Il relativismo contemporaneo: filosofia inevitabile e virtuosa (1 Viewer)

Ignatius

sfumature di grigio
«Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi».
È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein. Lo stesso di quello di Karl Popper: «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale.
Il vecchio ideale scientifico dell' episteme - della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile - si è rivelato un idolo.
L'esigenza dell'oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta della verità».
Tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata - in fisica e in economia, in biologia e in storiografia, in chimica come nella critica testuale - si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli al fine di vedere se esse sono false. Cerchiamo, insomma, di falsificare, dimostrare false le nostre congetture per sostituirle, se ci riusciamo, con teorie migliori, vale a dire più ricche di contenuto esplicativo e previsivo. Ciò nella consapevolezza che, per motivi logici, non ci è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, nessuna teoria: anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio.

La realtà è che evitare l'errore è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili è facile che sbaglieremo; conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, ma è piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui.
Ancora Popper: l'errore commesso, individuato ed eliminato è il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza. Dunque, nello sviluppo della ricerca scientifica, non ogni teoria vale l'altra e, di volta in volta, accettiamo quella teoria che ha meglio resistito agli assalti della critica. Il fallibilismo, in breve, è la via aurea che, in ambito scientifico, consente di evitare sia il dogmatismo sia l'arbitrio soggettivistico.

Ora, la storia delle vicende umane, come anche la realtà dei nostri giorni, ci mostra una Terra inzuppata di sangue versato in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive filosofiche e religiose.
Partendo dall'esperienza, ripete Max Weber con John Stuart Mill, si giunge al politeismo dei valori. E con ciò siamo nel mezzo delle questioni connesse al relativismo etico.
Certo, è falso sostenere che tutte le etiche sono uguali. «Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio ben diverso da quello dove si grida «occhio per occhio dente per dente», o da quello leninista per cui «la morale è in tutto e per tutto soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato», talché «non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa senza pietà».

Dunque, tutte le etiche sono diverse, ma ce n'è una migliore delle altre? C'è, insomma, un qualche principio etico che, razionalmente fondato, possa valere erga omnes ? Si tratta di un'inevitabile domanda che, tuttavia, non pare possa avere una risposta positiva. Simile risposta positiva non può darsi se vale quella che si chiama «legge di Hume», la quale stabilisce l'impossibilità logica di dedurre asserti prescrittivi da asserti descrittivi.
È questa, per usare un'espressione di Norberto Bobbio, una legge di morte per ogni tentativo di giustificazione razionale di qualsiasi sistema etico. La scienza sa, l'etica valuta. Molto può fare la ragione nell'etica, ma la cosa più importante che essa può fare in ambito etico sta nel farci comprendere che l'etica non è scienza.
Esistono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche: non esistono spiegazioni etiche. Da tutta la scienza non è estraibile un grammo di morale. I princìpi etici si fondano su scelte di coscienza e non sulla scienza.
Pluralismo di valori, dunque scelta; scelta, dunque libertà; libertà dunque responsabilità.
Inevitabile la scelta, perché inevitabile il relativismo inteso esattamente quale esito della non fondabilità razionale di qualsiasi principio etico.
In un simile orizzonte la «legge di Hume» si configura come la base logica della libertà di coscienza, mentre la presunzione di essere in possesso di fundamenta inconcusse del proprio sistema etico genera facilmente fondamentalisti inquisitori, i quali si sentiranno divorati dallo zelo di imporre agli altri il «Vero» e il «Bene», magari a costo di lacrime e sangue.
È davvero difficile dar torto a Hans Kelsen quando scrive che «il relativismo è quella concezione del mondo che l'idea democratica suppone».
E non va dimenticato che la società aperta è aperta al maggior numero di idee e ideali diversi e magari contrastanti, ma che è, appunto, aperta e non spalancata; essa, pena il suo autodissolvimento, è chiusa a tutti gli intolleranti e ai violenti - animata, come è, da quel decreto umanitario che stabilisce che «non c'è nessun uomo che sia più importante di un altro uomo».
Ma, e qui l'interrogativo si impone, che cosa sarebbe questa nostra « cum-scientia » umanitaria, che cosa sarebbe in altri termini l'Occidente senza il messaggio cristiano?
E se da un punto di vista fattuale appare inconsistente la posizione di quanti sostengono che del fiume della nostra storia il cristianesimo sarebbe nulla più che un affluente insignificante e non una sua poderosa sorgente, sorprende l'insistenza di tanti intellettuali cattolici i quali pensano che sia la ragione, al di fuori della Rivelazione, a stabilire, in maniera ultima e definitiva, ciò che è Bene e ciò che è Male.
Ma quale ragione, la ragione di chi, è in grado di approdare a simili «assoluti terrestri»?
Non è questa una forma di neopelagianesimo, dove il messaggio di Cristo viene trasformato, dal più al meno, in uno strofinaccio dell'argenteria di Aristotele, di Grozio o di Locke?

Blaise Pascal: «Nulla in base alla pura ragione è di per sé giusto, tutto muta col tempo» - e tutti i nostri «lumi» potranno solo farci conoscere che «noi non troveremo né la verità né il bene».
E, allora, Pascal è un «fideista» perché disprezza la ragione o è un iper-razionalista consapevole dei limiti della ragione? E non è proprio in un mondo lacerato dalla disperazione, alla ricerca di un bene o senso assoluto non costruibile da mani umane, che risplende il messaggio cristiano nel suo più profondo significato sia esistenziale che politico per la storia dell'Occidente?
D'altro canto, per il cristiano solo Dio è assoluto e tutto ciò che è umano è storico, contestabile, perfettibile, insomma non assoluto. La fede cristiana - che, essendo appunto fede, viene abbracciata e va testimoniata, proposta e non imposta - libera l'uomo dall'idolatria, anche dall'idolatria di una ragione concepita come Dea-Ragione.
La ragione non è quella prostituta di cui parla Lutero, ma non è nemmeno quella dea davanti alla quale seguitano a inginocchiarsi i seguaci - laici e cattolici - delle svariate forme di fondamentalismo razionalistico.
La ragione, piuttosto, è una preziosa lanterna, da tenere sempre accesa, necessaria per la correzione dei nostri errori; indispensabile perché le nostre scelte vengano compiute a occhi aperti, vale a dire con l'intelligenza delle loro conseguenze; e capace di scrutare quei limiti di se stessa, senza la cui consapevolezza popoleremmo la Terra, come insegnano tragiche esperienze del passato e del presente, di idoli mostruosi assetati di sangue.









Ovviamente 'ste robe non le ho scritte io. Erano, da qualche parte, in un articolo salvato tra i preferiti oltre un anno fa. Sarò stato io? O qualche hacker s'è impadronito del mio piccì e l'ha riempito di filosofia?
Il relativismo contemporaneo filosofia inevitabile e virtuosa - Corriere.it





Ma un'idea concreta :rolleyes: ce l'avrei, e chiedo suggerimenti ai laici e ai credenti: posto che qualche presunto ateo divinizza, inopinatamente, la Ragione, mettiamo insieme i nostri cervelli e i nostri cuori e stabiliamo IQT su cosa si dovrebbe basare un'Etica Laica.

E poi, dall'Etica, deriviamo norme di alto livello, da cui deriveremo delle norme concrete. Stile Lamfalussy :-o, se possibile.



Sottoprodotti:
1) Un insieme di norme può esistere senza un'Etica sottostante. Ma un'Etica può esistere senza generare norme tra i suoi seguaci?
2) L'Etica religiosa si può permettere di essere irrazionale, ambigua e talvolta incoerente con sé stessa. Un Etica Laica potrebbe arrivare ad eliminare alcuni dei limiti dell'Etica religiosa?
3) Un'Etica che copre pochi aspetti della vita umana si può definire "Etichetta"?
4) Prot.
 

Ignatius

sfumature di grigio
Non temete, amiche ed amici di TediumVitae: nel silenzio, le menti più illuminàte e/o dotte stanno lavorando per lo sviluppo di questo thread.
 

Kronos

Forumer storico
«Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi».
È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein. Lo stesso di quello di Karl Popper: «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale.
Il vecchio ideale scientifico dell' episteme - della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile - si è rivelato un idolo.
L'esigenza dell'oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta della verità».
Tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata - in fisica e in economia, in biologia e in storiografia, in chimica come nella critica testuale - si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli al fine di vedere se esse sono false. Cerchiamo, insomma, di falsificare, dimostrare false le nostre congetture per sostituirle, se ci riusciamo, con teorie migliori, vale a dire più ricche di contenuto esplicativo e previsivo. Ciò nella consapevolezza che, per motivi logici, non ci è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, nessuna teoria: anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio.

La realtà è che evitare l'errore è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili è facile che sbaglieremo; conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, ma è piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui.
Ancora Popper: l'errore commesso, individuato ed eliminato è il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza. Dunque, nello sviluppo della ricerca scientifica, non ogni teoria vale l'altra e, di volta in volta, accettiamo quella teoria che ha meglio resistito agli assalti della critica. Il fallibilismo, in breve, è la via aurea che, in ambito scientifico, consente di evitare sia il dogmatismo sia l'arbitrio soggettivistico.

Ora, la storia delle vicende umane, come anche la realtà dei nostri giorni, ci mostra una Terra inzuppata di sangue versato in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive filosofiche e religiose.
Partendo dall'esperienza, ripete Max Weber con John Stuart Mill, si giunge al politeismo dei valori. E con ciò siamo nel mezzo delle questioni connesse al relativismo etico.
Certo, è falso sostenere che tutte le etiche sono uguali. «Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio ben diverso da quello dove si grida «occhio per occhio dente per dente», o da quello leninista per cui «la morale è in tutto e per tutto soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato», talché «non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa senza pietà».

Dunque, tutte le etiche sono diverse, ma ce n'è una migliore delle altre? C'è, insomma, un qualche principio etico che, razionalmente fondato, possa valere erga omnes ? Si tratta di un'inevitabile domanda che, tuttavia, non pare possa avere una risposta positiva. Simile risposta positiva non può darsi se vale quella che si chiama «legge di Hume», la quale stabilisce l'impossibilità logica di dedurre asserti prescrittivi da asserti descrittivi.
È questa, per usare un'espressione di Norberto Bobbio, una legge di morte per ogni tentativo di giustificazione razionale di qualsiasi sistema etico. La scienza sa, l'etica valuta. Molto può fare la ragione nell'etica, ma la cosa più importante che essa può fare in ambito etico sta nel farci comprendere che l'etica non è scienza.
Esistono spiegazioni scientifiche e valutazioni etiche: non esistono spiegazioni etiche. Da tutta la scienza non è estraibile un grammo di morale. I princìpi etici si fondano su scelte di coscienza e non sulla scienza.
Pluralismo di valori, dunque scelta; scelta, dunque libertà; libertà dunque responsabilità.
Inevitabile la scelta, perché inevitabile il relativismo inteso esattamente quale esito della non fondabilità razionale di qualsiasi principio etico.
In un simile orizzonte la «legge di Hume» si configura come la base logica della libertà di coscienza, mentre la presunzione di essere in possesso di fundamenta inconcusse del proprio sistema etico genera facilmente fondamentalisti inquisitori, i quali si sentiranno divorati dallo zelo di imporre agli altri il «Vero» e il «Bene», magari a costo di lacrime e sangue.
È davvero difficile dar torto a Hans Kelsen quando scrive che «il relativismo è quella concezione del mondo che l'idea democratica suppone».
E non va dimenticato che la società aperta è aperta al maggior numero di idee e ideali diversi e magari contrastanti, ma che è, appunto, aperta e non spalancata; essa, pena il suo autodissolvimento, è chiusa a tutti gli intolleranti e ai violenti - animata, come è, da quel decreto umanitario che stabilisce che «non c'è nessun uomo che sia più importante di un altro uomo».
Ma, e qui l'interrogativo si impone, che cosa sarebbe questa nostra « cum-scientia » umanitaria, che cosa sarebbe in altri termini l'Occidente senza il messaggio cristiano?
E se da un punto di vista fattuale appare inconsistente la posizione di quanti sostengono che del fiume della nostra storia il cristianesimo sarebbe nulla più che un affluente insignificante e non una sua poderosa sorgente, sorprende l'insistenza di tanti intellettuali cattolici i quali pensano che sia la ragione, al di fuori della Rivelazione, a stabilire, in maniera ultima e definitiva, ciò che è Bene e ciò che è Male.
Ma quale ragione, la ragione di chi, è in grado di approdare a simili «assoluti terrestri»?
Non è questa una forma di neopelagianesimo, dove il messaggio di Cristo viene trasformato, dal più al meno, in uno strofinaccio dell'argenteria di Aristotele, di Grozio o di Locke?

Blaise Pascal: «Nulla in base alla pura ragione è di per sé giusto, tutto muta col tempo» - e tutti i nostri «lumi» potranno solo farci conoscere che «noi non troveremo né la verità né il bene».
E, allora, Pascal è un «fideista» perché disprezza la ragione o è un iper-razionalista consapevole dei limiti della ragione? E non è proprio in un mondo lacerato dalla disperazione, alla ricerca di un bene o senso assoluto non costruibile da mani umane, che risplende il messaggio cristiano nel suo più profondo significato sia esistenziale che politico per la storia dell'Occidente?
D'altro canto, per il cristiano solo Dio è assoluto e tutto ciò che è umano è storico, contestabile, perfettibile, insomma non assoluto. La fede cristiana - che, essendo appunto fede, viene abbracciata e va testimoniata, proposta e non imposta - libera l'uomo dall'idolatria, anche dall'idolatria di una ragione concepita come Dea-Ragione.
La ragione non è quella prostituta di cui parla Lutero, ma non è nemmeno quella dea davanti alla quale seguitano a inginocchiarsi i seguaci - laici e cattolici - delle svariate forme di fondamentalismo razionalistico.
La ragione, piuttosto, è una preziosa lanterna, da tenere sempre accesa, necessaria per la correzione dei nostri errori; indispensabile perché le nostre scelte vengano compiute a occhi aperti, vale a dire con l'intelligenza delle loro conseguenze; e capace di scrutare quei limiti di se stessa, senza la cui consapevolezza popoleremmo la Terra, come insegnano tragiche esperienze del passato e del presente, di idoli mostruosi assetati di sangue.









Ovviamente 'ste robe non le ho scritte io. Erano, da qualche parte, in un articolo salvato tra i preferiti oltre un anno fa. Sarò stato io? O qualche hacker s'è impadronito del mio piccì e l'ha riempito di filosofia?
Il relativismo contemporaneo filosofia inevitabile e virtuosa - Corriere.it





Ma un'idea concreta :rolleyes: ce l'avrei, e chiedo suggerimenti ai laici e ai credenti: posto che qualche presunto ateo divinizza, inopinatamente, la Ragione, mettiamo insieme i nostri cervelli e i nostri cuori e stabiliamo IQT su cosa si dovrebbe basare un'Etica Laica.

E poi, dall'Etica, deriviamo norme di alto livello, da cui deriveremo delle norme concrete. Stile Lamfalussy :-o, se possibile.



Sottoprodotti:
1) Un insieme di norme può esistere senza un'Etica sottostante. Ma un'Etica può esistere senza generare norme tra i suoi seguaci?
2) L'Etica religiosa si può permettere di essere irrazionale, ambigua e talvolta incoerente con sé stessa. Un Etica Laica potrebbe arrivare ad eliminare alcuni dei limiti dell'Etica religiosa?
3) Un'Etica che copre pochi aspetti della vita umana si può definire "Etichetta"?
4) Prot.



La verità esiste nella sua istantaneità. Li è nuda, senza veli, terrena, vergognosa. Una donna senza veli e meglio o no di una donna moderatamente vestita?





"Grazie, finalmente una boccata d'aria."
 

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f4f

翠鸟科
discussione interessante

ma ...
caveat :rolleyes:

Discutono di Kant, poi uno spara

Russia: uno dei due ammiratori del filosofo è ora ricoverato in ospedale
dot.png
MOSCA - Erano in fila davanti ad un chiosco di birre e avevano cominciato a discutere di Immanuel Kant, di cui si erano dichiarati entrambi ammiratori. Ma la loro conversazione "filosofica" si è trasformata in un acceso duello verbale su chi conoscesse meglio il filosofo tedesco ed è sfociato in un litigio alla fine del quale uno dei due contendenti ha sparato all'altro con una pistola scacciacani. L'episodio è accaduto intorno a mezzanotte a Rostov sul Don, nella Russia meridionale.
 

Ignatius

sfumature di grigio
La verità esiste nella sua istantaneità. Li è nuda, senza veli, terrena, vergognosa. Una donna senza veli e meglio o no di una donna moderatamente vestita?

"Grazie, finalmente una boccata d'aria."

Grazie per il contributo. :up:
Il ruolo della Verità nell'etica sarà uno dei temi cruciali che affronteremo nella creazione dell'Etica Laica.
Ma anticipo che, secondo me, pur essendo l'Etica Laica intrinsecamente coerente, non venera acriticamente la Verità, bensì attribuisce grande importanza anche ai comportamenti irrazionali, alle cose "non misurabili e non quantificabili", cosa che risulta indispensabile per per non escludere l'Arte dal mondo eticamente ideale.

'Sto còmpito è così complicato, che quasi mi spaventa.

discussione interessante

ma ...
caveat :rolleyes:

Discutono di Kant, poi uno spara

Russia: uno dei due ammiratori del filosofo è ora ricoverato in ospedale
...

Caveat bis: Kant fu il protagonista di uno dei più bei thread filosofici may comparsi in una sezione di cazzeggio di un forum di finanza.
Peccato che i protagonisti sian tutti scomparsi, mas o meno.


Comunque poi torno in tema, garantìto. :up:
 

timurlang

Etsi omnes , Ego non
L'affermazione di un relativismo forte, e cioè che qualsiasi enunciato sia relativo, è semplicemente autoconfutante.
Infatti l'unico modo che ha di non cadere in contraddizione è di dichiarare che l'enunciato stesso "tutti gli enunciati sono relativi" è esso stesso relativo.

E dovrebbe essere , ed è, oggetto di studio il perché del successo di una idea così contraddittoria.

Se consideriamo poi per es gli enunciati morali, un relativista "forte” non può dichiarare che è sbagliato criticare il comportamento morale di un’altra persona perché, per me, potrebbe essere giusto farlo.

Da questo ne deriva che per avere una discussione razionale è necessario condividere una base comune, che è il tema che posto : ma è proprio questa base comune che è negata dal relativismo radicale
 

Ignatius

sfumature di grigio
L'affermazione di un relativismo forte, e cioè che qualsiasi enunciato sia relativo, è semplicemente autoconfutante.
Infatti l'unico modo che ha di non cadere in contraddizione è di dichiarare che l'enunciato stesso "tutti gli enunciati sono relativi" è esso stesso relativo.

E dovrebbe essere , ed è, oggetto di studio il perché del successo di una idea così contraddittoria.

Se consideriamo poi per es gli enunciati morali, un relativista "forte” non può dichiarare che è sbagliato criticare il comportamento morale di un’altra persona perché, per me, potrebbe essere giusto farlo.

Da questo ne deriva che per avere una discussione razionale è necessario condividere una base comune, che è il tema che posto : ma è proprio questa base comune che è negata dal relativismo radicale

Non necessariamente, anche se è complicato parlare di Valori di Alto Livello pensando immediatamente alle implicazioni operative, in modo ricorsivo...


Ad esempio: se partissimo da ciò che è già stato scritto, ovvero dalla Metafisica della Qualità?

Vado a memoria: potrebbe essere accettabile istituire una "scala" di valori, che preveda che:
1. l'organico è da considerare "più importante" (un'evoluzione) dell'inorganico [ovvero: un punto per la Vita]
2. [un po' etnocentristicamente]: è possibile discriminare le forme di vita [ovvero: un Umano "vale" più di un Protozoo]
3. la collettività è da considerare "più importante" del singolo [ovvero: la collettività ha il diritto/dovere di tutelare gli individui che la compongono - e sé stessa - imponendo norme che limitano la libertà degli individui stessi]
4. le idee sono da considerare più importanti delle collettività [ovvero: una rivoluzione mossa da un ideale più adeguato ai mutati tempi ha diritto/dovere di cambiare le norme vigenti, e financo di sovvertire l'ordine sociale esistente].


Il tutto da immaginare in modo dialettico, ça va sans dire, e mutevole nel tempo (per il punto 3: ci possono essere società più centraliste o più federaliste...).
 

f4f

翠鸟科
Grazie per il contributo. :up:
Il ruolo della Verità nell'etica sarà uno dei temi cruciali che affronteremo nella creazione dell'Etica Laica.
Ma anticipo che, secondo me, pur essendo l'Etica Laica intrinsecamente coerente, non venera acriticamente la Verità, bensì attribuisce grande importanza anche ai comportamenti irrazionali, alle cose "non misurabili e non quantificabili", cosa che risulta indispensabile per per non escludere l'Arte dal mondo eticamente ideale.

'Sto còmpito è così complicato, che quasi mi spaventa.




Caveat bis: Kant fu il protagonista di uno dei più bei thread filosofici may comparsi in una sezione di cazzeggio di un forum di finanza.
Peccato che i protagonisti sian tutti scomparsi, mas o meno.


Comunque poi torno in tema, garantìto. :up:

Discutono di Kant, poi uno spara



dato l'articolo, scomparsi come ?? :brr::brr::brr::brr::brr::brr:


caveat :help:
 

f4f

翠鸟科
Non necessariamente, anche se è complicato parlare di Valori di Alto Livello pensando immediatamente alle implicazioni operative, in modo ricorsivo...


Ad esempio: se partissimo da ciò che è già stato scritto, ovvero dalla Metafisica della Qualità?

Vado a memoria: potrebbe essere accettabile istituire una "scala" di valori, che preveda che:
1. l'organico è da considerare "più importante" (un'evoluzione) dell'inorganico [ovvero: un punto per la Vita]
2. [un po' etnocentristicamente]: è possibile discriminare le forme di vita [ovvero: un Umano "vale" più di un Protozoo]
3. la collettività è da considerare "più importante" del singolo [ovvero: la collettività ha il diritto/dovere di tutelare gli individui che la compongono - e sé stessa - imponendo norme che limitano la libertà degli individui stessi]
4. le idee sono da considerare più importanti delle collettività [ovvero: una rivoluzione mossa da un ideale più adeguato ai mutati tempi ha diritto/dovere di cambiare le norme vigenti, e financo di sovvertire l'ordine sociale esistente].



Il tutto da immaginare in modo dialettico, ça va sans dire, e mutevole nel tempo (per il punto 3: ci possono essere società più centraliste o più federaliste...).



:mmmm::mmmm:

livelli di relatività relativa?

concordo con Timurlang :
L'affermazione di un relativismo forte, e cioè che qualsiasi enunciato sia relativo, è semplicemente autoconfutante.
 

Ignatius

sfumature di grigio
:mmmm::mmmm:

livelli di relatività relativa?

concordo con Timurlang :
L'affermazione di un relativismo forte, e cioè che qualsiasi enunciato sia relativo, è semplicemente autoconfutante.


Stiamo parlando di Etica, mi pare. :mmmm: :mmmm:

La confutazione è inapplicabile; semmai, una volta definiti una serie di Valori Etici, si potrà obiettare che sono incoerenti tra di loro, o che le norme concrete che ne sono state ricavate sono tecnicamente errate, ma non credo si potrà dire "Considerare la Vita uno stato migliore della morte Morte è logicamente / scientificamente sbagliato, e quindi lo confuto". Trattasi di opzione (scelta) etica.

O mi son perso qualche cosa? :mumble:
 

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