Incisioni antiche e moderne: Galleria di immagini (4 lettori)

vecchio frank

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MUNCH - 5
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Pur avendo iniziato con la tecnica della puntasecca, Munch seppe rapidamente sfruttare le possibilità offerte dall’acquaforte, e già in Consolazione, del 1894, si cimentò un poco con l’acquatinta come complemento alla puntasecca. In tutti i fogli del 1895 utilizzò sempre più spesso la vernice molle, altra tecnica che non sembra avergli creato particolari difficoltà.
Munch praticò una versione semplificata dell’acquatinta. Invece di accollarsi tutto il faticoso lavoro di preparazione delle lastre di rame, si procurava delle lastre di zinco già preparate mediante sabbiatura. Ma la lavorazione della lastre di zinco con la brunitura rappresentava solo la prima parte del procedimento per le stampe a colori. La stessa applicazione del colore era un’operazione quanto mai delicata. Munch utilizzava soltanto una lastra semplice e il colore veniva applicato a mano, probabilmente con dei tamponi (à poupée). Poiché l’applicazione del colore doveva essere ripetuta per ogni copia, era praticamente impossibile ottenere due esemplari perfettamente identici. D’altro canto le lastre di zinco non reggevano tirature elevate e si consumavano rapidamente, per cui la stampa a colori poteva dare una tiratura massima di otto-dieci esemplari per lastra.

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Consolazione, 1894
In alto: puntasecca e acquatinta colorata a mano, 209 x 313 mm.
In basso: puntasecca e acquatinta, stesse misure.

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In alto: A tu per tu, 1895, acquaforte e puntasecca, 204 x 315 mm.
In basso: L’indomani, 1895, puntasecca e acquatinta, 191 x 277 mm.

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Attrazione II, 1895
Entrambe acquaforte e puntasecca, 215 x 315 mm.

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Notte d’estate - La voce,1895
Entrambe puntasecca e acquatinta, 237 x 315 mm. Stupenda!


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Ragazze sul ponte, 1903, acquaforte, 179 x 51 mm.
 

baleng

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Ottimo lavoro, Frank.
L'ultimo Munch Ragazze sul ponte, 1903, è però una puntasecca (e acquatinta, pare)
 

vecchio frank

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MUNCH - 6
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Nell’inverno del 1896 Munch lascia Berlino e si trasferisce a Parigi. Una delle ragioni di questa decisione potrebbe proprio essere individuata nel fatto che si era ormai decisamente dedicato alla grafica e desiderava perciò approfittare dell’esperienza e della tecnica dei grandi incisori d’arte parigini. Una forma molto importante di grafica a colori era costituita dai grandi, sgargianti manifesti litografici che sempre più, per tutto l’Ottocento trovarono ampia diffusione nelle grandi città, a New York come a Londra e a Parigi. Il circo e il teatro adottarono per primi questo mezzo per annunciare le proprie rappresentazioni. A Parigi fu soprattutto Jules Chérét a distinguersi nel campo della litografia a colori e il suo impegno in questo settore ebbe un ruolo determinante. (…) Questa tradizione fu rilevata e ulteriormente sviluppata da molti degli artisti più significativi dal 1890 in poi, il più noto dei quali fu sicuramente Toulouse-Lautrec, con i suoi famosi manifesti per il Moulin Rouge e altri locali di Montmartre negli anni 1892-96. Questa fioritura della litografia era nella sua prima e più vivace fase allorché Munch giunse a Parigi nel febbraio 1896 per approfondire lo studio delle possibilità artistiche della grafica. Il posto che naturalmente gli spettava tra gli artisti in auge dell’epoca è confermato dal fatto che alla cartella di Vollard del 1896 egli partecipò con un foglio, la litografia Angoscia stampata in rosso e nero.

(Gerd Woll: L'opera grafica di Edvard Munch; in "MUNCH", Mazzotta 1985)
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Ecco dunque alcune delle più belle litografie di Munch, anche se a rigor di termine non sarebbero incisioni. Woll comunque, nel classificare le tre principali tecniche grafiche chiama le litografie "incisioni in piano", le acqueforti "incisioni in incavo" e le silografie "incisioni in rilievo".

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Anxiety, 1896, color litograph in black and red on cream card, 412 x 387 mm.
The Epstein Family Collection.

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Vampire II, 1895/1896, lithograph in black with hand coloring and varnish on thick green card, 386 x 557 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Madonna, 1895/1912-1913, color litograph in black, red and light greenish beige, and sawn woodblock or stencil in blue on light golden Japan paper, 600 x 441 mm. National Gallery of Art, Washington.
 

vecchio frank

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MUNCH - 7
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A Parigi Munch apprese anche un’altra delle principali tecniche grafiche: l’incisione su legno o xilografia. All’Esposizione Universale del 1867 erano state esposte a Parigi varie xilografie a colori giapponesi che avevano suscitato un certo interesse. In seguito tali xilografie diventarono oggetto di grande ammirazione ed entrarono in preziose collezioni esercitando, com’è noto, una grande influenza sull’evoluzione dell’arte moderna in Europa. Stranamente il loro influsso diretto sulla grafica – e in particolare proprio sulla xilografia – fu nettamente meno marcato, tanto che è difficile trovarne un’eco prima del 1890. Prima di Munch non erano stati molti gli artisti moderni a servirsi di questa tecnica e il suo intervento in questo campo fu d’importanza determinante per gli sviluppi ulteriori. Alcuni artisti, come per esempio Felix Vallotton, avevano eseguito una serie di xilografie di successo in bianco e nero. Gauguin realizzò nel 1893 alcune xilografie che introdussero una concezione affatto nuova in questa tecnica. Egli utilizzò il legno nel senso della fibra, incidendolo a mano, in modo che le asperità e gli accidenti che ne risultavano divennero una componente fondamentale del prodotto finito. Quando, nel 1895, Gauguin lasciò Parigi per Tahiti, non aveva ancora esposto in pubblico nessuno di quei lavori, affidandole alla custodia del suo vicino William Molard. Nulla sta ad indicare che Munch e Gauguin si conoscessero di persona, ma è evidente che l’arte di Gauguin era familiare a Munch da parecchio tempo (…) e non è inverosimile che egli abbia visto le xilografie di Gauguin prima di cimentarsi in questa tecnica. Comunque non è possibile provare una diretta influenza di Gauguin sulle prime xilografie di Munch, anzi queste sembrano rappresentare piuttosto un’evoluzione del tutto logica rispetto alle sue litografie dello stesso periodo. Le vigorose linee nere del Grido e della litografia Angoscia, per esempio, hanno dato luogo a numerosi malintesi riguardo alla tecnica, e non di rado accade che vengano prese per xilografie. (…) Un buon esempio del modo in cui egli faceva i suoi primi esperimenti xilografici è rappresentato da Chiaro di luna (VEDI SOTTO). Questo lavoro è stato stampato su due tavolette e sui diversi esemplari, stampati a mano, vediamo che il colore, grasso e oleoso, è come dipinto. Alcune di queste stampe manuali furono ricolorate a mano successivamente ed è difficile stabilire con sicurezza quanto è stampato e quanto è dipinto. In altri esemplari delle stesse tavole vediamo un effetto completamente diverso, di un cromatismo più tenue e trasparente: probabilmente Munch era allora passato al metodo giapponese, utilizzando per la xilografia colori ad acqua invece che inchiostri grassi. I colori, chiari e luminosi, lasciano trasparire la venatura del legno, un effetto che Munch spesso seppe sfruttare al meglio. Il modo in cui egli lascia partecipe il legno alla creazione strutturale del soggetto dà alle sue xilografie un carattere di vita e di immediatezza. Per le incisioni in legno Munch adoperava generalmente una tavola principale, sulla quale incideva il soggetto, e una tavoletta suddivisa nelle varie parti per la stampa dei diversi colori. Ma poteva rendere ancora più complesse le xilografie a colori applicando alle singole tavolette diversi colori e utilizzando al contempo tavolette suddivise per colore. Un buon esempio di questa tecnica è Verso la foresta (VEDI SOTTO), in cui l’intera tavola principale è quasi sempre inchiostrata a tre colori e la tavoletta dei colori è suddivisa in parecchie parti stampate in colori distinti.

(Gerd Woll: L'opera grafica di Edvard Munch; in "MUNCH", Mazzotta 1985)
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Moonlight I-II, 1896 (key block), 1902 (color block)/1907 or later, color woodcut from three blocks (recto and verso of the original key block and one block sawn into three pieces) in black, ocher, light green and gray on tissue-thin golden Japan paper, 400 x 474 mm. The Epstein Family Collection.

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Toward the Forest I, 1897/1900-1908, color woodcut from two woodblocks, one sawn into two pieces, in black, beige and blue green on thin cream Japan paper, 500 x 649 mm. Collection of Catherine Woodard and Nelson Blitz Jr.

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Toward the Forest I, 1897/c.1913, color woodcut from two woodblocks, one sawn into three pieces, in blue. Green and yellow beige on heavy cream wove paper, 500 x 644 mm. The Epstein Family Collection.

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Toward the Forest I, 1897/1913-1915, color woodcut from two woodblocks, one sawn into three pieces, in beige, green, pink and violet on slick imitation vellum paper, 500 x 649 mm. Collection of Catherine Woodard and Nelson Blitz Jr.

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Toward the Forest II, 1915, color woodcut, from one woodblock sawn into three pieces, in brick red, black, olive green and violet on slick imitation vellum paper, 525 x 649 mm. The Epstein Family Collection.

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Toward the Forest II, 1897/1915 or later, color woodcut, from two woodblocks sawn into pieces, in yellowish green, olive green, dark blue, light blue and rusty violet with black stencil on slick imitation vellum paper, 525x 649 mm. Collection of Catherine Woodard and Nelson Blitz Jr.
 

vecchio frank

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MUNCH - 8
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Molto più delle altre due tecniche fu l’incisione in legno a suscitare l’interesse di Munch. Già nelle prime xilografie egli sfruttava la struttura stessa del legno, come in Il bacio III e IV (vedi post n.286 del 23 gennaio), in cui la tavoletta, unica, quasi non è lavorata dalla sgorbia o da altri strumenti aguzzi. Sono le sottili linee create dalle vene e dai nodi del legno stesso a creare l’intero effetto decorativo, con un sottofondo che dà all’intera immagine la sua vita e la sua atmosfera. Quasi certamente Munch lavorò appositamente le tavolette di legno in modo da farne risaltare queste linee; probabilmente poi le rifiniva con carta smeriglio per eliminare la parte del legno tenero in superficie e farne meglio risaltare le angolosità. Forse il massimo in questo senso Munch lo ottiene in una delle sue ultimissime xilografie, che secondo la testimonianza della sorella Inger fu stampata il giorno del suo ottantesimo compleanno, il 13 dicembre 1943. Il soggetto stesso, Il bacio nei campi (Kiss in the Fields, vedi post n.286 del 23 gennaio), risulta in un contorno dalle linee sottili. Ciò che in realtà crea il punto di forza di tutta la xilografia è il motivo vorticoso e inquieto dell’albero di ciliegio.


Tra il 1915 e il 1917 Munch realizzò anche diverse xilografie coloratissime, addirittura vistose, in cui utilizzò la tecnica del seghetto da traforo, applicando i colori direttamente sulla tavoletta e combinandoli in modo particolarmente efficace. Per moltiplicare ulteriormente le possibilità di una particolare inchiostrazione a colori utilizzava anche vari tipi di matrici sciolte, ritagliate nel linoleum o nel cartone. Con esse poteva coprire alcune parti della tavoletta, oppure le sovrapponeva al momento della stampa. Troviamo numerosi esempi dell’uso di tali matrici in xilografie stampate in questo periodo, per esempio Il bagno di sole, una nuova versione di Verso la foresta (vedi post precedente) e ristampe di vecchie tavole come Uomo al bagno, Gli isolati e Due donne sulla spiaggia (vedi sotto). Nelle ultime due la luna e la sua scia luminosa sono ottenute con matrici di questo tipo, e in alcuni esemplari vediamo chiaramente che Munch ha utilizzato per entrambe le opere le stesse matrici.

(Gerd Woll: L'opera grafica di Edvard Munch; in "MUNCH", Mazzotta 1985)

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The Lonely Ones, 1899/1907 or later, color woodcut, from one woodcut sawn into thrre pieces, in black and gray green with hand touching on thin Japan paper, 395 x 555mm. Collection of Catherine Woodard and Nelson Blitz Jr.

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The Lonely Ones, 1899/c.1917 or later, color woodcut, from one woodblock sawn into three pieces, in black, blue green, yellow and red with hand coloring on medium cream wove paper, 395 x 555 mm. The Epstein Family Collection.

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Two Women on the Shore, 1898/1904-1906, color woodcut in green, black and brick red with hand coloring on medium thick polished cream wove paper, 385 x 530 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Two Women on the Shore, 1898/1906, color woodcut, from one woodcut sawn into thrre pieces, in dark blue, green and ocher with hand coloring on thin cream Japan paper, 454 x 512 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Two Women on the Shore, 1898/1906-1907, color woodcut, from one woodblock sawn into two pieces and one linoleum block, in black, orange red, gray blue yellow and light violet brown on thick beige wove paper, 403 x 519 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Two Women on the Shore, 1898 c./1907, color woodcut, from one woodblock sawn into two pieces and one linoleum block, in black, orange red, dark grayish blue, yellow and violet on very thin imitation vellum paper, 403x 515 mm. National Gallery of Art, Washington.
 
Ultima modifica:

vecchio frank

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MUNCH - 8bis (per non sovraccaricare troppo il post precedente).
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Two Women on the Shore, 1898 c./1917 or later, color woodcut, from one woodblock sawn into three pieces, in black, orange, red, green and light blue overprinted with light beige on medium cream wove paper, 462x 510 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Two Women on the Shore, 1898 c./1917 or later, color woodcut, from one woodblock sawn into three pieces and two stencils, in black, orange, red, green, dark blue and light blue overprinted with light beige and yellow on medium polished cream wove paper, 457 x 505 mm. National Gallery of Art, Washington.

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Two Women on the Shore, 1898 c./1917 or later, color woodcut, from one woodblock sawn into three pieces and two stencils, in black, light red, yellow green, yellow, greenish gray, green and deep blue on medium cream wove paper, 455x 513 mm. Collection of Catherine Woodard and Nelson Blitz Jr.
 

vecchio frank

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MUNCH - 9
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Avanti ancora per qualche giorno con le ultime incisioni di Munch in ordine sparso.

Accompagno le immagini con stralci di un altro testo pubblicato sul catalogo della mostra di Milano del 1985 (ed. Mazzotta), in pratica una serie di aneddoti sulla "cura da cavalli" cui Munch sottoponeva i suoi dipinti.
Se avrete la pazienza di leggerli vi renderete conto che essere collezionisti di Munch ai suoi tempi (oggi i suoi dipinti sono più o meno tutti nei musei) voleva dire avere un certo coraggio...
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Alla sua morte, nel gennaio del 1944, Edvard Munch lasciava per testamento le proprie opere alla città di Oslo: oltre 1100 dipinti, la maggior parte dei quali in condizioni a dir poco pietose. Molte delle tele erano mezze marce e presentavano graffi e strappi. Gli strati di colore e il fondo erano sbiaditi e scrostati. Macchie d’acque o di muffa e incrostazioni di terra ricoprivano una serie di quadri. Quasi la metà delle tele portava tracce di escrementi d’insetto.
Il fatto che un così gran numero di quadri si trovasse in uno stato di tale degrado era dovuto all’abitudine di Munch di lasciare spesso e volentieri i propri dipinti esposti al sole, alla pioggia e al freddo, trattamento che egli stesso definiva, pare, “cura da cavalli”.

Jappe Nilssen (1870-1930), scrittore e critico d’arte, fu per lunghi anni tra gli amici più vicini a Munch, e fu spesso anche preso da modello da Munch per molti dei suoi quadri più noti. Con il titolo Devastazione Nilssen scrisse su “Dagens Nytt” del 14 giugno 1909 un attacco violento contro l’allora conservatore della Galleria Nazionale di Oslo perché, in occasione della riapertura della stessa, aveva fatto verniciare tre dei dipinti più noti di Munch: “I tre quadri di Munch sono dipinti con un sottile strato di colore, destinato a penetrare immediatamente e direttamente nella tela; l’effetto era voluto e calcolato a priori; i colori che ora, in seguito all’infelice verniciatura, colpiscono l’occhio con una lucentezza stridente, avrebbero dovuto, secondo l’intenzione di Munch, brillare di una luce profonda e interiore. Oltretutto, se Munch avesse voluto un effetto diverso, li avrebbe verniciati egli stesso durante i dieci-quindici anni trascorsi dal momento in cui i quadri furono dipinti. Ma Munch li voleva esattamente così com’erano. Così come sono ora, essi appaiono grassi, oleosi, appena dipinti; sembrano quasi laccati”. E prosegue: “Munch stesso ha spesso dichiarato, nelle nostre conversazioni, che il tempo dava ai suoi quadri la migliore vernice e che null’altro egli desiderava per essi. Gli anni davano loro la patina e la tonalità che egli aveva voluto e calcolato: i colori si fondevano l’uno nell’altro, ottenendo l’effetto da lui desiderato.

Gustav Schiefler (1857-1935), giudice e mecenate, ricevette nel 1913 un paesaggio invernale di Munch. Il quadro era imballato così male che al suo arrivo ad Amburgo la tela era bucata in più punti. Schiefler naturalmente se ne dolse in una lettera a Munch, il quale gli rispose: “Per conto mio i danni subiti dal quadro non sono poi così importanti, ma naturalmente è spiacevole. Del resto tutti i miei quadri sono più o meno sfondati – in effetti è quasi una conditio sine qua non per essere degli autentici Munch. Le troverò un altro quadro”.

(Jan Thurmann-Moe: Note sulla tecnica pittorica di Edvard Munch)

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Girls on the Jetty, 1918/c. 1920 or later, woodcut in blue, zinc plates in red, yellow and blue, and a stencil in yellow on tan wove paper, 496 x 429 mm. The Epstein Family Collection.

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Stesso soggetto. Trovata sul web, probabilmente xilografia.

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E questo è il dipinto. Come si vede le xilografie sono speculari rispetto allo stesso. Un poster di questo quadro, comprato alla mostra del 1985 a Milano, è rimasto appeso credo una ventina d'anni su una parete in camera mia...
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Quanto scrive @vecchio frank (Chi mai sarà ... quell'uomo in frac, poi corretto perché un annegato non faceva vendite in: di chi sarà - quel vecchio frac, Domenico Modugno - Vecchio Frack Testo Canzone , era una canzone del primo Modugno) a proposito di come Munch trattasse le sue opere è assai indicativo della diversità di rapporto con l'opera da parte dell'artista da una parte, del collezionista dall'altra.
Ultimamente le case d'asta rifiutano opere che non siano in perfettissississime condizioni, una macchiolina in alto nel bordo, ben lontana dalla parte disegnata, condanna alla gogna la pur prestigiosa acquatinta. Le tele debbono essere im-pec-ca-bi-li, il minimo difetto tramuta una principessa in una donnaccia. Così pare vogliano i collezionisti, nella loro mania di mitizzare l'artista e considerarlo di un altro pianeta, portatore di una perfezione simile a quella che loro pretendono (o che si pretende da loro) quando stilano un bilancio condominiale al computer, o redigono la pianta di un appartamento di periferia.
Ma chi è più vicino all'arte se la ride di tali fisime, che la psicanalisi categorizza come nevrosi ossessivo-compulsive di origine anale. Fisime che l'artista normalmente non ha, e se le ha non è, nella maggior parte dei casi, un buon segno. Diciamo che vengono "ammesse" solo se l'artista ha un grande spessore di pensiero, tipo Kandiskij o Klee.
Comunque, sono fisime relativamente recenti, almeno rispetto alla loro grande diffusione. E sono proprio legate alla perdita del rapporto con l'arte da parte del pubblico, non ad un rapporto migliorato. Fanno buon pendant alla mania delle autentiche, dei certificati, delle archiviazioni.
Con questo non dico che occorra maltrattare le opere d'arte che si comprano: viceversa, vanno rispettate al massimo. Ma se hanno una storia, se le ha calpestate un cane, se sono cadute dal camion, se hanno preso la pioggia, andrebbero considerate un po' come quelle persone che oggi si dicono "svantaggiate" o "diversamente abili": hanno pur sempre qualcosa di buono da comunicare, anzi, richiedono ancor più amore che le loro sorelle più fortunate. Certo, hanno una storia tormentata: e magari per questo possono essere anche più interessanti.
Ecco, Munch pretendeva che le sue opere avessero una storia ed una vita proprie. Proprio per evitare che si congelassero, morissero, e facessero poi morire il loro autore, che in esse continuava a rispecchiarsi.
Nel tormento della loro precaria vita penso Munch vedesse la continuazione dei tormenti con cui le aveva create. Senza soluzione di continuità. Considerando che nella vita tutto scorre, e se tutto si ferma si è nella morte.
 

baleng

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MUNCH - 9
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Avanti ancora per qualche giorno con le ultime incisioni di Munch in ordine sparso.

Accompagno le immagini con stralci di un altro testo pubblicato sul catalogo della mostra di Milano del 1985 (ed. Mazzotta), in pratica una serie di aneddoti sulla "cura da cavalli" cui Munch sottoponeva i suoi dipinti.
Se avrete la pazienza di leggerli vi renderete conto che essere collezionisti di Munch ai suoi tempi (oggi i suoi dipinti sono più o meno tutti nei musei) voleva dire avere un certo coraggio...
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Alla sua morte, nel gennaio del 1944, Edvard Munch lasciava per testamento le proprie opere alla città di Oslo: oltre 1100 dipinti, la maggior parte dei quali in condizioni a dir poco pietose. Molte delle tele erano mezze marce e presentavano graffi e strappi. Gli strati di colore e il fondo erano sbiaditi e scrostati. Macchie d’acque o di muffa e incrostazioni di terra ricoprivano una serie di quadri. Quasi la metà delle tele portava tracce di escrementi d’insetto.
Il fatto che un così gran numero di quadri si trovasse in uno stato di tale degrado era dovuto all’abitudine di Munch di lasciare spesso e volentieri i propri dipinti esposti al sole, alla pioggia e al freddo, trattamento che egli stesso definiva, pare, “cura da cavalli”.

Jappe Nilssen (1870-1930), scrittore e critico d’arte, fu per lunghi anni tra gli amici più vicini a Munch, e fu spesso anche preso da modello da Munch per molti dei suoi quadri più noti. Con il titolo Devastazione Nilssen scrisse su “Dagens Nytt” del 14 giugno 1909 un attacco violento contro l’allora conservatore della Galleria Nazionale di Oslo perché, in occasione della riapertura della stessa, aveva fatto verniciare tre dei dipinti più noti di Munch: “I tre quadri di Munch sono dipinti con un sottile strato di colore, destinato a penetrare immediatamente e direttamente nella tela; l’effetto era voluto e calcolato a priori; i colori che ora, in seguito all’infelice verniciatura, colpiscono l’occhio con una lucentezza stridente, avrebbero dovuto, secondo l’intenzione di Munch, brillare di una luce profonda e interiore. Oltretutto, se Munch avesse voluto un effetto diverso, li avrebbe verniciati egli stesso durante i dieci-quindici anni trascorsi dal momento in cui i quadri furono dipinti. Ma Munch li voleva esattamente così com’erano. Così come sono ora, essi appaiono grassi, oleosi, appena dipinti; sembrano quasi laccati”. E prosegue: “Munch stesso ha spesso dichiarato, nelle nostre conversazioni, che il tempo dava ai suoi quadri la migliore vernice e che null’altro egli desiderava per essi. Gli anni davano loro la patina e la tonalità che egli aveva voluto e calcolato: i colori si fondevano l’uno nell’altro, ottenendo l’effetto da lui desiderato.

Gustav Schiefler (1857-1935), giudice e mecenate, ricevette nel 1913 un paesaggio invernale di Munch. Il quadro era imballato così male che al suo arrivo ad Amburgo la tela era bucata in più punti. Schiefler naturalmente se ne dolse in una lettera a Munch, il quale gli rispose: “Per conto mio i danni subiti dal quadro non sono poi così importanti, ma naturalmente è spiacevole. Del resto tutti i miei quadri sono più o meno sfondati – in effetti è quasi una conditio sine qua non per essere degli autentici Munch. Le troverò un altro quadro”.

(Jan Thurmann-Moe: Note sulla tecnica pittorica di Edvard Munch)

Vedi l'allegato 414672

Girls on the Jetty, 1918/c. 1920 or later, woodcut in blue, zinc plates in red, yellow and blue, and a stencil in yellow on tan wove paper, 496 x 429 mm. The Epstein Family Collection.

Vedi l'allegato 414673

Stesso soggetto. Trovata sul web, probabilmente xilografia.

Vedi l'allegato 414674

E questo è il dipinto. Come si vede le xilografie sono speculari rispetto allo stesso. Un poster di questo quadro, comprato alla mostra del 1985 a Milano, è rimasto appeso credo una ventina d'anni su una parete in camera mia...
Una osservazione tecnica.
Assai spesso Munch dipinge ad olio quasi come fosse un acquarello, per trasparenze. Questa tecnica richiede dunque che il fondo del dipinto sia bianco, o molto chiaro (è interessante notare che questa era pure la tecnica dei miniaturisti gotici). Ora, la tela che si compra o si prepara è bianca, ma il colore ad olio, proprio per la presenza dell'olio, tenderà a renderla più scura. Oltre a ciò, il fondo tenderà a scurire anche perché il bianco usato non sarà quasi mai un bianco di alta qualità, persistente nel tempo. Per esempio, sarà un bianco gesso, e gli esperti di chimica sapranno spiegare meglio di me perché questo bianco possa degradare verso un grigiastro giallognolo sempre più scuro.
Breve, se le opere di Munch, dipinte per trasparenza su fondo bianco, "tengono", dovrebbe significare che il pittore ha preparato il fondo con uno strato ulteriore di bianco ad olio di buona qualità, cioè persistente e abbastanza coprente (oggi si usa il bianco di titanio, coprente e, dicono, persistente; una volta si usava il bianco d'argento, o biacca, che vira nel tempo verso il nero, oppure il bianco di zinco, che però è piuttosto trasparente, dunque va rinforzato con altri pigmenti - si usano, infatti, anche miscugli dei vari pigmenti bianchi).
Scrivo questo perché penso ai molti pittori "dilettanti" (detto assolutamente senza voler sminuire) che comprano la tela bianca e poi dipingono per trasparenze o addirittura lasciano parti del fondo scoperte. Quel bianco non terrà, diverrà un colore più scuro e più smorto, un grigio che non darà più al quadro la luce che il bianco inizialmente donava.
Basterebbe uno strato di bianco di titanio ad olio per salvare la luce del quadro nel tempo.
Ebbene, lo stesso Munch che desidera quasi veder soffrire la tela, danneggiarsi, caricarsi dei segni del tempo, probabilmente tuttavia preparava i propri lavori in modo che la loro apparenza artistica rimanesse il più immodificabile possibile.
Perché lì sta l'idea, che va protetta dai danni del tempo, mentre la conservazione è fatto umano e sommamente materiale: come dire, non conta.

Infine, si noti che la carta, nelle varie tecniche di stampa, ha la stessa funzione che si è descritta per la tela bianca: dare la luce al lavoro. Ovviamente, se la carta ingiallisce, il lavoro non è più leggibile come pensato dall'artista: di qui la necessità di conservare la grafica senza troppo esporla ad una luce che faccia scurire la carta. Le grafiche di Munch qui esposte :ola: sono dunque concepite in un modo simile a quello con cui il norvegese creava i suoi quadri ad olio. Forse per questo egli poté giganteggiare anche nella grafica d'arte.
 

vecchio frank

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Ultimamente le case d'asta rifiutano opere che non siano in perfettissississime condizioni, una macchiolina in alto nel bordo, ben lontana dalla parte disegnata, condanna alla gogna la pur prestigiosa acquatinta. Le tele debbono essere im-pec-ca-bi-li, il minimo difetto tramuta una principessa in una donnaccia. Così pare vogliano i collezionisti, nella loro mania di mitizzare l'artista e considerarlo di un altro pianeta, portatore di una perfezione simile a quella che loro pretendono (o che si pretende da loro) quando stilano un bilancio condominiale al computer, o redigono la pianta di un appartamento di periferia.
Ma chi è più vicino all'arte se la ride di tali fisime, che la psicanalisi categorizza come nevrosi ossessivo-compulsive di origine anale. Fisime che l'artista normalmente non ha, e se le ha non è, nella maggior parte dei casi, un buon segno. Diciamo che vengono "ammesse" solo se l'artista ha un grande spessore di pensiero, tipo Kandiskij o Klee.
Comunque, sono fisime relativamente recenti, almeno rispetto alla loro grande diffusione. E sono proprio legate alla perdita del rapporto con l'arte da parte del pubblico, non ad un rapporto migliorato. Fanno buon pendant alla mania delle autentiche, dei certificati, delle archiviazioni.
Con questo non dico che occorra maltrattare le opere d'arte che si comprano: viceversa, vanno rispettate al massimo. Ma se hanno una storia, se le ha calpestate un cane, se sono cadute dal camion, se hanno preso la pioggia, andrebbero considerate un po' come quelle persone che oggi si dicono "svantaggiate" o "diversamente abili": hanno pur sempre qualcosa di buono da comunicare, anzi, richiedono ancor più amore che le loro sorelle più fortunate. Certo, hanno una storia tormentata: e magari per questo possono essere anche più interessanti.
Ecco, Munch pretendeva che le sue opere avessero una storia ed una vita proprie. Proprio per evitare che si congelassero, morissero, e facessero poi morire il loro autore, che in esse continuava a rispecchiarsi.
Nel tormento della loro precaria vita penso Munch vedesse la continuazione dei tormenti con cui le aveva create. Senza soluzione di continuità. Considerando che nella vita tutto scorre, e se tutto si ferma si è nella morte.

L'epitome di tutto ciò è la teca in plexiglass... :D
 

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