IL PROBLEMA E' LA NOTTE, IL BUIO FA LUCE A TROPPI PENSIERI. (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Inditex, società proprietaria del marchio Zara, ha annunciato la chiusura di 1.200 negozi.

Il colosso spagnolo ha dato la notizia mercoledì 10 giugno, quando sono stati resi noti i guadagni del primo trimestre del 2020.

Il Coronavirus, proprio in questi mesi, ha avuto un notevole impatto sugli incassi della società,
per questo motivo Zara ha deciso di chiudere i punti vendita più piccoli e concentrarsi sulle vendite online.

In concomitanza all’annuncio della chiusura dei 1.200 punti vendita Zara,
Inditex ha fatto sapere di essere intenzionata a puntare tutto sul commercio elettronico.

L’obiettivo, è stato spiegato, è raddoppiare le vendite online, investendo 1 miliardo di euro in tre anni nel potenziamento dell’e-commerce.

La società quindi cambia strategia e, così facendo, si aspetta che le vendite online rappresentino un quarto delle sue attività entro il 2022.


Inditex, che è uno dei più grandi rivenditori di abbigliamento al mondo, è stato duramente colpito dalla pandemia:
le vendite sono calate del 44%, facendo registrare perdite pari a 3,3 miliardi di euro tra il 1° febbraio e il 30 aprile.

La crescita delle vendite on line, come affermato dalla società, è però riuscita ad ammortizzare le ingenti perdite causate al Coronavirus.

Il che ha spinto i vertici Zara a guardare con sempre maggiore interesse al commercio elettronico.

Come già anticipato, sono 1.200 i negozi Zara che chiuderanno a causa del Coronavirus.

I punti vendita interessati, come ha annunciato la società, sono sparsi in tutto il mondo.
Quelli che abbasseranno le saracinesche, però, saranno per lo più i più piccoli.


Le chiusure pare riguarderanno sopratutto Asia ed Europa.
Non sono stati ancora resi noti i nomi delle singole città interessate,
perciò non è ancora chiara la sorte dei lavoratori italiani impiegati all’interno dei negozi Zara del nostro paese.


I vertici di Zara, comunque, hanno già specificato che l’intendo della società non è quello di procedere con licenziamenti di massa,
piuttosto punta al ricollocamento del personale, che rimarrà stabile.
Ai lavoratori che hanno prestato il loro servizio all’interno dei punti vendita, infatti, verranno offerti ruoli all’interno della nuova rete di vendita online.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La questione non è una fissa propagandistica di Matteo Salvini,
ma una questione nazionale di primaria grandezza che si vuole ignorare
per non dare al leader leghista l’occasione di montare e scatenare il proprio cavallo di battaglia.


La ripresa dell’arrivo dei barconi provenienti dalla Tunisia e dalla Libia non è una trovata di Salvini,
ma la conferma che il problema esiste e che fino ad ora non ha trovato alcuna risposta risolutiva da parte del Governo di Giuseppe Conte.

Nessuno sa se il Presidente del Consiglio abbia deciso di delegare la questione al comitato di tecnici presieduto da Vittorio Colao
o se pensi di sollevarla nel corso degli Stati generali fissati a Villa Pamphili per la fine della settimana.

Di sicuro il Governo ha accuratamente evitato di prendere in esame il problema
sperando che il maltempo invernale continuasse ad impedire il passaggio dei barconi nel Canale di Sicilia.

Ma il maltempo è finito, l’estate è in arrivo ed i migranti sono tornati a sbarcare lungo le nostre coste
e non esiste un solo segnale che qualcuno a Palazzo Chigi o alla Farnesina
abbia concepito qualche progetto oltre quello delle quote tra i Paesi della Ue
tenendo conto che rimanendo l’Italia il Paese europeo di prima accoglienza
avrà comunque il peso maggiore almeno delle prime soluzioni ad una problematica
che non è solo concreta e materiale ma è essenzialmente di natura politica
perché riguarda il ruolo che il nostro Paese intende svolgere in un Mediterraneo
diventato il crocevia degli interessi e dei contrasti sia delle grandi potenze mondiali
che di quelle dell’area europea, asiatica, africana ed araba.


Pensare di non definire questo ruolo che ci viene imposto non solo dalla storia
ma soprattutto dalla geopolitica è del tutto irrealistico.

Perché nel frattempo grandi e piccole potenze hanno occupato spazi addirittura coloniali
(come la Turchia di Erdogan nei confronti della Tripolitania e l’Egitto nei confronti della Cirenaica)
e più l’Italia si ritrae, più gli spazi altrui si allargano attribuendo alla penisola sempre e soltanto
la funzione di Paese di prima accoglienza che risolve i problemi degli altri
e vede moltiplicare i propri senza un qualche utile o una qualche funzione.


Il tempo dell’inerzia, dunque, sta finendo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Intervistato ad Omnibus, David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura,
ha risposto a numerose domande, cercando in ogni modo di prendere le distanze da Luca Palamara
e dagli altri consiglieri finiti nel mirino.

Ciò è del tutto comprensibile, dal momento che anche Ermini tiene famiglia e perciò cerca di salvare il salvabile.

Tuttavia, a parte il fatto che alcune delle domande che gli venivano poste erano mal-poste
(si pensi a quando la conduttrice accenna a Cosimo Ferri quale membro laico del Csm e lui,
invece di precisare che Ferri è un magistrato, continua tranquillamente a rispondere come nulla fosse,
distorcendo con ciò la realtà e il senso stesso della risposta),
Ermini è stato invitato a commentare l’ormai celebre scambio di battute intercorso fra Luca Palamara e Paolo Auriemma, procuratore di Viterbo.


Lo ricordo per i lettori.

I due magistrati parlano della iniziativa assunta dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio,
nei confronti di Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per il caso della nave carica di migranti.

Auriemma afferma che l’iniziativa è priva di fondamento e che la posizione di chi parteggia per la Procura è addirittura “indifendibile”;
Palamara gli dà pienamente ragione, ma aggiunge che Salvini si deve comunque attaccare.


Ebbene, invitato a commentare questo scambio di battute, Ermini afferma che Salvini ha ragione
in quanto i magistrati non dovrebbero parlare di politica o porsi in prospettiva politica, neppure in privato.


Tutto qui?

Tutto qui.

Ma basta per capire che Ermini non ha capito quasi nulla e che comunque ha preso un duplice abbaglio,
il primo per aver detto una cosa priva di senso e il secondo per non aver detto la sola cosa che, il senso, lo avrebbe avuto.


Il primo abbaglio sta nella convinzione da lui espressa secondo cui i magistrati
non dovrebbero parlare di politica neppure in privato, dovrebbero evitare di commentare i fatti politici come quelli relativi a Salvini.


Domando: e perché mai?

Forse che i magistrati siano esseri acerebrati, incapaci di pensare, di comprendere le vicende politiche?

Oppure siano privi dei diritti politici e civili, quasi fossero cittadini di serie B?

Oppure, addirittura, posti fuori dal contesto politico, per qualche misteriosa ragione?


Mi risulta che così non sia, ovviamente.

I magistrati sono cittadini a pieno titolo (ci mancherebbe altro!)
e per di più dotati di una capacità di comprensione dei fatti politici ed istituzionali maggiore degli altri, a motivo della professione svolta.


Essi capiscono infatti dal di dentro e non in modo epidermico, come accade ad altri,
il funzionamento dei meccanismi istituzionali e gli snodi politici che li riguardano
e perciò godono del diritto pieno ed anzi pienissimo di parlarne non solo in privato ma anche in pubblico.


Sarebbe il caso di ricordare che la nostra Costituzione prevede una cosa che si chiama
diritto di manifestazione del pensiero” garantito nei confronti di tutti, in privato e in pubblico
e che questo diritto esiste naturalmente anche in capo ai magistrati: ritenere il contrario è dire cosa priva di senso.


Il secondo abbaglio consiste invece nel fatto che le conclusioni alle quali giungono Auriemma e Palamara
non manifestano un sapore genericamente politico, ma indicano una precisa dinamica da seguire:
andare contro Salvini a qualunque costo, anche dopo aver riconosciuto che Salvini ha ragione.

Ed è ciò che Ermini ha mancato clamorosamente di individuare e che tuttavia rimane inconcepibile per chiunque.


Si consideri bene la gravità del senso di queste battute:
abbiamo due magistrati che affermano sia politicamente necessario andare contro un ministro al quale però riconoscono di aver ragione.


Se ne cavano alcune conseguenze.


La prima.
I due magistrati sono consapevoli della infondatezza in chiave giuridica dell’accusa di sequestro di persona mossa a carico di Salvini.


La seconda.
Fanno intendere che tale consapevolezza è diffusa non solo fra gli stessi magistrati, ma anche nell’opinione pubblica:
per questo qualificano tale accusa come “indifendibile”.


La terza.
Nonostante essi sappiano che Salvini sia nel giusto, concordano sulla necessità di andargli contro.


La quarta.
Sanno bene che questo andargli contro si concretizza in un procedimento penale, ma a loro sta bene così.


E allora?

E allora, nulla!

Che volete che sia?

Ed Ermini?

Ermini tace.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Fuoco amico sul ministro della Giustizia Alfonso Bonafede
grazie a una rognosissima e sibillina interrogazione parlamentare – a risposta in Commissione giustizia
da parte del deputato del Movimento Cinque Stelle, Giorgio Trizzino.

L’atto ispettivo riguarda due consiglieri del Consiglio superiore della magistratura della Sezione disciplinare,
nominati di certo non amichevolmente, nelle ormai famosissime chat whatsApp dell’ex consigliere dell’organo di autogoverno della magistratura.
Luca Palamara.

I nomi dei due “reprobi” – su cui Trizzino invita anche il ministro del suo partito ad esercitare l’azione disciplinare
– non vengono fatti, a scanso di equivoci.

I magistrati, si sa, nelle querele godono di corsie preferenziali anche dovessero trovarsi come controparte un onorevole grillino.

Ma non dovrebbe essere difficile identificarli – e identificarvisi da parte degli interessati –
per chiunque si sia dilettato a leggere i Palamara leaks.


Scrive Trizzino che

“nelle numerose pubblicazioni finora avvenute compaiono ripetutamente i nomi (...) di due componenti in carica del Csm,
entrambi membri titolari della Sezione disciplinare; in relazione ad entrambi vengono fatti specifici riferimenti:

a) ad intercessioni nella carriera universitaria ottenute dal figlio di uno di essi;

b) ad interventi effettuati dal medesimo consigliere presso il dottor Palamara,
all’epoca componente l’organo, al fine di agevolare talune nomine presso uffici giudiziari laziali anche in vista di scadenze elettorali;

c) a pressanti richieste e proteste del medesimo consigliere con riguardo ad inviti a cena presso l’abitazione di una ex componente il Csm;

d) alle modalità di nomina ad ufficio semidirettivo requirente dell’altro consigliere,
con speciale riguardo alle ragioni della revoca della domanda di altro concorrente;

e) alle circostanze del ricollocamento in ruolo di uno stretto parente dello stesso consigliere;

f) alle pressioni esercitate da quest’ultimo presso il dottor Palamara volte al suo intervento verso conduttori televisivi
allo scopo di limitare la presenza mediatica di altro candidato, al pari del consigliere, alle elezioni del Csm nel 2018;

g) all’ammissione di stretto parente del medesimo consigliere a manifestazioni sportive
per il tramite dell’ente pubblico Comitato Olimpico Nazionale Italiano, ammissione in effetti avvenuta,
a titolo allo stato ignoto, come documentato fotograficamente...”.


Seguono le solite questioni di repertorio di questo tipo di interrogazioni:

“… se e quando la Procura di Perugia abbia trasmesso al ministro della Giustizia in tutto o in parte
gli atti del procedimento penale prima indicato;
se e quali accertamenti ispettivi siano stati posti, o siano in atto, in essere nei confronti di tali consiglieri e
se in relazione ai fatti prima esposti siano state promosse richieste al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione
di avvio di procedimenti disciplinari, con particolare riguardo alle ipotesi di indebito approfittamento, con spendita implicita,
della qualità di magistrato;
se siano state formulate richieste di provvedimenti cautelari di sospensione dalle funzioni giudiziarie nei confronti dei due consiglieri in questione”.


Per il ministro grillino una nuova rogna che – come si dice a Roma – “la metà basta”.

C’è infatti il rischio di perpetrare all’infinito la guerra tra i Cinque Stelle e la magistratura associata,
iniziata nella puntata di “Non è l’Arena” di Massimo Giletti quando l’attuale consigliere del Csm, Nino Di Matteo,
si tolse qualche sassolino dalla scarpa mettendo a rischio il Governo e determinando una mozione di sfiducia
contro lo stesso Guardasigilli che venne salvato – a probabile buon rendere – dai renziani.

Adesso questo nuovo siluro “amico” che non mancherà di provocare altre polemiche.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sarà anche tranquillo Conte, ma è sembrato abbastanza irritato
dal fatto di essere stato convocato proprio a due giorni dall'inizio degli Stati Generali.

Davanti ai pm dovrà, infatti, spiegare perché non erano state istituite le "zone rosse" per i due comuni colpiti,
nonostante la richiesta esplicita del presidente dell'Iss Silvio Brusaferro.

Il premier probabilmente ribadirà che poteva la stessa Regione Lombardia istituire la zona rossa.

Sosterrà inoltre di essere stato in continuo contatto con i vertici della Lombardia
e che tutte le decisioni erano state prese di comune accordo.

Ma la sua difesa ha già dimostrato di fare acqua da tutte le parti.

Anche il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e il collega alla Salute, Roberto Speranza,
dovranno comparire davanti ai pm per far luce sullo stesso fascicolo.

La numero uno del Viminale dovrà far avere ai pm anche le ordinanze
che proprio in quei giorni furono trasmesse a prefetti e questori per potenziare il controllo del territorio.

Probabilmente le verrà anche chiesto di ricostruire tutto l'iter seguito per limitare la circolazione a Codogno il 23 febbraio.

Si decise infatti di impiegare le forze dell'ordine per chiudere tutti gli accessi,
non escludendo di fare ricorso anche all'esercito per i servizi di vigilanza

. “Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza dal capo dell’Oms al sindaco del più piccolo paese coinvolto,
passando per ciascuno di noi - ha commentato Speranza - debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte.
È la bellezza della democrazia. È giusto così”.
 

Val

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Poverini.

Sta continuando a far discutere quanto accaduto nelle ultime ore a Milano,
dopo che il gruppo di "laici e antifascisti" dei cosiddetti Sentinelli,
cavalcando l'onda del caso della morte di George Floyd
per utilizzare la tematica "razzismo" come chiave di lettura unica,
ha chiesto la rimozione della statua di Indro Montanelli dai giardini pubblici di via Palestro
e la cancellazione dell'intitolazione degli stessi al giornalista originario di Fucecchio.

Un'idea che ha subito attirato l'attenzione del Pd che sostiene Sala in consiglio comunale.

"Credo che la richiesta dei Sentinelli vada sicuramente discussa in consiglio.
Quando ci viene presentata una proposta noi siamo sempre pronti ad accoglierla e discuterne,
soprattutto quando tocca i temi dei diritti e della dignità delle persone",

aveva replicato Diana De Marchi.

Sostegno anche dal collega di partito Alessandro Giungi, che aveva anche aggiunto:

"Su questa scia ho depositato nei giorni scorsi un ordine del giorno per intitolare i giardini di via Ardissone, da poco riqualificati, a Rosa Parks".

Quest'oggi è stato il turno di Gad Lerner, che, dall'alto del suo piedistallo è arrivato a sminuire la figura di Montanelli.

"Andiamoci piano con l'abbattimento delle statue. Qualcuno potrebbe ricordare che la Bibbia contempla schiavismo e patriarcato:
rimuoviamo pure il Mosè di Michelangelo?", esordisce su Twitter il giornalista e conduttore televisivo originario di Beirut (Libano), per poi affondare.

"Montanelli è oggetto di venerazione sproporzionata alla sua biografia, non alimentiamola boicottandolo".

L'attacco dei radical chic prosegue con le parole dello scrittore Christian Raimo, che su Facebook rincara la dose.

"Una statua che molti vorrebbero togliere è già risignificata, è un feticcio traballante.
Ora chi la difende è costretto a difendere la celebrazione del colonialismo fascista e del maschilismo violento".

Montanelli per lo scrittore è stato in molti casi
"un maestro di cattivo giornalismo e di cattivo mestiere dello storico. Annedotico, tronfio, terzista nel senso peggiore del termine".

"Anche le statue fanno il loro tempo, e se negli ultimi anni della sua vita Montanelli è stato un monumento vivente persino a sinistra,
oggi è una statua fragile", aggiunge Raimo
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahah ai dementi non porre limite.

I supermercati svizzeri della catena Migros hanno reagito alla polemica anti razzismo
eliminando dai propri scaffali i dolci chiamati "moretti”, in tedesco “Mohrenköpfe”.

I moretti sono prodotti dal 1946 dalla Dubler, azienda del Cantone dell’Argovia, situato nella Svizzera settentrionale.

Su Twitter, la stessa Migros ha reso noto:

“Abbiamo deciso di togliere il prodotto dal nostro assortimento.
L’attuale dibattito in corso ci ha spinti a rivalutare la situazione.
Ci è chiaro che anche la nostra decisione creerà discussioni”.

Sono diversi anni che il cioccolatino in questione crea discussioni e polemiche.
Addirittura, come riportato dal Corriere, nel 2017 era stata lanciata una petizione
per chiederne un cambio di nome, proprio perché quello attuale era ritenuto palesemente razzista.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Vedo che il Coronavirus ha colpito anche nei cervelli!!
Demenze a gogooooooo!!
Pure gli svizzeri!
Li facevo piu' seri!!
Esiste anche un tono di marrone detto "testa di moro"!!
Dementiiiiiiiiiiiiiiiiiii !!
 

Val

Torniamo alla LIRA
"Tutte le vite dovrebbero essere ritenute importanti. Non solo alcune, a seconda della convenienza politica, mediatica o di altra natura".

"L'immigrazione irregolare è un fenomeno sul quale lucrano in tanti,
spesso nascondendosi dietro al dovere umanitario di accogliere chi ha bisogno.
Un principio che, se fosse diretto ad offrire protezione a chi veramente fugge dalle guerre, sarebbe sacrosanto.
Peccato però che attraverso i flussi migratori, gestiti da vere e proprie organizzazioni criminali transnazionali,
arrivino anche tanti delinquenti, con tutto quello che ne consegue in termini di violenza e degrado sociale.
Molti hanno paura di essere tacciati di razzismo anche solo affermando questa verità" .
 

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