IL PROBLEMA E' LA NOTTE, IL BUIO FA LUCE A TROPPI PENSIERI. (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Vi presentiamo questo breve video nel quale vi mostriamo l’evoluzione dell’economia del G20 dal 1960 al 2020,
mostrando l’evoluzione del PIL nominale dei singoli paesi.

Avrete così il piacere di poter seguire l’evoluzione dell’economia italiana dalle retrovie del 1960 al quarto posto mondiale degli anni ottanta,
posizione mantenuta per diversi anni.

Senza euro, uscendo dal terrorismo, creando debito al causa degli interessi che non venivano più assorbiti dalla politica monetaria della Banca d’Italia, nonostante l’instabilità, comunque siamo cresciuti, e tanto, cosa che ora sembra impossibile, in un paese senza speranza, triste,
con un Pavone pura apparenza e niente cultura seguito da demagoghi e pasticcioni.

Eppure basterebbe poco per tornare quelli di allora, cioè mandare a casa un po’ di gentaglia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Sono passate poche ore e lo scenario in Libia è mutato ancora una volta.

L’Egitto ha presentato un piano per il cessate il fuoco, che non è certamente comparso dal nulla.

L’accordo è stato sottoscritto dal generale Haftar che, nel frattempo, nel giro di 24 ore ha ritirato le truppe da Tripoli
dimostrando, lui sì, di controllare un esercito fedele, e dalla Camera dei rappresentanti libica (il Parlamento di Tobruk).

Sarraj, con l’appoggio della Turchia, per il momento ha rifiutato l’accordo.

Ma Sarraj, il capo del governo di unità nazionale voluto dall’Onu, è bene ricordarlo,
non possiede un esercito vero e proprio.

Al suo fianco combattono miliziani di ogni risma, tra i quali mercenari e jihadisti portati in Libia da Erdogan.
Il “potere” di Sarraj deriva in parte dall’appoggio (o pseudo tale) della comunità internazionale
e soprattutto da Ankara e quindi dai Fratelli Musulmani.



Haftar



La ritirata di Haftar, vista da molti come una sconfitta, è invece strategica e fortemente voluta a livello internazionale.

Secondo fonti autorevoli inserite nel contesto libico, la retromarcia di Haftar
è arrivata dopo le fortissime pressione da parte degli Stati Uniti, tornati
(o forse mai partiti) in Libia.

La questione è divenuta più chiara quando il Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca
ha espresso la speranza che l’iniziativa egiziana sulla crisi libica porti a un cessate il fuoco.



E, nel contempo, Aguila Saleh, il presidente della Camera dei rappresentanti libica,
ha chiaramente detto che il rifiuto da parte di Tripoli del piano egiziano porterà ancora guerra e scontri nel Paese,
indicando inoltre come la presenza turca abbia notevolmente peggiorato la situazione.

Ma non solo.

Saleh ha anche posto l’accento sul petrolio (una delle vere motivazioni del conflitto tra le parti in Libia), spiegando che
“la ripresa della produzione di petrolio è direttamente collegata al cessate il fuoco”.

Quindi, ha aggiunto, “non c’è petrolio con le pistole”.

Un messaggio chiaro per Sarraj ed il presidente turco Erdogan che adesso dovranno decidere cosa fare,
visto che anche la Russia ha accolto con favore il piano dell’Egitto che,
oltre al cessate il fuoco che sarebbe dovuto entrare in vigore alle 6 dell’8 giugno 2020,
prevede anche lo smantellamento delle milizie, la riconsegna delle armi all’esercito nazionale libico
e soprattutto l’espulsione dei mercenari stranieri dal paese.

Al momento, però, in Libia si continua a combattere e Sarraj vuole prendere Sirte.

Per questo il presidente egiziano ha lasciato intendere che un’eventuale avvicinamento al confine tra Egitto e Libia
delle forze che combattono per Sarraj potrebbe innescare scenari peggiori.

E per non lasciare nulla al caso, ancora prima dell’accordo siglato con Haftar a Il Cairo,
nell’area della base militare a sud di Sidi el Barrani, sono stati segnalati movimenti importanti.

Tradotto: Al Sisi sarebbe pronto ad entrare in Cirenaica.


L’Italia, dal canto suo, dovrà decidere con chi schierarsi.

Avendo presente, però, che la Francia non lascerà la Libia, e gli interessi economici che essa rappresenta, a favore della Turchia.

Mentre la Germania di Angela Merkel pensa, con preoccupazione, alla possibilità che una presa di posizione dell’Ue
troppo sbilanciata a favore di Haftar possa compromettere ulteriormente gli accordi con Ankara
per il blocco dei migranti sulla rotta Balcanica.

Roma temporeggia e cerca di trattare per fermare i barconi laddove sarà possibile, senza però, una chiara strategia
 

Val

Torniamo alla LIRA
Come si sono ridotti male questi "radical chic".

La stavamo aspettando al varco, sapevamo non ci avrebbe deluso.

E infatti eccola, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, esibirsi in un mirabile esercizio di affondo in ginocchio
– imitata da qualche altro deputato in piena aula parlamentare – .


Insomma, mancavano solo i ceci.

Dopo l'inchino televisino di Myrta Merlino, che ha fatto da apripista mediatico,
ecco giunto anche ai massimi livelli istituzionali italiani un simbolo di penitenza e remissione,
escogitato da qualche esperto di marketing politico in America e più adatto alle funzioni religiose
– quelle stesse funzioni che in genere questi personaggi guardano con disgusto,
a meno ché non siano contestualizzate in qualche culto allogeno – che non a una rivendicazione di tipo «politico».

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Non l’abbiamo vista inginocchiarsi per Desirée Mariottini, 16 anni, drogata, struprata da vergine, in un tugurio
pieno di siringhe ed escrementi ed infine uccisa da spacciatori africani nel quartiere romano di San Lorenzo;

non lo ha fatto nemmeno per Pamela Mastropietro 18 anni, drogata, stuprata, presa a coltellate,
sezionata mentre era ancora viva e poi abbandonata fatta a pezzi in due valigie sul ciglio della strada dal nigeriano Innocent Oseghale.

Nessun pugno alzato per Ermanno Masini, Daniele Carella, Alessandro Carole’,
massacrati dalle picconate frutto della furia del ghanese Adam Kabobo "sentivo le voci",

né per Stefano Leo, sgozzato a Torino dall’egiziano Said perchè Itaiano, per "toglierli tutte le sue idee, il suo futuro, le promesse e l’amore dei genitori».

Nessuno alla Camera è rimasto in silenzio per 8 minuti e 46 secondi per poi gridare «I can’t breathe» (non riesco a respirare) per David Raggi,
a cui Amine Assoul detto Aziz ha pure tagliato per sempre il fiato, sgozzandolo con un coccio di bottiglia.

Non si è prostrata per i morti dell’Aquila, per quelli del Ponte Morandi, per i quasi 35mila deceduti
(dati ufficiali, ma sono probabilmente di più) a causa del coronavirus, loro sì veri martiri di politiche criminali
che hanno ridotto al lumicino la sanità italiana. Potremmo continuare a lungo.

Ma non illudiamoci: Boldrini & company non si genuflettono per la morte di Floyd.

Il loro dovere è quello di inchinarsi a quelle forze che in questi istanti stanno mettendo a ferro e fuoco le città degli Stati Uniti,
utilizzando la presunta rabbia sociale per la morte di un uomo «x» come pretesto per destabilizzare lo status quo
e portare avanti la consueta agenda tanto cara ai soliti noti del capitalismo globalista.

Tutto spontaneo e di cuore insomma, ci mancherebbe, per nulla finalizzato al consolidamento di una narrativa antirazzista
(quello stesso antirazzismo che si tramuta in pestaggi e umiliazioni riservati ai caucasici americani)
e pregna di vergogna bianca e talebana nei confronti di detta bianca cultura.

Che a casa nostra si chiama «civilizzazione», ma tant’è.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Mentre Giuseppe Conte è convinto che la gente sia tanto sprovveduta da vedere in lui
la statua della salvezza e del futuro, anche se a proposito di statue, di sinistra,
del suo concetto di democrazia, basterebbe vedere quello che succede.

Perché sia chiaro, la sinistra si guarda bene dal manifestare contro la Cina, la Corea del Nord, Cuba,
contro quei Paesi dove la libertà è un’illusione e a chiederla si rischia il pestaggio, la galera e la vita,
si limita a farlo nelle democrazie dove seppure tra sbagli, luci ed ombre, la libertà è garantita.

Provassero a Pechino a buttare giù una statua di Mao Tse-tung, oppure a L’Avana una di Fidel Castro,
i monumenti di quei santi uomini che hanno mandato a morte, torturato e imprigionato,
una montagna di innocenti che avevano la sola colpa di essere dissidenti e di volere pluralismo e libertà.

Insomma, è la storia della sinistra comunista e postcomunista che cambia il pelo ma non il vizio.

Da noi poi non ne parliamo.

Pur di camuffarsi ha cambiato il nome, il simbolo, ma non la testa, perché la matrice di Palmiro Togliatti,
un altro sant’uomo che al fianco di Iosif Stalin ha avallato ogni crimine peggiore, è sempre quella.


Non importa che sia stata sconfitta dal tempo, che il muro sia caduto per la fame e per la povertà,
che ovunque abbia attecchito abbia negato giustizia e libertà, che il socialismo reale abbia creato un mostro statale
capace di generare il fallimento dello sviluppo e dell’economia, importa il potere e pur di mantenerlo,
la sinistra è capace di falsificare e derubricare la realtà.

Del resto, da noi è dal Dopoguerra che la sinistra comunista ha falsificato pur di apparire quello che non era,
ha inculcato nella testa della gente una storia diversa, ha mischiato le carte così bene
da riuscire a passare come unica sentinella della democrazia, dei diritti, del pluralismo e delle libertà sociali e civili.

È riuscita a far credere che anziché dagli alleati siamo stati liberati da loro,
che Stalin sia stato più determinante di Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill messi assieme,
che dopo l’orrore nazista nei Paesi dell’Est sia arrivata la libertà.

La verità è che in Italia senza gli angloamericani la spietatezza disumana nazifascista non sarebbe stata sconfitta,
e Stalin senza la valanga di aiuti e mezzi militari americani, forse non avrebbe vinto.

All’est, dopo il nazismo è arrivato un regime tale e quale.


Insomma, la sinistra comunista, postcomunista, cattocomunista, è un campione dell’ipocrisia politica e della propaganda,
del resto se così non fosse non saremmo arrivati al Pci-Pds-Ds-Pd, al tentativo di spacciarsi da unici tutori della democrazia,
dei bisogni sociali, della crescita e del futuro contro il pericolo di un centrodestra fascista, sovranista, illiberale, alla faccia.

Eppure l’Italia è ridotta come è ridotta, di certo non per colpa del centrodestra
che in più di 70 anni di Repubblica ha governato solo per 9, oltretutto ostacolato e osteggiato
dall’apparato che i cattocomunisti hanno costruito ad hoc per controllare gangli, cultura, informazione, giustizia e burocrazia.

L’Italia è cresciuta storta

perché passato Einaudi, lo statalismo, l’assistenzialismo, il clientelismo, un certo sindacalismo, ha straripato,

perché il pubblico si è infilato ovunque, perché il Welfare è stato trasformato da strumento di garanzia in macchina elettorale,

perché il sud anziché essere stimolato all’intrapresa è stato narcotizzato col posto fisso assistenziale.

Perché dopo il 60, fra Dc e Pci, la spesa pubblica e il Deficit spending sono stati utilizzati per il consenso,
il bacino politico al posto della modernizzazione, delle infrastrutture utili allo sviluppo e al confronto con la concorrenza internazionale,
dell’adeguamento alle tecnologie emergenti, del miglioramento e ottimizzazione dei servizi ai cittadini.


Il cattocomunismo ci ha precipitati in ciò che siamo, un Paese lento, appesantito da un debito
e una zavorra statale fenomenale che ci obbliga a pagare tasse a più non posso,
un Paese dove comanda la burocrazia nulla facente, dove la giustizia spesso oltreché orientata
e intorbidita è lenta, ingiusta e più vicina alla colpa che all’innocenza.

Un Paese dove la previdenza per pagare i privilegi elettorali regalati nel passato rischia il collasso
e punisce i giovani, gli toglie il futuro, per pagare un apparato pubblico gigantesco
che è vissuto di benefici enormi rispetto al privato, non ha più soldi.

Insomma, una previdenza che è stata trasformata in imprevidenza dai cattocomunisti mica da Silvio Berlusconi.

Ecco perché diciamo da questa maggioranza che è tutta figlia di quella cultura, peggiorata dall’ignoranza grillina,
che futuro ci possiamo aspettare, quale piano per l’Italia ci possono dare, quali programmi diversi
da quelli che hanno dimostrato in questi mesi, con bugie, proclami, valanghe di miliardi, manovre poderose,
aiuti e sviluppo per tutti, soldi in 24 ore
, suvvia.

Anche perché la parte più importante dei provvedimenti sbandierati da Conte è fatta ancora di spesa assistenziale,
di assunzioni pubbliche, di aumenti e premi agli statali, di nuovi ingressi d’apparato.

Insomma, il paradosso che al posto di una revisione ciclopica della spesa pubblica che è una fornace,
la si continua ad espandere come fossimo sceicchi, e poi chi paga?


A settembre dopo le passerelle, gli show, i festival autoreferenziali, lo specchio mio specchio,
arriverà un conto immane per gli errori di arroganza, presunzione, incapacità a gestire la situazione,
il conto dei Dpcm sbagliati e dei soldi sprecati, il conto di un’Italia impoverita che di fronte a Conte
e al suo specchio si ritroverà in ginocchio.

Ne riparliamo…
 

Val

Torniamo alla LIRA
La festa deve avergliela guastata la magistratura bergamasca, ma non è certo che Giuseppe Conte
stia facendo qualche riflessione autocritica a proposito del profluvio di decreti assunti in questi 100 giorni
praticamente senza un vaglio del Parlamento, spesso neppure dei ministri e, comunque, in piena solitudine,
a parte le innumerevoli task force che si è posto al fianco.


Il fatto, in un certo senso curioso, è che nella pioggia decretizia era assente proprio la decisione per quella “zona rossa
il cui rimpallo di responsabilità fra Governo e Regione Lombardia era già stato fissato su Palazzo Chigi da una pm.

Naturalmente, e da garantisti sempre e comunque a differenza dei suoi amici giustizialisti,
Conte è del tutto innocente, almeno fino a prova contraria.

Si dice ora, da parte di Palazzo Chigi, che i leggendari “Stati generali” (pare abbiano cambiato nome)
siano propedeutici a risolvere i problemi del Paese.


Secondo alcuni osservatori, vedi Luca Ricolfi, ne saranno l’esatto contrario
“producendo, e non solo a parole, ulteriori guasti ad una economia già in declino prima del Covid”.


Non solo, ma alla decantata ripresa economica nella fase della ripartenza, ciò che appare in termini pericolosi è la ripartenza dell’indebitamento.

La fantasia immaginifica di Conte, peraltro abbinata ad una analoga “trovata” di Luigi Di Maio
con la messa a punto di un piano governativo in materia di esportazioni, si arricchisce dell’ennesima puntata mediatica e spettacolare,
uno sport nel quale il Premier eccelle, battendo un maestro del settore come Silvio Berlusconi e, forse,
non immemore della lezione di Ronald Reagan che già negli anni Sessanta sottolineava come la

“politica è come una industria dello spettacolo il cui scopo principale è di piacere alle folle e il suo mezzo principale è l’artificio”.


E se la politica è uno spettacolo, allora l’idea non è di perseguire la chiarezza, l’onestà, l’etica, ma di apparire come se lo facesse.

In effetti, questa edizione degli Stati generali è necessaria, in un momento come l’attuale, a mettere in ombra le vistose carenze di un Esecutivo;
serve a prendere tempo, sono il chiacchiericcio alternativo alle responsabilità governative nutrite di promesse e di parole,
tante parole retoriche, a loro volta utili all’arte di apparire sostituendo ai fatti che non ci sono, le immagini di sé trasmesse,
e non solo nelle ore di punta, da un sistema televisivo, fra Rai e La7, schierato con Conte del quale,
tra le altre certezze sondaggistiche, si preannuncia un suo partito personale.


Tutto questo coro, se esalta la sua vanità dell’apparire, rischia di mettere in risalto tutto ciò che si vuole nascondere
in quell’alluvione di demagogia da Villa Pamphili e ne è testimonianza la reazione arrabbiata che è toccata proprio al Premier
in una sua breve uscita fra la gente vera, reale, concreta e non astratta, non fittizia come le fiction
che danno una risposta all’attenzione spasmodica alla propria immagine, ma si risolvono, alla resa dei conti, in un inganno.


Una ripresa c’è, ma in tono e in sostanza assai ridotta, tant’è vero che per il sistema produttivo non s’è visto ancora niente
ed è prevalsa una politica assistenzialistica non solo e non tanto dettata dall’emergenza ma da una “ideologia”
le cui scelte sono nel Dna di questo Governo con un Partito Democratico che da sempre è incline alla dilatazione della spesa pubblica
e con un Movimento 5 Stelle che è il partito cresciuto sull’onda di un’antipolitica tambureggiante ispirata al “no” all’industria
– esemplificato dalla tragicomica proposta di Beppe Grillo a proposito di una ex-Ilva da trasformare in un campo giochi –
e contrario alla crescita, per non parlare del sottofondo giustizialista che ne anima azione e propositi,
come insegna un maestro del settore di nome Alfonso Bonafede.
 

Val

Torniamo alla LIRA
In Germania sono già certi che l’Italia, una volta terminata l’emergenza economica e sociale dovuta al Covid19,
non avrà fatto nessuna delle riforme ritenute necessarie per la ripresa e continuerà ad avere un debito pubblico insostenibile,
perciò pericoloso per la stabilità dell’euro e per l’intera eurozona.

Tradotto dal linguaggio burocratese dell’Europa cosa vuol dire?

Che da quelle parti, sull’asse Berlino-Bruxelles, già stanno studiando le modalità di intervento, anche in modo drastico,
con una ristrutturazione del nostro debito, sancita da una conferenza internazionale.

“Per risolvere i suoi problemi, l’Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?”,

si chiede la Faz, quotidiano di Francoforte, che ha aperto un ampio dibattito tra gli economisti tedeschi più autorevoli
sul che fare quando l’emergenza Covid19 sarà finita.

A spiegare tutti gli intrecci ci ha pensato Tino Oldani su ItaliaOggi, dove spiega:

“Inutile dire che una simile soluzione (la ristrutturazione del debito per mano tedesca, ndr)
avrebbe ricadute disastrose sul sistema bancario italiano, che ha in pancia quasi 700 miliardi di titoli del debito statale
e se li vedrebbe svalutati di parecchio, con inevitabile perdita di valore del capitale sociale, rischi di fallimenti,
e assalto alle migliori banche italiane da parte dei maggiori concorrenti stranieri, attirati dall’elevato risparmio italico ivi depositato”.

La Germania, dunque, ci sta preparando l’ennesima trappola, mentre in Italia il governo Conte-Gualtieri perde tempo con gli stati generali,
cercando di coprire con nuovi annunci la gestione fallimentare del rifinanziamento delle imprese e dei mancati sussidi ai cassintegrati e a chi ha perso il lavoro.

A cosa pensano, dunque, gli economisti in Germania interpellati dalla Faz per “risolvere” il nostro problema?

“Un taglio del debito italiano non deve più essere un tabù”,

sostiene Hans-Werner Sinn, ex presidente dell’istituto Ifo di Monaco di Baviera, noto falco ordoliberista. E poi…

“Per quanto io sia favorevole a un generoso aiuto finanziario nei confronti dell’Italia,
è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri (in possesso di titoli di stato italiani; ndr)
vengano costantemente salvati dai contribuenti europei, invece di partecipare essi stessi alle perdite”.

Dunque, un chiaro sì alla ristrutturazione del debito pubblico italiano.

“Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito”, sostiene Sinn.

“Dalla fine della Seconda guerra mondiale ci sono state 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. E il mondo non è ancora finito”.

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Qual è l’ultimo caso che ci viene in mente?

Quello della Grecia, attuato nel 2012.

“Temo che prima o poi dovremo farne uso anche in Italia”, prevede Sinn,
“perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo”.

Dello stesso avviso – segnala sempre ItaliaOggi – è l’economista Friedrich Heinemann, esperto dell’istituto Zew di Mannheim:

“Evitare il taglio del debito pubblico italiano non sarà possibile”.

Ecco a cosa pensa la Germania: a farci fare la fine della Grecia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Per non dimenticare .......dopo gli abbracci e gli aperitivi.........


04 febbraio 2020
I governatori di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino hanno scritto una lettera comune
al Ministero della Sanità chiedendo che il periodo di isolamento previsto per chi rientra dalla Cina
sia applicato anche ai bambini che frequentano le scuole.

"Non c'è nessuna volontà di contrapposizioni politiche, né tanto meno di ghettizzare:
vogliamo solo dare una risposta all'ansia dei tanti genitori visto che la circolare non prevede misure in tal senso",
dice il Presidente del Veneto, Luca Zaia.

In particolare, nella lettera si chiede l'integrazione della circolare ministeriale sulle misure per gli studenti

"prevedendo un ulteriore elemento di tutela verso i bambini che frequentano i servizi educativi per l'infanzia
e gli studenti soggetti ad obbligo scolastico, prevedendo, in via del tutto precauzionale,
un periodo di 14 giorni prima del rientro a scuola da parte degli studenti, di qualsiasi nazionalità, italiani compresi,
giunti in Italia dalle aree affette della Cina".

I presidenti Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana e Maurizio Fugatti sottolineano che,
anche a seguito del Report n.12 dell'Oms, il quale afferma che la trasmissione da Coronavirus
in soggetto asintomatico è "rara ma possibile" e considerato che le conoscenze sul virus
e sulla reale situazione epidemiologica sono limitate,
"è di tutta evidenza che quelle di contenimento sono le uniche misure preventive
a nostra disposizione per cercare di limitare la diffusione del virus". -

Boccia alle Regioni, ognuno faccia suo lavoro
.
Le linee guida in materia di tutela della salute in Italia sono competenza dello Stato.
L'organizzazione sanitaria spetta alle Regioni. Ognuno faccia il proprio lavoro.
Decide il ministro della Salute e le Regioni si adeguano. Tutto molto chiaro.
Basta leggere la Costituzione. Se la dichiarazione dei Presidenti della Lega non è ispirata da motivazioni politiche,
come sono certo ben conoscendo il loro profondo rispetto delle Istituzioni,
il governo la accoglierà come ulteriore sollecitazione a tenere alta la vigilanza sul mondo della scuola".

Così il ministro Francesco Boccia. –

Il premier Conte:

"Non c'è motivo di panico" .

"Non ci sono i presupposti per allarme o panico
" sul coronavirus in Italia.

Lo ha detto il premier Giuseppe Conte a Londra aggiungendo che

"chi ha ruoli politici,ha anche il dovere, la responsabilità di dare messaggi di tranquillità e serenità".

"La situazione è sotto controllo",
ha assicurato.

"Invito i governatori del Nord a fidarsi di chi ha specifiche competenze"ha aggiunto.

"Nessuno pensi di approfittare" del coronavirus "per manifestazioni discriminatorie o addirittura di violenza", ha poi sottolineato.

Azzolina:

"La scuola è un luogo di inclusione e si va"

"C'è una circolare del ministero della Salute che ha spiegato tutti i casi punto per punto.
Io mi sento di tranquillizzare gli studenti e le famiglie: la scuola resta un luogo di inclusione,
per cui se non ci sono situazioni come quelle che qualcuno ha descritto, a scuola si va"
.

L'ha affermato la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, oggi a Torino, a proposito del Coronavirus.

"Ribadisco che non abbiamo una emergenza per le scuole".

Ieri il ministro aveva dichiarato di non voler "inutili allarmismi" e che

"non ci sono motivi per escludere gli alunni dalla scuola. La circolare abbiamo spiegato cosa fare e in quali casi, quindi tranquillità assoluta".


Viste le reazioni da parte del governo in merito alla lettera dei governatori del nord,
dove è scritto nero su bianco chi comanda, non si comprende perché ora vogliono scaricare su Fontana
la mancata realizzazione della zona rossa ad Alzano e Nembro.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Perfino un giornale mainstream come Italia Oggi si rende conto che il tanto decantato SURE,
il sistema europeo di garanzia della disoccupazione è solo l’ennesimo bluff di Bruxelles per illudere gli italiani,

attraverso l’opera di disinformazione del duo Conte-Casalino,
che le interessi qualcosa dell’Italia e che effettivamente sta facendo qualcosa per esso.


Prima di tutto spieghiamo cosa è il SURE rifacendoci direttamente ai documenti originali, non alla disinformazione della TV.


Prima di tutto,cosa vuol dire SURE?

Significa Support to Unemployment Risk in Emergency, Supporto ai rischi di disoccupazione in caso di emergenza,
ed è lo strumento che la Commissione ha messo in atto per affrontare, a livello europeo, ma, come tutti gli strumenti europei,
ha il difetto di non poter essere finanziato direttamente da un supporto monetario, soprattutto nei momenti di emergenza,
ma di doversi sempre basare sulle risorse fornite da qualcuno.

Purtroppo chi ha creato la UE credeva solo nella “Moneta Merce” e non ha mai pensato a questa opzione per il terrore dell'”Inflazione”.



SURE si finanzia con dei prestiti obbligazionari che si accumulano in un fondo per il quale tutti i paesi forniscono garanzie,
complessivamente per 25 miliardi, a fronte della raccolta complessiva massima per 100 miliardi.

I 100 miliardi dovranno quindi essere rimborsati, comprensivi degli interessi,
con modalità che dovranno essere definite dalla Commissione stessa.

Il fondo non può essere erogato per più del 10% proprio fondo complessivo per ogni anno,
quindi, per ogni anno, non si erogheranno più di 10 miliardi.

Non solo, di questi 10 miliardi i principali 3 paesi non possono prendere più del 60%.
quindi i primi tre paesi NON possono attingere per oltre 6 miliardi, giungendo in 10 anni ad un massimo di 60 miliardi.

Per essere chiari, anche se partisse nel 2021, potremmo AL MASSIMO attingere per 4-5 miliardi,
ma in una ipotesi non realistica nella quale gli altri paesi non ne avessero bisogno e ci lasciassero fare quello che vogliamo. .


Si tratta di una cifra ridicola, perchè nel 2019, dati ISTAT , la Cassa integrazione pagata in Italia è stata pari a 13,5 miliardi di euro
e nel 2020 supereremo tranquillamente i 20-22.

Quindi, come dice lo stesso regolamento.

SURE è al massimo un aiuto, sotto forma di prestiti, alla cassa integrazione che già paghiamo, ma è :


  • solo un prestito;
  • lo garantiamo noi con una garanzia “Prima chiamata” che ci possono anche aumentare;
  • dovremo ripagarlo compreso di interessi;
  • viene erogato a piccole rate per 10 anni.
  • Comunque è previsto un controllo nella gestione di questi soldi ed i tempi di rimborso sono decisi dalla commissione.

Proprio su questo elemento della garanzia e dei limiti al “Tiraggio” dal fondo che viene ad effettuare i calcoli Italia Oggi.

L’Italia deve versare una garanzia di 3 miliardi sotto forma di una specie di fidejussione “Prima chiamata”,
ma può “Tirare” in modo limitato.


Ora se i primi tre paesi, assieme, possono prendere al massimo 6 miliardi
è pià probabile che l’Italia venga dopo Germania o Francia e che quindi possa tirare al massimo 2 miliardi.

Alla fine le garanzie versate per il primo anno sarebbero SUPERIORI a quanto potremmo prelevare.


Comunque il fatto rimane.

Sono solo prestiti, niente altro che prestiti.

A questo punto emettiamo BTP e paghiamo SUBITO le Casse integrazioni a chi è a casa.

Basta trucchi, basta inganni, prima che le cose si mettano veramente male.
 

Val

Torniamo alla LIRA
L’Argentina sta affondando, e l’Europa cosa sta facendo per salvarla?

Il più europeo dei paesi latinoamericani è sull’orlo di un disastro non soltanto economico,
come dimostra l’incombente default, ma anche politico, come si vede dall’operato del governo insediatosi nel dicembre scorso
con il nuovo presidente della Repubblica.

Il rischio di un inabissamento è, purtroppo, reale e imminente, e coincide, anche in senso causale,
con l’imporsi di un regime che, per usare un termine sintetico, possiamo definire comunista.

Affari interni di un paese sovrano oppure questione di interesse internazionale?

Quando una crisi economica è connessa anche a scelte politiche in contrasto con i fondamenti del mondo liberaldemocratico occidentale,
quest’ultimo ha il diritto e avrebbe il dovere di intervenire, con tutti i mezzi diplomatici a disposizione delle relazioni internazionali,
dalla moral suasion alla pressione economico-politica.


Cosa sta accadendo dunque in Argentina?

In pochi mesi il governo di estrema sinistra (il cui vero padrone è la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner,
centro del potere e stratega delle decisioni cruciali) è riuscito a imprimere una direzione di marcia così precisa da risultare raggelante.

Decreti, proposte di modifiche costituzionali (che mirano soprattutto a intaccare la proprietà privata,
la cui intangibilità è sancita appunto dalla Costituzione), progetti di trasformazione socialista del mercato del lavoro
e di statalizzazione delle attività produttive, in parte demagogici e in parte drammaticamente concreti,
come si può vedere dal recentissimo tentativo di espropriazione governativa (sotto forma di commissariamento)
della grande azienda agro-industriale Vicentin, famiglia di origine italiana e impresa attiva dal 1920 entrata in crisi negli ultimi mesi.


Schema classico dei regimi comunisti: si inizia denunciando la povertà e indicandone la causa nel sistema capitalistico,
si prosegue accusando le forze della reazione interna e internazionale di ostacolare il superamento della povertà,
e si finisce giustificandone la presenza per mascherare il saccheggio a fini personali, a fini del partito ovvero del partito-Stato,
legittimando così la distruzione e la sovietizzazione dell’imprenditoria, l’odio di classe, la privazione delle libertà personali e civili.

Questa teoria dell’espropriazione generalizzata viene sostenuta, anche a livello apicale, come una forma di azione politica ed economica,
come un punto di svolta verso una società di eguali dai polverosi echi marxiani.

Il governo sta valicando una soglia che per un paese come l’Argentina sembrava insuperabile.

Ma come è potuto accadere questo alzo del tiro?

Sotto stretta sorveglianza da parte del Fondo monetario, accerchiato dai creditori internazionali,
circondato da paesi governati dalla destra (Brasile, Cile, Bolivia, Uruguay), come mai un governo
decide di radicalizzare la propria tendenza socialista con l’espropriazione delle imprese?


C’è un fatto che può spiegare questa tracotanza ideologica.

La Conferenza episcopale argentina ha favorito l’elezione del presidente Alberto Fernández
e, sia pure assai discretamente, ne appoggia il progetto che vuole spazzare via anche quei pochissimi elementi di liberalismo sociale
e di libero mercato che il pur onesto ma scriteriato governo macrista aveva realizzato.

Il tratto caratterizzante e originale del neo-comunismo argentino è costituito infatti dal placet ricevuto da Papa Bergoglio,
che autorizza e promuove un esperimento ben definibile come catto-comunismo.

Il nuovo presidente infatti, oltre ad avere un filo diretto con Santa Marta (che invece la Kirchner non aveva),
conta sull’appoggio di molti personaggi che a Santa Marta sono graditi.


La visione economico-sociale di Jorge Bergoglio è quella di una società pauperistica e di un’economia quasi di sussistenza,
che per quanto tinteggiata con tonalità etiche resta un incubo per qualsiasi società avanzata.

Egli vagheggia “un’economia comunitaria” che riesca a “creare lavoro dove c’erano solo scarti dell’economia idolatrica”,
in uno scenario che sembra idilliaco ma che in realtà sarebbe post-atomico, tanto è desolante:
“le imprese recuperate [recuperadas, cioè sottratte, in vari modi, ai proprietari], i mercatini liberi
e le cooperative di raccoglitori di cartone sono esempi di questa economia popolare che emerge dall’esclusione
e assume forme solidali che le danno dignità” (Papa Francesco, Terra, Casa, Lavoro, 2017).


E i governi dovrebbero incentivare queste “forme di economia popolare e di produzione comunitaria”
(che spesso nemmeno pagano le tasse, che sono sovvenzionate dallo Stato e quindi catalogabili come pura spesa pubblica),
perché sarebbero l’espressione del bene comune, l’antitesi rispetto “all’idolatria del denaro”.

Questa è la teoria economico-sociale di stampo bergogliano; questo è il programma economico-sociale
che un gruppo di dirigenti politici e di movimenti sociali dell’economia popolare ha proposto poche settimane fa al presidente Fernández:
spacciata come ricerca del bene comune, in realtà questa prospettiva porta alla povertà comune, alla povertà generalizzata,
al comunismo post-industriale che anziché produrre ricchezza genera miseria, per creare così l’uomo nuovo catto-marxista
da sempre sognato dai teologi della liberazione.



Qui il cattocomunismo rischia di diventare forma-Stato.

Se Bergoglio ne è il leader mondiale, uno dei principali teorici è il vescovo Marcelo Sánchez Sorondo,
strettissimo consigliere del Papa e come lui argentino, il cui modello non è tanto la Cuba castrista,
il Venezuela chavista o il Nicaragua orteghista, ma niente di meno che la Cina,
quella Cina che il vescovo magnifica come il regno del bene sulla terra:

oggi, sostiene Sorondo,

“quelli che meglio realizzano la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”,

perché se

“il pensiero liberale ha liquidato il concetto di bene comune, non volendo nemmeno prenderlo in considerazione,
affermando che è un’idea vuota, senza alcun interesse, i cinesi invece no, propongono lavoro e bene comune”,

e così

“la Cina sta assumendo una leadership morale che altri hanno abbandonato”.

La Cina come guida morale mondiale sembra una barzelletta, un’immagine troppo grottesca per essere credibile,
ma è funzionale alla linea anti-liberale di Bergoglio, il quale continua, imperterrito,
nel suo martellamento contro il sistema socioeconomico capitalistico e nella parallela apologia della povertà
come strumento eminente per avvicinarsi a Dio.



Ecco dunque le coordinate di questa linea geo-teo-politica: Argentina-Cina-Cuba-Venezuela.

La venezuelizzazione dell’Argentina rappresenta il balzo in avanti dei vecchi e nuovi montoneros oggi alla guida del paese,
il conseguimento di un livello di comunistizzazione che il decennio kirchnerista non era riuscito a imporre per due ragioni:
perché i suoi leader (da Néstor e Cristina in giù) erano occupati più che altro a fare bottino,
ad accumulare per sé tutto il denaro possibile con affari pubblici e privati, e perché, fino al 2013,
ovvero fino all’entrata in scena di Bergoglio, avevano nel Vaticano quella contrarietà radicale che oggi invece si è trasformata in sponda totale.


Sul piano geopolitico, il futuro immediato dell’Argentina potrebbe consistere in un allineamento all’asse cinese-russo-iraniano;
in una rottura, non clamorosa ma netta, con l’Occidente filo-statunitense; in una piena sintonia con l’Onu
e soprattutto con le sue frange terzomondiste; in avventure economico-sociali che avranno come inevitabile conseguenza
la distruzione di ciò che restava del tessuto produttivo e civile del paese.

La benedizione di Bergoglio rappresenta il sigillo di questa operazione che dovrebbe controbilanciare
la sterzata liberal-conservatrice di gran parte dell’America Latina, per stabilizzare istituzionalmente
la politica della Chiesa latinoamericana, ormai completamente controllata dalla teologia della liberazione.


Come disse il cardinale cinese Joseph Zen Ze-kiun, uno che conosce molto bene i comunisti,
in una memorabile intervista al New York Times,

“Francesco può avere una naturale simpatia per i comunisti, perché per lui questi sono i perseguitati.
Egli non li conosce come i persecutori che diventano una volta raggiunto il potere, come i comunisti in Cina”.

Proprio da questa mancata comprensione sorge il rischio dello slittamento dell’Argentina verso un regime di stampo cubano o venezuelano.


Qui “l’opzione preferenziale per i poveri” incontra l’occasione storica offerta dalla pandemia:

povera umanità senza crisi, tutta perfetta, tutta ordinata; pensiamoci, sarebbe un’umanità malata […].
Questa pandemia ci ricorda che è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità.
Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti”,

dice Bergoglio, cadendo in un lapsus colossale:

approfittare della pandemia per imporre il bene che egli vede nella redistribuzione,
ma che in realtà è un male generalizzato, perché l’opzione povertà implica la distruzione della società occidentale,
la dissoluzione delle sue strutture economiche e culturali, la cancellazione della sua identità.

E a sua volta il governo argentino, come un avvoltoio, sfrutta la pandemia come un’occasione per depredare le industrie,
per far fallire e poi “recuperare” ovvero espropriare le aziende, avviando così la trasformazione socialista e pauperista del paese.


Dai messaggi, personali ma che la stampa ha parzialmente diffuso, di Bergoglio a Fernández
emerge l’antica aspirazione a cambiare la società, i rapporti sociali, l’uomo stesso.

La saldatura è perfetta, solida e quasi invisibile: non si potrebbe pretendere di meglio per un’azione ideologica che,
per non spaventare le cancellerie occidentali, voglia apparire non come una rivoluzione ma come un’azione di giustizia sociale.

Ma la recente svolta espropriativa rischia di essere l’inciampo che rompe l’ingranaggio.

Se si tira troppo la corda, si rischia di romperla.

Si inizia mettendo in discussione la proprietà privata, si prosegue abolendola e si finisce per collettivizzare tutto, non solo le imprese.


Una cospicua parte degli argentini, liberali, conservatori, ma anche centristi o progressisti moderati,
tutti insieme stanno già reagendo con determinazione a questi soprusi antidemocratici e incostituzionali,
con alcuni piccoli risultati come per esempio una frenata sugli espropri, ma non possono ragionevolmente pensare
di riuscire a invertire una tendenza generale già in atto, perché non ne hanno i mezzi democratici
(il Presidente è appena stato eletto e la maggioranza parlamentare è dalla sua parte)
e perché altri mezzi non sono più all’orizzonte storico.

Perciò hanno bisogno di appoggi internazionali, concreti ma anche simbolici.


Forse anche il Vaticano stesso potrebbe rendersi conto del rischio e frenare questa distruttiva corsa,
anche se non si possono riporre soverchie speranze su questa ipotesi.

Certamente però alcuni governi occidentali o almeno alcuni partiti politici presso il Parlamento europeo
o presso parlamenti nazionali possono assumere iniziative concrete, in varie forme,
per far sentire la voce del liberalismo e della democrazia a un governo palesemente illiberale e tendenzialmente dittatoriale.

L’Europa, l’Occidente, il mondo libero cioè, dovrebbe immediatamente attivarsi, con ogni mezzo,
per evitare che in Argentina si ripeta ciò che è accaduto (e accade) in Venezuela, per salvare un popolo e non solo un’economia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Il canale video di Radioradio, la nota stazione radio romana che si occupa anche di politica ed economia
e che dà voce a personaggi controcorrente come Fusaro e Valerio Malvezzi, è stato improvvisamente chiuso da Youtube.


L’ennesimo episodio di censura liberticida nell’Italia del governo Conte, che,
con un continuo colpo di stato strisciante, ha già esautorato il Parlamento.

Non ci può essere un’opposizione in Italia senza repressione.


Consigliamo ai gestori di radioradio :


– Di utilizzare D.Tube sistema in streaming su blockchain non censurabile, su blockchain steem non censurabile;


– Di utilizzare servizi di file sharing che non si appoggiano a grosse piattaforme


Ormai la libertà di espressione è una chimera.
 

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