, esso muore e con ciò muore anche il cancro che lo divora.
Chi indebitare, ormai?

La Northern cresceva del 20% l'anno, era l'invidia dei concorrenti.
Ora ha dovuto ammettere di avere in pancia un'esposizione ai mutui sub-prime americani pari a 275 milioni di sterline, a cui vanno aggiunti altri 325 milioni di sterline in «posizioni su veicoli di investimento strutturati», le letali confezioni di debiti trasformati in derivati, comprati a credito: splendide invenzioni dell'ingegneria finanziaria.
Ora qualcuno scrive che la sua attività di mutui era sana, ma ha voluto crescere troppo, ad un tasso che non ha proporzione con la crescita (bassissima) dell'economia reale.
Ma non l'ha ffatto solo la Northern, l'hanno fatto tutte: anzichè limitarsi a tosare la pecora produttrice, l'hanno scuoiata.
Prelevando interessi sempre più alti dei profitti.
E' molto divertente vedere come i grandi sacerdoti della «mano invisibile» continuino a predicare il dogma nello stesso istante in cui il dogma sta rovinando il Paese e il mondo: il Financial Times critica il governatore della Banca Centrale perchè sta cercando di salvare la Northern, «in contraddizione con la ferma posizione di principio, non pagare la cauzione per banche che hanno preso decisioni arrischiate di prestito».
E' la prova che il liberismo non è una scienza, ma una religione: il Financial Times difende l'alta moralità della «mano invisibile», chi ha sbagliato paghi.
Anche se questo significa la rovina per milioni di persone: è la teoria che va protetta, non la vita.
E' per alta moralità ideologica che, mentre la Federal Reserve e la BCE gettavano miliardi su miliardi in liquidità al sistema, la Banca d'Inghilterra è rimasta dura e pura a guardare per tutte queste settimane, senza muovere un dito, lasciando agire «la mano invisibile del mercato».
Ora interviene smentendo la teoria (intervento pubblico nell'economia: ecco l'eresia suprema), ma in ritardo.
Nè del resto la FED e la Banca Centrale Europea hanno maggior successo spargendo denaro con gli elicotteri: dato che la massima parte della speculazione è in mano a non-banche, fondi «hedge» o «private equity», fuori da ogni libro contabile e da ogni controllo, salvare le banche è inutile.
E' come spegnere un incendio immane con la canna dell'acqua del giardino.

Un inizio di cosa giusta l'ha fatta l'amministrazione Bush: il tentativo di salvare meno i prestatori che i debitori, ossia coloro che hanno contratto i mutui essendo poco solvibili.
Là, lo Stato garantisce i loro debiti, se non pagano, paga lo Stato.
Ma il meccanismo copre soltanto 80 mila indebitati, e gli indebitati sono un paio di milioni. D'altra parte, anche questo provvedimento è giusto solo relativamente: ciò che davvero occorre è un'economia reale - che produca cose, merci utili, richieste -, una riduzione dell'indebitamento delle famiglie, delle imprese e dello Stato.
E la drastica repressione delle attività speculative incontrollate, che sono come la cocaina a cui l'economia liberista è diventata dipendente.
La droga eccitante dei profitti puramente finanziari, rapidi e predatorii, devastatori.
Tutto ciò costa cure dolorose.
E i mezzi mancano: già in USA gli introiti fiscali stanno calando, perchè calano i redditi su cui sono prelevati.
Calano i prezzi immobiliari, calano i posti di lavoro.
E in Italia?
Magari qualcuno sarà tentato di imitare gli inglesi, di affollarsi agli sportelli.
Calma, calma, l'Italia va benissimo.
Inutile affollarsi, per molti motivi.
Anzitutto, quei vostri soldi in banca non ci sono più, non ci sono mai stati nemmeno prima. Inoltre, le banche italiane non hanno forse esibito profitti immensi?
Unicredit-Capitalia non è un gruppo che vale 100 miliardi di euro?
Niente paura: qui da noi non si segue dogmaticamente l'alta moralità del mercato.
Le nostre banche non sono nel «mercato», ma in un altro business.
Non si sono esposte sui sub-prime e sui derivati: hanno esposto voi risparmiatori e le aziende che hanno aperto fidi con loro.

Il come, l'ha spiegato su «Libero Mercato» Andrea Consoli, un imprenditore che dai derivati è stato rovinato (1).
Non che lui abbia chiesto alla banca di comprargli dei derivati.
No, lui voleva solo un ampliamento del fido di 100 mila euro, non poi tanto per un'azienda come la sua, con 25 dipendenti e 3,5 milioni di euro di fatturato.
La risposta delle banche con cui lavora - Intesa San Paolo e Unicredit - è stata picche.
«La direzione Unicredit ci chiede performances più alte», ha risposto un funzionario, «ed oggi i risultati non si fanno con gli interessi passivi che i clienti pagano sui prestiti concessi, ma con strumenti finanziari diversi. Ma se voi collaborate all'aumento dei nostri risultati, vi lasciamo sforare dal fido in essere».
E come collaborare?
«Potremmo aprire un prestito vincolato di una certa somma che in realtà voi non riceverete e quindi non dovrete restituirci. In cambio vi lasceremo sconfinare oltre il vostro fido».
Non c'è altro da fare.

L'imprenditore si trova ad accettare, firmando documenti, un prestito fittizio («Che non dovrete restituirci») pari a un milione di yen.
Perchè yen, se i miei clienti sono italiani, anzi concittadini?
L'imprenditore non se lo chiede.

Evidentemente, Unicredit sta facendo «carry trade»: compra yen a tasso zero, e li investe in tassi alti in Europa.
Ma non lo fa a proprio rischio: obbliga una impresa ignara ad accollarselo.
Quanto alla concessione di sforare, non è un regalo: sul fido il cliente paga il 9%, sugli sforamenti il 13,50%.
Un affare aggiuntivo.
Passa il tempo.
Di colpo, le altre banche con cui l'azienda lavora gli ingiungono il rientro: il suo indebitamento è eccessivo rispetto al giro d'affari.
E difatti, il peso degli oneri finanziari dell'azienda prima sana è salito a 85 mila euro d'interessi. Di cui 35 mila sono gli interessi sul prestito in yen, mai ricevuto, mai utilizzato e non utilizzabile.
Nulla di grave, risponde il funzionario Unicredit: le offriamo un prestito semestrale di 75 mila euro, rinnovabile, con cui potrà chiudere i conti presso le altre banche.

C'è una sola, piccola condizione: acquisti uno strumento finanziario «piuttosto conveniente», sempre per aiutare la banca a fare i risultati «veri» chiesti dalla sede centrale.

Lo strumento finanziario conveniente è un derivato, una scommessa sul cambio euro-dollaro: inutile per il cliente, che non esporta e quindi non ha rischi di cambio.
Appunto, risponde il funzionario: alla peggio, il derivato per lei è ininfluente, alla meglio ci guadagna anche lei.

«Oggi anche le aziende medie si affacciano, contestualmente alla loro attività, sui mercati finanziari».
Ancora una volta, l'imprenditore deve accettare.
Compra il derivato.
Solo più tardi si accorgerà che «quando sottoscrivi un derivato, contestualmente sottoscrivi (spesso senza saperlo) il prestito per accedere al derivato, la parte chiamata 'il nominale'».
Nel caso dell'imprenditore, il nominale era 500 mila dollari.
La banca che non gli ha ampliato un fido di 100 mila euro (troppo rischioso), ora lo ha esposto per mezzo milione di dollari.
Su questo prestito, il cliente paga interessi passivi «da vertigini», schiacciato dall'effetto-leva tipico della strumento «piuttosto conveniente».
Ancora una volta, la banca speculava sulla finanza creativa, ma a spese del cliente produttivo.
Non è il caso di raccontare il resto.
Le altre offerte di salvataggio avanzate da Unicredit a favore dell'impresa che Unicredit ha rovinato: messa l'azienda sotto un consorzio «di garanzia» di perfetti sconosciuti (trovati dalla banca), l'offerta di un altro derivato (stavolta da un milione di euro), la richiesta di sempre nuove garanzie per le quali l'imprenditore ha ipotecato la casa di proprietà...
Tutto inutile, perchè le spese bancarie, commissioni e interessi passivi hanno mangiato tutto, tutto.
Fino al giorno in cui un bancario arriva nel negozio e, di fronte ai clienti, gli urla di pagare sull'unghia 5 mila euro, un assegno passivo emesso sul conto corrente.
Ma il conto corrente non aveva un attivo di 20 mila euro?

Non più: la banca l'aveva prosciugato qualche ora prima, per pagarsi le competenze sue e gli interessi del famoso derivato.
Un derivato che non aveva venduto, nonostante l'ordine del cliente.
Il quale scopre altro: per esempio di avere quattro conti anzichè i due che sapeva, evidentemente su cui la banca faceva operazioni a suo nome, e a sua insaputa.
Ora, la vittima ha portato i libri in tribunale.
Fallito: 25 dipendenti sul lastrico.
Un'azienda sana strangolata da Unicredit.
Con i metodi che l'imprenditore descrive.
Se ha detto la verità, questi metodi sono una intera biblioteca di delitti, crimini penali e civili evidenti: patto leonino, truffa, usura, falsi...


In altri Paesi, un magistrato avrebbe già aperto una pratica contro Alessandro Profumo e i suoi complici, lo ridurrebbe alla condizione di galeotto come è accaduto in USA ai mascalzoni di Enron, suoi pari.
Ma in Italia, queste denunce cadono nel vuoto.
Non c'è un giudice a Verona, sede di Unicredit.
Profumo, Geronzi, Bazoli, i nostri splendidi banchieri, sono ammanicati con la Casta, protetti dalla Casta, parte di essa.
Hanno speculato sui derivati, ma non ci hanno perso niente.
Hanno fatto perdere non si sa quante piccole imprese che andavano bene, che i derivati nemmeno sapevano cosa fossero, e non ne avevano bisogno.
Vedete: qui non c'è «l'alta moralità della mano invisibile».
Qui ci sono zampini e zamponi che ti derubano, ti spogliano e ti mandano in fallimento in due modi: con le tasse e con l'usura truffaldina.
Ma l'entità è la stessa, ed una sola.
Qui, il nostro '29 non somiglierà a quello inglese.

A questo punto, c'è chi chiede (persino a me) cosa deve fare, come salvare i suoi risparmi.
Non so cosa dire.
E' tardi.
In Francia, Sarkozy sta alzando la voce contro la BCE, come già faceva da tempo.
Ed ha pronunciato un discorso a Rennes, che suona così: «Il nostro Paese ha ancora più bisogno dei suoi agricoltori e delle sue imprese agro-alimentari. Agricoltura, pesca e industria alimentare sono un pilastro essenziale della nostra economia».
Strano, insolito discorso.
Da trent'anni, l'agricoltura europea è vissuta come «un problema di sovrapproduzione»: l'Europa pagava gli agricoltori perchè abbattessero bestiame e lasciassero incolti i campi, dove producevano troppo e a prezzo troppo caro.
Solo la Francia resisteva a questo smantellamento dell'attività economica primaria.

Tony Blair, il primo della classe del liberismo, ripeteva la lezione di Adam Smith: è stupido produrre grano e alimenti a così caro prezzo, quando si possono comprare nel vasto mondo a prezzi competitivi.

Ora il grano rincara, e tutti gli alimentari.

Ora, nell'imminenza del nuovo '29, Sarkozy esalta la produzione nazionale: ancora un po' è lo vedremo, a torso nudo, replicare una vecchia recita, «La battaglia del grano».

Nella recessione mondiale, c'è la tendenza a tornare all'autarchia, e in agricoltura la Francia è messa meglio di noi, e Sarkozy avanza progetti per rilanciarla e renderla più produttiva, non meno. Almeno, i francesi mangeranno.

In più, hanno 400 testate atomiche, il che aiuta nei tempi di grandi crisi.
Ma noi?
Come salvare i risparmi?
Dove investire quel poco che resta?
Magari lo sapessi.

Mi limito qui a riportare i consigli di Richard Daughty, general partner della Smith Consultant Group, autore di una spassosa newsletter che firma «Mogambo Guru», ed è molto letta negli ambienti finanziari (3).
Perchè Mogambo Guru è un economista vero: nel senso che ha studiato la storia economica, e sa dove fu conveniente investire nel '29, durante la recessione provocata - come oggi – dall'eccesso di debito e di creazione di moneta dal nulla.
Ecco i suoi cinque consigli:
1) «Vendete l'auto estera che non potevate permettervi. Se ci riuscite».
2) «Procuratevi un buon paio di scarpe di cui avrete bisogno per camminare da una parte all'altra implorando uno dei posti di lavoro che le vostre imprese hanno delocalizzato in Cina».
3) «Cercate di acquistare buone capacità negoziali; vi serviranno per cercare di mettervi al posto degli immigrati che hanno lasciato entrare nel Paese, perchè ciascuno voleva profittare di manodopera a basso costo».
4) «Mangiate sano e tenetevi in salute: credete forse che gli ospedali sprecheranno risorse per gli over-50?».
5) «Tenete in tasca un cucchiaio. Le mense dei poveri che distribuivano la zuppa gratis negli anni '30, il cucchiaio non lo davano».
Mogambo Guru è uno che scherza.
Speriamo.

Maurizio Blondet

Note
1) Andrea Consoli, «Io, rovinato dal ciclone derivati», «Libero Mercato», 13 settembre 2007.
2) Laetitia Clavreul, «Le grand retour de l'agricolture», Le Monde, 15 settembre 2007.
3) Mogambo Guru, «Money won't supply your soup spoon», Asia Times, 15 settembre 2007.
 

tontolina

Forumer storico
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Immobili, sempre più finanza con Siiq e Abs

immobiliare settore abs asset backed securisation cartolarizzazione cartolarizzazioni siiq società d'investimento immobiliare quotata

Sempre più dinamico il settore immobiliare italiano, e sempre più vicino al mondo della finanza. Non solo il governo Prodi ha dimostrato da subito di monitorarlo con attenzione e di avere in mente una serie di cambiamenti per l’universo della casa italiana; ma ha anche da subito dato uno scossone a un mondo sempre più complesso e variegato. Lasciando da parte l’abortito decreto Visco-Bersani che ha buttato le quotazioni delle immobiliari di piazza Affari tanto in basso che i prezzi dei titoli del settore solo da poco hanno recuperato; ciò che interessa il settore è una vera rivoluzione. Per esempio le Siiq (le società quotate di investimento immobiliare) sono un parto dell’ultima Finanziaria. Secondo le stime del Governo dovrebbero essere interessati dal nuovo strumento finanziario immobili per circa 16 miliardi di euro. In effetti per molte società del mattone, sia quotate che non, lo statuto di una Siiq appare molto appetibile. Una Siiq non paga infatti né Ires, né Irpef, ma redistribuisce soltanto i dividendi ai suoi soci con un pay out ratio (ossia una percentuale degli utili) obbligatorio dell’85%. Su queste cedole si paga la tassa sulle rendite finanziarie che dovrebbe passare al 20%. Non mancano gli obblighi: nessun azionista può avere più del 51% dei diritti sugli utili o dei diritti divoto in assemblea; almeno il 35% delle azioni deve appartenere a soci che non possiedano direttamente o indirettamente più dell’1% dei diritti di voto e sugli utili; l’80% almeno del fatturato della società deve derivare dagli immobili in affitto e questi devono costituire almeno l’80% del patrimonio della Siiq. Insomma di limiti ce ne sono, ma l’affare è nell’aria ed è molto probabile che con questo strumento molti gruppi facciano capolino direttamente o indirettamente a piazza Affari.

La Siiq però non rappresenta l’unico strumento con cui la finanza si fa strada nel settore immobiliare: per esempio ci sono le Abs (gli asset backed securisation) ossia le cartolarizzazioni di crediti, che spesso sono mutui ed ipoteche. Un Abs in pratica rappresenta un’operazione con cui una banca mette in una società una sfilza di crediti abbastanza sicuri come mutui ed ipoteche ed emette in cambio delle obbligazioni i cui interessi sono pagati con gli stessi mutui e ipoteche. L’ultima a fare una grossa operazione del genere è stata Banca Intesa che ha deciso di cartolarizzare circa 3,6 miliardi di crediti di questo tipo incentivando così un settore che, solo per quanto riguarda i mutui, dovrebbe chiudere l’anno con un incremento del 50% e un valore totale di 15-16 miliardi di euro gestiti.
Aumenta nel frattempo l’importo medio degli Rmbs (ossia degli abs specializzati nei mutui) a fronte di operazioni sostanzialmente stabili per numero. Recentemente anche Locat (gruppo Unicredit) ha collocato un Abs da 2 miliardi di euro circa, mentre la Banca Popolare dell’Alto Adige ha prezzato una cartolarizzazione di mutui in cinque tranche da 378 milioni di euro. Insomma gli abs acquistano peso e potrebbero acquistarne sempre di più con eventuali nuove cartolarizzazioni dello Stato.
Un altro strumento, infine, che potrebbe diffondersi sempre di più è quello del “reverse mortgage”: si tratta in sostanza di un prestito ipotecario spesso rivolto ai pensionati che mette in pegno la casa garantendo un vitalizio che poi viene ripagato con la vendita dell’immobile alla morte del proprietario.

postato da riva il lunedì 18 dicembre 2006 in:
http://www.finanzablog.it/post/2317/immobili-fra-siiq-e-abs-un-settore-sempre-piu-finanziario

e il blog riferiva solo a titolo esemplificativo

MA QUANTI NE HANNO EMESSI?
loro dicono pochi... mah!
 

matabo

Nuovo forumer
tontolina ha scritto:
E' stata la prima a guadagnare in questa nuova economia: le attività speculative della City costituendo ormai il 30% del prodotto interno lordo (tutto il resto, tutta la popolazione, non faceva che fornire servizi alla City, essendo ogni industria scomparsa).
Un modello, l'Inghilterra.

Articolo stupendo.

Anche se non condivido il desiderio di Blondet di prevedere il futuro.
Un'analisi siffatta e' esemplare di per se'.

Per fortuna in italia abbiamo il liberismo "a la Montezemolo".
 

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