«Nel caso a fine settembre il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni fosse ancora a ridosso del 6% o superiore, le già serie difficoltà nel rifinanziamento italiano potrebbero diventare insormontabili», spiega il funzionario del Tesoro a
Linkiesta. In quel caso, «è possibile che si avvii un programma di monitoraggio da parte di entità esterne, con un eventuale supporto finanziario per reggere l’urto del fly-to-quality e dei downgrade del rating sovrano».
In altre parole, la troika verrebbe a far visita all’Italia come tuttora fa visita a Grecia, Irlanda e Portogallo. Insieme, sarebbero erogati fondi per sostenere le esigenze italiane, che avrebbe un ridotto (se non del tutto assente) accesso ai mercati obbligazionari. Questo vuol dire che, come quadro di base, dovrebbero essere disponibili all’Italia circa 770 miliardi di euro, ovvero l’ammontare delle esigenze di finanziamento italiane fra 2013 e 2016. L’azione, si spiega nello scenario, sarebbe di «puro controllo fiscale» e non sarebbe altro che «un’implementazione della normale dialettica fra il Fmi e l’Italia». Tuttavia, un dubbio rimane. L’Italia ha bisogno di una ristrutturazione del proprio debito, che è quasi a ridosso dei 2.000 miliardi di euro?