Incisioni antiche e moderne: Galleria di immagini (1 Viewer)

vecchio frank

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Ora
va bene che quella dei "cinesi che sono tutti uguali" è una bufala
e adesso che nelle nostre città girano giapponesi, cinesi coreani e quant'altro
veramente ci si rende conto che si distinguono bene, proprio come noi :p
però
questo, gli incisori giapponesi lo sapevano? :piazzista:
No perché
capisco le difficoltà di rendere in xilografia le differenze, magari non mostruose, tra donna e donna,
ma qui
tra la più celebre beltà della città e una cortigiana qualunque
c'è la stessa differenza che c'è tra due pesci rossi presi a caso.
:prr:
Beh,
c'è da dire che se dalle silografie passiamo ai disegni (la tecnica in genere è inchiostro su seta) la situazione non cambia di molto...
Io comunque le amo così come sono :)
 

vecchio frank

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UKIYOE - 9
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Kitagawa Utamaro
(fine)

uta_uk401.jpg


Dodici ore nelle case verdi: L’ora del gallo, 1794, ōban.

uta_jp102.jpg

Cucitrice, 1795, ōban (parte sinistra di un trittico).

uta_jp105.jpg


Cerimonia di annerimento dei denti, 1803, ōban.
Le donne sposate all’epoca erano solite annerirsi i denti con un liquido ottenuto amalgamando limatura di ferro (sic), amido di riso, tè e aceto. All’inizio, questa forma di abbellimento (di nuovo sic) era riservata alle donne della nobiltà, ma durante il periodo Edo divenne comune tra le donne sposate di qualsiasi condizione.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
UKIYOE - 9
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Kitagawa Utamaro
(fine)

Vedi l'allegato 422912

Dodici ore nelle case verdi: L’ora del gallo, 1794, ōban.

Vedi l'allegato 422913
Cucitrice, 1795, ōban (parte sinistra di un trittico).

Vedi l'allegato 422914

Cerimonia di annerimento dei denti, 1803, ōban.
Le donne sposate all’epoca erano solite annerirsi i denti con un liquido ottenuto amalgamando limatura di ferro (sic), amido di riso, tè e aceto. All’inizio, questa forma di abbellimento (di nuovo sic) era riservata alle donne della nobiltà, ma durante il periodo Edo divenne comune tra le donne sposate di qualsiasi condizione.
Sconvolto, posso solo immaginare che, per problemi di igiene, i denti delle signore non fossero, diciamo così, in perfette condizioni, e il nero servisse a nascondere un sacco di magagne.
Per il resto, continuando nelle analogie, questi volti stereotipati possono davvero ricordare, almeno per un certo spetto, la pittura pre-giottesca, dove i visi del Cristo e degli altri personaggi si ripetevano nel tempo senza grandi varianti. La cosa sembra appunto legata ad uno stadio di sviluppo della personalità: per esempio, i figurini di moda che vengono disegnati solitamente dalle ragazzine preadolescenti tendono a somigliarsi tutti, usando forme piuttosto stereotipate. Il bello è che un fenomeno simile lo riscontriamo anche nella grafica deco, sempre per l'uso di forme del genere. Si aggiunge che il "modello" più o meno fisso si adatta a "richieste" differenti, perciò i grossi segni pre-giotteschi e la tragicità delle scene erano adatti a stimolare pietà nei fedeli, mentre le "bamboline" delle ragazze hanno tutt'altra funzione (che qui è superfluo specificare) e dunque usano altre forme.
Resta da indagare, in altro 3d, che cosa favorisca la comparsa di questo genere di artifizio.
 

vecchio frank

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UKIYOE - 10
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Tōshūsai Sharaku (attivo a Edo nel biennio 1794-95)
La considerazione di cui gode Sharaku non è di antica data né è mai stata generale. Ancora agli inizi del Novecento non veniva assai considerato, mentre oggi una sua stampa impreziosisce una collezione e la sua identità è sempre argomento di discussioni accanite. Il fatto è che Sharaku costituisce il mistero più fitto di tutto l’Ukiyoe. Chi fosse questo artista, nessuno è in grado di dire con certezza. Gli studi su di lui sono numerosissimi. Shun’ei, Choki e perfino Hokusai sono stati alcuni dei nomi fatti per cercare di identificarlo e non è mancato neppure quello di Tsutaya Juzabūrō, il grande editore che si sarebbe servito di un nome fittizio per realizzare personalmente alcuni lavori. Il fatto è che esistono quasi centocinquanta stampe create dal misterioso pittore in meno di un anno tra il 1794 e il 1795. Sono quasi tutte stampe di kabuki e sono state prodotte in occasione di quella stagione teatrale dal più potente editore dell’epoca: Tsutaya Juzabūrō. Molte di esse hanno il fondo in mica, chiara o scura, la cui realizzazione implicava un procedimento costoso. Un altro problema è che, ovviamente, dato l’arco di tempo limitatissimo in cui furono prodotte, le stampe non mostrano segni di un’evoluzione stilistica, il che indica un artista pienamente maturo pressoché dalla prima all’ultima opera. Appare inverosimile che tutte queste circostanze possano essersi verificate per un artista sconosciuto.

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Segawa Tomisaburō II nella parte di Yadogiri e Nakamura Mansei nella parte della sua serva Wakakusa, 1794, ōban.

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Arashi Ryūzō nella parte dell’usuraio Ishibe Kanekichi, 1794, ōban.


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Ichikawa Komazō III nella parte di Shigano Daishichi, 1794, ōban.
 

sergio68

Guest
Belle queste stampe giapponesi. L'unica nota di colore , se mi è concesso , sono le ultime 2 foto del post precedente : hanno delle espressioni tipo "commedia all'italiana" come Bombolo o Lino Banfi ! Non è che scopriamo qualche influenza dell' "arte italiana" sull'arte giapponese ? Proverò ad approfondire......
Scherzi a parte , questo è un bel 3d.
Girulando sul net , ho trovato questo bel sito dove penso si possano trovare discrete info sui ukiyoe : Auctions of Japanese Prints - artelino
Anche se l'archivio non è + free come una volta.
 

vecchio frank

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Belle queste stampe giapponesi. L'unica nota di colore , se mi è concesso , sono le ultime 2 foto del post precedente : hanno delle espressioni tipo "commedia all'italiana" come Bombolo o Lino Banfi ! Non è che scopriamo qualche influenza dell' "arte italiana" sull'arte giapponese ? Proverò ad approfondire......
Scherzi a parte , questo è un bel 3d.
Girulando sul net , ho trovato questo bel sito dove penso si possano trovare discrete info sui ukiyoe : Auctions of Japanese Prints - artelino
Anche se l'archivio non è + free come una volta.
Ho dato un'occhiata al sito e ho visto che sono stampe moderne, nel senso di autori nati dopo la metà dell'Ottocento. Tieni presente che il fenomeno delle stampe Ukiyoe dura fino al 1860 circa. Dopo quella data, con l'aprirsi del Giappone agli influssi occidentali, si esaurisce e diventa maniera. La loro diffusione subisce un tracollo, perché i giapponesi le giudicano vecchie e fuori moda, e sono tutti tesi a "modernizzarsi", cioè ad occidentalizzarsi.
Qualche giorno fa, in risposta a una tua richiesta, ho promesso che avrei trattato degli influssi delle stampe giapponesi sull'arte occidentale.
Questo è il link a un articolo (in inglese) che ritengo esaustivo sull'argomento:
Vincent van Gogh: Visitor Submissions
L'ho tradotto in italiano e conto di pubblicare la traduzione qui e/o nel sito in questione, di cui conosco il proprietario canadese (attualmente in viaggio in Europa).
Per correttezza, prima cercheremo di rintracciare l'autore del pezzo, un olandese (l'articolo è del 2001).
 

vecchio frank

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UKIYOE - 11
-
Tōshūsai Sharaku (continua)

shara_uk110.jpg


Ichikawa Yaozō III nella parte di Tanabe Bunzō, 1794, ōban.

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Sanogawa Ichimatsu III nel ruolo della prostituta Onayo e Ichikawa Tomiemon nel ruolo di Kanisaka Tōma, 1794, ōban.

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Gli attori Nakajima Wadaemon e Nakamura Konozō, 1794, ōban.
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Per certi aspetti, il teatro kabuki è un teatro assimilabile al nostro melodramma e in cui antichi miti e codici cavallereschi vennero reinterpretati da una prospettiva sensibile alle tendenze e alle contraddizioni della società del tempo. Gli attori divennero ben presto veri e propri miti viventi e quanto questo fenomeno fosse dilagante è provato dal numero delle stampe di soggetto teatrale, di gran lunga le più numerose col loro quaranta per cento di tutta la produzione dell’ukiyoe. Il kabuki è fortemente incentrato sulla persona dell’attore, la sua bravura, la capacità di coinvolgere il pubblico e di tenerlo agganciato anche fuori delle scene. Nel corso dei decenni dalla fondazione si affermarono alcune scuole-famiglia i cui attori principali crearono vere e proprie dinastie trasmettendo il proprio nome al discendente, naturale o adottivo, più valente. Il kabuki è figlio della società proto-moderna e riflette i sentimenti e le passioni dei nuovi ceti cittadini. Alla ieratizzazione del , l’aristocratica e antica forma di spettacolo sorta per la nobiltà in epoca medioevale, si sostituì una gestualità assai drammatica e magniloquente. Il pubblico nuovo, non abituato alla raffinata estetica dell’allusione caratteristica del , per potere apprezzare l’espressione delle emozioni che si agitavano sulla scena doveva essere fortemente stimolato. Si sviluppò così una forma di teatro in cui veniva fatto ricorso all’elemento psicosomatico della vicenda, volutamente esagerato, invece che sublimato come nel , per aiutare ad assorbire più efficacemente il messaggio artistico e coinvolgere lo spettatore personalmente. Tale coinvolgimento veniva alimentato da alcuni accorgimenti tra cui il principale è il mie, e cioè la posizione assunta dall’attore nel culmine dell’azione e in cui egli si blocca per alcuni momenti di alta drammaticità, provocando spesso acclamazioni e grida di ammirazione dal pubblico; o il roppō, lo spettacolare attraversamento di tutto lo hanamichi (la passerella che dal proscenio attraversa in lungo l’intera platea) con grandi balzi ritmati e in rapida sequenza.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Ho capito. Come sempre le tue osservazioni sono acutissime. Aspetto di leggerne altre più avanti, perché le geishe che ho fin qui mostrato non sono tutto nelle stampe giapponesi. Domani e per i prossimi giorni ancora sarà la loro apoteosi (con Utamaro), ma poi con Sharaku passeremo alle stampe di attori teatrali (che, lo anticipo qui, rappresentano il 40% della produzione di ukiyoe), per finire poi con Hokusai e Hiroshige e le stampe di soggetto paesaggistico. Se posso azzardare una previsione, però, credo che il tuo giudizio sulla ridotta individualità degli artisti giapponesi non cambierà di molto.
Ora che appaiono le stampe degli attori si vede, come hai ben spiegato, che le espressioni sono esasperate per riportare quelle degli attori, che in effetti dovevano coinvolgere un pubblico non ancora affinato. Qualcosa del genere lo notai anche nel cinema muto, dove si deve "far vedere tutto" chiaramente, e il cattivo fa anche espressioni spaventose tanto da apparire ai nostri occhi più smaliziati assai ridicole. Analogo il ragionamento per il teatro dei burattini, quelli in cui si infila la mano del burattinaio, o delle marionette, quelle tenute da spaghi (tanto per ricordare una distinzione spesso dimenticata).
Ciò nondimeno la tua previsione risulta corretta: primo perché il soggetto non rappresenta individualità, ma personalità, caratteri, maschere insomma. Poi, perché l'attitudine dell'artista non cambia rispetto a quella di quando dipinge le cortigiane.
 

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
A questo punto, come definiresti le stampe giapponesi in genere? Di tipo narrativo o di tipo contemplativo? (per chiarire: narrative sono le scene dell'Antico Testamento, per esempio, in molti battisteri, o i fumetti oggi; contemplativa è la Pietà di Michelangelo o, per specificare meglio, anche gli affreschi di Piero della Francesca, che sono di soggetto narrativo, ma di esecuzione contemplativa).
Naturalmente ho evidenziato i due poli estremizzandoli, mica tutta la pittura si fa racchiudere in questi confini. Oggi, per esempio, la pittura è quasi sempre contemplativa (Afro, Capogrossi, gli astratti in genere non narrano nulla), Marino Marini con la Caduta del Cavaliere si appoggia a una mini-storia, ma è sostanzialmente contemplativo, seppur dinamico. Il Surrealismo propone una narrazione, ma interiore. Ecc ecc
Forse i modelli del Fascismo e dello Stalinismo con la loro arte celebrativa (e ricordiamo di passaggio la Colonna Traiana) hanno un po' messo all'angolo la reputazione dell'arte narrativa. Cinema, fotoromanzi e fumetti hanno fatto il resto ...
 

vecchio frank

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A questo punto, come definiresti le stampe giapponesi in genere? Di tipo narrativo o di tipo contemplativo? (per chiarire: narrative sono le scene dell'Antico Testamento, per esempio, in molti battisteri, o i fumetti oggi; contemplativa è la Pietà di Michelangelo o, per specificare meglio, anche gli affreschi di Piero della Francesca, che sono di soggetto narrativo, ma di esecuzione contemplativa).
Naturalmente ho evidenziato i due poli estremizzandoli, mica tutta la pittura si fa racchiudere in questi confini. Oggi, per esempio, la pittura è quasi sempre contemplativa (Afro, Capogrossi, gli astratti in genere non narrano nulla), Marino Marini con la Caduta del Cavaliere si appoggia a una mini-storia, ma è sostanzialmente contemplativo, seppur dinamico. Il Surrealismo propone una narrazione, ma interiore. Ecc ecc
Forse i modelli del Fascismo e dello Stalinismo con la loro arte celebrativa (e ricordiamo di passaggio la Colonna Traiana) hanno un po' messo all'angolo la reputazione dell'arte narrativa. Cinema, fotoromanzi e fumetti hanno fatto il resto ...

Non sono sicuro di aver ben capito, ma io le ritengo contemplative, nel senso che non ci vedo un intento narrativo, perlomeno voluto, ma puramente descrittivo. Bisogna considerare comunque che le stampe ukiyoe sono solo un aspetto dell’arte giapponese del periodo, quello che colpì gli occidentali. In Giappone erano diffuse varie scuole di pittura, di cui la più importante era quella Kano. Al riguardo, volendo, si può vedere la voce “arte giapponese” su Wikipedia.

Per tornare invece al tema dell’influenza che le stampe policrome giapponesi ebbero sugli artisti “modernisti” nella Francia della seconda metà dell’Ottocento, in sintesi bisogna tenere presente che cos’era la pittura occidentale a quell’epoca. La pittura europea deriva dagli affreschi di epoca romana. In epoca medievale cominciò a diffondersi la pittura su tavole di legno e, successivamente, su tela. Al contempo i materiali evolvevano dalla tempera ad uovo agli olii di lino, la cui scoperta si deve pare ai fiamminghi. Nel frattempo, a partire da Giotto, la preoccupazione degli artisti europei divenne quella di imitare il più perfettamente possibile la natura. Nel corso dei secoli, essi scoprirono così la prospettiva lineare, le ombre e il chiaroscuro e altri accorgimenti come ad esempio l’uso di dipingere, nei paesaggi, con toni caldi i primi piani e con toni sfumati gli sfondi in modo da suggerire un effetto atmosferico. Proprio per ottenere questo tipo di effetti i colori non si usavano praticamente mai puri, ma mischiati tra loro. Ognuna di queste tappe era stata vista come una conquista nello sviluppo della pittura in senso realistico-naturalistico, come spiega con orgoglio il Vasari nelle sue Vite. Alla metà dell’Ottocento, tutto questo faceva parte del bagaglio di formazione che si insegnava agli aspiranti artisti nelle accademie. Artista era chi dimostrava di essere in grado di padroneggiare queste tecniche. In questo contesto, l’arrivo in Europa in quel periodo delle stampe policrome giapponesi grazie all’intensificarsi dei contatti a seguito della rottura del suo isolamento agì come uno shock sugli artisti più sensibili: gli artisti giapponesi non utilizzavano il chiaroscuro né la prospettiva lineare, semplicemente non li conoscevano. Ciò dava a queste stampe un carattere di immediatezza visiva. Sorprendente era poi la loro composizione e il loro taglio, che apparivano liberi e privi di preoccupazioni stilistiche rispetto alle rigide convenzioni della pittura occidentale, come ad esempio i ritratti “in posa”, o i paesaggi concepibili solo come sfondo per scene di carattere storico, religioso o mitologico. Non che non ci fossero state delle eccezioni, come ad esempio la pittura olandese del Seicento (certi ritratti di Hals e scene di genere di Brueghel e altri pittori). Il primo che si accorse di tutto ciò fu Manet, che la critica non per niente ritiene il padre dell’Impressionismo. Nel 1860 dipinse un “Pifferaio”, un ragazzo vestito in uniforme blu che suona un flauto. Il quadro fu aspramente giudicato dalla critica ufficiale, che lo riteneva “non finito”: il soggetto era delineato con linee nere, e i piani che ne risultavano erano riempiti con colori piatti, non modulati. Manet non utilizzò mezzi toni, ignorando largamente le regole del chiaroscuro. Era stato ispirato in ciò proprio dalle stampe giapponesi. Il terreno a dire il vero era già stato preparato dai “realisti sociali” della cosiddetta “scuola di Barbizon” (Millet, T. Rousseau, Corot, Daubigny, De la Peña e altri), che intorno alla metà dell’Ottocento o poco prima avevano iniziato a introdurre nelle loro tele personaggi di umile estrazione e a contestare le regole dell’accademia. Il gruppo che si riuniva attorno a Manet (Degas, Monet, Renoir, Pissarro ecc.) divenne ben presto noto come quello degli Impressionisti. Tutti loro, per inciso, erano collezionisti di stampe giapponesi. Chi più di tutti capì la portata rivoluzionaria di queste stampe fu comunque Vincent van Gogh. Van Gogh era un artista molto serio e scrupoloso (leggete le sue lettere e ve ne renderete conto) e aveva conosciuto le stampe giapponesi nei mesi che passò ad Anversa prima di recarsi a Parigi. Per inciso, va detto che molte di queste stampe arrivavano ad Anversa e negli altri principali porti europei in modo assai poco ortodosso: erano usate per avvolgere preziose porcellane. Ciò perché i giapponesi ormai le consideravano di nessun valore: con l’aprirsi del paese agli influssi occidentali esse rappresentavano ai loro occhi il “vecchio” e andarono incontro a un rapido declino (l’ultimo maestro riconosciuto dell’ukiyoe fu Hiroshige, che morì nel 1858). Una volta a Parigi, Vincent arrivò a collezionarne centinaia (tanto pagava suo fratello Theo..., il quale comunque condivideva questa passione) . Le trovava principalmente nel negozio di Père Tanguy ma non solo, perché erano diffusissime. Alcune le copiò direttamente (come quella famosa di Hiroshige “Pioggia improvvisa al ponte di Ohashi"), sei di loro le dipinse come sfondo in un ritratto di Père Tanguy, e organizzò pure una mostra esponendole sulle pareti del Tambourin, il ristorante di Agostina Segatori. Quelle sopravvissute sono ora nella collezione del Van Gogh Museum di Amsterdam che gli ha dedicato una pubblicazione. Quando si trasferì ad Arles, nel Midi della Francia, Van Gogh lo fece nell’intento di stabilirsi nel suo personale “Giappone”. Si era infatti convinto che questo fosse un paese baciato dal sole. Van Gogh aveva ben presente queste stampe quando dipinse i suoi capolavori ad Arles. I “Girasoli”, ad esempio, sono dipinti senza ombre, senza nessuna sorgente di luce esterna. La luce viene per così dire “dall’interno”. Utilizzando il colore come una realtà indipendente - indipendente dalla percezione ottica - ne conseguiva che il dipinto assumeva una realtà indipendente. Il dipinto non è più un facsimile ottico del mondo visivo, diventa una realtà a sé stante. L'idea di trattare un dipinto come una realtà a sé stante divenne il segno distintivo della rivoluzione modernista. La consapevolezza che un quadro, prima che ogni altra cosa, è una realtà indipendente - un manufatto a due dimensioni - è ancora di attualità. Esteticamente parlando, la cultura tradizionale del Giappone già possedeva alcune caratteristiche eminentemente moderne. Dopo gli artisti, se ne accorsero anche i critici più sensibili, ad esempio Edmond de Goncourt, che in un suo saggio arrivò a scrivere: "Quando ho detto che il Giapponismo era in procinto di rivoluzionare la visione dei popoli europei, volevo dire che il Giapponismo ha portato in Europa un nuovo senso del colore, un nuovo sistema decorativo, e, se volete, un immaginario poetico nell'invenzione dell'oggetto artistico, che non è mai esistito neanche nelle opere più perfette del Medioevo o del Rinascimento." Il Giapponismo divenne rapidamente una moda. Non solo i pittori ne furono influenzati, ma ad esempio anche musicisti come Debussy, che per il suo poema sinfonico “La Mer” dichiarò di essersi ispirato alla Grande onda di Hokusai. Su questa scia, col nuovo secolo, la ricerca da parte degli artisti moderni delle basi “primitive” e “pure” dell’arte portò infine alla scoperta dell’arte tribale africana da parte di Picasso & C., sulla scia di Gauguin che nel 1895 si era trasferito definitivamente in Polinesia.
 

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