Macroeconomia Inflazione: cos'è, cosa dovrebbe essere, cosa non è, cosa non potrà mai essere. (1 Viewer)

ceni

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Eurozona: Ocse Stima Inflazione 2009 a +1,4% e 2010 a +1,3%

(ASCA) - Roma, 25 nov - L'Ocse vede inflazione in calo nell'Eurozona. Per il 2009, il tasso di inflazione atteso a +1,4% nel 2009 e a +1,2% nel 2010. Per il 2008 confermata la previsioni di +3,4%.


Martedì 25 Novembre 2008, 11:41
 

ceni

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Trichet: «L'inflazione rimarrà elevata, il miglioramento nel 2009»
L'inflazione rimarrà probabilmente elevata per un certo tempo e una moderazione graduale arriverà solo nel corso del 2009». La crisi finanziaria legata ai mutui «è un processo ancora in corso sul quale bisogna essere estremamente attenti in modo permanente». Così il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, di fronte al Comitato affari economici e monetari del Parlamento europeo. Trichet ha spiegato che l'outlook economico sconta ancora i rischi di un rallentamento, mentre le pressioni inflative potrebbero spingere i prezzi al rialzo.

Sul fronte della crescita si sta assistendo a «un episodio di debolezza», che però secondo la Bce verrà seguito da «una graduale ripresa nel 2009, in particolare se proseguirà il rientro dei prezzi petroliferi», ha aggiunto Trichet. «La maggior parte delle analisti indica che avremo un graduale recupero» del ciclo economico «nei prossimi anni». Il recupero seguirà un secondo trimestre giudicato da Trichet «molto debole» e un terzo trimestre previsto «debole». La scorsa settimana il Consiglio direttivo della Bce ha confermato al 4,25% il livello dei tassi di interesse in vigore per l'area dell'euro. Riprendendo quanto spiegato a seguito della decisione del Consiglio, Trichet ha detto agli eurodeputati che la Bce ritiene che il livello attuale del costo del danaro sia «idoneo a contribuire» a riportare l'inflazione verso i valori obiettivo (2% di crescita annua sulla media di 18-24 mesi).

Per quanto riguarda le nuove regole sui collaterali, Trichet ha detto che «non danneggeranno» la capacità delle banche di ottenere liquidità sul mercato.

Sul prezzo delle materie prime ha detto: «Nessuno ha nulla da guadagnare dal persistere della volatilità del prezzo del petrolio» e da una eventuale stabilizzazione «a livelli elevati» non accettabili, «nè il fronte dell'offerta, nè quello della domanda». Trichet ha concluso: «E' necessario capire meglio l'impatto degli investimenti finanziari sul prezzo delle materie prime, anche se non devono diventare un capro espiatorio».


...beh, che nessuno abbia nulla da guadagnare ho seri dubbi...:eek:
 

ceni

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Trichet: «L'inflazione rimarrà elevata, il miglioramento nel 2009»
L'inflazione rimarrà probabilmente elevata per un certo tempo e una moderazione graduale arriverà solo nel corso del 2009». La crisi finanziaria legata ai mutui «è un processo ancora in corso sul quale bisogna essere estremamente attenti in modo permanente». Così il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, di fronte al Comitato affari economici e monetari del Parlamento europeo. Trichet ha spiegato che l'outlook economico sconta ancora i rischi di un rallentamento, mentre le pressioni inflative potrebbero spingere i prezzi al rialzo.

Sul fronte della crescita si sta assistendo a «un episodio di debolezza», che però secondo la Bce verrà seguito da «una graduale ripresa nel 2009, in particolare se proseguirà il rientro dei prezzi petroliferi», ha aggiunto Trichet. «La maggior parte delle analisti indica che avremo un graduale recupero» del ciclo economico «nei prossimi anni». Il recupero seguirà un secondo trimestre giudicato da Trichet «molto debole» e un terzo trimestre previsto «debole». La scorsa settimana il Consiglio direttivo della Bce ha confermato al 4,25% il livello dei tassi di interesse in vigore per l'area dell'euro. Riprendendo quanto spiegato a seguito della decisione del Consiglio, Trichet ha detto agli eurodeputati che la Bce ritiene che il livello attuale del costo del danaro sia «idoneo a contribuire» a riportare l'inflazione verso i valori obiettivo (2% di crescita annua sulla media di 18-24 mesi).

Per quanto riguarda le nuove regole sui collaterali, Trichet ha detto che «non danneggeranno» la capacità delle banche di ottenere liquidità sul mercato.

Sul prezzo delle materie prime ha detto: «Nessuno ha nulla da guadagnare dal persistere della volatilità del prezzo del petrolio» e da una eventuale stabilizzazione «a livelli elevati» non accettabili, «nè il fronte dell'offerta, nè quello della domanda». Trichet ha concluso: «E' necessario capire meglio l'impatto degli investimenti finanziari sul prezzo delle materie prime, anche se non devono diventare un capro espiatorio».


...beh, che nessuno abbia nulla da guadagnare ho seri dubbi...:eek:
 

.il principe

Nuovo forumer
sul sole 24 ore di oggi si analizza come in realtà l'inflazione sia rimasta in america oltre il 4% e che quella core, escludendo quindi le componento più volatili quali cibo ed energia, sia ancora in leggera crescita; io un pensierino su titli legati all'inflazione lo farei.........
:D:D:D:D
 

ceni

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negusneg

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WHATS BEHIND INFLATION PERCEPTIONS”? A SURVEY-BASED ANALYSIS OF ITALIAN CONSUMERS

(COSA DETERMINA LE PERCEZIONI DINFLAZIONE”? EVIDENZA DA UNINDAGINE PRESSO I CONSUMATORI ITALIANI)

Paolo Del Giovane, Silvia Fabiani e Roberto Sabbatini (Banca d’Italia)

Tema di discussione n. 655, gennaio 2008

Sommario non tecnico


Lo studio indaga le percezioni d’inflazione dei consumatori italiani (ovvero le opinioni individuali sull’evoluzione dei prezzi) e i meccanismi sottostanti la loro formazione.
Sebbene questo tema abbia ricevuto grande attenzione soprattutto dopo l’introduzione del contante in euro (all’inizio del 2002), la sua
rilevanza va ben oltre questo specifico evento: a distanza di sei anni resta radicata nell’opinione pubblica la convinzione che la dinamica dei prezzi al consumo sia nettamente superiore a quella misurata dalle statistiche.
L’analisi si basa su uno specifico sondaggio, condotto nel dicembre 2006 presso un campione rappresentativo di 1.000 consumatori, che raccoglie informazioni sull’inflazione percepita e su un’ampia gamma di caratteristiche individuali che possono influenzarla. Vengono rilevati la situazione socio-demografica dell’intervistato, la conoscenza dell’inflazione e delle statistiche che la misurano, fattori di natura mnemonica e psicologica, la condizione economica della famiglia di appartenenza e i comportamenti di spesa.
Il lavoro fornisce un contributo originale alla letteratura sull’argomento da diversi punti di vista: l’approccio metodologico consente di valutare congiuntamente l’importanza relativa dei vari fattori che guidano le percezioni; la prospettiva va oltre il caso specifico
dell’introduzione dell’euro; l’inflazione percepita viene misurata non solo in termini qualitativi (come nell’indagine presso i consumatori coordinata dalla Commissione europea e condotta in Italia dall’ISAE), ma anche quantitativi e con riferimento a diversi panieri di spesa.
I risultati mostrano che alla fine del 2006, un anno non contraddistinto da eventi o fenomeni inflazionistici di carattere eccezionale,
gran parte dei consumatori italiani riportavano percezioni d’inflazione elevate. In particolare, con riferimento ai precedenti dodici mesi, un terzo del campione rispondeva che i prezzi erano “aumentati molto” e circa la metà che erano “aumentati abbastanza”. Le corrispondenti valutazioni quantitative erano in media del 18 per cento per l’intero campione, molto distanti dal 2 per cento misurato per lo stesso periodo dall’Istat.
Le opinioni individuali risultano significativamente correlate con le caratteristiche socio-demografiche e con le condizioni economiche. In particolare, se si considerano le valutazioni quantitative, le donne riportano una percezione d’inflazione pari a circa il doppio di quella degli uomini (un risultato già riscontrato in precedenti studi sugli Stati Uniti); una differenza simile si rileva tra i consumatori meno istruiti e il resto del campione. L’inflazione percepita è nettamente più elevata per chi appartiene a famiglie in condizioni di difficoltà economica, misurata dalla necessità di attingere ai risparmi o far debiti per fronteggiare le spese mensili, dal numero relativamente ridotto di componenti della famiglia che percepiscono un reddito e dall’incidenza sul reddito dell’eventuale canone di locazione pagato per l’abitazione di residenza.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, le differenze osservate tra le varie categorie di consumatori non risultano significativamente correlate con la composizione dei rispettivi panieri di consumo e con i comportamenti di spesa individuali, quali ad esempio la ricerca dell’offerta più vantaggiosa o la tipologia distributiva (ad esempio piccola o grande distribuzione, discount, ecc.) cui si ricorre più di frequente.
Per quanto riguarda i fattori di conoscenza e mnemonici, le percezioni d’inflazione più elevate (ovvero le risposte “i prezzi sono molto aumentati”) risultano correlate con una scarsa familiarità con il concetto di inflazione e con le statistiche utilizzate per misurarlo; inoltre, tali percezioni sono più diffuse tra gli intervistati che mostrano un ricordo più impreciso dei prezzi passati.
Nell’insieme, questi risultati suggeriscono che quando i consumatori esprimono le loro opinioni su ciò che essi percepiscono come “inflazione”, sono orientati in questo giudizio anche da fattori riguardanti caratteristiche personali e da fenomeni che, seppure di natura economica, non sono direttamente collegati con l’inflazione. In particolare, alcuni risultati — ad esempio le percezioni d’inflazione più elevate tra i consumatori in condizioni di difficoltà economica — sembrano suggerire che in vari casi si attribuisca all’inflazione una perdita di potere d’acquisto connessa con altre cause, in primo luogo una crescita dei redditi nominali in Italia negli anni recenti complessivamente modesta e fortemente diversificata tra le categorie di lavoratori. Questa interpretazione appare anche coerente con l’assenza, negli anni recenti, di drastiche riduzioni o modifiche nei comportamenti di spesa, quali si dovrebbero osservare nel caso in cui i consumatori fossero davvero convinti di fronteggiare un’inflazione annuale di quasi il 20 per cento e basassero le proprie scelte quotidiane di spesa su tale valutazione.
Nell’interpretazione dei risultati va sottolineato che il lavoro si basa su un sondaggio condotto alla fine del 2006, anno in cui, come già ricordato, non si sono registrati eventi o fenomeni inflazionistici eccezionali (tale scelta risponde all’obiettivo dello studio di individuare i fattori che guidano le percezioni d’inflazione in periodi “normali”). Un analogo sondaggio condotto oggi, in presenza di forti rincari di molti beni di largo consumo, energetici e alimentari, potrebbe fornire indicazioni in parte diverse, tra cui in particolare un più stretto legame tra la percezione individuale d’inflazione e la composizione del paniere personale di consumo.


http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td08/td655_08/td655/en_tema_655.pdf
 
Ultima modifica:

Jessica.

out of time...
abbiamo parlato di debito pubblico, di banche centrali...e del loro rapporto con l'inflazione
Credo che anche ''questo'' debba essere messo in relazione .

PS ... non la so rimpicciolire (ne la banconota ne l'inflazione )


il signoraggio in teoria considera solo l'interesse che la banca centrale applica allo stato per il prestito della banconota:) (appunto su 100 e non su 0,30...)
Che poi si voglia considerare i bilanci delle banche centrali ...."artefatti" ...questa e' altra storia.:specchio:
 

negusneg

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www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 16-11-02


Inflazione: cosa non va nel metodo Istat

di Aldo Carra

Mai, credo, lo scarto tra inflazione “percepita” e inflazione “rilevata” è stato così ampio. Se quest’ultima oscilla intorno al 2,5%, la percezione largamente diffusa si colloca tra l’8 e il 10%: uno scarto di tre, quattro volte. Un fenomeno così clamoroso non poteva non produrre attrito tra associazioni dei consumatori e Istat; fortunatamente, le associazioni hanno imboccato la strada delle proposte costruttive e l’Istat quella della disponibilità a “migliorare-cambiare-integrare”. Perché la strada intrapresa sia produttiva di risultati occorrerà prendere atto, da un lato, dei limiti della percezione e, dall’altro, dei limiti della rilevazione.
L’inflazione percepita dalle persone, proprio per la componente implicita di soggettività e di sensazione, incorpora due distorsioni.
La prima è connessa alla linearità della crescita. Un aumento dei prezzi lineare, lento e progressivo, che dopo dodici mesi si traduca in prezzi più elevati del 3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, quasi non viene percepito. Un aumento improvviso del 3%, seguito da una stabilizzazione, anche se in ragione di anno, produce lo stesso effetto: viene percepito ma, nel vissuto soggettivo, si amplifica, anche per la preoccupazione che l’impennata possa ripetersi. Lo “scalino” dell’euro ha certamente prodotto questo effetto.
Una seconda distorsione nella percezione è data dalla frequenza d’acquisto dei prodotti, quasi a prescindere dal loro valore. Se beni di uso quotidiano, spesso di scarso valore, non aumentano e crescono invece i beni di uso meno frequente (auto, mobili, alberghi ecc.) la percezione dell’inflazione è “debole”. Se, invece, avviene il contrario la percezione è “forte”.
In questi ultimi mesi sono aumentati i prezzi di frutta, ortaggi, caffè, giornali e il consumatore è stato ed è ancora sottoposto a una dose giornaliera di aumenti e alla quotidiana constatazione che i beni che compra abitualmente costano di più rispetto all’ultima volta che lo ha fatto. Questo “stress da inflazione” si è intrecciato con lo “stress da euro”, facendo diventare azioni quotidiane, piacevoli e rilassanti, come prendere un caffè e un giornale, appunto “stressanti”.
Detto questo, però, occorre prendere atto che quando una percezione è così massicciamente diffusa (credo non esista persona che ritenga che i prezzi sono aumentati solo del 2,4%) c’è qualcosa che non va, ci sono limiti anche nella rilevazione.
C’è innanzitutto un limite strutturale d’“inerzia” che è connaturato alle modalità stesse con cui la rilevazione dei prezzi viene effettuata.
La rilevazione ogni mese di 300mila quotazioni di prezzi, in 25mila punti vendita, attraverso strutture comunali non sempre adeguate e giustamente remunerate, ha in sé implicito il rischio della mancata rilevazione e della ripetizione del dato precedente. Se sui novantaquattro capoluoghi che dovrebbero fare la rilevazione ce ne sono ben venti che non la fanno per niente, ce ne saranno venti o poco più che la faranno benissimo, ma è probabile che in un numero consistente di Comuni la rilevazione sia vissuta come un peso; di conseguenza difficilmente i dati forniti riescono a rispecchiare l’effettiva dinamica dei pezzi.
D’altra parte, la tecnica di ripetere i valori precedenti, quando ci sono difficoltà, è anche avallata dall’Istat, che nelle stesse istruzioni emanate stabilisce che le “omissioni occasionali di rilevazione vengono trattate come assenza di variazione di prezzo”. Inoltre l’Istat stesso adotta metodi “appiattenti”, ripetendo il prezzo precedente quando la rilevazione non viene eseguita (non si capisce perché non si introducano algoritmi che scelgano, quantomeno, i tassi medi di crescita di prodotti analoghi o di province vicine).
Un effetto inerziale ulteriore e che si cumula col precedente, è il secondo limite della rilevazione: l’adozione di una struttura di pesi annuale. La conseguenza di questa metodologia è che i prezzi dei prodotti vengono rilevati anche quando i prodotti non sono sul mercato (ad esempio il cappotto in estate); in questo caso il prezzo è, per forza di cose, stazionario e si produce l’effetto di comprimere la variazione dei prezzi dei prodotti sul mercato che sono quelli che le persone consumano in quel dato mese.
Anche qui l’Istat non dovrebbe avere problemi a costruire una struttura mensile che rispecchi il fatto che a ottobre i libri scolastici pesano più che negli altri mesi come ad agosto pesano di più le spese per alberghi ecc.
L’adozione delle misure suggerite e, soprattutto, una riorganizzazione dell’indagine (affrontando problemi come ruolo dei Comuni e dell’Istat, risorse e rilevatori, nuove tecniche di utilizzo anche dei registratori di cassa ecc.) possono migliorare il dato rilevato e, forse, avvicinarlo a quello percepito. È certo però che la distanza potrà accorciarsi ma non scomparire. Rimane, perciò, il problema di come fornire indicatori e analisi che siano più in sintonia con la percezione soggettiva delle persone.
Due integrazioni sono, a mio parere, necessarie per risolvere questo problema. La prima riguarda il paniere, cioè la struttura di ponderazione.
Una realtà sociale differenziata non può essere rappresentata con un solo indicatore. Servono più panieri, pochi, ma che rispecchino le diverse percezioni che le diverse tipologie di famiglie hanno. E attenzione, non basta parlare di diverse fasce di reddito. Ciò che rende diversa la struttura dei consumi di una famiglia rispetto a un’altra non è solo/tanto il livello del reddito, ma la “condizione specifica”. Avere la casa di proprietà o pagare l’affitto, avere tre bambini in età scolare o nessuno, essere soli o avere persone a carico, sono fattori che producono spesso più differenze nei consumi di quante non ne producano le diverse disponibilità di reddito.
E infine un ultimo suggerimento-proposta. L’Istat presenta i dati con diversi livelli di aggregazione, associando i singoli prodotti a gruppi di voci di spesa (alimentari, abbigliamento ecc.) Come si è detto, nella percezione delle persone non conta tanto se crescono gli alimentari o le spese ricreative, ma se crescono o no le spese quotidiane o quelle stagionali (libri scolastici, vacanze ecc.) o quelle straordinarie pluriennali (auto, mobili ecc.). E nella percezione, al di là dei valori di spesa, le prime influiscono più delle seconde, e le seconde più delle terze.
Perciò sarebbe il caso di elaborare indicatori che rispecchino queste tipologie di spesa. Sono convinto che se si dicesse che le spese quotidiane sono aumentate del 7% (cosa che si ottiene aggregando voci di capitoli diversi come ortaggi, frutta, caffè, giornali, cinema ecc.) la distanza tra inflazione percepita e inflazione registrata si accorcerebbe-annullerebbe. Sarebbe un bel risultato per il prestigio dell’Istat, per la funzione delle associazioni dei consumatori e, soprattutto, per i cittadini.

(Rassegna sindacale, n. 38, 22 ottobre 2002)
 

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