INGHILTERRA e il neoliberismo politico (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
ECCO perchè quelli del PD e PDL non vogliono uscire dall'euro

perchè vogliono l'austerità ad oltranza per la popolazione mentre loro vivono nel lusso derubandoci




Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali”


Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto! [è un vero peccato che i genitori/politici affamano i figli contronatura]
COSA C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione.

Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può.

Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico.

Ciò e manifestamente falso.

Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.
http://cambiailmondo.org/2012/08/04/paul-krugman-usano-il-panico-da-deficit-per-smantellare-i-programmi-sociali


Tratto da: Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali” | Informare per Resistere Paul Krugman:
 

tontolina

Forumer storico
thò pure panaorama si accorge che c'è qualcosa di sbagliato nel neo-liberismo cavalcatp da Prodi-Monti e amici rapaci

I falsi profeti del liberismo

Dalle inutili guerre stellari di Reagan alla superbolla internet di Greenspan. Politici ed economisti hanno sbagliato ricetta. Ma forse la Lady di ferro...


  • 14-08-201214:00
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Margharet Thatcher con Donald Reagan (Credits: LaPresse)


falsi profeti del liberismo - Panorama



L’Euro è figlio del neoliberismo



Il sito Forexinfo intervista Gennaro Zezza, professore associato presso l’Università di Cassino, e ricercatore presso il Levy Economics Institute degli Stati Uniti partendo dal suo contributo presente all’interno dell’ebook “Oltre l’austerità“. Per Zezza “dichiarare fallito l’esperimento dell’euro” sarebbe “una soluzione preferibile allo status quo, soprattutto se la fine dell’euro è concertata tra i Paesi dell’eurozona”. Inoltre “l’uscita dell’Italia dall’euro, unita alla disponibilità di una nuova Banca centrale italiana a finanziare il deficit pubblico, trasformerebbe il deficit pubblico in un surplus, togliendo ogni motivo ad ulteriori manovre di austerità.


1) Nel suo interessante contributo sulla crisi dell’euro, Lei parla di un’ideologia “neoliberista” che è alla base della suddetta crisi appunto. Ci può spiegare in cosa consiste?

R. Quando parlo di “ideologia neoliberista” mi riferisco alle idee politiche che hanno ottenuto consenso elettorale prima con Margaret Thatcher, nel Regno Unito alla fine degli anni ’70, e poi con Ronald Reagan negli Stati Uniti. Anche se l’ideologia neoliberista è più variegata, a mio avviso ci sono tre elementi di questa ideologia che sono alla radice della crisi attuale:
il primo è l’idea che se una quota maggiore del reddito va ai ceti più abbienti (e ai profitti delle imprese), gli investimenti aumenteranno, l’economia fiorirà creando posti di lavoro, e l’aumento del benessere verrà diffuso a tutti (la cosiddetta trickle-down economics). Si è quindi provveduto a ridurre le aliquote di imposta sulle fasce più alte di reddito, e la quota dei profitti sul reddito prodotto è aumentata in tutti i Paesi industrializzati. Ma se il reddito di una piccola minoranza della popolazione è aumentato rapidamente, il reddito della famiglia mediana è rimasto al palo, spingendo le famiglie verso l’indebitamento vuoi per difendere il tenore di vita relativo, vuoi per potersi permettere servizi sempre più cari, in particolare (soprattutto negli Stati Uniti) sanità e istruzione.

Un secondo elemento del neoliberismo è l’idea che i mercati, in particolare i mercati finanziari, siano efficienti e in grado di governarsi da soli. Questo ha portato ad eliminare, prima negli Stati Uniti e poi altrove, la regolamentazione che impediva alle banche tradizionali di operare in mercati più speculativi. L’ideologia prevedeva che una minore regolamentazione avrebbe consentito di finanziare un maggior numero di investimenti riducendo il rischio. Nei Paesi che hanno deregolamentato, a fronte di famiglie desiderose di espandere le proprie spese indebitandosi, è aumentata la disponibilità di credito anche a soggetti che non offrivano adeguate garanzie, perché lo sviluppo del mercato dei derivati consentiva alla banca di passare ad altri il rischio dei “prestiti facili”.

Il terzo elemento dell’ideologia neoliberista è lo specchio del secondo: i mercati sono efficienti, mentre il settore pubblico è inefficiente, corrotto, sprecone. Va ridotta la presenza dello Stato nell’economia, per avere maggiore benessere.

A distanza di oltre trent’anni dal primo governo Thatcher, dovrebbe essere ormai possibile tracciare un bilancio del programma neoliberista, e constatarne il totale fallimento:
le privatizzazioni non hanno aumentato l’efficienza nella fornitura dei servizi, ma hanno senz’altro aumentato le fortune di chi ha preso in gestione i mercati prima pubblici;
la deregolamentazione dei mercati finanziari ha consentito che si arrivasse alla crisi dei mutui negli Stati Uniti, che si è trasmessa rapidamente in Europa, costringendo i governi ad intervenire per salvare le proprie banche, e contribuendo in questo modo alla esplosione dei deficit pubblici;
infine, la concentrazione dei redditi nelle mani di pochi ha contribuito a tener bassa la domanda, e non si è tradotta in maggiori investimenti produttivi e in un aumento duraturo del benessere.

Nonostante questi fallimenti, mi sembra che le tre idee di cui ho parlato abbiano ancora un forte fascino in Italia. E anche i movimenti contro la “casta dei politici” che si propongono di smantellare gran parte delle strutture pubbliche di governo – invece di renderle efficienti – forniscono supporto al neoliberismo.




2) Nel suo articolo, Lei parla anche della Grecia e della crisi del debito. Si parla molto in questi giorni della situazione in Grecia, si grida allo scandalo, denunciando una situazione che potrebbe degenerare in una guerra civile e poi si smentisce tutto, dichiarando che il paese è ancora in gravi difficoltà, ma che iniziano a farsi sentire i primi campanelli d’allarme sulla ripresa. Lei quale pensa sia la reale situazione della Grecia in questo momento?

R. Anche la Grecia ha subito i processi di cui abbiamo già parlato. E inoltre, come in Italia, la Grecia soffre della incapacità di raccogliere le tasse in modo equo e di gestire la spesa pubblica in modo efficiente, e questi aspetti contribuiscono ad una divaricazione nei redditi in cui solo in pochi riescono ad aumentare considerevolmente i loro redditi. Detto questo, la Grecia aveva un problema irrisolto di indebitamento con l’estero, mentre il suo debito pubblico – allo scoppio della crisi greca – non era particolarmente elevato in una prospettiva storica, e soprattutto era facilmente gestibile con interventi da parte delle istituzioni europee e della BCE. Si è deciso invece far provare ai greci a ridurre il loro debito pubblico tramite misure di austerità, per scoprire quel che noi “eterodossi” abbiamo sempre sostenuto: un taglio del deficit pubblico in una fase di crisi economica, facendo cadere la capacità di acquisto dei cittadini, provoca un calo della domanda di beni prodotti dal settore privato che è un multiplo del taglio iniziale nella spesa pubblica.
La conseguenza è un calo del PIL più rapido del calo nel deficit pubblico, per cui il rapporto deficit/PIL e debito/PIL non diminuiscono, mentre la disoccupazione aumenta. Se guardiamo al PIL reale, la Grecia è tornata al livello che aveva nel 2001, è tornata indietro di 12 anni, e poiché il PIL reale non tiene conto della distribuzione dei redditi, gli effetti di cui abbiamo detto comportano probabilmente, per la famiglia mediana, una perdita di benessere ancora maggiore. Le mie stime prevedono che, senza un intervento di sostegno massiccio all’economia greca, la situazione continuerà a peggiorare almeno fino alla fine del 2014. Deboli segnali di una inversione di tendenza vengono dai conti con l’estero, che sono migliorati sia per il crollo delle importazioni, sia perché i programmi di rifinanziamento del debito hanno consentito di ridurre gli interessi pagati dai greci ai creditori esteri, ma se il governo continuerà con ulteriori misure di austerità, il miglioramento dei conti con l’estero sarà del tutto insufficiente per una ripresa dell’economia.




3) Nel suo contributo, Lei ha anche parlato di “austerità espansiva”. Ci può spiegare cosa si intende esattamente con questo termine?

R. Nessun governo potrebbe proporre e far accettare manovre di austerità nella consapevolezza che comportino un crollo della produzione e del benessere, ed un aumento della disoccupazione. Chi propugna l’austerità nei conti pubblici e il contenimento dei salari ha in mente almeno due effetti espansivi: il primo si ottiene quando il calo di prezzi e salari, relativamente a quello dei Paesi concorrenti, aumenta la competitività del Paese, e quindi le esportazioni nette. Il secondo effetto opererebbe tramite le aspettative dei consumatori/risparmiatori sui redditi futuri: se il governo taglia oggi la spesa pubblica, potrà in futuro ridurre le tasse, e quindi se il reddito futuro aumenterà si può risparmiare di meno e spendere di più.

Di questi due effetti, il primo opera lentamente ed è completamente inefficace quando l’intera zona euro persegue la stessa politica: se tutti i Paesi concorrenti riducono prezzi e salari, la loro posizione competitiva non cambia, e l’unico effetto è deprimere la domanda interna in ciascun Paese.

Il secondo effetto si basa su quella che Krugman chiama la “confidence fairy”, la fatina della fiducia, e può andar bene per chi crede nelle fate, piuttosto che nei dati.




4) Dal suo testo si evince che secondo Lei una soluzione potrebbe essere quella di un’uscita dall’euro, seppur con le conseguenze che questa porterebbe. Ad oggi, essendo passati alcuni mesi dal teso sopra citato, pensa ancora che questa sarebbe una soluzione vincente per il nostro paese?

R. Le istituzioni che governano l’euro sono state impostate con una logica neoliberista, di cui dobbiamo liberarci per uscire dalla crisi. Il problema quindi non è l’euro di per sé, ma l’ideologia che impedisce interventi sulla distribuzione del reddito, sulla regolamentazione del sistema bancario, sulla gestione efficiente dei beni pubblici contrastandone la privatizzazione.

L’uscita dell’Italia dall’euro, unita alla disponibilità di una nuova Banca centrale italiana a finanziare il deficit pubblico, trasformerebbe il deficit pubblico in un surplus, togliendo ogni motivo ad ulteriori manovre di austerità. La possibilità di far variare il cambio della nuova valuta italiana, inoltre, renderebbe inutili ulteriori politiche di deflazione salariale.

Questi stessi risultati si potrebbero ottenere con una modifica radicale nell’impostazione della politica europea, ma non sembra che questa sia all’orizzonte, e quindi ritengo che dichiarare fallito l’esperimento dell’euro sia una soluzione preferibile allo status quo, soprattutto se la fine dell’euro è concertata tra i Paesi dell’eurozona.

Fonte: Keynes blog
Fonte: forexinfo.it
 

tontolina

Forumer storico
Siamo all’ultimo atto di 30 anni di restaurazione.

Questo ultimo atto è finire la completa devastazione della vecchia Europa, le sue Costituzioni, il suo welfare. dopo il trentennio di crescita tumultuosa e di instaurazione di queste politiche di welfare nei 50-’60-’70; questa restaurazione ha l’obiettivo di fare terra bruciata e rovine di popoli e di Stati Nazionali, di economie di società civili, attraverso politiche belliche neo-liberiste, che pervicacemente negano che la crisi sia una crisi di DOMANDA, di una classe lavoratrice sfinita dalla compressione dei salari e dalla distruzione sistematica del reddito disponibile.

tratto da
Maurizio Piglia
9 luglio, 2013
Categoria: Finanza, Primo piano

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Trent’anni di Restaurazione. L’economia usata come una clava per la lotta di classe.






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Forse l’avete notato meglio, stavolta il mercato ha reagito esattamente come il drogato di metadone a cui minacciano di ritirare la dose. Crisi d’astinenza, minaccia all’infermiere con ago insanguinato/infetto, immediato e affrettato ripristino della dose. Tutto come prima…fino alla prossima volta.
Ritengo che il mio posto, qui, non sia di dirvi se il mercato scendera’ o salira’, ne’ di dipingervi scenari credibili o meno sul futuro, altri lo fanno meglio di me, e il fatto che io lavori con modelli e algoritmi (disegnati e “sofferti” con un amico, di quelli veri..) significa che il futuro non lo voglio prevedere;ma credo sia il caso, perche’ sapere e capire e’ meglio, di indagare come siamo arrivati fin qui.
Avete tutti ascoltato Mario Draghi, avete visto la reazione al sussurrato “tassi negativi”….bene, vi ritaglio una chicca :” “La politica monetaria non può generare crescita economica reale”. Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, nel corso di un’audizione all’Assemblea nazionale francese. “Se la crescita è in stallo – ha aggiunto Draghi – è perché l’economia non produce abbastanza o perché le imprese hanno perso competitività, e questo va oltre le possibilità di intervenire della Banca centrale”.
Sulla perdita di competitivita’…torno in un altro articolo.
La vera idiozia e’ questa: “perché l’economia non produce abbastanza”.
I Goebbels della produttivita’ ad ogni costo, non hanno nemmeno piu’ il pudore di mantenere un contatto con la realta’…proviamoci noi.
Siete un barista. Il bar e’ vostro, quindi, lavorate come due negri ( e’ un modo di dire…benigno, non me ne voglia chi di colore..). Avete un problema, fate circa 150 caffe’ la mattina, perche’ siete svelto…e ne vendete 120. Si’…buttate 30 caffe’.
Ma avete appena ricevuto la visita di un consulente della Mc Kinsey, laureato ad Harvard ed ex partner Goldman..e siccome voi avete fatto la terza media , vi ha convinto che il vostro e’ un problema di produttivita’. Allora, licenziate il garzone che vi dava una mano, sollevandovi dal carico di lavoro, vi colpevolizzate a morte perche’ vostra madre (lombarda) odiava i lazzaroni ( anche qui, modo di dire, conosco la matrice storica dell’ epiteto..) e vi incarognite a testa bassa…finalmente, fate 200 caffe’. Da soli ! Ne vendete sempre 120. Adesso ne buttate 80, e la sera siete cosi’ stanco che manco piu’ la televisione vedete (poco male..). E i 50 caffe’ che buttate al giorno vi costano largo circa come il garzone, che essendo senza lavoro, non compra piu’ il suo caffe’, che peraltro vi pagava regolarmente (scontato, va beh…mah) e quindi, mi correggo, di caffe’ ne buttate 81.
Risultatone!! Ci voleva un fenomeno per risolvervi il problema..
cito da un articolo semplice ma interessante su “Professional Consumer” DRAGHI E FOLLETTI SCALPITANO :
* ogni anno 30 milioni di autovetture restano invendute a fronte di 90 milioni di unità prodotte nel mondo;
* le Utility dell’energia, in Europa, hanno un 30% di sovraccapacità;
* le Poste italiane hanno il 20% di sportelli di troppo;
* 540.000.000 di tonnellate annue, il sovrappiù dell’industria siderurgica mondiale; solo in Europa + 80.000.000 rispetto alla domanda;
“perché l’economia non produce abbastanza”.
Nessuno che voglia minimamente imparare che la chiave di tutte le grandi crisi è l’iniqua distribuzione della ricchezza e l’eccesso di debito che viene creato per nascondere l’iniquità. Mentre giustamente il settore privato sta deleveraggiando uniformemente, ovvero rientrando dal debito, dalla leva,perche’ il settore privato (noi!) agisce in maniera razionale, da “buon padre di famiglia”, la finanza continua a leveraggiare, ad utilizzare il debito per speculare e gli Stati si indebitano per chiudere le voragini immense create dalle gestioni dissennate delle banche (soggetti privati!), per poi ovviamente a loro volta (gli Stati) essere costretti a rientrare dal debito, perche’ senno’ il mercato li punisce per i loro eccessi, eccessi di debito in cui si sono cacciati per salvare il leggendario libero mercato, il privato (loro!!), miglior gestore di qualsiasi cosa del pubblico, dal fallimento!
Siamo all’ultimo atto di 30 anni di restaurazione.
Questo ultimo atto è finire la completa devastazione della vecchia Europa, le sue Costituzioni, il suo welfare. dopo il trentennio di crescita tumultuosa e di instaurazione di queste politiche di welfare nei 50-’60-’70; questa restaurazione ha l’obiettivo di fare terra bruciata e rovine di popoli e di Stati Nazionali, di economie di società civili, attraverso politiche belliche neo-liberiste, che pervicacemente negano che la crisi sia una crisi di DOMANDA, di una classe lavoratrice sfinita dalla compressione dei salari e dalla distruzione sistematica del reddito disponibile.
Ma questo gruppo di falsi e complici…come puo’ non arrivare a capire che senza un’equa distribuzione del reddito nessuno comprera’ il loro superfluo, e fra poco nessuno comprera’ abbastanza del necessario…e quando manchera’ abbastanza necessario…
La Storia si ripete, nel 1898 l’avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e coloro che le rappresentavano toccò il suo apice nell’allora breve storia di questa povera Italia. Fini’ che Bava Beccaris apri’ il fuoco coi cannoni sulla folla. Non siamo ancora li, ma sembra che i fenomeni dell’economia neoliberista proprio li’ vi vogliano spingere.
produttivita’
produttivita’
produttivita’
 

tontolina

Forumer storico
chissà perché ogni volta che si propone una vera riforma della speculazione finanziaria, si viene accusati di antisemitismo. Il fatto è che quaranta economisti di livello, nient’affatto comunisti, hanno preso posizione per Corbyn: ciò che propone – hanno scritto – è farla finita con l’austerità che porta deflazione, imposta al solo scopo di arricchire ancor più il capitale – che ha già preso troppo al lavoro. E’ una posizione sostenuta persino dagli studiosi del Fondo Monetario Internazionale,




Due sinistre: a loro, Corbyn. A noi, D’Alema

Di Maurizio Blondet 16:09 | Addio locomotiva dell’economia globale. La Cina cade in recessione. Addio locomotiva dell’economia globale. La Cina cade in recessione. Ineluttabilmente. La sua leadership “potrà dirsi fortunata se riuscirà a ridurre la sua crisi ad una mera stagnazione con crescita zero o quasi nei prossimi dieci anni. Sarà un successo politico”: così il professor Zhiwu Chen della Yale University in una riunione del Council on Foreign Relations, ha proposto come modello quasi ideale – in confronto al peggio che può accadere a Pechino – il tristissimo “Decennio Perduto” del Giappone, con le banche zombificate tenute in vita col cannello dalla banca centrale.
Ciò farà rallentare la crescita globale a un 2%, che è di fatto, recessione.
La sola cosa che può fermare la Cina sulla via della recessione è è un grosso stimolo di bilancio inteso ad aumentare i consumi, finanziato dal governo centrale, preferibilmente monetizzato dalla Banca centrale cinese”. Questo, l’ha detto Willem Buiter, economista-capo di Citigroup, nella stessa riunione del CFR.
Citigroup braces for world recession, calls for Corbynomics QE in China - Telegraph
Ambrose Evans-Pritchard del Telegraph, che riporta le suddette dichiarazioni, nota: ciò equivale ad invocare che la Cina applichi la “Corbynomics”.
Corbynomics?

Jeremy Corbyn è il vecchio nuovo astro nascente della Sinistra britannica. Antico nemico di Tony Blair, sta scalando i sondaggi dando nuove speranze al Labour Party, con proposte economiche tipo:
rinazionalizzare gli asset svenduti dai precedenti governi , comprese le grosse banche, “senza indennizzo” agli attuali proprietari.
Fare “Il quantitative easing per il popolo”: la Banca centrale britannica stampi denaro per metterlo in tasca alla gente, invece che per darlo alle banche onde queste lo prestino (con interesse) alla gente, come ha fatto finora.
Pagare tutto ciò con aumenti delle tasse sulle grandi fortune. Se si pensa che il governo Cameron sta proprio adesso cercando di diminuire (ancora) le tasse di successione (ossia sui benestanti morti, dice la BBC), si può capire lo sconcerto.
Quanto l’Establishment abbia paura di Corbyn, lo mostra la forsennata campagna di diffamazione e calunnie che i suoi media, come a segnale ricevuto, gli stanno scatenando contro: è matto, un caso psichiatrico, è un rottame del passato socialista che i mercati hanno seppellito per sempre, le sue idee economiche porteranno tutti alla rovina..ma soprattutto – specialissimo assassinio mediatico dell’uomo, il che significa quanto vogliamo eliminarlo – Corby è antisemita.
La prova del suo antisemitismo? Ha finanziato la fondazione “Deir Yassin Remembered”, (che ricorda il primo grande massacro ebraico di palestinesi del 1948 nel villaggio di Deir Yassin, che spinse centinaia di miglia di arabi a cercare scampo nella fuga: l’inizio della presa delle loro terre), e questa fondazione è stata fondata da “Paul Eisen, negazionista dell’Olocausto”. Ciò significa, per la virtù transitiva, che anche Corbyn è negazionista dell’olocausto. Sorvolando sul fatto che Paul Eisen è un ebreo…quel che conta è assassinare politicamente Corbyn.

Come ebbe a dire Pat Buchanan, chissà perché ogni volta che si propone una vera riforma della speculazione finanziaria, si viene accusati di antisemitismo.
Il fatto è che quaranta economisti di livello, nient’affatto comunisti, hanno preso posizione per Corbyn: ciò che propone– hanno scritto – è farla finita con l’austerità che porta deflazione, imposta al solo scopo di arricchire ancor più il capitaleche ha già preso troppo al lavoro.

E’ una posizione sostenuta persino dagli studiosi del Fondo Monetario Internazionale, che non è un partito stalinista. Il suo obiettivo è incoraggiare la crescita.


Adesso anche uno come il capo-economista di Citigroup (un gruppo bancario fra i più speculativi) comincia a suggerire che la Cina applichi – per uscire dal buco in cui s’è cacciata – la Corbynomics, e lo faccia al Council on Foreign Relations, è il segno che anche negli ambienti che hanno imposto il “mercato globale” c’è la vaga sensazione che l’applicazione ulteriore della sua dogmatica ortodossa monetarista e privatista non possa più essere sostenuta.



Lorsignori hanno memoria storica. Ricordano che la crisi del 1929 ebbe una ricaduta tragica nel 1937, rigettando il mondo in una nuova Grande Depressione; le riforme di Roosevelt, che non mettevano abbastanza in discussione il potere finanziario privato, si rivelarono pannicelli caldi. Ciò perché l’Establishment aveva impedito con successo idee veramente alternative, da quella di Fischer sull’abolizione della moneta-debito bancaria e la restituzione allo stato della sua esclusiva creazione, fino alla moneta deperibile di Gesell, o quelle di Keynes.


Anche oggi la crisi del 2015 che viene dopo la crisi del 2008 mai risanata, somiglia troppo a una replica della ricaduta-1937, per non inquietare i capitalisti più avvertiti. Dall’applicazione spietata del capitalismo terminale in forma pura hanno ricavato tutti i vantaggi che potevano; adesso è una sorta di capolinea, mancano le idee, l’ulteriore imposizione delle loro ricette dogmatiche rischia di non porta più a nulla – se non al rischio, per loro, di perdere potere.





Lo strano paradosso del capitalismo terminale

Capolinea” ha un senso preciso: in certo senso, un ritorno a caselle di partenza da cui il capitalismo senza freni è partito per la conquista (e la devastazione) delle società umane.
Considerate la stranezza della situazione presente.
Lorsignori imposero a tutto l’Occidente la fine del “matrimonio fra banche centrali e Tesoro”, l’istituzione con cui la Banca centrale comprava le quote di debito pubblico che restassero invendute sul mercato finanziario [solo la banca tedesca continua a farlo]; ciò metteva un calmiere al costo dell’indebitamento pubblico;
il Capitale privato protestò che bisognava invece esporre i debiti pubblici ai “mercati finanziari globali”, perché questi sono organi infallibili per “scoprire il prezzo” di un debito di Stato, valutandone il rischio d’insolvenza.

E così è stato.

I “mercati” speculativi hanno guadagnato a più non posso.

Gli interessi sono saliti, i debiti pubblici come quello italiano sono andati alle stelle…e adesso, che cosa accade?

Che le banche centrali – ormai di proprietà del Capitale (Goldman Sachs) – calmierano, anzi sopprimono il costo.

Gli interessi sono così bassi, da creare bolle.

Ma se si accenna ad aumentarli, Wall Street è la prima a lanciare alte grida: volete mandarci di recessione?!
La speculazione non protesta più che così si sottrae al mercato la capacità di “dare un prezzo al rischio”; anzi, è contenta che le “sue” banche centrali sopprimano gli interessi.
L’ultima emissione di debito italiano – dopo la crisi cinese, che avrebbe dovuto far rialzare i tassi sul nostro “rischio paese stra-indebitato” – è stata comprata, se non sbaglio, allo 0,70% di interesse: è un prezzo del tutto artificiale, prodotto dalla BCE.
Molto più di quelli che si praticavano durante “Il matrimonio” fra Banche centrali e Tesori. Non è il “mercato” a decidere, ma il burocrate. Ancorché di Gldman Sachs….

Le banche centrali oggi rese indipendenti dalla politica creano triliardi di dollari ed euro a tassi minimi, comprano debito a man bassa.

Ossia: fanno quel che il Capitale, ai bei tempi, accusava i politici di fare, “stampare” irresponsabilmente per le loro clientele. Sottrarre ai politici (ai governi, agli stati) il potere di stampare denaro dal nulla è la scusa morale con cui l’Establishment lo ha arraffato per sé, per le sue banche private (che creano il 95% del denaro circolante indebitando); adesso lo ha affidato alle “sue” banche centrali, proprietà loro. Ci ha guadagnato abbastanza, adesso non riesce più a guadagnarci. Nonostante l’inondazione di fiat money in corso, ancor più irresponsabile di quella degli stati, il Sistema resta incagliato alla deflazione.

Perché?
Perché le banche centrali hanno dato quei soldi creati dal nulla a tasso zero alle banche private, sperando che queste possano ancora indebitare un po’ la gente: non funziona più.


La BBC, per il Regno Unito, spiega: dal 2009 la Bank of England ha creato 375 miliardi di sterline (520 miliardi di euro) con cui ha comprato il debito pubblico, e tutto ciò che ha ottenuto è “un pochino di incremento marginale dei consumi” attraverso il noto “contorto meccanismo”, il triffaldino inghippo escogitato per far guadagnare ancora le banche e solo indirettamente “la gente”.



Allora perché non cominciare a saggiare la Corbynomics?
Anche perché in Usa sorge un Donald Trumps,

in Francia il FN,
in Europa “populismi” che potrebbero, proporre alternative veramente altre:
il ritorno all’autarchia, il 100% Money di Fischer, la nazionalizzazione delle banche, la sottrazione alla finanza di creare il denaro se non (Deus avertat) quelle riforme che fecero del Terzo Reich l’unica economia di successo nel grande gelo degli anni Trenta.


E allora perché non delibare le idee del “rosso” Corbyn? Tanto più che come “quantitative easing per il popolo” questi non intende, come Beppe Grillo, mettere soldi direttamente nelle tasche della gente come reddito di cittadinanza. No. Come ha detto, lui intende “per esempio, dare alla Bank of England un nuovo mandato per alzare il livello della nostra economia investendo su abitazioni su larga scala, energia, trasporti, e progetti digitali”. E come ha precisato Richard Murphy, il primo consigliere economico di Corbyn (è un teorico della giustizia fiscale) , ciò si otterrebbe così: con la banca centrale che compra il debito emesso “da una nuova banca di investimento pubblica, il cui ruolo sarebbe di finanziare” tutte le infrastrutture di cui sopra, creando posti di lavoro e ammodernando la struttura economica.
Questo non è il vecchio solito socialismo, è un pensiero radicalmente nuovo”, riconosce Robert Peston, direttore economico BBC; anche se magari qualcuno potrebbe trovarvi l’eco di una cosa italiana si chiamava Istituto della Ricostruzione Industriale con le sue tre banche nazionalizzate, e che la sinistra (da Prodi ad Amato ed oltre) ha smantellato regalandola ai privati, che le era stato ordinato dal Capitale. Naturalmente Preston si affretta ad aggiungere le formule prescritte dal dogma: il rischio è l’inflazione, il calo del valore della sterlina, il superindebitamento pubblico.

Ma in un clima di deflazione

il primo guaio sarebbe in parte un beneficio,
il secondo un auspicio (più competitività per l’economia inglese),
e quanto al terzo, un altro consigliere di Corbyn, Adair Turner (ex capo dell’Auhority dei Servizi Finanziari) propone che la banca centrale “faccia un passo in più rispetto al quantitative easing per le banche, e crei denaro per effettivamente annullare il debito”.


Se vi pare un’idea troppo ardita per il dogma liberista-monetarista, si sappia: Ron Paul ha proposto che gli Usa cancellino i loro 1700 miliardi di debito. Ciò potrebbe avvenire in modo che vi parrà inaudito, liberisti dell’ultima ora: “La Fed è legalmente autorizzata a retituire il debito al Tesoro, perché venga distrutto”: O, come ha specificato Ellen Brown, “Il governo può ridurre il debito prima riacquistandolo e poi cancellandolo. Il debito può essere riacquistato anche con ‘banconote senza-debito’, del genere di quelle emesse durante la guerra civile [i greenbacks]” da Abraham Lincoln. La moneta di Stato! Udite e scandalizzatevi.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15483


Insomma: in Usa se ne parla, in Inghilterra la Corbynomics non sembra più tanto una bestemmia: l’Establishment sta calcolando quanto gli costerebbe, e se non gli costerebbe di più rischiare una rivolta sociale continuando ad imporre le ricette liberiste austeritarie…ricette che peraltro sono più di Berlino che di Londra, molto più pragmatica ed elastica, meglio dotata di memoria storica, e agghiacciata dal mostro che si sta rivelando la UE.


E in Italia?

Reduce dalla consueta regata estiva sul panfilo in competizione con gli amici miliardari di pari yacht, è tornato Massimo D’Alema. Il leader della sinistra intelligente, sceso dal panfilo, ha fatto un discorso pieno di rabiette e invidiuzze, come il suo solito. Ed ha dato una pugnalatina alla schiena a Matteo Renzi. E’ la sua specialità, pugnalare gli “amici”, chiedete a Prodi. E’ il suo storico apporto da statista.
Per la verità ha anche fatto una proposta alternativa. Meglio, una domanda: “Andremo alle elezioni con Alfano, Cicchitto e Verdini o cercheremo di ricostruire il centrosinistra? Quello con i conservatori è un abbraccio mortale, come si è visto con i socialisti greci. Io voglio capire, da studioso, cosa farà il Pd”. Insomma lui punta a una novità radicale: rifare l’Ulivo. Con SEL aggiunto, capeggiato da Vendola.
Criticatemi pure, ma mi succede questo: ogni volta che mi metto di buona volontà a scrivere contro Matteo Renzi, il Cacciapalle, appare D’Alema. O Bersani. Quelli che hanno dato la forza che non aveva a Mario Monti, quella sinistra che ha accettato ed eseguito gli ordini del capitalismo di rapina, dell’eurocrazia oligarchica, di Draghi, di Goldman Sachs, di Merkel…non è che ami Renzi. E’ che a criticarlo sia D’Alema, o Bersani il suo tirapiedi, che me lo fa’ preferire.
L’articolo Due sinistre: a loro, Corbyn. A noi, D’Alema è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.
 

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