Macroeconomia Inflazione: cos'è, cosa dovrebbe essere, cosa non è, cosa non potrà mai essere. (2 lettori)

piergj

Forumer attivo
Quello che mi lascia perplesso è che i tre panieri siano praticamente identici nei pesi.

Ad esempio il FOI non è quello dedicato alle famiglie, dipendenti, etc etc.

I pesi sono praticamente identici agli altri due panieri.

Insomma che senso ha ?

Avrebbe senso se considerassimo chi paga un mutuo o un affitto. Comunque è ben oltre il 40% degli italiani che magari sono tra i propetari...ma tra trenta anni quando avranno riscattato il mutuo ipotecario.

Siamo ai soliti paradossi di in stile Trilussa.

E' vero, ci sono i prodotti cinesi (abbassano il livello inflattivo), ci sono gli Hard-discount alimentari (che ottengono lo stesso effetto), c'è l'innovazione tecnologica e la concorrenza (i casi citati da Mr Spock sono anche i miei casi)...ma vedo (da bancario) il livello di vita e il potere di acquisto delle famiglie mono-reddito o gravate da debito ipotecario per acquisto prima casa. Per loro, l'inflazione, è a due cifre. una bella fetta della nazione. Tra l'altro la bella fetta che ha fatto ingrassare .....:

a - Le banche, le finanziarie e le assicurazioni con i loro prodotti retail di prestito, revolving e assicurazioni sulla vita assolutamente care ed inefficienti

b - le cdt società del settorie "media"...quali Mediaset-Sky-Editoria varia, sottoscritte in maniera rateale ma comunque gravante sull'effettiva capacità di spesa di una famiglia (quindi riduzione potere di acquisto)

c - le società del comparto comunicazioni, con le loro offerte di tecnologia in presunta concorrenza che con tariffe flat ed adsl hanno fatto lievitare i costi mensili e non ridurre

d - le società di energia che con le loro forniture (anche qui in presunta concorrenza) hanno usufruito dei margini offerti dl variare dei costi delle loro scorte e d una sicuro aumento (per legge) delle tariffe, quando teoricamente in concorrenza non dovrebbero lievitare sistematicamente.

e - le società petrolifere ed automobilistiche le quali fregandosene del certo esaurirsi delle fonti non rinnovabili e con la compiacenza dei nostri governanti hanno vomitato, per anni, automobili per cilindrate eccessive rispetto i divieti e i massimali di velocità ed con consumi esagerati, imponendo mode e modelli (vedi SUV e simili), assolutamente fuori di ogni logica . Hanno invogliato acquirenti creando multinazionali finanziarie che con comode rate hanno creato quello che non dovevamo permettere....e cioè :

CHE OGGI IL MAGGIORE DEBITORE NON E' OLTANTO LO STATO MA LA FAMIGLIA. LA QUALE NON PUO' STAMAPARE DANARO A PIACIMENTO MA CHE HA COME UNICA SCELTA UNA SORTA DI SEMI-SCHIAVITU'

Onore alle statistiche ( i numeri sono affascinanti e non nascondono bugie, sono il primo ad ammetterlo), ma in un contesto di sperequazione sociale in continuo allargamento...servono a poco

Saluti

Pierluigi
 

negusneg

New Member
Inviterei tutti, per quanto possibile, a moderare i toni e ad evitare polemiche e riferimenti personali.

Il tema è decisamente controverso, l'ho premesso fin dall'inizio, e merita di essere approfondito rispettando le diverse convinzioni, all'interno delle quali c'è sempre un qualche elemento di verità.

Ad esempio condivido i dubbi di slow sulla efficienza della struttura di rilevazione dei prezzi, dato che l'INPS non è altro che uno dei tanti carrozzoni parastatali che ben conosciamo, meno quelli sulla rappresentatività dei panieri, che ormai vengono definiti secondo metodologie e standard definiti a livello internazionale, e standardizzati a livello europeo.

Porto un ulteriore contributo alla discussione che personalmente ho trovato molto convincente (salvo la parte finale, di carattere più "sindacale-corporativo") e che fra l'altro aiuta a capire meglio "che cosa è e che cosa non può essere" il dato di inflazione calcolato dall'Istat.




Traccia dell’intervento del dott. Guido Caselli,
direttore dell’Ufficio studi di Unioncamere Emilia-Romagna



In questi mesi non sono solo i prezzi ad essere inflazionati, lo è anche la statistica. Un aforisma recita: “ se si raccolgono abbastanza dati qualsiasi cosa può essere dimostrata con metodi statistici ” e, mai come in questi giorni, sembra trovare riscontro nella realtà. Da una parte l’Istituto nazionale di statistica che comunica tassi d’inflazione attestati attorno al 2,5-3 per cento, dall’altro Istituti di ricerca - più o meno autorevoli - che parlano di aumenti di prezzi in misura largamente superiore.

Devo dire che da statistico sono un po’ preoccupato da questo ricorso oramai fuori controllo ad indicatori e percentuali, soprattutto quando alla raccolta ed alla elaborazione del dato non corrispondono quei requisiti statistici di garanzia sulla qualità e significatività del risultato. Questo, ovviamente, determina una perdita di credibilità della statistica, amplificata dal fatto che raramente alla diffusione dei dati si associa qualche nota metodologica ed interpretativa.

Credo sia utile cercare di fare un po’ di chiarezza, uscire dall’ utilizzo strumentale che, il più delle volte, viene fatto dei vari indici sui prezzi e individuare alcuni “punti fermi”, delle evidenze oggettive che non devono essere mai perse di vista quando si affronta il tema dell’aumento dei prezzi. Alcuni dei punti che indicherò sono già noti, è comunque opportuno ricordarli.



Innanzitutto occorre essere chiari sul fatto che l’introduzione dell’euro non ha portato più inflazione in Europa , l’indice armonizzato dei prezzi calcolato da Eurostat non dà adito a dubbi di sorta. Non sto a citare i numeri, peraltro riportati un po’ ovunque, ma in Europa l’inflazione è cresciuta in misura contenuta e comunque inferiore agli anni più recenti che hanno preceduto l’introduzione dell’euro.



Un secondo punto inconfutabile è che in Italia l’inflazione è aumentata di più rispetto alla media europea . In generale, la teoria economica e l’evidenza empirica dicono che i prezzi crescono più rapidamente nei Paesi nei quali l’economia va bene, per esempio Irlanda e Spagna per rimanere in ambito euro. Non così in Italia, dove la crescita è quasi nulla, inferiore a quella europea, ma i prezzi crescono più velocemente. Per la nostra economia non funziona quindi quel meccanismo equilibratore secondo il quale i prezzi dovrebbero crescere meno nei Paesi in cui l’economia è più debole, restituendole competitività.

A questo proposito non dobbiamo dimenticare che negli ultimi vent’anni l’Italia ha reagito ai periodi di crisi economica ricorrendo alla svalutazione o al deprezzamento della lira, un fattore distorsivo che, nel breve periodo, consentiva di riacquisire competitività, soprattutto sui mercati esteri. Questa è la prima fase congiunturalmente negativa che affrontiamo senza la possibilità di operare sui tassi di cambio e qualche riflesso sulla determinazione dei prezzi appare evidente, soprattutto per i settori meno esposti alla concorrenza. Come sottolineano molti economisti, in particolare Faini, non è un caso che gli aumenti più consistenti si siano registrati in settori nei quali è di fatto assente la concorrenza, per esempio servizi bancari e bancoposta, rc auto, i servizi pubblici. Anche i prezzi dei beni alimentari, per citare un altro esempio, negli ultimi due anni sono aumentati più della media: il 6,9 per cento contro il 5,4 per cento, con punte superiori al 20 per cento come, per esempio, per gli ortaggi. Ma anche in questo settore, soprattutto per quanto riguarda la grande distribuzione, gli impedimenti alla concorrenza non mancano.



Veniamo al calcolo dell’inflazione.

L’Istat produce tre diversi indici dei prezzi al consumo : per l’intera collettività nazionale (NIC), per le famiglie di operai e impiegati (FOI) e l’indice armonizzato europeo (IPCA). I tre indici hanno finalità differenti.

Il NIC misura l’inflazione a livello dell’intero sistema economico, in altre parole considera l’Italia come se fosse un’unica grande famiglia di consumatori, all’interno della quale le abitudini di spesa sono ovviamente molto differenziate. Il NIC rappresenta, per gli organi di governo, il parametro di riferimento per la realizzazione delle politiche economiche, ad esempio, per indicare nel Documento di programmazione economica e finanziaria il tasso d’inflazione programmata, cui sono collegati i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro.

Il FOI si riferisce ai consumi dell’insieme delle famiglie che fanno capo a un lavoratore dipendente (extragricolo). E’ l’indice usato per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio gli affitti o gli assegni dovuti al coniuge separato.

L’IPCA è stato sviluppato per assicurare una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo. Infatti viene assunto come indicatore per verificare la convergenza delle economie dei paesi membri dell’Unione Europea, ai fini dell’accesso e della permanenza nell’Unione monetaria.

I tre indici si basano su un’unica rilevazione e sulla stessa metodologia di calcolo, condivisa a livello internazionale. NIC e FOI si basano sullo stesso paniere , ma il peso attribuito a ogni bene o servizio è diverso, a seconda dell’importanza che questi rivestono nei consumi della popolazione di riferimento. Per il NIC la popolazione di riferimento è l’intera popolazione italiana, ovvero la grande famiglia di oltre 57 milioni di persone; per il FOI è l’insieme di famiglie che fanno capo a un operaio o un impiegato.

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Per il 2003 l’Istat ha misurato un aumento dei prezzi al consumo FOI pari al 2,5 per cento (2,7 per cento NIC).

Un terzo punto fermo, su cui sarebbe bene concordare anche se a tale proposito non mancano le polemiche, è che l’indice Istat è quello più accurato che, attraverso le attuali metodologie, sia possibile rilevare . Le rilevazioni dei prezzi effettuate sono 334mila al mese, riferite a 1.031 beni e servizi, 33mila punti vendita opportunamente differenziati per tipologia, i comuni interessati alla rilevazione sono 86 su tutto il territorio nazionale.

Certo, il paniere dei beni utilizzato dall’Istat può contenere qualche bene obsoleto e poco rappresentativo – anche se il paniere viene rivisto ogni anno - e anche i coefficienti di ponderazione per il calcolo dell’indice medio possono presentare qualche distorsione. È comunque da sottolineare che i prodotti del paniere e il peso loro attribuito sono definiti sulla base dell’indagine Istat sui consumi che coinvolge circa 28mila famiglie italiane e attraverso l’utilizzo di altre fonti, interne (stime di contabilità nazionale, indagini su commercio estero e produzione industriale) ed esterne all’Istat (dati ACNielsen, Banca d’ ;Italia), per assicurare un'accurata copertura informativa.



Sul peso dei singoli beni sono state dette alcune inesattezze che penso sia utile chiarire. Per alcune voci, come gli affitti e l’assicurazione auto, l’accusa che viene mossa all’Istat da più parti è che l’incidenza effettiva sui bilanci familiari sia più alta del peso attribuito loro nel paniere. Come sottolinea la nota metodologica redatta dall’Istat gli affitti pesano sul paniere per il 3,1% poiché soltanto il 18,7% delle famiglie italiane vive in un'abitazione in affitto. L'indice generale, che considera l'Italia come un'unica famiglia, viene ovviamente condizionato da questo fenomeno: in pratica, una spesa sostenuta da meno del 20% della “famiglia-Italia” viene ripartita sull'intera popolazione. L’acquisto della casa non rientra nella rilevazione in quanto considerato un investimento.

Il peso dell'assicurazione dei mezzi di trasporto, che incide nel paniere per l'1,2%, è considerato valutando i premi pagati nell'anno dalle famiglie al netto dei rimborsi. Vale a dire, si tiene conto dei rimborsi che le famiglie ottengono in caso di sinistro. E' evidente che il suo peso nel paniere risente di questa modalità di calcolo che, a prima vista, penalizza le famiglie che non hanno subito sinistri, poiché pagano il premio ma non incassano rimborsi. Anche in questo caso, il complesso delle famiglie italiane viene considerato come una sola famiglia che sostiene un'unica spesa (il premio dell'assicurazione) e riceve un unico rimborso. Questa metodologia di valutazione viene peraltro adottata nella maggior parte dei paesi europei, in virtù di un regolamento comunitario.



Deve però essere altrettanto chiaro che quello che rileva l’Istat è un dato medio di un fenomeno, l’aumento dei prezzi, estremamente variabile e dipendente da mille fattori . Questo è il punto cruciale, l'indice dei prezzi al consumo misura le variazioni dei prezzi dell'insieme dei beni e servizi acquistabili nel Paese, un valore medio nel quale il consumatore quasi mai riconosce le variazioni di prezzo della propria spesa quotidiana.



L’errore dell’Istat , se di errore vogliamo parlare, è quello di presentare o di lasciare che altri presentino il dato medio nazionale come se questo riflettesse davvero l’incidenza dei movimenti dei prezzi sulle spese effettive delle famiglie . Non è così, ogni famiglia, diversa per composizione, per classi di età, area geografica, per livello del reddito, per abitudini, ha un suo paniere di beni e servizi differente, non raffrontabile con nessun valore medio.

Se, per assurdo, una famiglia si nutrisse solamente di patate avrebbe un tasso di inflazione del 21 per cento e a questa famiglia poco importerebbe sapere che il costo dei computer è diminuito. Nell’indice Istat le patate incidono per lo 0,2 per cento, come può essere rappresentativo delle spesa di questa famiglia?

Nel tentativo di offrire indicatori più rappresentativi, l’Istat sta conducendo alcune sperimentazioni incrociando i consumatori suddivisi per classi di reddito con le tipologie di negozi. Ciò consente di ottenere indici per ciascuna segmentazione del mercato, indici maggiormente vicini ai consumi reali delle famiglie. Dal punto di vista statistico si tratta di una rilevazione estremamente complessa e costosa che non ha riscontro in altri Paesi europei. Negli Stati Uniti hanno tentato ma risultava troppo onerosa, solo in Australia viene realizzato qualcosa di analogo.



Non è, quindi, una contraddizione affermare che l’indice Istat dell’inflazione è corretto, ma che per buona parte delle famiglie italiane fare la spesa costa molto di più di quanto riportato dall’indice stesso , così come viene sottolineato da Eurispes e dalle associazioni dei consumatori.

Ma questo “costo aggiuntivo” non chiamiamolo “inflazione percepita”, come se si trattasse di un processo soggettivo che non ha riscontri nella realtà.



Attenzione, però. Il fatto che l’indice medio Istat non sia rappresentativo della spesa delle famiglie italiane non è un fatto nuovo, la stessa cosa accadeva anche negli anni precedenti all’ introduzione dell’euro. Gli aumenti avvenivano probabilmente in maniera meno generalizzata ed eclatante - anche in questo caso il confronto degli indici medi annuali è poco significativo - ma anche allora alcuni beni aumentavano sensibilmente i prezzi e altri rimanevano sostanzialmente invariati.



L’elemento di rottura rispetto al passato è che nel 2003, per la prima volta negli ultimi vent’anni, le retribuzioni di fatto sono aumentate meno dell’inflazione , determinando una perdita secca del potere di acquisto.

Nell’ultimo decennio le retribuzioni lorde sono aumentate in termini reali, cioè depurate dall’inflazione, del 3,3 per cento, a fronte di un aumento della produttività reale del 18,7 per cento. In tutti gli altri Paesi europei la differenza tra crescita delle retribuzioni e crescita della produttività è meno accentuata, solo negli Stati Uniti la forbice è più elevata. Significa che c’è qualcosa che non funziona nella redistribuzione del reddito, sempre meno è destinato alla retribuzione dei lavoratori dipendenti. Le retribuzioni lorde pesano attualmente sul Prodotto interno lordo per il 30 per cento, vent’anni fa erano al 36 per cento.

Le conseguenze sono evidenti. Se, da un lato, le statistiche ci dicono che sono in riduzione le famiglie considerate povere, dall’altro le stesse statistiche indicano che sono in vertiginosa espansione le famiglie che rientrano nell’area grigia, quelle famiglie che pur collocandosi al di sopra della linea di povertà devono fare i salti mortali per arrivare a fine mese. Un quinto delle famiglie italiane è considerata povera o quasi povera.

Dunque , un ulteriore “punto fermo” quando si analizza l’aumento dei prezzi è il minore potere di acquisto delle famiglie italiane, le retribuzioni non crescono più in misura uguale o superiore ai prezzi , rendendo più evidenti e meno tollerabili rincari ingiustificati.

Ma non è solo questo: una minor distribuzione della ricchezza determina una riduzione dei consumi proprio quando la ripresa della domanda interna è considerata una condizione imprescindibile per la crescita economica. Ma, a sua volta, la crescita economica è necessaria per creare ricchezza. Potrebbe essere una spirale da cui risulterà difficile uscire.



Un ultimo punto fermo, anche questo difficilmente confutabile, è che sono mancati i controlli . Solo in questi mesi si stanno organizzando osservatori e approntando strumenti per monitorare l’andamento dei prezzi. Misure che sicuramente arrivano in ritardo ma che comunque ancora oggi possono rivelarsi particolarmente efficaci, soprattutto se avranno connotazione strutturale e non solo di breve periodo come risposta all’emergenza.



Su questo aspetto un ruolo di rilievo è affidato alle Camere di commercio e ai Comuni , così come espressamente indicato nella recentissima legge 326/2003 rubricata come “lotta la carovita ”. In estrema sintesi si chiede ai Comuni e alle Camere di commercio, d’intesa tra loro:
  • di realizzare un’offerta di prodotti a prezzi convenienti per i consumatori attraverso la promozione e il sostegno circa l’organizzazione di panieri di beni a largo consumo;
  • l’attivazione anche in via telematica di una comunicazione al pubblico sull’esistenza di questi panieri, sugli esercizi commerciali che aderiscono a queste iniziative e di quelli meritevoli, o meno, in ragione dei prezzi praticati.

In assenza della legge, molte Camere di commercio si erano già attivate autonomamente con iniziative che possono essere ricondotte lungo due direttrici:
  • da una parte un potenziamento e riorganizzazione degli uffici di statistica, attraverso indagini volte a fornire una più puntuale conoscenza delle dinamiche dei prezzi (in molti casi ad integrazione della rilevazione Istat);
  • da un’altra parte il tema dei prezzi viene affrontato con riferimento alle attribuzioni camerali di regolazione del mercato. Le iniziative si concentrano sulla trasparenza del mercato, ad una “moralizzazione” degli operatori della distribuzione attraverso meccanismi di prezzi “ calmierati” basati su accordi negoziati in sede camerale.

In questi giorni si sta discutendo sulle iniziative che possono essere realizzate dal sistema camerale, con l’obiettivo di portare avanti un progetto comune tra tutte le Camere di commercio e, dove possibile, d’ intesa con i Comuni.



A mio avviso, la Camera di commercio - raccogliendo tutte le componenti dell’economia locale - è l’istituzione ideale per promuovere iniziative di trasparenza e regolazione del mercato nonché azioni volte a realizzare accordi di filiera e interprofessionali.

Credo sia importante promuovere le iniziative di autodisciplina dei prezzi, valorizzando le esperienze già maturate da alcune Camere di commercio. Per esempio la Camera di commercio di Rimini, il Comune e le associazioni di categoria nel marzo 2003 hanno sottoscritto un protocollo d’intesa sull’andamento dei prezzi ed istituito un paniere di prodotti di largo consumo ad alta qualità, proposto a prezzo bloccato. I prodotti fanno riferimento a diverse categorie merceologiche e l’iniziativa prevede l’adesione volontaria degli operatori – riconoscibili da un apposito marchio esposto in vetrina – che si impegnano per il periodo indicato a non aumentare i prezzi dei prodotti che costituiscono il paniere. Esperienze di questo tipo possono rappresentare la base per iniziative maggiormente strutturate.

Invece, credo meno in un ruolo delle Camere di commercio sul versante delle rilevazioni statistiche dei prezzi al consumo né, tanto meno, come censore degli esercizi meritevoli e non. Non servono altri numeri per analizzare un fenomeno che già si conosce, occorrono idee e proposte di lavoro per evitare che situazioni congiunturali producano danni di tipo strutturale ai quali sarebbe difficile porre rimedio.
 

piergj

Forumer attivo
il FOI e i Mutui

Mi spiace costatare che avevo ragione io. Il FOI era nato con intenti ben precisi. Avrebbe dovuto misurare l'inflazione di quel particolare spaccato sociale. La famiglia con reddito da lavoro dipendente. Se si considera che sono i fruitori della maggioranza delle erogazioni di mutuo per acquisto prima casa (dato medio delle scadenze erogate al 2008 nel mio istituo non ce l'ho al momento ma ti assicuro che supera i 20 anni) e che quest'ultimo venga ideato come investimento.

Ora la corretta prassi contabile di un Bilancio famigliare è considerare la casa come investimento soltanto al netto dei debiti contratti per acquistarla. E' altrettanto prassi contabile corretta quella di considerare gli interessi pagati sulle rate di finanziamenti immobiliari, come una voce di costo paragonabile all'affitto.

le cose cmabiano di molto i dati del Foi

Saluti

Pierluigi
 

MrSpock

Lunga vita e prosperità
Mi spiace costatare che avevo ragione io. Il FOI era nato con intenti ben precisi. Avrebbe dovuto misurare l'inflazione di quel particolare spaccato sociale. La famiglia con reddito da lavoro dipendente. Se si considera che sono i fruitori della maggioranza delle erogazioni di mutuo per acquisto prima casa (dato medio delle scadenze erogate al 2008 nel mio istituo non ce l'ho al momento ma ti assicuro che supera i 20 anni) e che quest'ultimo venga ideato come investimento.

Lo scopo con cui è nato il FOI è certamente quello, ma come spiega molto bene il testo riportato da "negusneg" nessuna media può indicare quale è esattamente l'inflazione di tutti.
E questo è ovvio, è l'essenza stessa di una media che ha altri scopi rispetto a quello di essere applicata a tutti.
Potrebbe anche non esistere persona in italia che abbia subíto esattamente l'inflazione calcolata : restando ai polli, se 1000 persone mangiano 2 polli e altre 1000 persone ne mangiano 0, mediamente tutti ne hanno mangiato 1, ma nessuno realmente ha mangiato 1 solo pollo.

Se tu volessi realmente calcolare la *tua* inflazione dovresti prelevare i dati ISTAT scorporati con i dati relativi a ogni componente del paniere (dati che sono recuperabili sul sito) e rielaborarli modificando i pesi in base alla tua particolare posizione.

Ora la corretta prassi contabile di un Bilancio famigliare è considerare la casa come investimento soltanto al netto dei debiti contratti per acquistarla. E' altrettanto prassi contabile corretta quella di considerare gli interessi pagati sulle rate di finanziamenti immobiliari, come una voce di costo paragonabile all'affitto.

le cose cmabiano di molto i dati del Foi

Vero, ma i mutui non sono inseriti di proposito negli indici in quanto creerebbero un effetto boomerang. Mi spiego meglio :
Gli adeguamenti degli affitti per chi non ha una casa di proprietà sono effettuati basandosi sull'indice ISTAT FOI. Un inserimento dei mutui sulla prima casa nel FOI avrebbe l'effetto di farlo lievitare, ma avrebbe il controeffetto di far aumentare anche gli affitti andando ad incidere sulle categorie già più deboli che andrebbero a subire una inflazione ancora maggiore.
E questo sarebbe in contraddizione con lo scopo del FOI.

Vorrei solo aggiungere una cosa a riguardo del possedere o meno una casa di proprietà (io rientro nel primo caso). E' vero che si ha un risparmio secco dal non pagare un affitto, ma vanno ad aggiungersi altre spese che quando si paga l'affitto non ci sono : spese straodinarie, ICI (o meglio ex-ICI), maggiore reddito presunto e quindi maggiori tasse e peggiori condizioni laddove il pagamento si basa sul reddito (reale e presunto).

X Esempio : se hai una casa tua indipendente e devi rifare il tetto, sono tutti soldi che escono dalle tue tasche. Se sei in un condominio e paghi l'affitto si socializza la spesa. Senza contare le maggiori spese che si hanno di riscaldamento, manutenzione, ecc...

Difficile quantificare di quanto si sposti la lancetta, ma non è tutto oro quello che luccica, vantaggi e svantaggi si trovano sempre da entrambe le parti.

Massimo
 

MrSpock

Lunga vita e prosperità
Porto un ulteriore contributo alla discussione che personalmente ho trovato molto convincente (salvo la parte finale, di carattere più "sindacale-corporativo") e che fra l'altro aiuta a capire meglio "che cosa è e che cosa non può essere" il dato di inflazione calcolato dall'Istat.

Il testo che hai riportato, che condivido in pieno, riassume decisamente bene i concetti che ho cercato di esprimere nei miei precedenti post.

Massimo
 

negusneg

New Member
Mi spiace costatare che avevo ragione io. Il FOI era nato con intenti ben precisi. Avrebbe dovuto misurare l'inflazione di quel particolare spaccato sociale. La famiglia con reddito da lavoro dipendente. Se si considera che sono i fruitori della maggioranza delle erogazioni di mutuo per acquisto prima casa (dato medio delle scadenze erogate al 2008 nel mio istituo non ce l'ho al momento ma ti assicuro che supera i 20 anni) e che quest'ultimo venga ideato come investimento.

Ora la corretta prassi contabile di un Bilancio famigliare è considerare la casa come investimento soltanto al netto dei debiti contratti per acquistarla. E' altrettanto prassi contabile corretta quella di considerare gli interessi pagati sulle rate di finanziamenti immobiliari, come una voce di costo paragonabile all'affitto.

le cose cmabiano di molto i dati del Foi

Saluti

Pierluigi

Il problema che citi è risaputo da tempo e a mio parere è uno dei principali motivi per cui il dato dell'inflazione viene percepito come non realistico.

In realtà il dato Istat è una misura della media ponderata delle variazioni dei prezzi di BENI E SERVIZI.

Quasi tutti i paesi sono d'accordo (con la rilevante eccezione degli Usa, se non ricordo male) nel considerare l'acquisto della abitazione in cui si abita come un bene patrimoniale o di investimento.

In più, il fatto che ormai l'80% degli italiani viva in abitazioni di proprietà, fa sì che statisticamente l'incidenza degli affitti, calcolata sul totale del campione, cioè anche su chi l'affitto non lo paga, sia inevitabilmente poco rilevante.

In tutti questi anni chi abitava in affitto ha subito un incremento del costo della (sua) vita inevitabilmente più alto di quanto rilevato dall'inflazione media calcolata dall'Istat, penso ad esempio a chi vive una grande città del nord e ha visto il costo dell'affitto arrivare ad assorbire un terzo, o addirittura la metà e oltre del suo reddito.

D'altronde non vedo perchè, se uno decide di acquistare la casa e improvvisamente si trova a pagare una notevole quota del suo stipendio per le rate del mutuo questo debba necessariamente implicare un incremento del livello dei prezzi di beni e servizi consumati, posto che il maggior costo sostenuto è al servizio di un incremento della ricchezza patrimoniale personale più che all'utilizzo di un bene di consumo.

Vi è poi un altro aspetto della questione che occorre sottolineare. Come ben sa chi possiede immobili da affittare, in questo momento è assai difficile rinnovare i contratti senza concedere qualche sconto (i prezzi medi degli affitti stanno lentamente calando da circa un anno). Mentre chi acquista casa o paga le rate di un mutuo sta vedendo le rate calare in modo sensibile.

Quello che ieri era un effetto negativo sul tenore di vita di chi vive in affitto o ha un mutuo da pagare, oggi si sta tramutando in un effetto positivo.

La domanda allora sorge spontanea: vi sembra giusto includere nel calcolo dell'inflazione voci che dipendono più dall'andamento del mercato di beni patrimoniali (come sono gli immobili) che dall'effettiva variazione dei prezzi dei beni e dei servizi consumati? O questo introdurrebbe una distorsione ancora più grave?
 

Yunus80

Del PIG non si butta nulla
La quota capitale che si paga con la rata del mutuo può buon diritto essere considerata un investimento, con quel che ne consegue. Mi lascia però perplesso che si consideri allo stesso modo la quota di interessi, pagata alla banca per quello che è a tutti gli effetti un servizio (il prestito) e che non contribuisce in alcun modo ad aumentare la ricchezza personale, mentre indide non poco sul costo della vita. Continuo a pensare che questo aspetto andrebbe considerato in un indice che vorrebbe essere rappresentativo del costo della vita per famiglie con reddito dipendente, molte delle quali un mutuo ce l'hanno, eccome...
 

piergj

Forumer attivo
Sono solo un ragioniere

...per cui mi limito ad osservare, e vedo che non l'unico a pensarla così, che il valore NETTO di un ivestimento immobiliare da iscrivere come ricchezza personale è quella parte non acquistata a prestito.

E' proprio con l'effetto leverage che si è contata la rcchezza più di una unità. E' il guaio di questa società eccessivamente finanziarizzata. Se l'immobile vale 100 , ed ho contratto debito 100 per acquistarlo. L'immobile non è mio. Lo diventa mano mano che scorporo la quota capiate in ammortamento sulle rate ONORATE e la parte interessi grava come costo sul conto economico e non quello patrimoniale. Per cui gli oneri finanziari 8cioè interessi sui mutui) vanno calcolati come uscita corrente . La quota capitale del debito va iscritta tra le passività a parziale storno del valore del cespito iscritto nel bilancio. per cui è mio solo quello che ho pagato con i miei contanti e ciò che ho "liberato" con le quote capitale onorate pagando le rate di mutuo. Non è mia la parte di immobile ipotecata ancora da pagare.

per cui se oggi ottengo un mutuo 100% valore pagato (non infrequente soprattutto nel triennio 2004-2007) io non sono propietario di un immobile di x migliaia di euro. Ancora no. Difatti non ne posso disporre, non lo posso vendere e non incasserò io il ricavato. E' della Banca.

Scusate ma sono solamente un ragioniere. Poi a quanto sembra se l'indice FOI abbiamo tutto questo terrore a farlo lievitare (aumentando la componente relativa al costo abitazione acquistata via finanziamenti) significa ignorarne l'effettiva ricaduta sulla capacità spendere reddito della famiglia. Per cui disinguerei :

Componente quota capitale (scindendola tra autofinanziata e finanziata da terzi)
Componenete quota interessi (imputandola tra le partite correnti) per cui tra i costi che generano inflazione. perchè tutti sappiamo che esiste un rapporto tra tassi di ineteresse e spesa per la prima casa indissolubile.

Saluti

Pierluigi
 

piergj

Forumer attivo
E' ufficioso

Ufficio crediti, direzione generale, responsabile crediti e consulente crediti.

davanti ad un caffè :

- 2 mutui su 3 a richiedenti con redditi da lavoro dipendente

- stragrande maggioranza prima casa

- evitiamo di finanziare il 100% , ma in media siamo al 60-70% finanziato

- E' errore contabile iscrivere in Bilancio famigliare il valore dell'immobile senza averlo rettificato della quota Capitale di debito contratto per acquistarlo. Il valore da iscriviere è sempre quello netto, cioè dopo il primo giorno di acquisto per un mutuo finanziato al 100% = zero.

davanti un caffè.

Siamo all'interno di una delle più grandi banche retail di europa.

Stop

Pierluigi
 

negusneg

New Member
May 7, 2008
Economic Scene
Seeing Inflation Only in the Prices That Go Up

By DAVID LEONHARDT
Next week, the Bureau of Labor Statistics will release its monthly report on inflation, and it sure is going to sound strange. Wall Street is expecting the bureau to announce that the Consumer Price Index rose just three-tenths of a percentage point in April. Over the last year, the index has risen only about 4 percent.
I’m guessing that doesn’t square with your sense of reality.
In my household, we just broke the $60 barrier for filling up our gas tank. Nationwide, the price of bananas is up almost 20 percent over the last year, while eggs are up 35 percent. Costco and Sam’s Club recently began rationing rice, to prevent hoarding. All the while, some of the big-ticket items that have been getting more expensive for years — like health care and college — just keep on getting more so.
This contrast between the official government statistics and day-to-day reality has led to a boomlet in skepticism about what the government is up to. Last month, when I did an online Q. and A. with Times readers, I got three separate, thoughtful questions about — of all things — how the inflation rate is calculated. The current cover story in Harper’s, called “Numbers Racket: Why the Economy Is Worse Than We Know,” deals with the same subject. Written by Kevin Phillips, the Nixon aide turned left-leaning commentator, it concludes that the real inflation rate “is as high as 7 or even 10 percent.”
This isn’t just an academic discussion about numbers, either. The Consumer Price Index helps determine the size of Social Security checks and affects annual raises at many companies. If the index is wrong, senior citizens and workers are being cheated, and the economy is indeed much worse than we know.
So what’s going on here?
To answer that question, it helps to go back a few years, to a time when trips to the supermarket didn’t induce sticker shock. In 2003, a pound of hamburger cost all of $2.20. More than two decades earlier, in 1980, it cost $1.86, which means that the nominal price of burger meat rose only 18 percent over a period in which the nominal hourly pay of the typical American worker rose 150 percent.
Similar stories can be told about eggs, bananas, bread and frozen orange juice. Food was getting cheaper relative to everything else, as Neil Harl, an agriculture professor at Iowa State University, explained to me, because of a combination of government subsidies, global trade and the rise of industrial farms.
During the 1980s and 1990s, though, did you ever stop and marvel at what a small share of your paycheck you were spending at the supermarket? I didn’t. I also didn’t really notice that gas cost less in the late 1990s than it had in the 1980s. Yet lately, every time my wife or I pass a new benchmark for filling up our tank — $40, $50 and now $60 — we have a conversation about it.
Price increases are simply more noticeable — more salient, as psychologists would say — than price decreases. Part of this comes from the notion of loss aversion: human beings dislike a loss more than they like a gain of equivalent size. If you have to sell your house for less than you bought it for, you’re really unhappy. You hate that ground chuck now costs $2.83 a pound, but you didn’t notice that oranges are 31 percent cheaper than they were a year ago.
There is also something particular to inflation that aggravates loss aversion. Price increases are obvious. But price declines are often hidden. The cost of an item stays about the same for years, while everything else gets more expensive and nominal incomes rise.
When you dig into the Consumer Price Index, you start to realize just how many things fall into this category. The price of major appliances has been flat over the last year. Furniture is 1 percent less expensive. A decade ago, a basic four-door Toyota Corolla LE cost $16,018, according to the company. The 2009 basic model costs $16,650, and it’s a safer, more powerful, more fuel-efficient car than its predecessor.
To top it all off, most people don’t buy any of these items very often. “People tend to remember things they do frequently,” says Stephen Cecchetti, an economist at Brandeis University who studies inflation. “And what do you buy more frequently than gas and food?”
But combine the less noticeable trends with some true price declines, like a 5 percent drop in women’s clothing over the last year, and an inflation rate of 4 percent starts to seem more reasonable. Inflation really has gotten worse recently — it was only 2 percent a year and a half ago — but it’s not as bad as it feels.
The conspiracy theories about inflation play off these human instincts, but they also depend on two other oddities. The first is the amount of attention given to the so-called core inflation rate. This is a version of inflation that excludes food and energy, which makes it a little like a grade point average that excludes math and French.
The core inflation rate does have a purpose. Its movements help Federal Reserve officials base interest rates on underlying price trends, instead of being overly influenced by food or gas prices, both of which can be volatile. But when Ben S. Bernanke, the Fed chairman, talks publicly about core inflation, he can leave the impression that the government is cooking the books. In fact, all the important economic indicators, including real wages, are based on overall inflation, as are Social Security checks and cost-of-living raises.
The final piece of the puzzle — and the focus of the Harper’s article — is the way that the Bureau of Labor Statistics has changed the price index recently. Back in the mid-1990s, a committee of academic economists concluded that the Consumer Price Index overstated inflation. To take just one example, years would often pass before the index included new products — like cellphones — and therefore it missed the enormous price declines that occurred shortly after those products entered the mainstream.
In response, the bureau tweaked the index. But economists who have studied the changes say they have had only a modest effect on the inflation rate, lowering it by perhaps a half point a year. More to the point, the changes seem to have made the index more accurate than it used to be.
“It’s about as accurate as anybody is going to get it,” Mr. Cecchetti said.
That said, there is one way in which the official numbers were clearly understating inflation. To track housing costs, the Consumer Price Index analyzes rents, not home prices. (Why? Long story.) And rents didn’t go up anywhere near as much as house prices during the real estate boom. So the index missed the huge run-up in home values that made life harder on anyone trying to buy a first home.
Since 2006, of course, home prices have been falling. But rents have kept rising slowly, which means that, as far as the Consumer Price Index is concerned, housing has somehow gotten more expensive during the real estate crash.
So when the new inflation numbers come out next week, they will indeed be misleading. They will be artificially high.
Donna Anderson contributed to this column. E-mail: leonhardt
@nytimes.com
 

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