ILVA di Taranto CHIUDE : ringraziamo il Movimento 5 Stelle per la sua incapacità (1 Viewer)

tontolina

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ILVA: IL GOVERNO CERCA SOLO DI RITARDARE I LICENZIAMENTI PER EVITARE LA RIVOLUZIONE




Secondo un articolo dell’Opinione delle Libertà il governo sa benissimo che sia Ilva a Taranto sia Whirpool a Napoli chiuderanno, ma l’unica preoccupazione che ha sono di ordine pubblico: 50 mila disoccupati in più, secondo gli 007, sarebbero una fonte non controllabile di disagio sociale che potrebbero portare a disordini, occupazione e caos proprio quando dovrebbero esservi delle elezioni politiche. Una situazione esplosiva che rischia di realizzarsi e contro la quale il governo non saprebbe come opporsi..

Un informatore interno al MISE avrebbe affermato che il governo ha come unico obiettivo fare in modo che i licenziamenti Ilva non avvengano in contemporanea con quelli Whirpool , per non causare questa situazione di guerra, ma che si tratta solo di un rinvio dell’inevitabile perchè, come già affermato anche da Carlo Calenda, la chiusura di questi impianti ed i licenziamenti di massa sono inevitabili, al massimo di poco procastinabili. Il sindaco di Avellino, Domenico Biancardi, ha parlato di gruppi di rivolta autorganizzati dopo che la Whirpool aveva deciso i licenziamenti.

Il problema è che il governo, sempre secondo l’articolo, non potrebbe intervenire perchè bloccato dalle normative europee che lo considererebbero un aiuto di stato diretto e quindi impedito, il tutto per far si che la produzione d’acciaio diventi un’esclusiva della Germania e del Nord Europa.

Noi, sinceramente, riteniamo che le ricadute negative delle attuali politiche di governo non siano tanto di ordine pubblico, ma economico e di prospettive. Come si può permettere la demolizione del paese tramite la distruzione del’industria automobilistica, come avverrà con la fusione PSA-FCA? Come si può permettere quindi che l’industria siderurgica diventi un surplus, dato che non c’è più domanda di acciai per il settore auto? Non è un problema di sud e di nord, ma un problema di un governo senza prospettive e senza nessuna reale capacità, una sorta di commissario liquidatore dell’Italia. Con le forze politiche che lo sostengono non può che essere diversamente.
 

tontolina

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ILVA di Taranto CHIUDE : ringraziamo il Movimento 5 Stelle per la sua incapacità

voglio vedere come faranno i tarantini a vivere vendendo le cozze pelose
 

tontolina

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ILVA di Taranto CHIUDE : ringraziamo il Movimento 5 Stelle per la sua incapacità

voglio vedere come faranno i tarantini a vivere vendendo le cozze pelose
L'Ilva pronta a chiudere. Ma per rilanciare il Sud il M5s punta sulle cozze
L'azienda: "Così a settembre ce ne andiamo". E la ministra Lezzi: "Il futuro sono i mitili"


Paolo Bracalini - Gio, 27/06/2019 - 08:42

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Siccome era da un po' di tempo che Toninelli e la Castelli, campioni indiscussi di gaffe e figuracce, non regalavano qualche perla, ci ha pensato Barbara Lezzi a ristabilire la media.

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La Lezzi, perito aziendale impiegata presso Orolforniture Sas di Lecce diventata ministro del Sud per indubbia competenza visto che è del Sud, aveva già dimostrato capacità nella disciplina, tipo quando aveva detto che il Pil italiano d'estate cresce perché la gente accende il condizionatore. Un'altra quando sfidò chiunque «a stendere un asciugamano sopra un gasdotto», ignorando che il Tap passerà a 10 metri di profondità sotto la spiaggia pugliese. Quindi un talento naturale da cui aspettarsi nuove uscite brillanti. E infatti l'altro giorno a Taranto ne ha prodotta una notevole.

Lì c'è la questione dell'Ilva, su cui il M5S sta facendo più danni di un cataclisma. Prima hanno detto che l'avrebbero chiusa, poi hanno cambiato idea e hanno dato il via libera al bando, ora hanno ricambiato idea e - violando gli accordi con ArcelorMittal - non escludono la chiusura («Avverrà il 6 settembre, in assenza di una soluzione» annuncia l'ad di Arcelor Mittal Europa, Geert Van Poelvoorde), che i grillini però chiamano «riconversione economica del territorio» perché suona meglio.
Ma tralasciando per un attimo la questione, veniamo alla geniale soluzione proposta dalla Lezzi. Chiude l'Ilva, 14mila posti di lavoro tra dipendenti e indotto, 4,2 miliardi di investimenti già stanziati? Bè dai non facciamone un dramma, ci sono le cozze pelose che vengono su una meraviglia a Taranto. Può sembrare una gag di Crozza, perciò riportiamo letteralmente la dichiarazione della ministra grillina: «È giusto che Taranto contribuisca al Pil nazionale, ma non solo con il siderurgico, può farlo anche con altri investimenti che guardino al futuro. È una bella città di mare di cui si parla solo per l'ex Ilva, ma ha, per esempio, una lunga tradizione nell'attività di mitilicoltura, che non può essere dimenticata». Certo, al posto di un colosso industriale da 2 miliardi di fatturato, si fanno gli allevamenti di cozze, magari pure di vongole, e Taranto decolla. Con una spruzzatina di limone e un bicchiere di bianco secco sono il massimo, vuoi mettere con l'acciaio? Comunque il grande piano di rilancio grillino del Sud non comprende solo la coltivazione dei mitili. Una volta smantellata l'Ilva vogliono anche ristrutturare il centro storico di Taranto con fondi ad hoc e «micro progetti per il settore artigiano» incentivando «veri imprenditori che vogliono investire in uno sviluppo sano, duraturo e sostenibile». Facendo scappare l'unico gruppo industriale che al momento può tenere in piedi lo stabilimento, evento che avrebbe ricadute economiche spaventose - oltre ai miliardi di danni che chiederà ArcelorMittal per violazione dei patti - quantificate dallo Svimez così sugli anni in cui lo stabilimento è rimasto fermo perché sotto sequestro: 3-4 miliardi di euro persi per ogni anno, pari a circa due decimi di punto di ricchezza nazionale.

Alle supercazzole della Lezzi si aggiungono poi quelle di Gianpaolo Cassese, deputato M5s tarantino, soprannominato la «Boschi della Val D'Itria» perché disse che si sarebbe dimesso se una volta al governo Di Maio non avesse immediatamente chiuso l'Ilva. Cassese, imprenditore agricolo, ha detto che basta industria, Taranto deve diventare «città verde capitale del cleantech», che non si capisce cosa voglia dire ma suona bene. Insomma decrescita felice per il Sud, molto «clean» e accompagnata da un favoloso plateau di cozze pelose.
 

tontolina

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Ex Ilva, Jindal si sfila con un tweet: “Nessun interesse per Taranto”
di Redazione
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Il gruppo indiano Jindal smentisce le indiscrezioni di un possibile interesse per l’ex Ilva. Intanto prosegue lo scontro tra ArcelorMittal con governo e sindacati

L’ipotesi cominciava a farsi strada da qualche giorno, sostenuta anche dalle aperture di alcuni esponenti politici vicini al governo. Ma con un tweet il gruppo indiano Jindal ha negato in modo perentorio l’interessamento per l’ex Ilva di Taranto dopo il passo indietro di ArcelorMittal. A questo punto la gestione commissariale sembra essere l’unica certezza nel futuro dell’acciaieria.

DOCCIA FREDDA
Una doccia fredda, quindi, per gli operai dell’acciaieria di Taranto che nei piani di ArcelorMittal dovrebbero subire un taglio di 5mila posti di lavoro. Una doccia fredda anche per l’esecutivo di Giuseppe Conte, che forse aveva riposto una speranza nel possibile interessamento di Jindal, secondo nella graduatoria che aveva assegnato la gestione dell’ex Ilva ad ArcelorMittal.

SECONDI IN GRADUATORIA
Senza fare direttamente il nome del gruppo, era stato Davide Faraone, presidente dei senatori di Italia Viva, a riportare in ballo Jindal. “Non tocca a Italia Viva cercare una nuova cordata ma se Mittal fa recesso, gli si fa causa, con penali onerosissime, e si va dal secondo in graduatoria”, aveva detto a Financialounge.com.

SMENTITA VIA TWITTER
Una sponda possibile per il governo italiano impegnato nel risolvere una matassa sempre più intricata che rischia di mettere in pericolo il cammino dello stesso esecutivo. Una sponda, però, sfumata dopo il tweet della stessa Jindal: “Smentiamo con forza le indiscrezioni secondo cui Jindal Steel & Power potrebbe rinnovare il suo interesse per l’acciaieria di Taranto”.

IMPEGNO IN TOSCANA
Il gruppo Jindal è già impegnato in Italia attraverso le ex acciaierie Lucchini di Piombino, visitate proprio da Sajjan Jindal, chairman di Jsw, nella giornata di giovedì 7 novembre. Il gruppo indiano, per quanto riguarda il sito toscano, ha ribadito la volontà di portare avanti gli investimenti per lo sviluppo del sito. Su Taranto, invece, nessun cenno fino al tweet di smentita.





L’ex Ilva è l’ultima vittima dei dazi di Trump?
 

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Sono pericolosi. Invece l'Italia ha bisogno di un salto in avanti, dobbiamo diventare un paese ad alta tecnologia, dove l'industrializzazione si sposa con le attività artigianali da esportare all'estero. Sembra un ossimoro ma non lo è : una classe politica non mediocre saprebbe cosa fare. A propo' : hanno creato un ministero del sud ad hoc. Cos'ha fatto il ministro del sud in un anno e mezzo di mandato?
 

tontolina

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CONTE A TARANTO: un gesto di rispetto, ma non ha ancora capito quello che manca all’Italia. Non lo capirà mai


Il premier Conte si è recato a Taranto, incontrando gli operai e quindi compiendo un gesto apprezzabile. Nello stesso tempo ha dimostrato di non aver capito assolutamente nulla del perchè della crisi e delle sue soluzioni.

Parlando nella città pugliese ha affermato: Si può fare impresa se si crea un rapporto solido con gli stakeholders in un clima convincente, persuasivo sotto tutti i punti di vista. Il nostro interlocutore va via perché dice che non c’è sostenibilità sul piano economico e noi dobbiamo creare le premesse per un’attività produttiva perfettamente consonante con la comunità locale. Ma non significa che diciamo a Mittal che può andare tranquillamente e ce la vediamo noi. Se andrà via, comunque, ci sarà una battaglia legale e saremo durissimi

Se volessimo fare solo polemica potremmo dire che in realtà l’insostenibilità economica è solo stato un passo successivo alla cancellazione dello scudo penale, un’utile ed inopportuna provocazione dal momento che già sussisteva ed era parte dell’accordo firmato dall’allora responsabile del MISE Di Maio. Però dato che non vogliamo fare altra polemica, ci fermiamo qui su questo punto.

Il problema reale e principale è che Conte , parlando di “Battaglia legale” mette il problema tutto e solo dal punto di vista giuridico. Come avvocato non vede altro che il problema “Legale”, il contratto secondo lui non rispettato, e manca completamente il motivo di per cui il contratto fu concluso. Perchè l’acciaieria è stata mantenuta in vita? perchè è stata ceduta malamente a Mittal?

La domanda è tutt’altro che filosofica nel momento in cui proprio l’azienda che si vuole prosegua nella gestione Arcelor Mittal, sta semplicemente facendo morire d’inedia l’impianto, non comprando più le materie prime necessarie per produrre. Del resto si chiama “Arcelor”, cioè ha il nome anche di un gruppo francese dello stesso settore, ed ogni tonnellata di acciaio non prodotto a Taranto è una tonnellata di acciaio in più prodotto in Francia. Arcelor Mittal può tranquillamente far chiudere l’ìmpianto, e guadagnarci, nel tempo in cui l’avvocato Conte anche solo legge le carte della causa.

Quindi parlare solo del problema legale è molto, incredibilmente, riduttivo e dimostra una visione miope del problema. La vera domanda dovrebbe essere:
  • quale visione abbiamo del sistema economico ed industriale italiano per il futuro?
da cui discendono altre domande:
-abbiamo bisogno della produzione di acciaio? Quanto e di che tipo?
-possiamo produrlo in un modo economicamente sensato ed ambientalmente sopportabile?
-quali partner DI MINORANZA potrebbero aiutarci in questa missione, e sottolineaiamo di minoranza, perchè se l’acciaio è necessario la sua produzione diventas strategica e non può essere affidata agli sghiribizzi di un magnate straniero, e neppure italiano. Un partner tecnico e commerciale può invece essere utile, anche garantendogli un leggero privilegio di remunerazione;

Perchè queste domande sono il vero prologo per l’assunzione di decisioni sensate.
Invece tutto questo è mancato e manca.
Si pensa giorno per giorno, senza una visione strategica.
Negli anni trascorsi da quando l’acciaieria è stata sottratta ai Riva poteva essere parzialmente ricostruita da zero. Invece si sono rincorse soluzioni tampone, si sono indette gare inutili, senza farsi le domanda essenziali.
Una politica uguale a quella perseguita in Italia negli ultimi 30 anni, in cui si è pensato di lasciare la gestione dell’economia un po’ alla politica giorno per giorno, un po’ a Bruxelles ed agli altri paesi europei, lavandosi le mani dalle responsabilità. Però una classe politica non può farlo, oppure può anche andare a casa.
 

tontolina

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Il caso Ilva è il ritratto di Dorian Gray della sinistra italiana
Decrescita, paleo-ambientalismo, giustizialismo: la crisi dell’acciaieria riassume in sé tutti gli elementi dell’involuzione politico-culturale della sinistra. E di un’Italia che si sta trasformando in una sorta di anarcocratura

Il caso Ilva è il ritratto di Dorian Gray della sinistra italiana - Linkiesta.it

Decrescita al posto dello sviluppo,
retorica paleo-ambientalista al posto di una politica industriale
e populismo penale al posto di diritti e garanzie
:
se ripercorriamo passo passo la crisi dell’Ilva non possiamo non notare come l’intera vicenda riassuma in se stessa tutte le involuzioni ideologiche che la sinistra ha incubato negli anni Settanta, coltivato negli anni novanta ed esternalizzato negli anni duemila al Movimento 5 stelle, per esserne infine divorata, come sta avvenendo in questi giorni.

Fino agli ultimi lacerti del suo insediamento sociale e culturale nel mondo del lavoro, con quel che restava di un’idea sia pure ingenua di progresso, che bene o male le permetteva di mantenere ancora un rapporto con la storia e con la modernità. Per la sinistra italiana – o comunque si vogliano classificare gli ultimi eredi, nei partiti e nel sindacato, di quello che fu il movimento dei lavoratori – il gigantesco scheletro dell’Ilva è lo specchio del suo futuro imminente. O forse il suo ritratto di Dorian Gray.

La tragedia dell’Ilva non riguarda solo la sinistra, ovviamente.
Lo stesso dibattito sulla necessità di uno «scudo penale» appare indicativo del punto a cui siamo arrivati: implicita ammissione di un intero sistema che non si fida più di se stesso. E fa bene. In un Paese in cui da un lato la magistratura interviene per spegnere e dall’altro il governo promette di riaccendere, in cui gli stessi politici oscillano tra la strumentalizzazione demagogica della vicenda giudiziaria e il tentativo di sterilizzarne o aggirarne gli effetti, tra ex magistrati che fanno politica utilizzando le inchieste, magistrati che prima indagano e poi si candidano ad amministrare e candidati che prima denunciano e poi pretendono di mettere a tacere le loro stesse denunce, in cui si passa in un minuto dall’invocazione della pubblica gogna alla proposta dell’impunità assoluta: di chi e di che cosa ci si può mai fidare, in un Paese così?



Il problema è che l’Italia si sta trasformando sempre più rapidamente in una anarcocraturao in una “anarchia illiberale”

Ciliegina sulla torta, come racconta sul Foglio Luciano Capone, l’arrivo delle immancabili associazioni dei consumatori, pronte a denunciare Arcelor Mittal per «tentata estorsione» alla procura di Taranto, guidata oggi dall’ex capo della procura di Trani, che sulla base di analoghi esposti ha già condotto celebri inchieste prima contro le agenzie di rating e poi contro le multinazionali del farmaco, per indagare nientemeno che la correlazione vaccini-autismo.

La verità è che la crisi dell’Ilva è così maledettamente inestricabile proprio perché intreccia decenni di demagogia e moralismo a buon mercato.
E adesso è arrivato il conto
.
c’è poco da fare: la storia dimostra che si può avere sviluppo economico in una cornice istituzionale garantita da democrazia e stato di diritto oppure all’interno di uno stato autoritario come la Cina, o anche all’interno di democrazie illiberali come la Turchia e l’Ungheria. L’unico contesto in cui lo sviluppo è sicuramente impossibile è un Paese in cui il diritto non è garantito né dal rule of law né dall’autorità del partito-stato, né da istituzioni democratiche né dal capo carismatico.

Il problema è che l’Italia si sta trasformando sempre più rapidamente in una anarcocratura – o in una “anarchia illiberale”, per dir così – e nessuno sembra averne nemmeno la più vaga consapevolezza, mentre tutti applaudiamo al «coraggio» del presidente Giuseppe Conte, che ha avuto le palle di andare in mezzo agli operai dell’Ilva, per dir loro candidamente di «non avere una soluzione in tasca». E pazienza se il motivo per cui non ce l’ha è che a buttare dalla finestra la soluzione che c’era, quella garantita dallo «scudo penale», per quanto imperfetta e criticabile, sono stati il suo partito, il suo governo e la sua maggioranza (tutta intera: da Leu a Italia Viva, passando per Pd e M5s).

Del resto, chi ha bisogno di soluzioni in un Paese in cui, come canta il poeta, le regole non esistono, esistono solo le eccezioni?
 

tontolina

Forumer storico
Ilva, ArcelorMittal detta al governo le condizioni della resa
Nel vertice di oltre tre ore a Palazzo Chigi, il ceo e il direttore finanziario del colosso siderurgico mettono sul tavolo richieste pesanti. La reintroduzione dello scudo penale non basta, chiedono la riduzione della produzione, con 5mila esuberi. Ma la maggioranza traballa sulla nuova immunità
Ilva, ArcelorMittal detta al governo le condizioni della resa - Linkiesta.it

la stupidità del governo giallo-rosso
evidentemente pensava che Acelor-mittal fosse come il popolo italiano che si fa fare di tutto senza lamentarsi mai e di rivendicare un po' di democrazia solo nelle urne elettorali

questo governo ha abolito la condizione cardine inserita nel contratto sulla non punibilità dei dirigenti di Acelo-Mittal
quest'ultimo ha chiesto la chiusura del contratto nel venir meno delle condizioni sottoscritte dal governo

l'Italia è diventata inaffidabile
adesso inizia la rincorsa di Conte&Soci; ma la frittata è stata fatta e Acelor non si accontenta più e capisce di avere il coltello dalla parte del manico.... e chiede un nuovo contratto più vantaggioso con la possibilità di lincenziare ben 5000 dipendenti e ridurre la produzione.


Ormai Acelor-mittal conosce i nomi dei clienti di ILVA e può contattarli e vendere loro l'acciaio francese e lasciare a bocca sciutta l'Italia


Ora non resta che una soluzione possibile: la nazionalizzazione dell'ILVA. temo che non sia possibile... i grillini vogliono le cozze pelose che crescono bene a Taranto
 
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tontolina

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CHI E’ IL VERO COLPEVOLE DELLA CRISI ILVA? LEGGETE E SCOPRITELO…






Lo stabilimento ILVA di Taranto è un enorme rebus economico, ambientale e sociale. La crisi aziendale suscitata dagli indiani ha portato in evidenza questo contrasto, che sembra nascere dalla questione dello “Scudo Penale” unito alla crisi mondiale del settore dell’acciaio. Però questo è solo l’ultimo capitolo di una storia lunga, di cui può essere interessante ripercorrere alcuni passaggi precedenti. Quando l’acciaieria fu tolta all’ILVA, in modo giusto o scorretto lo deciderà la magistratura, furono espressi dei piani aziendali .

Quando l’ILVA fu tolta ai Riva vi fu una figura di congiunzione nel passaggio fra la vecchia e la nuova gestione, il noto manager e risanatore aziendale Enrico Bondi. Il noto personaggio del’economia fu nominato Amministratore Delegato dalla Riva nell’aprile 2013, poco prima il sequestro dell’impianto e di fondi per 8,1 miliardi complessivi, per poi essere scelto come commissario da parte del governo Letta. Bondi lavorò quindi alla predisposizione dell’ultimo vero piano aziendale per l’acciaieria come società autonoma economicamente ed ambientalmente gestibile, e punto tutto sull’applicazione delle nuove tecnologie.

Il suo piano di ristrutturazione prevedeva una riforma profonda del ciclo produttivo, con l’abbandono completo, o quasi, del’utilizzo del carbone. La tecnologia la spiega bene questo articolo de l’Espresso, in cui il professore milanese di siderurgia Mapelli lo descrive in modo semplice : si tratta di un procedimento chimico, il minerale di ferro viene esposto all’azione di monossido di carbonio e di idrogeno. Si ottiene così un prodotto con una più elevata concentrazione di ferro metallico, che può essere caricato nell’altoforno con un minore impiego di coke (il combustibile derivato dal carbone, ndr), oppure utilizzato nei forni elettrici al posto del rottame». Si tratta di una tecnologia che permette, volendolo, di eliminare completamente il carbone e di procedere con altre tecnologie.

Bondi è laureato in chimica, quindi in grado di cogliere gli aspetti tecnici del processo in modo attento. Si tratta di un procedimento che richiede la disponibilità di una grande quantità di gas naturale in quel momento di non immediata disponibilità, ma ora il problema non si pone, dato che la TAP arriva proprio in Puglia. Bondi lavorava su un piano che permettesse il ritorno in utile, con un impianto efficiente al 2020 con un costo complessivo di circa 4,3 miliardi di euro, ed aveva il vantaggio di conservare la produzione in modo efficiente ed ambientalmente accettabile. Il piano era molto complesso, una vera e propria scommessa che poteva essere vincente o perdente, e che si basava anche su un sostegno del sistema bancario e su fondi che dovevano essere recuperati dall’ILVA. Una situazione molto complessa, ma in quel momento l’unica percorribile.

Poi, ci fu il cambiamento.


La fine del governo Letta ed il subentro di Matteo Renzi portò ad un completo cambio di rotta. Enrico Bondi viene dimissionato ed il 6 giugno 2014 gli subentra Pietro Gnudi, ex IR
I, che mette a parte il piano di Bondi per la decarbonizzazione e si dedica subito alla ricerca di un partner a cui vendere l’azienda, proseguendo nel frattempo con un piano aziendale che andava avanti con la produzione di acciaio su via ordinaria, pur nel rispetto dei limiti ambientali. Il piano ha condotto alla copertura dei depositi minerali ed alla cessione ad Arcelor Mittal, ma ci ha anche condotto alla chiusura dell’impianto. Il piano industriale Gnudi era già un piano industriale perdente in prospettiva perchè tollerabile solo in una situazione di mercato dell’acciaio in crescita, cosa che già nel 2016 sembrava improbabile, data la concorrenza cinese, e che ora sembra impossibile, stretti fra crisi del settore auto e concorrenza dell’acciaio turco che, non esportando più negli USA, ci invade a prezzi assurdi, nonostante le quote.

Il piano Bondi era rischioso ed in quel momento costoso, ma puntava al futuro. La critica riguardo l’utilizzo del Gas Naturale si è rivelata miope per almeno tre motivi:

  • la disponibilità già all’epoca di contratti take or pay a costi di fornitura molto bassi;
  • l’andamento dei prezzi mondiali del gas naturale, in forte ribasso;
  • la realizzazione della TAP e presto anche del nuovo gasdotto sud mediterraneo, che renderanno la Puglia un hub europeo nella fornitura di gas naturale
Bondi fu sacrificato perchè:

  • lo stato voleva risparmiare un po’ di liquidità;
  • era in contrasto con la famiglia Riva che lo vedeva come un traditore.
Appare però evidente che la situazione attuale è figlia della scelta del governo Renzi, di dismettere lui ed il suo piano a favore di un piano molto più semplice , ma che dopo soli 4 anno rivela la sua completa, totale fallacia. Renzi volle l’uovo subito, qualche investimento in meno, e rinunciò alla gallina di un settore siderurgico moderno, ed ambientalmente tollerabile. Ora si straccia le vesti perchè l’ILVA rischia di chiudere, anzi quasi sicuramente chiuderà a fine settimana, ma il responsabile è, soprattutto, lui.
 

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