Incisioni antiche e moderne: Galleria di immagini (9 lettori)

vecchio frank

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Estratto da: David Hockney, di Marco Livingstone, Rusconi 1988 (originariamente pubblicato da Thames and Hudson, 1981)
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Sembra che Hockney trovasse difficile indulgere al suo gusto per la narrazione di storie in pittura, forse perché era ancora condizionato dal pregiudizio modernista contrario a una simile prassi, ma nelle grafiche riuscì subito a rappresentare una sequenza di eventi invece che limitarsi alla presentazione d’una situazione statica come nei quadri. Questo è evidente già in alcune delle prime acqueforti, come in quella a fotogrammi di Gretchen e lo Snurl, basata su una fiaba scritta da Mark Berger, e in altre due, del 1961 e 1962, prima testimonianza dell’interesse dell’artista per le fiabe dei fratelli Grimm, che avrebbe illustrato alla fine del decennio in un’elaborata cartella di acqueforti.
Hockney vedeva una logica, sembra, nel raccontare una storia in una grafica in virtù dell’affinità tra linea incisa e parola stampata: “Tutte le prime acqueforti hanno a che fare con la linea, e in qualche modo la linea che racconta la storia sembra attraente, mentre nei quadri hai a che fare con altre cose, i colori, gli effetti tattili, ed è più difficile affrontare la narrazione. Potrei farlo adesso, ma allora era più facile tirarlo fuori in incisione.”
Hockney sapeva, inoltre, che l’uso della grafica per raccontare una storia con una morale aveva una tradizione, come testimonia l’opera di William Hogarth. L’importanza dell’opera di Hogarth è apertamente riconosciuta nella prima grande serie di incisioni dell’artista, La carriera d’un libertino, 1961-63, il cui deciso contenuto narrativo, tratto dalla omonima serie di Hogarth, fu adattato e trasformato facendo riferimento all’epoca e all’esperienza proprie di Hockney. L’idea della serie e di gran parte del suo repertorio di immagini sorse dalla prima visita dell’artista a New York nell’estate del 1961, un viaggio reso possibile dal denaro del primo premio vinto alla mostra del “Graven Image” tenutasi alle R.B.A. Galleries all’inizio dell’anno. L’intenzione originaria di Hockney, quando elaborò i progetti per la serie al ritorno a Londra nell’autunno di quell’anno, era di realizzare otto tavole, lo stesso numero della serie di Hogarth, e titolarle come nella versione settecentesca. Il preside del Royal College, Roger Darwin, lo incoraggiò ad aumentarne il numero di modo che potessero venire anche pubblicate in libro dalla Lion and Unicorn Press del College. Il numero delle lastre fu portato a ventiquattro, ma infine venne raggiunto un compromesso su sedici.
E’ caratteristico dello sviluppo successivo di Hockney che la sua prima grande opera venisse così realizzata in una tecnica grafica, un genere spesso considerato dai pittori di secondaria importanza rispetto al corpus principale del loro lavoro. Tali categorie non sembravano impensierire Hockney, più preoccupato di trovare una tecnica adatta al soggetto; ma ciò che lo preoccupava era l’enorme quantità di lavoro che avrebbe dovuto compiere senza l’aiuto di alcun assistente. Le sedici lastre non vennero terminate prima dell’estate del 1963; furono tutte eseguite a Londra tranne la 7 e la 7A, incise nel 1963 nel corso di una seconda visita a New York. Soltanto alla fine Paul Cornwall-Jones delle Editions Aletco, propose all’artista di pubblicare la serie in forma commerciale. Le tavole, tuttavia, vennero sostanzialmente progettate nel 1961. Per programmare la sequenza fu realizzato qualche disegno preparatorio, ma in generale, essendo l’acquaforte in sé una forma di disegno, Hockney lavorò direttamente sulle lastre.
La carriera d’un libertino rende visivamente conto del rapporto tra la vita e gli interessi personali di Hockney e l’opera cui essi danno origine. L’iconografia è tratta essenzialmente dai suoi viaggi a New York e l’artista registra eventi privati quali visite a bar omosessuali e la tintura dei capelli. Come la serie di Hogarth, è un racconto ammonitore, una messa in guardia rivolta a se stesso e agli altri sulla perdita di identità che si subisce cedendo a pressioni esterne. La distruzione dell’innocenza e dell’individualità, ci viene ricordato, non è semplicemente una questione di moralità personale. In discussione, inoltre, sono anche la corruzione e l’avvilimento dell’arte. Nella tavola 1A, sotto il titolo La riscossione dell’eredità, siamo testimoni della riduzione dell’arte a mera merce, con l’artista che mercanteggia con un collezionista sul prezzo della sua acquaforte Io e i miei eroi. Il fatto che proprio questa incisione rappresenti un’affermazione della presa di posizione etica di Hockney rende la transazione tanto più sordida e avvilente. Altrove Hockney accenna allo sbiadirsi dell’arte, quando si trasforma in stereotipo pubblicitario: è il caso di L’inizio delle spese pazze e l’apertura della porta a una bionda, in cui l’artista confessa di essere tentato dalle promesse d’un sole splendente in eterno e d’una esistenza senza preoccupazioni. Hockney è ben cosciente delle sue debolezze: le palme ondeggianti presentate qui come prodotto della sua fantasia sarebbero state in seguito frequentemente dipinte dal vero.
C’è una deliberata frammentazione nell’iconografia e nella tecnica di queste grafiche, che acquistano un senso solo se si interpretano tematicamente. I riferimenti alla pubblicità lottano col cinema, con la tradizionale iconografia religiosa, e con immagini di scultura monumentale e di architettura del XX secolo. Le immagini stampate in nero ad acquaforte e acquatinta sono accompagnate da superfici granulose stampate in rosso contro zone della lastra incise con la tecnica della granitura allo zucchero. La dissoluzione del libertino è graficamente rappresentata in diverse tavole come un busto senza membra. Nell’ultima della serie esso è indistinguibile dalle altre figure robotiche, tutte disegnate allo stesso modo e schierate come bambole di carta senza lineamenti facciali a indicare una qualche personalità. Isolate dal contatto umano dalle cuffie delle radio a transistor, formano un manicomio in chiave moderna.
 
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vecchio frank

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Qualche immagine riferita al post di cui sopra. Queste due sono scannerizzate dal testo in questione, e sono le due a cui si fa riferimento nello stesso.
Le illustrazioni sono in b/n, ma le parti più scure che si vedono nelle acqueforti/acquetinte sono in realtà in rosso.

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vecchio frank

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Un occhio anche al mercato di Hockney.
Questa è una aggiudicazione del 2017 da Phillips per la cartella in questione ma incompleta.
E' priva di due delle sedici incisioni, proprio le due pubblicate sopra, mi pare.

Mi correggo in modifica: la seconda delle due c'è. Oltre alla prima pubblicata sopra manca l'ultima della serie, quella cui si fa riferimento nell'ultimo paragrafo del testo sopra.


Cattura di schermata (63615).png
 
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vecchio frank

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Infine, una preziosa pubblicazione in pdf dove si possono vedere tutte e sedici le incisioni, a confronto con quelle di Hogarth.
 

Allegati

  • hockney-to-hogarth-resource1.pdf
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vecchio frank

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Estratto da: David Hockney, di Marco Livingstone, Rusconi 1988 (originariamente pubblicato da Thames and Hudson, 1981)
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Prendendosi una vacanza dagli eccessi di naturalismo, Hockney si volse a un progetto cui aveva continuato a pensare dall’inizio degli anni Sessanta, una serie di acqueforti: Illustrazioni per Sei fiabe dei Fratelli Grimm. Nel 1961 e 1962 aveva realizzato due incisioni per Tremotino, ma solo ora si sentì pronto a produrre un’intera serie di tavole. Dopo aver letto le altre duecento fiabe dei Grimm, ne scelse dodici, alcune poco note perché fu la vividezza delle immagini ad attrarlo, e iniziò a comporre disegni preliminari oltre che a incidere direttamente sulle lastre. Ben presto si rese conto che sei fiabe avrebbero dato abbastanza illustrazioni per il volume e si fermò, col progetto di produrre un altro volume in un secondo tempo; per ora non ha intenzione di tornarci, perché impegnato in progetti che lo interessano di più, ma rimane una possibilità. Anche nella sua forma ridotta, il progetto gli prese più di un anno, dal viaggio lungo il Reno nel settembre 1968 per raccogliere particolari architettonici, all’incisione delle lastre a Londra tra maggio e novembre del 1969. Le acqueforti furono stampate nel 1970.

La serie Grimm portò Hockney molto più vicino alle caratteristiche del suo lavoro precedente. Le tecniche deliberatamente convenzionali, anche arcaiche, cui ricorse, come il tratteggio incrociato, rappresentarono una specie di cambiamento d’aria dopo l’estremo naturalismo dei quadri più recenti. La vera passione dell’artista per l’acquaforte come tecnica, e la semplificazione che essa impone all’immagine costringendo a un unico colore e alla sola linea, lo salvarono dagli eccessi cui era incline lavorando su tela.

“Il naturalismo non è mai stato un gran problema nella mia opera grafica, perché per me il mio lavoro grafico ha a che fare coi segni, parte della sua bellezza sono i segni, mentre ero arrivato al punto che non sembravo preoccuparmi granché del segno dipinto. (…) In questo senso mi sembra ci fosse più coerenza nella grafica. In qualche modo sono stato molto più libero che in pittura. In qualche modo era venuto in primo piano una sorta di blocco pittorico. Probabilmente alla fine è il colore acrilico che porta a questo, il suo essere pesante, mentre credo che in qualunque altra cosa, e nell’opera grafica in particolare, ci sia un piacere per la tecnica in sé, acquaforte o litografia. La gioia per la tecnica ti dà gioia, spesso, per lo spirito della cosa”.

L’immaginazione di Hockney fu stimolata, inoltre, dal ritorno a una fonte letteraria; l’ultima volta che aveva lavorato in modo analogo era stato per l’ultima sua importante serie grafica, le illustrazioni Kavafis, tre anni prima. Le fiabe sono opere di collaborazione nel senso che sono passate da persona a persona modificandosi da una narrazione all’altra. Le acqueforti di Hockney si affidano ad analoghe trasformazioni di immagini e tecniche ideate da altri, sottolineando la continuità delle tradizioni pittoriche invece di quelle orali. La maga nella storia di Raperonzolo, ad esempio, è raffigurata nella posa d’una Madonna con Bambino di Bosch, anche se crudelmente deformata dalla vecchiaia e dalla bruttezza. Se non è tanto importante, tuttavia, individuare la fonte nella Epifania di Bosch al Prado, è essenziale riconoscere la mutazione da humor nero subito dal tema della Madonna con Bambino, perché è nella identificazione della maga come vergine che risiede l’interpretazione di Hockney della storia: la donna è tanto brutta che nessuno vorrebbe fare l’amore con lei, e per questo chiede per sé la figlia dei suoi vicini.

Hockney preferì illustrare i racconti con una serie di indimenticabili immagini statiche piuttosto che negli usuali termini di narrazione drammatica. A questo fine attinse deliberatamente all’opera di altri artisti. Per rappresentare il sagrestano in piedi perfettamente immobile di fronte a “uno che se ne andò in cerca della paura”, giocò spiritosamente sull’interpretazione letterale della frase “stette fermo, come di pietra”. Prendendo lo spunto dai dipinti di oggetti dalle superfici rocciose di Magritte, elaborò un’immagine ad effetto nella forma di un gioco di parole visivo. Ricorse a Magritte anche per la storia di Tremotino: per rappresentare l’enormità del compito richiesto alla figlia del mugnaio adattò all’immagine di Una stanza piena di paglia le snervanti alterazioni di scala di certi dipinti del surrealista.

In altre grafiche della serie l’iconografia rimanda all’opera di artisti quali Leonardo da Vinci, Paolo Uccello e Carpaccio, ma è anche in termini di tecnica che Hockney ricorse a soluzioni preesistenti. La gamma di segni che possono essere tracciati all’interno di un particolare genere artistico, afferma, forma una sorta di linguaggio visivo, e ogni artista che ha concepito o perfezionato una particolare tecnica ha il merito di aver arricchito il vocabolario e ampliato la gamma espressiva di quel linguaggio. Se lui attinge ad altri artisti non è perché difetti d’immaginazione o voglia impressionarci con la sua erudizione, ma per controllare il contenuto “emotivo”, esprimendolo nella forma più vivida ed economica possibile. Come meglio trasmettere un senso d’irrazionalità che attraverso la densa e drammatica acquatinta di Goya, o meglio ottenere un’immobilità contemplativa che attraverso le sobrie e delicate ombreggiature a tratteggio incrociato di Morandi? Sfruttando in questo modo qualunque tecnica gli sembri adatta ai suoi scopi, Hockney paga un tributo ai suoi predecessori che hanno dato un contributo all’incisione.

Non fosse altro per il tempo che le acqueforti Grimm gli presero, Hockney ha ragione di considerarle una delle sue opere maggiori. Certamente la serie comprende alcune delle sue invenzioni più poetiche e indimenticabili, e come libro illustrato contemporaneo è senza rivali. Paradossalmente, tuttavia, sono proprio gli elementi cui si deve gran parte del piacere estetico e intellettuale delle acqueforti, l’insistenza sulla bellezza e i costanti riferimenti all’opera di altri artisti, che rivelano i limiti di Hockney. Manca il senso dell’orrore puro. Il distacco tipico dell’artista è spiritoso e acuto nel penetrare i temi sottesi alle fiabe, ma non riesce a trasmetterne l’aspetto più tragico e morboso. Nella Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, che è tra i racconti meno noti scelti da Hockney, egli sembra fondamentalmente incapace di generare un autentico brivido.

Alcune fiabe sottolineano la qualità magica degli oggetti, un’idea che l’artista espone nelle acqueforti presentando gli oggetti isolati dal loro contesto: la rosa, la torre e la pentola di “Fundevogel”, il tornio della Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, i mucchi di paglia e oro di Tremotino. Poltrona, del 1969, uno dei pochi precisi disegni al tratto eseguiti in preparazione della serie, porta ancora più avanti la funzione simbolica. Riportato sulla prima lastra destinata alla Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, dove è intitolato Casa, rappresenta la partenza del figlio dalla sicurezza del suo ambiente. La poltrona è esplicitamente una controfigura del personaggio: l’immagine è presentata nella forma d’un ritratto formale, e i cuscini gualciti rivelano di essere stati lasciati solo da pochi istanti. Il motivo della poltrona doveva ben presto divenire una prediletta metafora umana nell’opera di Hockney, ma nel contesto delle illustrazioni Grimm ogni singola immagine rivendica la nostra attenzione con pari forza, mentre leggiamo il testo, e assume perciò un potente valore di talismano. L’implicazione è che nell’arte figurativa la vera fonte di magia non sta nell’oggetto, ma è il risultato dell’atto della figurazione.
 

vecchio frank

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Estratto da: David Hockney, di Marco Livingstone, Rusconi 1988 (originariamente pubblicato da Thames and Hudson, 1981)
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Come il naturalismo cessò di essere un problema nelle illustrazioni Grimm, così nelle grafiche successive Hockney riuscì ad evitare le difficoltà dell’eccessiva fedeltà alle apparenze che funestavano i suoi dipinti dell’epoca. Peter, acquaforte alta 70 cm d’una figura completa, ricorre a un punto di vista elevato e a due prospettive, una per la metà inferiore del corpo e l’altra per descrivere la figura dalla vita in su. Viste dall’alto, le gambe sembrano atrofizzate dallo scorcio. Il busto, invece, è visto da un angolo meno acuto e la testa direttamente dal davanti. Le proporzioni della figura, anche se sconcertanti in termini naturalistici, corrispondono alla nostra esperienza: è come se guardassimo qualcuno in piedi vicino a noi cominciando da terra e alzando poi lentamente gli occhi verso il volto. L’immagine è quindi un’analogia e una metafora dell’atto dell’artista che studia un altro essere umano.

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